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Autore: Alley    27/09/2012    5 recensioni
"Perché proprio io?"
Tony sbuffò, strappandogli di mano il dispositivo. "Volevo un pretesto per disturbarti mentre dormivi."
"Sei veramente un idiota" sbottò Steve, rassegnato. Sperare di intraprendere una conversazione seria con quell’uomo era inutile quanto attendere il diluvio nel deserto. Tornò a sdraiarsi sul pavimento, risentito e stizzito, muovendosi con accortezza per evitare che il le fitte tornassero a torturarlo.
"Perché un soldato sa che in guerra i sacrifici sono necessari."
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Qual è il piano, soldatino?"
 
Steve sollevò lo scudo davanti al volto un attimo prima che il colpo gli fracassasse il cranio. La creatura davanti a lui lanciò un grugnito di stizza e prese a percuotere violentemente il metallo che lo separava dalla sua preda, senza riuscire a scalfire il robusto vibranio.
 
Senza abbassare l’arma, perlustrò con lo sguardo lo spazio circostante, alla disperata ricerca di un’ispirazione, di uno spiraglio, di qualsiasi cosa potesse smuovere la situazione. Le mura di pietra che li circondavano sembravano invalicabili, e anche se ci fosse stato un modo per scappare, non sarebbe stato saggio fuggire; quegli esseri li avrebbero inseguiti e se lo scontro si fosse spostato in città avrebbero dovuto contemporaneamente combattere e proteggere i civili.
 
"Per adesso il piano è non farci ammazzare."
 
Malgrado Tony fosse fuori dal suo raggio visivo, gli sembrava di poter vedere la smorfia di sarcastico disappunto comparsa sul suo volto. "Ma non mi dire, io credevo che sarebbe stato meglio lasciarsi squartare da questi bestioni."
 
Nel frattempo, i colpi del mostro divennero più rabbiosi ed energici, tanto da costringerlo ad indietreggiare. Steve si impose di non voltarsi, ma aveva la netta e allarmante sensazione di trovarsi con le spalle al muro.
 
"Ehi, Robin Hood, attento con quelle frecce, stavi per colpire il bersaglio sbagliato!" protestò Tony, nonostante i dardi scagliati da Barton, per quanto sofisticati, non avrebbe mai potuto oltrepassare il metallo della Mark.
 
Steve sapeva che non avrebbero resistito ancora a lungo. Combattevano da un tempo che gli pareva infinito e, per quanto potessero essere “super”, anche gli eroi avevano dei limiti. Intrappolati in quell’ammasso di roccia, con i nemici che non accennavano a cedere e in netta superiorità numerica, sarebbero stati costretti a soccombere.
 
Un ruggito feroce fendette l’aria, rimbombando sonoramente tra le pareti della caverna. Solo uno di loro avrebbe potuto produrre quel grido disumano.
 
Steve voltò istintivamente il capo verso la direzione da cui provenivano i guaiti, temendo che quei lamenti fossero il suono della loro resa.
 
I suoi sospetti si tramutarono in realtà e una fitta di panico lo scosse, come un’improvvisa folata di vento gelido.
 
Ebbe appena il tempo di guardare la figura imponente di Hulk inerme sul suolo roccioso, prima che il suo avversario approfittasse della distrazione per colpirlo al volto con inaudita violenza. Steve sentì un inquietante scricchiolio e un dolore lancinante attraversagli il viso; il sangue cominciò a scorrere copiosamente dal naso, ormai fratturato o più probabilmente rotto, e la vista gli si appannò progressivamente.
 
Cercò di sollevare di nuovo lo scudo, ma era talmente debole che l’orribile creatura nera glielo strappò di mano senza alcuna difficoltà, per poi sferrargli una stangata allo stomaco, che lo costrinse a piegarsi su se stesso.

