Film > Thor
Ricorda la storia  |      
Autore: vannagio    25/09/2012    17 recensioni
Quando Thor atterrò dinnanzi alla dimora di Jane Foster, con Mjolnir ben saldo nel pugno, Màni aveva già solcato l’intera volta celeste con il suo carro ed era ormai sparito dietro l’arido orizzonte di quel reame che i midgardiani chiamano Giovane Messico. La notte era profonda e insidiosa quanto la gola di Miðgarðsormr e, proprio come una macchia di inchiostro su un foglio scuro, la dimora di Jane si stagliava buia e silenziosa contro il nero del paesaggio circostante.
Tuttavia Thor sorrideva, poiché finalmente aveva mantenuto la sua promessa.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clint Barton, Jane Foster, Thor
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'E se Thor fosse tornato prima?'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”

Ritorno a Midgard




Bruce era in ritardo alla riunione.
Hai voluto fare il buon samaritano in lavanderia? Questo è il risultato, ben ti sta.
Del resto, non era colpa sua se Clint lo aveva avvertito del pranzo di lavoro con scarsissimo preavviso. Cosa fosse successo di così importante, da richiedere una riunione straordinaria del gruppo, Bruce non riusciva proprio a immaginarlo. Loki era tornato? I Chitauri avevano trovato un modo per riaprire il portale spaziale e stavano organizzando un nuovo attacco contro la Terra? Tony aveva comprato l’ennesima Lamborghini e voleva vantarsi del suo nuovo acquisto con - testuali parole - quegli sfigati dei suoi compagni di squadra?
Il trillillin della campanella di entrata accompagnò l’ingresso di Bruce nel diner Apollo.
«Scusate il ritardo, ragazzi».
«E tu, che ci fai qui?» fu l’affettuoso benvenuto di Tony. «Chi ha invitato Mr Allegria, uhm?».
«Sono stato io», rispose Clint, che stava valutando la taratura del suo arco, seduto in disparte rispetto al resto del gruppo. «Anche lui fa parte della squadra, fino a prova contraria».
«Certo, ci mancava solo l’animatore della festa, per trasformare questo pranzo in un vero spasso».
Bruce si sedette accanto a Steve e, prendendo esempio da Clint, ignorò il commento sarcastico di Tony. L’Altro, invece, brontolava indispettito.
«Qualcuno vuole aggiornarmi?».
Tony agitò la mano, come per scacciare una mosca fastidiosa. «Solo un piccolo incidente diplomatico tra Asgard e Midgard».
Bruce sbarrò gli occhi. «Ancora Loki?».
Clint scosse la testa e Steve indicò Thor con un eloquente cenno del capo.
Aspetta un attimo… Thor?
Da dove era saltato fuori? Bruce non lo aveva proprio notato, quando si era seduto al tavolo con gli altri. E Thor, con la sua stazza da giocatore di rugby e quell’inconfondibile risata che faceva vibrare i vetri delle finestre, non era certo il tipo che passava inosservato.
Le spalle ricurve, lo sguardo perso nel vuoto, il boccale di birra ancora colmo e il triplo hamburger intatto sul piatto… era tutto così insolito. Thor sembrava essersi rimpicciolito, come se insieme al suo chiassoso buon umore fosse scomparsa anche l’intera montagna di muscoli.
«Cosa gli è successo?», chiese preoccupato.
«Stava per raccontarcelo lui stesso», rispose Tony. «Sei arrivato appena in tempo per la nuova puntata di Vento focoso e passionale sotto le magnolie».

~~~

Quando Thor atterrò dinnanzi alla dimora di Jane Foster, con Mjolnir ben saldo nel pugno, Màni aveva già solcato l’intera volta celeste con il suo carro ed era ormai sparito dietro l’arido orizzonte di quel reame che i midgardiani chiamano Giovane Messico. La notte era profonda e insidiosa quanto la gola di Miðgarðsormr e, proprio come una macchia di inchiostro su un foglio scuro, la dimora di Jane si stagliava buia e silenziosa contro il nero del paesaggio circostante.
Tuttavia Thor sorrideva, poiché finalmente aveva mantenuto la sua promessa.
