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Autore: BeautifulMessInside    26/09/2012    0 recensioni
"Eden Spencer rapinava banche. E non solo. O almeno è quello che faceva prima di essere presa. Oggi collabora con l'FBI. Ma c'è stato un tempo in cui Eden era solo una ragazzina di buona famiglia, figlia di una ricca imprenditrice dell'Upper West Side di Manhattan... Poi un giorno si era innamorata. Della persona sbagliata. Che era anche la persona giusta." Per tutti gli altri Eden è morta quel giorno. Oggi, quasi cinque anni dopo, è costretta a tornare allo scoperto per aiutare l'FBI ad arrestare quelli che una volta erano i suoi amici. Tra verità, bugie e segreti nascosti... In un continuo conflitto tra amore ed odio... Al confine tra la redenzione e la dannazione... Eden scoprirà che non è così semplice spezzare un patto stretto col proprio diavolo personale. - trama, wallpaper e spiegazioni nel capitolo -
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo25

CAPITOLO 25

...SARA’ TUTTO FINITO

 

Davis attraversò lo strada tenendo gli occhi ben aperti, gli sembrava di non essere mai stato prima in quella zona periferica di NY eppure, tra palazzi fatiscenti ed anonimi chioschetti di hot-dog, si sentiva più a casa che a Times Square.

Passando raso ai muri, il colletto della giacca di pelle ben tirato su e gli occhiali scuri piantati sul naso, scorse i numeri ad uno ad uno. Il 1244 era un palazzo come tutti gli altri, al pianoterra ospitava un negozio di ferramenta e più in là doveva esserci un ristorante cinese. L’odore di fritto gli arrivava dritto nel naso, nonostante fosse appena mattina.

Continuava ad essere nervoso e a stringere la pistola nascosta sotto il giubbotto. Se si fosse trattato dell’FBI avrebbe notato qualcosa, volanti, agenti in borghese, un tizio in trench che lo pedinava maldestramente.. Invece niente, calma piatta da tutti i lati.

Le ipotesi più probabili erano due: o stavolta si erano fatti furbi ed un cecchino piazzato chissà su quale tetto lo avrebbe freddato al volo sulla soglia del 1422, o Eden si era fatta di nuovo prendere dai rimorsi. O magari peggio, si era fatta mettere strane idee in testa da quel Dair.

Avevano già un conto in sospeso, ma stavolta lo avrebbe ucciso sul serio.

Cercò di aguzzare la vista al massimo per scorgere un puntino nero in alto da qualche parte. Decise infine di entrare in fretta, qualsiasi cosa lo stesse attendendo al di là del grosso portone di legno inciso. Via il dente, via il dolore.

Di fronte a lui si apriva un lunga e scura rampa di scale.  A giudicare dalla polvere e dall’odore di muffa, quegli appartamenti dovevano essere vuoti da tempo. Sentiva già i nervi a fior di pelle, ogni muscolo del corpo disposto all’attacco e l’istinto di sopravvivenza pronto a scattare. Affacciò il viso notando una luce qualche pianerottolo più su, tese l’orecchio alla ricerca di segni di vita e gli parve di cogliere una voce di donna. Decise di salire un gradino alla volta.

Arrivato al quarto pianerottolo captò perfettamente la voce di Eden dietro la porta socchiusa. E quella di Dair. Senza il vaglio del cervello afferrò la pistola e la tirò fuori, completamente pronto ad usarla.

Ancora qualche passo e poté aprire la vista sulla stanza. L’immagine di fronte gli ferì gli occhi come se gli avessero tirato in faccia un vodka-lemon in fiamme. Quel bastardo stava abbracciando sua moglie, il suo corpo le era spalmato addosso ed una di quelle mani indegne accarezzava i suoi capelli.

No. Non sarebbe successo di nuovo.

Allungò le braccia e strinse forte intorno all’impugnatura fredda. La distanza era così minima che non avrebbe mai sbagliato. Col pollice fece scattare la sicura e lasciò scivolare l’indice sul grilletto, pronto a far fuoco.

“Giù le mani da mia moglie!”

Urlò cattivo. Cattivo ed arrabbiato.

Li vide saltare sul posto e separarsi immediatamente. Bene, così non avrebbe corso il rischio di prendere anche lei.

Eden smise di piangere all’istante e si paralizzò in mezzo alla stanza.