I gemiti di Hulk si mescolarono ad altre grida e il groviglio di voci riecheggiò con tale violenza nella sua testa che Steve rinunciò a proteggersi il ventre e spostò le mani sulle orecchie, cadendo in ginocchio davanti al mostro. Questi lo colpì di nuovo e poi ancora e ancora, e il sangue divenne tanto abbondante da offuscargli del tutto la vista.
 
Il buio risucchiò ogni cosa.

***

"Finalmente! Pensavamo che avresti dormito per altri settant’anni."
 
Steve sollevò leggermente le palpebre, ma non vide altro che ombre scure e indistinte ondeggiare davanti ai suoi occhi. Provò ad avvicinare una mano al volto per proteggere lo sguardo dalla luce che gli impediva di mettere a fuoco le immagini; il dolore che provò fu talmente acuto da strappargli un gemito sommesso. Lentamente, i contorni delle figure divennero più nitidi, e riconobbe Tony e Bruce chini su di lui.
 
"Temo che tu abbia parecchie ossa rotte" gli comunicò il dottore, desolato.
 
"Me n’ero accorto."
 
Provò a sollevarsi, ma ancora una volta dovette desistere, a causa delle atroci fitte che gli attraversavano il torace.
 
"Dove siamo?"
 
"In una sottospecie di laboratorio sotterraneo, o almeno è quello che sembra" rispose Bruce, indicando con un gesto un punto alle sue spalle, in cui probabilmente si trovavano attrezzature e macchinari. Steve poteva soltanto supporlo, dal momento che non riusciva a tirarsi su.
 
"Aiutatemi ad alzarmi" gli disse, facendo forza sulle braccia per provare almeno a sollevare il busto.
 
"Non credo tu sia nelle condizioni di reggerti in piedi" osservò Bruce, lanciandogli uno sguardo preoccupato.
 
"Non posso restare qui disteso come…"
 
"Ehi, sei rimasto comodamente sdraiato in mezzo ai ghiacci per settant’anni, quindi adesso non fare storie."
 
"Dove sono gli altri?" domandò Steve, ignorando l'osservazione di Tony.
 
"Non sappiamo dove abbiano portato Thor, Natasha è nelle tue stesse condizioni e Clint non ha ancora ripreso conoscenza. Ma non sembra avere nulla di rotto."
 
Istintivamente, Steve allungò il braccio e tastò il terreno accanto a sé, ma non incontrò altro che il freddo pavimento su cui era disteso
 
"Ci hanno portato via tutto, prima di sbatterci qua dentro" spiegò Bruce, deducendo che stesse cercando il suo scudo.
  
"Come faremo ad uscire di qui?" mormorò, rivolto più a se stesso che ai suoi compagni.

 Si maledì per essere stato così incauto e superficiale da abbassare la guardia durante lo scontro con quella creatura, malgrado sapesse perfettamente che avrebbero ceduto in ogni caso.
 
"Dammi solo un po’di tempo, sto elaborando un piano."
 
L’egocentrismo di Tony lo portava a nutrire una fiducia spropositata in se stesso, ma la situazione era talmente catastrofica da far sì che persino nella sua voce vi fosse una palese nota d’insicurezza.
 
Tra lo scoramento e i disperati tentativi di staccarsi da quel maledetto pavimento, Steve si accorse solo in quel momento dell’intenso bruciore che gli infiammava il volto; rivide vividamente la zanna della belva scagliarsi contro il suo viso ed ebbe la certezza di avere il naso fracassato. Forse anche gli zigomi. Nemmeno in guerra l’avevano ridotto così male.
 
"Come sta la mia faccia?" chiese, riprendendo a spingere sui gomiti per provare almeno a mettersi seduto.
 
"Orribile, come al solito" ribattè Tony, con sufficienza.
 
"In effetti non hai un bell’aspetto" confermò Bruce, con maggior tatto.
 
Finalmente, Steve riuscì a sollevare la schiena e poggiarla contro la parete. Suppose di avere le ossa delle braccia ancora intatte, e anche le gambe, seppur gli dolessero terribilmente, sembravano integre. Forse sarebbe riuscito addirittura a mettersi in piedi.
 