L’ora era alquanto tarda, sicuramente la dolce Jane stava correndo spensierata per i prati sconfinati del regno dei sogni, ma Thor era stato via troppo a lungo per rimandare ulteriormente il tanto agognato ricongiungimento con la donna che amava. Perciò decise di girare intorno alla casa, in cerca di una finestra aperta attraverso la quale intrufolarsi. Non essendo riuscito a trovarne alcuna, Thor si vide ahimè costretto ad avvolgere un lembo del mantello intorno alla mano e sfondare con un pugno il vetro della portafinestra che dava sul soggiorno. Si sarebbe scusato con Jane l’indomani mattina, sicuro che per lei il suo ritorno a Midgard fosse ben più importante di quel misero vetro plebeo.
Il silenzio all’interno della casa era denso come il sangue melmoso dei Giganti di Ghiaccio e anche il più insignificante dei rumori - lo scricchiolare del vetro sotto gli stivali, ad esempio, o il ticchettio dell’orologio sulla parete - era il barrito di un Pentapalmo per le sue orecchie. Thor si aggirò per le stanze della dimora di Jane con aria guardinga. Lo scrocchiare del cuoio degli stivali accompagnava l’incedere del suo passo, che era deciso e sicuro, sebbene l’oscurità impenetrabile non agevolasse i suoi movimenti.
Individuò la camera da letto di Jane poco più tardi. La porta della stanza era socchiusa ma Thor non riuscì a scorgere alcunché, poiché ancora una volta il buio era un ostacolo non indifferente per i suoi occhi. Non ebbe difficoltà, tuttavia, a immaginare Jane raggomitolata sotto le coperte, una corona bruna sul cuscino a incorniciarle il viso e un sorriso sereno sulle labbra.
Quello era uno spettacolo che avrebbe contemplato volentieri per tutta l’eternità, si sorprese a pensare.
Smanioso di toccare con mano ciò che già aveva accarezzato con la mente, Thor slacciò le fibbie del mantello e quello si raccolse con un languido fruscio intorno ai suoi piedi. Poi toccò all’armatura, che scintillò in segno di protesta, come se venire abbandonata poco più in là, insieme a Mjolnir e agli stivali, costituisse un affronto imperdonabile al suo onore.
Ma Thor era ormai proiettato in avanti, verso Jane, verso il momento in cui l’avrebbe riabbracciata.
Scostò la porta e finalmente entrò. Nell’intravedere la sagoma del talamo, non riuscì a trattenere un sorriso. Lì c’era Jane. La sua Jane. Gli sarebbe bastato protendere la mano e poi…
E poi, chissà come, il mondo si capovolse.
Thor strabuzzò gli occhi nell’accorgersi di provare un dolore pulsante alla tempia e di essere finito disteso sul pavimento. Se i suoi compagni di ventura lo avessero visto in quello stato, colto alla sprovvista come il più ingenuo dei fanciulli…
Una luce si accese all’improvviso, accecandolo.
Thor si parò gli occhi con un braccio, mentre il dolore alla tempia assumeva le sembianze di uno stiletto conficcato nel cervello fino al manico.
«TU!».
Lottando contro la luce e la fitta al capo, Thor si costrinse ad aprire gli occhi. La prima cosa che mise a fuoco fu una mazza di metallo puntata contro il suo naso. Una mazza di metallo parecchio storta e deforme, che spiegava lo stiletto nel cervello.
«TU!».
La seconda cosa che mise a fuoco, invece, fu…
«Jane!».
«Mi hai quasi fatto venire un infarto! Credevo fossi un ladro, o un maniaco… come diavolo ti è saltato in mente di intrufolarti in casa mia nel cuore della notte, eh? Avrei potuto ucciderti!».
Thor sorrise, intenerito da quella vana preoccupazione. «Occorre ben più di una mazza di ferro, per far sì che le porte del Valhalla si spalanchino al mio cospetto».
«Be’, sì, va bene, ma non è questo il punto».
Thor rise e tentò di mettersi a sedere, ma la mazza di metallo passò dal minacciare il suo naso al premere contro il torace. Il volto di Jane si era fatto mortalmente serio, adesso.
«Stai giù, non ti muovere. Non ci provare nemmeno».
«Ma…».
Jane scosse la testa. «Ho detto. Stai. Giù».
Per quanto fosse dotato di forza e invulnerabilità sovrannaturali, Thor non provava l’irrefrenabile brama di essere percosso una seconda volta, e in ogni caso non avrebbe mai fatto del male a Jane, perciò le obbedì senza opporre resistenza, rimanendo sdraiato in appoggio sui gomiti.
«Non sembri felice del mio ritorno».
«Ah, tu dici?».
Jane lo scrutava dall’alto, con uno sguardo insolitamente ostile.