Dair inspirò profondamente fissando il nemico negli occhi.

Era la fine. Solo uno di loro sarebbe uscito vincente stavolta e benché Davis tenesse in mano una pistola, le armi mortali le avrebbe sfoderate lui.

Davis deglutì spostando la testa da un lato

“Stavolta ti ammazzo sul serio bastardo.”

Fece per riprendere la mira, ma Eden gli si parò davanti

“Davis no!”

Quel tono e quell’espressione lo costrinsero a contrarre il viso in una smorfia di fastidio ed incredulità.

“Togliti di mezzo Eden, è ora che questa storia finisca.”

“No, fermati!”

“Levati!”

“Metti giù la pistola!”

Incontrò gli occhi di sua moglie e li scoprì lucidi, arrossati, tremanti. Sollevò un sopracciglio senza abbassare l’arma

“No Eden, stavolta no…”

Ripassò lo sguardo sull’altro

“…Stavolta non lascerò che ti metta in testa strane idee…”

Un passo avanti verso di lui puntando dritto alla fronte

“Devi smetterla di toccarla capito?! Lei è mia moglie… MIA, non tua… Tua non lo sarà mai.”

Nonostante il proiettile che gli puntava contro Dair si mosse appena, nelle sue migliori intenzioni avrebbe detto non più di due parole, lasciando che Eden parlasse da sola.

“Abbassa quella pistola Davis! Abbassa quella cavolo di pistola, dobbiamo parlare!”

Urlò lei risvegliandolo dallo stato di trance criminale. Il cuore era a pezzi, ma guardarlo in quella maniera, ancora una volta sopraffatto dalla gelosia e dall’istinto omicida, aveva contratto qualche nervo di troppo anche in lei.

“Parlare?”

Si concesse di abbassare la mira di una manciata di centimetri

“Non dobbiamo parlare di niente! Dobbiamo prendere un cazzo di aereo, ecco che dobbiamo fare!”

Allo stesso tempo sembrò guardarsi intorno per la prima volta

“Dov’è mia figlia?”

Era contento che non fosse lì a guardarlo, ma la sua essenza era di certo un cattivo segno. Di nuovo tese l’arma tra gli occhi di Dair

“Dov’è mia figlia??”

L’altro non indietreggiò, ma per la prima volta lasciò intravedere un certo timore, forse nemmeno troppo dovuto all’idea di una pallottola nel cervello. Da una parte iniziava a temere che Eden crollasse, ma dall’altra… Se solo lei avesse mostrato il minimo segno di cedimento allora bhe.. non avrebbe atteso un secondo in più prima di fiondarsi addosso a quel maledetto, coprirlo di cazzotti e trascinarlo in galera, giusto dopo essersi accertato di avergli rotto la mascella e un paio di costole.

“Non è qui.”

Rispose Eden.

“Dov’è?”

“Al sicuro…Dove non ci sono pistole.”

Un accenno di sarcasmo, fuori luogo ma efficace, convinse finalmente Davis ad abbassare l’arma

“Che stai facendo Eden?”

Dal repentino cambio di tono si capì quanto iniziasse ad essere spaventato. Eden inspirò abbassando gli occhi che non riusciva più a tenere dritti nei suoi. Non voleva vederlo crollare un’altra volta.

“Devi ascoltarmi adesso. Te ne prego.”

Lui si bagnò le labbra lanciando una rapida occhiata al terzo ospite della stanza, chiedendosi perché dovesse assistere a qualcosa tra lui e la donna che aveva sposato. Quello gli dava le spalle e se ne stava a testa bassa, appoggiato al tavolo con i piedi incrociati.

Con la trachea annodata allo stomaco ed il respiro corto di un condannato a morte decise che avrebbe ascoltato.

Lei contrasse i muscoli del ventre in una specie di spasmo, quasi dovesse improvvisamente vomitare. Prese fiato lentamente un paio di volte e cercò di sfoderare il più convincente degli sguardi

“Devi andartene… Senza di me.”

Lui aggrottò le sopracciglia

“Cosa?” Bisbigliò

“Devi andare via, ma senza di me.”

Davis si morse il labbro cercando di far quadrare quelle poche parole.

“Che succede Eden?”

Lei guardò il pavimento cercando di ignorare l’insopportabile tremolio nella voce di Davis. Strinse i pugni per farsi forza.

