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Autore: Alexiel_Slicer    26/09/2012    4 recensioni
Sequel di -So much for my happy ending-
"Quella voce che mi aveva appena parlato fece cessare di netto il mio respiro...erano passati 6 anni dall'ultima volta che l'avevo sentita...6 lunghissimi anni ed adesso non poteva essere vero, non poteva essere reale, non poteva essere quella voce, la sua voce."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2
Tornata a casa mi spogliai e preparai una tisana per rilassare i nervi. Versai il liquido fumante in una tazza che poi tenni stretta tra le mani, mentre vi soffiavo dentro. La ceramica da fredda diventò tiepida, poi calda ed infine rovente così la posai sul tavolo e nell'attesa che si raffredasse il mio sguardo iniziò a girovagare per la stanza. Il calendario sulla parete accanto al frigorifero catturò la mia attenzione. Segnava il 25 Ottobre, la stessa data del giorno in cui tutto era finito...ormai erano passati 6 anni esatti.
Dopo essermi diplomata ero rimasta in quel posto cercando di ignorare i ricordi che mi evocava. Ogni cosa in quella casa sapeva di mia nonna ed io non volevo lasciarla, non volevo privarmene.
Quella città, invece, mi ricordava lui. Ogni strada, ogni marciapiede, ogni muro, tutto. I nostri graffiti stavano ancora lì, su quei muri scalcinati dimenticati da tutti, almeno loro erano riusciti a perdurare nel tempo.
Dal giorno del suo arresto non avevo messo più piede al parcheggio e nelle ultime settimane girava voce che lo volessero demolire per poi costruirci di sopra un centro commerciale. Presto una parte della mia vita, la più importante si sarebbe trasformata solo in macerie.
Vivevo di piccoli lavoretti saltuari: un mese la commessa, un giorno la baby sitter e un altro mese ancora un ennesimo cambio di lavoro. Ultimamente facevo la cameriera in un cafè in centro e arrotondavo quel misero stipendio con le serate al club. Impiegavo parte delle giornate al lavoro e l'altra parte a vivere aggrappata ai ricordi. Solo quelli mi facevano rimanere in piedi, anche se facevano male.
Nonostante in quegli anni mi fossi ostinata a vivere la mia vita in solitudine ne risentivo, ma non riuscivo ad allacciare alcun rapporto con un essere umano. Avevo un blocco, avevo paura. Tutte le persone che mi erano state accanto avevano avuto una sorte sfortunata ed io non volevo che si ripetesse.
Salii le scale lasciando la tisana ancora fumante sul tavolo della cucina, poi mi sdraiai sul letto dove mi addormentai.

Misi su i primi vestiti che mi capitarono ed uscii di casa diretta al supermercato. Dovevo rifornire la dispensa se non volevo morie di fame e dovevo farlo prima che l'orologio segnasse l'orario del mio turno di lavoro al cafè.
Varcai le porte di vetro scorrevoli e prendendo un cestino iniziai a fare il giro dei vari corridoi con la lista di ciò che mi serviva in una mano. Si stava bene lì dentro: l'aria era resa tiepida dal riscaldamento e un leggero vociferio aleggiava nell'ambiente. Un paio di volte una voce squillante al microfono diede qualche avviso sul personale ed i bip delle casse si sentivano in lontananza.
Mi perdevo in quegli scaffali stracolmi di scatole e scatoline variopinte, mentre con gli occhi li percorrevo in cerca di quello che mi serviva. Quando il cestino si riempì guardai il foglietto un'ennesima volta per controllare se avessi preso tutto "Mmm l'ho preso...l'ho preso...anche questo...", poi quasi alla fine la mia vista si fermò sulla scritta "cereali".
"Cavolo! Li stavo dimenticando!" mormorai tra me e me portandomi una mano sulla fronte.
Andai nel corridoio dove si trovavano in tutte le loro varietà l'oggetto della mia ricerca e vidi i miei preferiti, quelli a pallina interamente ricoperti di cioccolato bianco, nell'ultimo scaffale.