Aveva gli occhi pesti di sonno, le labbra serrate in una linea sottile, i capelli raccolti in una treccia disordinata, con ciocche di capelli che svolazzavano di qua e di là. Indossa delle strane vesti: una specie di casacca a quadri, che scendeva ampia e retta sul corpo minuto nascondendone le forme, e un paio di calzoni dello stesso motivo. Thor allungò una mano per testare la consistenza della stoffa sulle dita, ma lei si ritrasse di un passo, impedendoglielo. Portava anche dei buffi calzari, notò invece, che le avvolgevano i piedi in righe verdi e rosse fino alle caviglie. E infine, a coronamento di quel quadro, Jane continuava a minacciarlo con la mazza di metallo, fiera e severa come una dea della vendetta.
Era bellissima.
«Nemmeno la più splendente tra le dee è degna della tua bellezza».
«Ci sono andata giù pesante con quel colpo alla testa, eh?».
Sorda tanto alle lusinghe quanto alle adulazioni, Jane non aveva battuto ciglio, non era nemmeno arrossita. E aveva appena dato prova di saper impugnare una mazza, se necessario.
Quella era la donna della sua vita, Thor non aveva dubbi.
«Smettila di fissarmi in quel modo, è inquietante».
«Mi rincresce. Non posso farne a meno. Il tuo viso mi ha stregato».
«Ho io la soluzione al problema, allora. Raccogli le tue cose ed esci da questa casa».
Thor sgranò gli occhi. Gli artigli di un Pentapalmo sulla nuda roccia avrebbero prodotto un suono dieci volte più soave di quelle parole.
«Jane, se sei adirata per il vetro della finestra...».
Lei sospirò, esasperata. «Si può sapere di che diavolo stai blaterando?».
Thor inarcò un sopracciglio, confuso. «Se non è per il vetro, allora mi dispiace ma non comprendo. Sono qui, sono tornato. Non rammenti la mia promessa?».
Lo sguardo di Jane assomigliava a quello di Frigga quando sorprendeva Thor a rubare cibo dalle cucine del palazzo reale.
«Me la ricordo eccome, Thor. Anche troppo bene. E sai cos’altro ricordo?».
Thor fece di no con la testa.
«Ricordo le notti insonni passate a cercare di aprire quel dannato ponte. Mesi e mesi di notti insonni, Thor. Ricordo la frustrazione, quando ogni mio tentativo falliva miseramente. E poi ricordo il tuo viso in televisione, subito dopo l’attacco alieno. Ricordo la delusione, quando ho saputo da un agente dello SHIELD che eri andato via, di nuovo. Ricordo anche di essermi sentita una grandissima idiota. Qui, a leggere e rileggere quegli stupidi appunti, per capire cosa avessi sbagliato, per non arrendermi all’idea di non rivederti più. E invece cosa scopro? Che il grande Thor se ne va a spasso tra un mondo e l’altro come se nulla fosse, e che non si è preso neanche il disturbo di passare da queste parti per chiedermi come stavo. E per me va bene, Thor. Dico sul serio. Capisco che il grande Dio del Tuono abbia altro a cui pensare e che non abbia tempo da perdere con una comune mortale. Ma non puoi piombare in casa mia alle quattro del mattino, dopo tutto questo tempo, e pretendere che io faccia i salti di gioia». Jane lasciò cadere la mazza di ferro sul pavimento, andò a sedersi sul letto e si prese la testa tra le mani. «Sinceramente, Thor, che cosa ti aspettavi da me? Che sarei rimasta qui a scrutare il cielo per sempre, domandando alle stelle quando e se mai ti avrei rivisto?».
Thor si sentiva come quando da bambino era caduto nel lago e l’acqua gelida gli aveva riempito i polmoni e per poco non era morto annegato.
«Credevo… io credevo che avresti capito».
«È molto tardi, Thor. Sono troppo stanca per capire, e domani devo lavorare. Vattene, per favore. Lasciami in pace».
Jane chiuse gli occhi.
Provava un tale disgusto nei suoi confronti, da non volerlo nemmeno guardare in viso?
«Desideri davvero che io me ne vada, dunque».
Jane si limitò ad annuire, senza aprire gli occhi.
Thor si era già lasciato la dimora di Jane Foster alle spalle, quando il radioso carro di Sol fece capolino dietro l’orizzonte infuocato. Il sole stava per sorgere e un nuovo giorno per cominciare, ma sul cuore di Thor era calata una notte senza fine.

