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Autore: SofiDubhe94    26/09/2012    2 recensioni
E se tra Haymitch ed Effie fosse improvvisamente scoppiato un amore dolce e spesso nascosto? Questo è ciò che è accaduto ai nostri due amati, ma forse ancora non vogliono ammetterlo. Ma cosa c'è di meglio per superare la tristezza e la solitudine di condividere il passato con una persona in grado di capirti quasi alla perfezione? Dolcissima FanFiction su una possibile storia d'amore tra Haymitch Abernathy e Effie Trinket
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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È passato moltissimo tempo dall’ultima volta che Haymitch ha guardato il cielo. Forse dal giorno in cui il suo nome finì sulle labbra della donna di Capitol City, sì, dopo che si seppe cosa avrebbe riservato loro la Seconda Edizione della Memoria. Quarantotto tributi al posto dei soliti ventiquattro. Ricordava di essersi chiesto fino allo sfinimento per quale assurdo motivo Capitol City dovesse bistrattare fino a quel punto i suoi distretti.
Haymitch non guarda il cielo da quel giorno. Dal giorno in cui decise di vincere e tornare a casa. È quello il suo incubo vero e peggiore: non tornare a casa, essere rimesso nell’arena e non avere nessuna occasione di ritornare… vivo.
Haymitch ha deciso che non si sarebbe legato mai a nessuno quando rimise piede sul suolo del Distretto 12, da Vincitore. Si chiuse nella sua nuova e confortevole casa, con la sola compagnia dell’alcol e dei suoi ricordi atroci.
Scuote la testa e riprende a camminare. Non c’è anima viva per le strade, il Distretto 12 ormai ha una popolazione più che dimezzata. Sono successe cose troppo brutte per poter essere dimenticate. Non è stato facile per nessuno ricominciare. Lui è abituato ormai. Tornare a casa e trovare la luce spenta, sentirsi sul collo gli sguardi di fuoco di quelle famiglie decimate a causa degli Hunger Games. Non vuole più sentirsi così.
Vorrebbe che la sua abitazione fosse rischiarata anche dal solo bagliore di una pallida candela, vorrebbe avere attorno sguardi amici.
Cammina stringendo una fiaschetta di metallo e soffermandosi sui suoi ricordi del passato burrascoso da mentore che lo accompagnerà fino alla morte.
Mentre passa davanti al Prato vede la casa di Peeta e Katniss illuminata, l’odore di pane appena sfornato gli assale le narici e non desidererebbe altro se non essere anche lui in quella casa piena d’amore e di dolcezza.
Adesso che il pericolo degli Hunger Games è il passato rimpiange il fatto di non aver creato una famiglia che potesse essergli di sostegno e conforto.
Abbassa il capo e affretta il passo. Sente un’altra volta il bisogno di piangere, ma non lo farà, né adesso né mai.
Haymitch non guarda più il cielo dal suo ultimo giorno nell’arena quando, nel tentativo di vedere la luce del sole da Vincitore, la vista gli venne oscurata dall’hovercraft che si apprestava a ricondurlo a casa. Lo interpretò come un segno: il cielo non era che una effimera illusione di libertà.
Anche adesso, a parecchi mesi dalla Liberazione, non riesce a ruotare i suoi occhi verso l’infinito azzurro, non riesce ad abbracciare la sua libertà. Invidia molto coloro che ci riescono e stanno per ore a fissare le nuvole o le stelle. Ma tanti di loro non hanno mai assaggiato gli Hunger Games sulla propria pelle. Non sanno cosa significhi uccidere per sopravvivere. Uccidere per tornare a casa e avere la speranza labile che il tuo nome verrà cancellato dall’elenco dei possibili Tributi.
Svita il tappo della fiaschetta, se la porta alle labbra, ma non riesce a bere nemmeno una goccia. Sono mesi che non sente più il bisogno dell’alcol, più precisamente dal giorno della Liberazione. I suoi incubi sono scivolati via naturalmente, senza il bisogno di sostanze ottenebranti per metterli a tacere.
Quando arriva sulla soglia di casa la vede. Ancora non si è davvero abituato al suo nuovo aspetto, ma può affermare con sicurezza che lo preferisce di gran lunga. Ha i capelli biondi raccolti distrattamente sulla nuca, un paio di riccioli ribelli le attorniano la fronte elegante; non c’è un filo di trucco sul suo viso perfetto, come scolpito nell’alabastro. E sorride. Stringe tra le mani affatto curate una valigia.
            “Cosa fai qui, Effie?” la attacca, scansandola malamente per inserire la chiave nella serratura.
            “Resto” sussurra lei.
Haymitch si blocca all’improvviso, si volta verso di lei, la guarda sorridergli.
            “Non mi serve più la Capitale per essere felice” continua lei “Anzi, credo che mi renderebbe più infelice di quanto io non sia. Voglio restare qui, perché qui sono le persone che amo”.
Haymitch la osserva per qualche istante, incapace di rispondere davanti ad una tale notizia. Poi Effie distoglie lo sguardo e lo alza verso il cielo limpido e terso. Ed Haymitch la imita, con naturalezza, senza più paura.
E lo rivede dopo anni e anni di lontananza.
Il cielo.
 
  
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