“Non posso venire con te. Non posso scappare ancora.”

Lui scosse nervosamente la testa

“Non stiamo scappando, noi andre…”

“Scapperemmo Davis.. Lontano dove nessuno ci conosce, sempre nascosti, sempre in allerta… Non posso più farlo.”

“Ma che dici?” Bisbigliò ancora, contraendo i muscoli delle braccia fino a farli tremare

“E’ stato lui vero? E’ lui che ti ha messo in testa tutte queste stronzate…”

Dair sollevò gli occhi

“…E’ lui, è sempre stato lui.”

Riportando la voce al volume della rabbia raggiunse Dair in tre passi e lo afferrò per il collo della giacca

“Vedi di sparire subito se non vuoi che ti ammazzi.”

Lo minacciò, ma Dair raccolse la provocazione

“Non vado da nessuna parte io.”

Davis allentò la presa trovando il tempo per un sorriso quasi isterico, scosse di nuovo la testa a caricò un colpo micidiale in un solo secondo, fiondando il pugno chiuso dritto sullo zigomo di Dair.

Il tenente barcollò vistosamente portandosi la mano al viso. Tentò di muovere la mascella per controllare che non fosse saltata in una decina di pezzi. Mentre fissava il pavimento cercando di ignorare il dolore, arrivò alla rapida conclusione che non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione. Riprendendo forza dopo un lamento, rispose al pugno con un gancio altrettanto deciso.

Davis Miller era certo più abituato ai cazzotti e riuscì a contenere il dolore senza barcollare di un centimetro. La benzina sul fuoco che spinse Dair a colpire ancora.

Non poteva sopportare che la vita avesse benedetto un tale bastardo con una donna come Eden.

Non riusciva ad accettare che fosse toccata a Davis e non a lui.

Eden corse nel mezzo cercando di separarli, tirando a destra e a sinistra con tutta la forza che aveva.

“Fermatevi! Fermatevi!”

Alla fine urlò abbastanza forte che la rissa si interruppe. Dair si avvicinò alla finestra mentre Davis si mosse di appena due passi per restare a portata dei suoi occhi.

“Non vedi Davis? Non lo vedi?!”

Prese a gesticolare

“E’ sempre così! Scappare, nascondersi, fare a botte, uccidere qualcuno… Non è questo che voglio!”

Lui si pulì il viso col palmo della mano

“Invece è lui che vuoi? E’ questo che stai cercando di dire?”

Eden sbatté i piedi a terra e si mosse per colpirlo al petto

“Smetti di pensare a Dair, lui non c’entra niente!!”

A quelle parole l’interessato decise di intervenire

“Vi lascio soli, forse è meglio.”

Concluse con quello che sembrò uno sbuffo di nervi malcelato. Non appena ebbe lasciato la stanza l’atmosfera sembrò cambiare di colpo, Davis le prese il viso tra le mani e la guardò dritta negli occhi

“Non ascoltarlo ti prego. Dobbiamo andarcene da qui. Ti prometto che andrà tutto bene.”

Gli angoli della bocca di Eden si piegarono verso il basso mentre provava a contenere nuove lacrime. Avrebbe voluto crederci, avrebbe tanto voluto crederci perché sicuramente lui stava dicendo la verità, ma non poteva mollare. Avrebbe perso non solo suo marito, ma anche sua figlia se avesse mollato le redini al suo cuore.

“Ti prego Davis…”

Riprese poggiando le mani sulle sue e liberandosi piano

“…Devi ascoltarmi, io non posso farlo.”

“Ma che significa? Vuoi dire che per tutto questo tempo hai mentito? Che sei sempre stata d’accordo con loro?”

Eden scosse il capo

“No. Non ti ho mentito. Andarmene con te è quello che vorrei fare con tutto il cuore, ma non posso. Perdonami ti prego.”

Eccole. Altre lacrime.

“Perdonarti? Io non ti capisco Eden, credevo che mi amassi ancora.”

“Non c’entra niente l’amore Davis. E’ quello che devo fare.”

Ancora una volta sottolineò il verbo servile. Non era una passeggiata per lei, era una lenta tortura che avrebbe finito per ucciderla, ma si sarebbe sacrificata per le due persone più importanti.

“Devi andartene. Adesso.”

Lui insistette

“No, no.. Non me ne andrò senza di voi.”

“Devi farlo.”