~~~

«Fammi capire una cosa, Thor. È un’usanza asgardiana rischiare ripetutamente di farsi ammazzare dalla propria donna ad ogni appuntamento…», Tony diede un morso al suo shawarma, «…oppufe è folo una tua pfefogatifa?».
Steve fulminò Tony con lo sguardo, poi assestò una pacca di incoraggiamento alla spalla di Thor.
«Non abbatterti. Devi solo fare capire a Jane quanto tieni a lei. Corteggiala, falla sentire desiderata, trattarla con rispetto. Proprio come farebbe un vero gentiluomo. Prova a mandarle un mazzo di rose, a invitarla fuori a cena. Oppure regalale qualcosa di speciale, qualcosa che per te ha grande valore, in modo che Jane capisca quanto lei sia importante per te».
Thor pareva perplesso. «Dovrei darle il mio martello?».
«Quello dopo che avete fatto pace, magari». Tony ammiccò. «Non so ad Asgard, ma da queste parti il sesso a sorpresa non è molto gradito».
Steve non commentò la battuta di Tony, ma dal modo in cui era ridotta la forchetta che stringeva nel pugno, Bruce capì che gli stava costando non poca fatica trattenersi dall’apostrofarlo. O dal prenderlo a sberle. Bruce invidiava molto il suo autocontrollo.
«Devi capire, Thor», continuò Steve, «che le donne sono come... come delle torte. Per cucinare una torta occorrono amore e passione, ma anche determinazione, cura e attenzione nel scegliere e dosare gli…».
Tony buttò la testa indietro e scoppiò a ridere.
«Se questa penosa metafora culinaria è il massimo che riesci ad ottenere dalle lezioni di cucina con Josephine, credimi, forse è giunto davvero il momento che voi due facciate sesso».
«A me piacciono le torte», intervenne Thor.
Steve gli sorrise riconoscente. «A tutti piacciono le torte, infatti».
«Non proprio a tutti». Quattro paia di occhi si posarono su Tony. Lui si strinse nelle spalle. «L’Agente McCallan preferisce i cannoli, ad esempio».
Thor aggrottò la fronte. «Cannoli?».
La forchetta di Steve era ridotta a una pallottola di metallo, adesso.
«Tony, così lo confondi. Il tuo intervento non è pertinente».
«Lo è, invece. In merito alla tua metafora sfacciatamente omofoba».
Steve sgranò gli occhi. «La mia metafora non è... io non sono... sono tollerante nei confronti di... quelle persone. Lo sai».
Sulla faccia di Thor si era formato come un grosso punto interrogativo.
«Non ho ben compreso cosa c’entrino i cannoli con Jane».
«Lascia stare le torte e i cannoli, mio divino amico». Tony si avvicinò a Thor, trascinandosi dietro la sedia, e gli passò un braccio intorno alle spalle. «Dai retta a uno che se ne intende davvero. Le donne vogliono essere conquistate, sedotte, ammaliate. Cosa se ne fanno di uno zerbino? A parte pulirci le scarpe, intendo. Tu, Thor, non sei uno zerbino, giusto? Sei un guerriero, un predatore, e come tale devi agire».
Tony prese il boccale di birra e lo porse a Thor, che lo accettò di buon grado, mandò giù la birra a grandi sorsate e poi si asciugò la bocca sulla manica della camicia.
«Cosa mi suggerisci di fare, uomo di metallo?».
Il sorrisetto di Tony aveva dell’irritante. «Torna da lei, sorridile in modo seducente, e poi togli la camicia. E i pantaloni, ovviamente. Non dimenticare i pantaloni».
Clint annuì. «Con le donne bisogna puntare dritto al centro del bersaglio. Una volta visualizzato l’obbiettivo, stabilita la traiettoria e presa la mira, niente e nessuno potrà sbarrarti la strada».
«Proprio come Mjolnir», commentò Thor.
Clint e Tony parevano molto soddisfatti di aver trovato un campo semantico che Thor comprendesse a pieno, finalmente. Steve, invece, fissava il suo bicchiere di acqua minerale naturalmente gasata con aria cupa.
«Ah-ehm». Questa volta i quattro paia di occhi si spostarono su Bruce. «Non sono certo l’uomo più indicato per dare consigli in campo sentimentale, ma…».
«Esatto, Doc», lo interruppe Tony. «In questa riunione, tu...», agitò la forchetta per sottolineare quel tu e una pioggia di goccioline di ketchup finì sulla camicia di Bruce, «…non hai voce in capitolo. Perché tu…», altra spruzzata di ketchup, «… tu, la ragazza, non ce l’hai».