Il problema erano il volto e il torace, contro i quali quella creatura mostruosa si era accanita al termine dello scontro.
 
Da quella posizione, potè perlustrare con lo sguardo il luogo in cui erano stati rinchiusi. In effetti, ricordava molto da vicino il laboratorio di Tony, ma le apparecchiature erano tutte arrugginite e alcune addirittura sfondate, come se il posto fosse stato teatro di sconti feroci.
 
"Dove cazzo è il mio arco?"
 
"Barton, bentornato tra noi!" esclamò Tony festosamente.
 
Clint scattò in piedi, guardingo, come se temesse che quelle bestie fossero nascoste dietro i macchinari diroccati, pronte a sferrare un nuovo attacco.
 
"Come facciamo ad uscire da qui?" ringhiò, facendo vagare lo sguardo nella spaziosa stanza circolare, per poi fissarlo sulla porta blindata seminascosta da una scrivania ricoperta di cianfrusaglie e aggeggi metallici.
 
"Ottima domanda, ce lo stavamo appunto chiedendo."
 
"Dottore..."
 

"L’Altro non vuole uscire fuori" rispose lui, intuendo i suoi pensieri.
 
"Ho provato ad irritarlo in tutti i modi; con battutacce, dispetti di vario tipo, cantando a squarciagola, provocandolo, ma niente" confermò Tony, sconsolato.
 
"Non mi era mai successa una cosa del genere. In ogni caso, temo che nemmeno Hulk sarebbe riuscito a sfondarla."
 
Una porta blindata qualunque sarebbe stata una bazzecola per Hulk, ma dopo aver visto quelle creature demoniache, Steve era certo che quel luogo avesse qualcosa di soprannaturale, quasi fosse stregato, proprio come i mostri che li avevano condotti lì. A causa di questo qualcosa Hulk non riusciva a venir fuori e, presumibilmente, per lo stesso motivo Thor era stato rinchiuso da qualche altra parte. Neutralizzare i poteri di un dio sarebbe stato molto più problematico.
Bruce doveva aver pensato la stessa cosa, per questo si era mostrato così sfiduciato. Erano solo supposizioni, ma lo inquietarono a tal punto da farlo trasalire.
 
"Cos’erano quei…cosi?" chiese Clint, aggrottando la fronte.
 
"Smettile di porre domande a cui non è possibile dare risposta Legolas, la situazione è già abbastanza tragica senza che tu rincari la dose" si lamentò Tony, per poi allontanarsi verso i macchinari ammassati in fondo alla stanza.
 
"Qualunque cosa fossero, ci hanno disintegrato."
 
La voce di Natasha era intrisa d’amarezza e di frustrazione. Bruce le si avvicinò e l’aiutò a sollevarsi, adagiandola contro la parete.
 
"Ahi ahi, dottor Banner, con Capitan Ghiacciolo non siamo stati altrettanti servizievoli..."
 
"Taci Tony, non è il momento" ribattè Bruce, ma le sue guance si colorarono impercettibilmente di rosso. 
 
La Vedova nera gridò di dolore quando cercò di avvicinare le ginocchia al torace.
 
"Maledizione!" ringhiò, serrando la mano e colpendo con un pugno la parete alle sue spalle.
 
Ostinata, provò ad alzarsi, ma dovette desistere immediatamente.
 
"Temo che la tua gamba sia inservibile" le disse Bruce, soffocando un sospiro.
 
Nel frattempo, Tony continuava ad esplorare la stanza e ad analizzare l’attrezzatura semi sfasciata ammassata alla parete.
 
"Le porte dei laboratori possono sempre essere aperte" sentenziò, mentre spostava un armadietto di alluminio privo di sportello.
 

"Dei laboratori. Questo ormai si avvicina molto di più ad un vecchio sgabuzzino in disuso" osservò Clint, lanciando un’occhiata perplessa ai rottami che li circondavano.
 
Tony continuò a farsi largo, rimuovendo tutti gli oggetti che coprivano la parete al centro della quale si trovava la porta blindata.
 