“No, non lo farò…”

Ogni sicurezza iniziava a vacillare

“…Non lo farò Eden. Noi siamo una famiglia e abbiamo fatto tutto quanto per poter stare insieme, non ho intenzione di rinunciarci.”

Lei trattenne a malapena un singhiozzo, era difficile, ma non voleva piangere. Davis doveva convincersi che faceva sul serio o davvero non sarebbe mai andato via.

“Noi non siamo una famiglia, non lo siamo mai stati.”

“Ma che dici, siamo sposati, abbiamo una figlia..”

Lei chiuse i pugni tanto forte da conficcarsi le unghie nella carne

“Non siamo più sposati. Sono passati quasi sei anni da quando lo eravamo e Sophia… Lei non ti conosce nemmeno.”

Riuscì a sentire netto il cuore di Davis che mancava un paio di battiti.

“Cosa stai cercando di fare Eden?”

Inutile, per quanto ferito non riusciva a convincersi.

Lei ingoiò le lacrime e di nuovo fece appello a tutta la forza di madre che aveva

“Voglio che tu te ne vada.”

“No, non è questo che vuoi.”

“Va’ via Davis, ti prego.”

“No.”

“Va’ via.”

“No. No. No.”

Insistette tornando a toccarla, provando a stringerla e, se fosse servito, a scuoterla fintanto da farla rinsavire. Lei tentò di uscirne prima che potesse baciarla, ma non ci riuscì.

La bocca di Davis le tolse ogni facoltà di parola, calandola in un vortice improvviso di ricordi ed emozioni. Rivide la scuola, la Dwight High, Callie Robertson della classe di educazione fisica… Quel giorno era così stufa delle sue prestazioni pallavolistiche che aveva sentito l’immenso bisogno di uscire a fumare.. Davis Miller, il misterioso ragazzo che tutte volevano.. I suoi cerchi col fumo.. Il sangue della sua verginità sulle sue lenzuola.. Il disco di Springsteen rubato per il compleanno.. I litigi con la madre.. Un diamante al suo anulare sinistro.. Un vestito bianco da scegliere.. Fare l’amore nel retro di un pick-up.. Quel paio di Manolo Blahnik che desiderava da una vita comprate con i suoi soldi.. La musica in chiesa.. La sua voce.. La sua voce meravigliosa..

Si abbandonò al bacio valutando l’idea di restare per sempre in quel momento, senza alcun bisogno di scegliere.

La puzza di fumo al Café Des Artistes.. I tarocchi di Grace.. Il piano da rivedere.. Birra analcolica per festeggiare.. La nausea mattutina.. La nausea pomeridiana.. Suo marito che le teneva i capelli..

Il test di gravidanza che aveva cambiato tutte le sue prospettive.. Le dita incrociate perché andasse tutto bene.. La pistola puntata verso di loro.. La sensazione che tutto sarebbe finito.. Il freddo.. La paura.. Il buio..

Si staccò dal bacio cercando respiro.

“Ti prego va’ via adesso.”

“Perché dovrei? Tu mi ami, io lo so.”

Eden chiuse gli occhi. E’ vero, lo amava... Da morire. Così tanto che proprio in quella stanza avrebbe rinunciato a lui.

Inspirò

“Ascolta per favore perché non te lo dirò ancora…”

Prese a piangere senza nemmeno rendersene conto, il viso era serio, ma calde gocce scendevano di loro volontà

“…Non verrò con te. Né io né Sophia verremo con te…”

Lo vide tentennare

“Non possiamo più andare avanti così… Io non voglio più andare avanti così.”

Le sue labbra si schiusero in una smorfia incomprensibile mentre Eden concludeva quel breve monologo. Raccolse le lacrime con la punta della lingua e racimolò le forze per guardarlo negli occhi

“E’ finita Davis. Devi andartene.”

Si stupì di essere riuscita a dirlo davvero, come se per un attimo le sue corde vocali avessero vissuto di vita propria, senza tener conto del suo cuore a pezzi e della sua mente affollata.

Lui sollevò le sopracciglia visibilmente colpito

“Non ti credo.”

“Devi credermi…”

Ribatté avvicinandosi al tavolo e porgendogli con mano tremante la cartellina verde che attendeva lì da un po’. Davis la afferrò con cautela e si passò la lingua sulle labbra prima di sfogliare la sottile copertina semitrasparente.