Bruce dovette fare appello a tutto l’autocontrollo e a tutta la forza di volontà di cui disponeva per impedire all’Altro di prendere parte alla discussione, nell’unico modo in cui sapeva discutere. Thor doveva essersene accorto, a giudicare dal fatto che aveva già afferrato il martello e che lo fissava come si guarda un toro imbufalito.
«E nessuno si è mai chiesto come mai non ho la ragazza?», riuscì infine a sibilare tra i denti.
Tony fece spallucce. «Perché ti vesti malissimo e fino a poco tempo fa vivevi in una baraccopoli?».
«Perché è pericoloso». Bruce si rivolse a Thor. «Vuoi davvero mettere a repentaglio la vita di Jane? E se arrivasse un altro alieno vendicativo e se la prendesse con lei per arrivare a te? Come ti sentiresti? Senza contare che appartenete a due mondi completamente diversi: tu sei un dio, lei una mortale. Pensaci bene. É molto meglio lasciarla libera, tenerla fuori da tutto questo».
Thor lo fissò a lungo e intensamente - a Bruce parve quasi di sentire gli ingranaggi del suo cervello che sferragliavano freneticamente -, e dopo quello che sembrò un tempo interminabile, si voltò verso Steve.
«Ripensandoci… credo che le darò il mio martello».
Tony scoppiò a ridere, seguito a ruota da Clint.
Bruce si limitò a scuotere la testa. Discutere con loro era solo tempo perso. Cercò Steve con lo sguardo, sperando nel suo sostegno, ma a quanto pareva anche il sempre-ligio-alle-regole Capitan America trovava divertente la situazione.
«In vita mia non ho mai sentito tante cazzate concentrate in così poco spazio».
Il silenzio fu immediato.
Cinque teste di voltarono vero il divisorio, dal quale Natasha e Jo si erano affacciate per godersi lo spettacolo.
«Thor, se vuoi un consiglio per fare pace con una donna, devi rivolgerti a chi di donne ne capisce sul serio. Ossia un’altra donna», disse Natasha.
Thor scattò sull’attenti. «Vi ascolto».
Jo gli sorrise, come una maestra che si complimenta con lo scolaro.
«C’è solo una cosa che una donna vuole, quando è arrabbiata con il suo uomo. A parte un bel cesto di muffin al cioccolato, è ovvio».
Natasha passò in rassegna i membri del gruppo, ad uno ad uno, come sfidandoli a sostenere il contrario.
«E sarebbe anche ora che almeno uno di voi, grossi idioti, lo impari».




Quando la storia con Donald Blake era finita, pur di non pensare al suo ennesimo fallimento con gli uomini, Jane si era buttata a capofitto nel lavoro. In seguito alla notte in cui aveva cacciato via Thor, però, non aveva potuto fare più affidamento su quella valvola di sfogo: anche solo l’idea di avvicinarsi a un cannocchiale, infatti, la metteva di pessimo umore. E Darcy, che le chiedeva «Stai pensando a Thor, non è vero? Che cosa romantica!» ogni volta che la sorprendeva a fissare le stelle - e glielo domandava anche se le stelle in questione erano quelle della bandiera americana -, non aiutava di certo.
Per questo motivo Jane chiese qualche giorno di ferie al suo datore di lavoro, per dedicarsi ai lavoretti di manutenzione della casa che stava rimandando già da troppo tempo. Compreso il dannato vetro, della dannata portafinestra.
Per questo motivo, quando quella mattina suonarono alla porta, Jane andò ad aprire con in mano un martello.
Per questo motivo, quando si ritrovò davanti niente poco di meno che Thor in persona, il martello le sfuggì dalle dita e cadde dritto dritto sul piede del suddetto niente poco di meno che.
Thor imprecò ripetutamente, in una lingua che Jane non conosceva.
«Oddio, scusascusascusa. Non volevo, non era mia intenzione. Non lo faccio di proposito, devi credermi». Avrebbe voluto soccorrerlo, ma non sapeva come, e poi Thor era un dio, perciò anche il suo alluce doveva avere un che di divino, no? «Sembra proprio che non possa trovarmi a due passi da te senza tentare di ammazzarti».
«Probabilmente il fato ritiene che me lo merito».
Jane abbozzò un sorriso, non avendo la più pallida idea di cosa dire.
«Thor…».