"Ma guarda un pò dove li devono andare a mettere!" dissi sbuffando mentre mi alzavo sulle punte per arrivare a prenderli. I polpastrelli delle mie dita sfiorò l'involucro di cartone colorato "Dai, un altro pò e ce la faccio!".
Improvvisamente un mano che non era la mia prese lo scatolo di cereali e me li porse. Li afferrai sorpresa.
"I tuoi gusti non sono per niente cambiati negli anni".
Quella voce che mi aveva appena parlato fece cessare di netto il mio respiro...erano passati 6 anni dall'ultima volta che l'avevo sentita...6 lunghissimi anni ed adesso non poteva essere vero, non poteva essere reale, non poteva essere quella voce, la sua voce.
Alzai lentamente gli occhi come se stessi facendo una scansione a raggi X alla persona che mi stava davanti. Un paio di adidas bianche su cui cadevano dei larghi jeans blu scuro, un maglioncino grigio topo aderiva perfettamente a quel torace levigato disegnando la forma dei pettorali e sulle spalle scivolavano tante minute treccine nere. Salii fino al viso coronato da una leggera barbetta e all'altezza della bocca nel mio petto ci fu un'esplosione nucleare. Quelle labbra, quel piercing erano come i suoi. Era impossibile, impossibile che lui fosse davvero lì, impossibile incontrarlo in un supermercarto, impossibile che lui fosse fuori. Aveva ucciso una persona e come minimo l'avevano dovuto condannare all'ergastolo. Sicuramente stavo solo sognando. Doveva essere la solitudine che mi faceva brutti scherzi.
I miei occhi terminarono la loro radiografia posandosi sui suoi. Quei due topazi che mi osservavano preoccupati ed intensi.
"Tutto ok? Sembra che tu abbia visto un fantasma" disse sorridendo.
Dovevo essere bianca come uno straccio e dovevo avere un'espressione da spiritata. I rumori del supermercato si dissolsero nelle mie orecchie lasciando posto solo ai battiti frenetici del mio cuore.
Il suo viso si contrasse amareggiato "...beh in effetti credo che tu lo stia appena vedendo un fantasma...questo non è proprio il posto dove ci si aspetta di incontrare una persona...".
Sentii una fitta al petto: erano i miei polmoni che richiedevano aria che già da troppo gli stavo negando. Aprii la bocca in uno strano movimento. Volevo respirare e volevo parlare. Annaspai tra quelle due intenzioni e il risultato finale fu che le mie labbra si aprirono e chiusero più volte mute. Ero incapace di parlare, incapace di trovare parole. Afferrai malamente il cestino da terra e mi voltai pronta a scappare come avevo sempre fatto.
"Ronnie, per favore, non andartene...mi piacerebbe parlarti...poterti spiegare come sono realmente andate le cose quel giorno..."
"Che ci fai qui?" balbettai con un filo di voce continuando a dargli le spalle.
"Hanno riconosciuto la mia innocenza e mi hanno fatto uscire...era tutto un grosso malinteso, mi avevano incanstrato...".
Scossi leggermente il capo "Ho capito...beh sono contenta per te, anche se in fin dei conti quella bella compagnia te l'eri scelta tu"
"Ronnie..."
"Non dire nient'altro, ti prego".
Me ne andai mentre sul mio viso nascosto tra i capelli scivolavano sottili e taglienti lacrime che avevo represso fino a quel momento con tutte le mie forze. Perchè rimanere lì? Perchè farmi spiegare cosa era successo? Perchè? Io non ne avevo diritto. L'avevo lasciato quel giorno, avevo cancellato l'origine della nostra storia, non ero stata al suo fianco e non l'avevo aiutato ad uscire da quella situazione, ma avevo preferito pensare solo a me stessa e scappare, inconsapevole del fatto che non stavo facendo il mio bene e ne il suo. Una parte di me pensava quello, ma un'altra parte mi ripeteva che avevo fatto la cosa giusta perchè lui quando mia nonna stava male non c'era stato, perchè lui si era rovinato con le sue stesse mani frequentando quella feccia, perchè lui non aveva fatto altro che prendermi in giro, perchè lui aveva distrutto la nostra felicità. 

  
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