 

ISTANZA DI ANNULLAMENTO

 

Sbarrò gli occhi senza leggere una parola in più. Sbatté la cartella sul legno

“Non esiste!”

Il tono ripiombato nella durezza e gli occhi di colpo scuri come la pece

“Non mi farai questo.”

Eden indietreggiò cercando respiro

“Devi farlo.”

“No Eden. Non mi farai questo.”

Ribadì di nuovo vicino, stavolta incombente. Le strinse le spalle in una presa ferrea a la guardò dritta negli occhi. Avrebbe tanto voluto trovarci qualcosa in più di quella confusione terribile.

“Vuoi davvero che firmi quelle carte?”

Le sue dita tremavano, fremevano, mosse da qualcosa che prima non aveva mai sentito.

Avrebbe dovuto andarsene? Mettere il suo nome su quel documento e sparire come se il loro matrimonio non fosse mai stato celebrato? Come se non si fossero mai incontrati?

Come se non avesse mai scoperto di essere padre?

Aveva già perso Eden, ma con la magra consolazione della morte ed il grande supporto dell’alcool, aveva facilmente trovato rifugio nella colpa e nella certezza che le cose non sarebbero mai potute andare diversamente.

Poi l’aveva ritrovata ed aveva concesso al suo cuore di aprirsi di nuovo, per la seconda volta nella vita, sempre con lei… Non l’avrebbe mai ammesso, ma si era convinto che il destino l’avesse premiato con una seconda possibilità, nonostante tutte le brutte cose che aveva fatto.

Davis Miller si era lasciato tentare dal pensiero della normalità. Un’aberrazione vera propria. Arrosto e patate per cena, un paio di marmocchi dai capelli scuri attaccati alle sue gambe e una moglie da abbracciare la sera.

Si sentì un completo idiota.

Forse la Eden che aveva ritrovato non era più la sua Eden.. Forse quei mesi erano stati una mera illusione…

Ci pensò ancora ed ancora, scorrendo le immagini alla velocità della luce.. Ogni attimo dal momento in cui l’aveva rivista, voltando lentamente la sedia di uno studio negli Hamptons.. I capelli più scuri, i boccoli più morbidi, la pelle più chiara ed un’insopportabile, incolmabile distanza tra loro.. Ne aveva riassaporato ogni più minuscolo tratto senza trovare la forza di toccarla, come se di fronte avesse avuto un’estranea.

Ritrovarla gli aveva fatto più male che perderla.

Sentì in gola il sapore bruciante ed aromatico dello scotch che aveva sorseggiato durante quelle notti insonni, perso nel tentativo di comprendere perché soffrisse tanto.. perché dentro di lui serpeggiasse il pensiero più meschino.. l’idea che forse sarebbe stato meglio continuando a saperla morta.

Eppure l’aveva rincorsa, giorno dopo giorno, cercando di ritrovare in lei quello che aveva lasciato, provando tutto il tempo a riconquistare una fiducia sua di diritto, punito per un crimine che non aveva commesso, tenuto all’oscuro della verità più importante.

Se Eden lo avesse davvero amato ancora non avrebbe fatto tanta fatica, sarebbe corsa da lui raccontandogli di sua figlia e chiedendo che le portasse via il più lontano possibile.

Nessuna scusa avrebbe retto.. Né l’FBI.. Né Dair.

Se quella fosse stata ancora la sua Eden sarebbe tornata da lui, come aveva sempre fatto dopo ogni lite o incomprensione.

La donna che aveva di fronte invece continuava a sfuggirgli tra le dita, con gli stessi occhi profondi e lo stesso sapore, ma con una luce diversa negli occhi, un caos che lui non riusciva più a decifrare.. non come una volta, quando gli era bastato osservarla col naso ficcato tra le pagine della Brontë per essere certo che proprio lei sarebbe stata la sua Catherine, il suo amore anche oltre la morte.

Inspirò un’ultima boccata di incertezza

“Vuoi davvero che stavolta sia io a sparire ragazza invisibile?”

Eden rimase a fissarlo senza dire una parola, consapevole di dover far tesoro dei brandelli di dolcezza che lui le stava regalando.

Lasciò scivolare piano la testa da un lato, provando a guardarlo da un’altra prospettiva, cercando qualcosa di lui che non avrebbe rimpianto… Cercando un solo attimo del loro passato che avrebbe potuto facilmente dimenticare…

 Tutto quello che poteva ancora fare era respirare, continuare a respirare.