«Mi dispiace, Jane».
No, no no. Non lo dire, vattene. No. Tanto non mi intenerisci, no.
«Mi dispiace davvero, dal profondo del mio cuore».
Non mi intenerisci con quegli occhioni da cucciolo bastonato, capito? Sei grande, e grosso, e muscoloso. Non hai niente a che vedere con un cucciolo. Credi di poter venire qui e rifilarmi le tue scuse ipocrite?
«Ti giuro sul mio onore di guerriero, che non era nelle mie intenzioni venire meno alla promessa che ti avevo fatto».
Oh, maddai! Non crederai che mi beva ‘ste cazzate da eroe medievale, vero? Se Donald avesse tirato in ballo il giuramento di Ippocrate per riconquistarmi, gli avrei riso in faccia.
E allora perché non ridi, Jane, uhm?
Be’, perché…

«Se non sono tornato subito da te, era solo perché volevo sincerarmi che niente e nessuno potesse minacciare la tua incolumità. Più grande della paura di non poterti stare accanto, c’è solo la paura di essere la causa delle tue sofferenze. In questo Bruce di Calcutta ha ragione: non me lo perdonerei mai, se ti accadesse qualcosa. Te lo giuro, Jane. Non c’è stato giorno, non c’è stata notte, che non abbia pensato a te, che non abbia desiderato tornare qui anche solo per sincerarmi che stessi bene. Di questo non devi dubitare mai».
…perché Thor non mente mai.
Jane, no. Mi hai sentito? No, no no no. No. Non se ne parla nemmeno, okay? Sei una ragazza del ventunesimo secolo, una donna emancipata, una scienziata che si attiene ai fatti, che ragiona sempre e solo in modo razionale. Non puoi cedere come la protagonista di un libro Harmony. Chiudigli la porta in faccia e vai a riparare quel maledetto vetro! Mi hai capito bene?

«Sono muffin quelli?».
Thor abbassò lo sguardo sul cestino che reggeva ancora tra le mani, e annuì. «Al cioccolato».
«Entra, allora. Stavo giusto per preparare il caffè».







_________________________







Note autore:
Questa one-shot ha una genesi alquanto travagliata.
Qualche mese fa, per l’iniziativa I ♥ Shipping indetta dal CoS, sfidai Kukiness a scrivere una Thor/Jane e, in seguito a qualche chattata, delineammo insieme un abbozzo di trama. Purtroppo, però, per problemi di tempo e di impegni, Kukiness fu costretta a interrompere la stesura della storia, che rimase sospesa in cantiere per un po’.
Qualche giorno fa, mentre sonnecchiavo sull’autobus, ho ricevuto una visita inaspettata da parte di Madama Ispirazione. Ho chiesto il permesso a Kukiness e ho approfittato del mio attacco demenziale ““““creativo”””” per scrivere la storia in questione.
Il pairing Thor/Jane è la mia debolezza, per quanto trovi insulsa la caratterizzazione della Jane del film, non posso non provare tenerezza per questa stramba accoppiata.
Piccole precisazioni.
Chi ha letto questa raccolta sa che il Bruce di questa one-shot è un Bruce pre-Jade.
Vento focoso e passionale sotto le magnolie è un famosissimo best-seller internazionale, tradotto in settantasei lingue, elfico compreso, di cui troverete notizie qui e dal quale è stata tratta una serie televisiva in svariati universi, Marvell e non.
Nella mitologia norrena Màni e Sol sono due fratelli, che guidano rispettivamente il carro della luna e il carro del sole. Mentre Miðgarðsormr è un grosso serpente che circonda il mondo.
Josephine March è un OC di OttoNoveTre, e se ancora non la conoscete, correte immediatamente a cercare sul suo profilo e a leggere questa raccolta.
Nel film Thor, Jane accenna a un certo Donald Blake, suo ex fidanzato, bravissimo come dottore, ma non altrettanto come fidanzato. Ho recentemente scoperto, grazie a mio fratello, che nel fumetto Donald Blake è l'identità umana di Thor, un medico zoppo. Molto credibile, devo dire. XD
Ringrazio tantissimo Kukiness, che mi ha concesso il permesso di scrivere questa storia e, come sempre, Dragana e OttoNoveTre, beta insostituibili e compagne di gioco formidabili.
Un grazie sincero a tutti quelli che continuano a leggere le mie storie.
A presto, vannagio
   
 
Leggi le 17 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: vannagio