 

“Ti amerò per sempre...”

 

Rispose infine

 

“…Amerò per sempre ogni secondo di ogni giorno che abbiamo passato insieme… E penserò a te ogni singola volta che vedrò nostra figlia sorridere…”

Indietreggiò di un passo

“...Devo a te ciò che di più bello ho avuto nella mia vita… Non passerà giorno senza che pensi a te, ma non posso vivere con te Davis… Potrò vivere solo sapendoti lontano, libero e al sicuro.”

 

Davis sorrise, dopo averla riconosciuta per un attimo, piccola e nascosta dietro l’oscurità del rimmel colato… La maniera più candida ed incerta con cui cercava sempre di fare la cosa giusta… Di convincerlo a smettere con le rapine alle stazioni di servizio… Di spingerlo a mettere da parte il rancore per la sua famiglia… Di finirla con quella vita dopo l’ultimo grande colpo…

Sorrise a metà come piaceva a lei

“Parli come se fossi convinta che me ne andrò davvero senza di te.”

Eden sbuffò fuori il respiro, di colpo in preda allo sconforto.. Indietreggiò ancora fino alla finestra.. Si affacciò tenendo gli occhi chiusi e finalmente poté sentirli arrivare.

Appena udibile il suono acuto e tagliente delle sirene della polizia.

Davis ci mise un po’ a capire, si guardò intorno e di colpo parve irrigidirsi

“Maledetto.”

 

La cantilena pungente delle voltanti iniziò a farsi vicina.

Dair piombò nella stanza visibilmente spaesato, ma Davis gli fu addosso prima ancora che potesse parlare

“Sei stato tu vero?! Sei solo un bastardo!”

Prese a strattonarlo, mentre Eden se ne stava ancora col viso rivolto al grigiume della via semideserta

 

“Sono stata io a chiamarli.”

 

Davis mollò lentamente la presa ed entrambi si voltarono verso di lei, Eden rimase di spalle

“Sapevo che non te ne saresti mai andato altrimenti.”

 

Lui aggrottò le sopracciglia, quella era una svolta del tutto inattesa.. Una mossa del tutto inaspettata da parte della sua Eden.

 

“Se non te ne vai subito avrai il carcere a vita.”

 

“E..Eden…”

Balbettò lui, schiacciato tra l’ansia e la delusione.

Finalmente sua moglie si voltò, gli occhi pieni di lacrime in contrasto con l’espressione seria

“Va’ via.”

 

Il loro ultimo breve incontro di occhi sembrò durare un’eternità.. Davis non aveva scelta.. Se fosse rimasto in quella stanza non avrebbe mai più passato un’ora da uomo libero.. Non sarebbe più passato a far visita alla tomba di sua madre.. Non avrebbe più rivisto le persone che amava.. Sua sorella.. André… Sua figlia.. Voleva rivedere sua figlia.

Strinse i pugni contraendo la mandibola, staccò gli occhi da Eden senza più indugiare e si precipitò al tavolo afferrando la penna con stizza.

Un’ultima volta le rivolse gli occhi poi spinse la punta sui fogli lasciandovi sopra un segno indelebile.

Quest’ultima volta decise di non voltarsi, troppo spaventato dal trovare un’anche minima espressione di sollievo sul viso di Eden.

Prese fiato, strinse la pistola nella mano e fuggì via al suono incombente delle sirene ormai vicine.

 

Eden scoppiò a piangere all’istante, mollando il peso delle gambe e cadendo in ginocchio sul pavimento polveroso. I singhiozzi si alternavano senza che potesse prender fiato tra l’uno e l’altro, le mani le formicolavano e la testa iniziò a girare.

Dair si precipitò da lei prendendole il viso tra le mani

“Respira!”

Le ordinò

“Respira Eden, respira.”

Il suo pianto divenne meno affannoso, ma più intenso.. Grosse lacrime cadevano a pioggia ed i suoi lamenti riempirono la stanza

“Starai bene..”

Aggiunse lui accarezzandole le spalle

“Starai bene, te lo prometto.”

 

Stringendola delicatamente attese l’arrivo dei poliziotti in cima alle scale, vedendo la stanza riempirsi lentamente di tute blu, giubbotti antiproiettile e mitragliatrici

“Dov’è Miller signore?”

Dair scosse la testa

“Andate via.”

“Ma signore, siamo stati chiamati perché Davis Miller era nell’edificio e…”

“ANDATE VIA HO DETTO!”

 

Dair li scacciò fino all’ultimo attendendo che sparissero dalla sua visuale, poi tornò a fissare il corpo tremante di Eden accovacciato nell’angolo.

Era quello che voleva, ma non poteva esserne felice.. Non se la donna che amava se ne stava in un cantone, priva di forze e di lacrime che non avesse già pianto per un altro uomo.

Sospirò avvicinandosi al tavolo, la cartellina se ne stava abbandonata lì sopra, maltrattata dall’ultimo gesto di rabbia di Davis. Allungò le dita per portarsela vicino e prese a sfogliarla in silenzio, cercando la firma che avrebbe reso ufficialmente fine a quell’avventura.

 

Scosse la testa incredulo e stupito, sbuffò e rivolse gli occhi al cielo

“Bastardo.”

 

Sulla carta campeggiava una scritta calcata a forza, ma quello scarabocchio lasciato di fretta non era il nome di Davis Miller, bensì un messaggio per lui, un chiaro e diretto monito per il “soddisfatto” tenente Daniel Dair

 

LEI E’ MIA

 

Così dicevano quelle tre piccole enormi parole,

“lei è mia”.

 

-------

 

Al suono delle chitarre spagnole Blake continuava a sventolare freneticamente una brochure che aveva trovato sul bancone della taverna, improvvisando un ventaglio che scacciasse l’ansia e la calura.  Erano ormai in territorio neutrale, lontano dalla giurisdizione americana, ma fintanto che non avesse visto Davis non avrebbe respirato.

Payne ondeggiava col corpo al ritmo della canzone suonata dal piccolo gruppo di miriachi, cercando di dimenticare le incertezze che si erano lasciati dietro. Aveva fiducia in Eden e sapeva che qualunque decisione presa sarebbe stata la migliore per tutti, soprattutto per la bambina.

Si scoprì a fissare Tyler, lui rispose allo sguardo e Payne si chiese come potesse essere avere un figlio, soprattutto con l’uomo che si ama e con cui si vorrebbe passare la vita.

Tyler abbandonò il piccolo volume scritto in spagnolo e la raggiunse nel mezzo di quella pista improvvisata, proprio al centro del piccolo locale scuro, colmo di facce sconosciute ed odore di tequila.

Sorrise trovandola immobile, spostando i lunghi capelli biondi dal lato del suo viso.

Lei sospirò e prese timidamente la mano di Tyler nella sua.

Lui le si avvicinò ancora, poggiando quella stessa mano sul suo fianco, cingendole la vita e portando la bocca accanto al suo orecchio.

Payne chiuse gli occhi riprendendo a muoversi lentamente, erano in un nuovo mondo ed in quel nuovo mondo il passato non aveva più alcuna importanza.

Sentì il respiro di Tyler sfiorarle la pelle e gli si strinse ancor più addosso. Lui la sfiorò con le labbra e si fece spazio tra i capelli di miele e vaniglia perché lei sentisse bene

“Te amo... Nunca dejé de amarte.”

Sussurrò e la vide subito dopo esplodere nel più sincero dei sorrisi.

 

Poco più là André buttava giù l’ennesimo bicchierino di tequila seguendo con gli occhi il movimento veloce delle carte tra le dita del messicano.

“¿Dónde está la reina de corazones ahora?”

Sbuffò indicando distrattamente la carta nel mezzo, l’altro scoprì la regina per l’ennesima volta

“El señor vuelve a ganar!”

Voci di ammirazione e sospetto si sollevarono di nuovo, André non capiva che quattro parole di spagnolo, ma quel gioco era uguale dovunque ed il suo QI era sempre più veloce di qualsiasi mano muovesse le carte. Questione di probabilità matematiche e prevedibilità umana.

Accese una sigaretta iniziando a contemplare tutti i possibili piani per tirar Davis fuori di galera.

 

 

 

 

 

Scusatemi!! Ci ho messo tantissimo lo so… Ma ci vediamo presto per l’epilogo! Qualsiasi feedback sarà apprezzato! Grazie a tutti!!

 

 

 

  

 

 

 

 

 

  
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