"Sono assolutamente sicuro che…Tombola!"
 
Davanti a lui, fissata alla parete, si trovava una scatoletta metallica simile a un contatore.
 
"Sono un genio" decretò, compiaciuto.
 
"Una cassettina di latta ti esalta tanto?"
 
"Non mi aspetto che tu possa capire, Rogers" replicò Tony con sufficienza, come si stesse rivolgendo ad uno scolaretto dal bassissimo quoziente intellettivo.
 
"Questa scatoletta, come l’hai impropriamente definita, è la chiave per aprire quella porta."
 
"Ma non abbiamo fonti di energia" obiettò Bruce, l’unico che sembrava aver capito dove Tony volesse andare a parare "Supponendo che sia proprio il dispositivo collegato all’ingresso. Potrebbe non esserlo e, anche se fosse, di sicuro non viene azionato da anni."
 
"Dottor Banner, lei è una delle poche persone con cui possa intraprendere una conversazione senza sentirmi un povero incompreso, ma mi sorprende che le sia sfuggito un dettaglio tanto evidente."
 
Bruce aggrottò la fronte, cercando di capire a cosa Tony si riferisse.
 
"Le darò un piccolo indizio…"
 
Tony sollevò la maglia all’altezza del petto, scoprendo il disco azzurro che vi era incastonato.
 
Il volto di Banner si illuminò, mentre gli altri sembravano ancora vagare nelle tenebre.
 
"Non se ne parla"affermò, perentorio.
 
"Perché no?"
 

"Come farai a collegarlo a quell’aggeggio?"
 
Steve spostava lo sguardo dall’uno all’altro, come se stesse assistendo ad una partita di tennis.
 
"Semplice. Lo tireremo fuori da qui come sono solito fare a casa quando…"
 
"Quando sei a casa, nel tuo laboratorio, con tutto quello che ti occorre nel caso…"
 
Mentre tutti erano impegnati a seguire la discussione e cercare di capire quale stravagante idea fosse balenata nella mente di Tony, Steve provò cautamente a rimettersi in piedi, arrampicandosi alla parete contro la quale si era poggiato. Le gambe non avevano riportato alcun danno particolare, come aveva già constatato in precedenza, e malgrado il dolore al torace tornasse a tormentarlo ad ogni minimo spostamento, riuscì nell’ardua impresa.
 
"Ti ricordo che sono stato in grado di costruire un’armatura iper teconolgica chiuso in una grotta e senza alcuna…"
 
"Se ne accorgerebbero subito e correrebbero a fermarti, e se anche dovesse funzionare non abbiamo la minima idea di dove ci abbiano portati. Dovremo recuperare Thor, le nostre armi, sbarazzarci di quegli essere nel caso ci seguissero, e tu non potresti affrontare tutto ciò senza…"
 
Steve provò a compiere qualche passo. L’unico ostacolo che gli impediva di camminare fluidamente erano le fitte che gli attraversavano il busto. Le gambe reggevano perfettamente il peso del corpo; pertanto, per restare in piedi, avrebbe solo dovuto sopportare il dolore.
 
"Lo recupererò prima di andare, mi pare ovvio."
 
Malgrado nessuno dei due si degnasse di fornire spiegazioni, la cosa cominciava ad apparire più chiara. Tony aveva intenzione di utilizzare il reattore Arc come batteria per azionare quel congegno, nella speranza – o, dal suo punto di vista, convinzione – che la porta si aprisse. Steve non aveva idea di quali fossero le precise funzionalità di quel dischetto fluorescente, ma sapeva che Tony ne aveva assolutamente bisogno per vivere, come i comuni esseri umani ne hanno del proprio cuore.
 
"Cosa ti fa credere che ti consentiranno di farlo?"
 
"Allora ne costruirò un altro, una volta tornato a casa" rispose Tony, come fosse la più banale delle ovvietà.
 
Tony continuava a ribattere colpo su colpo, animato da quella presuntuosa ed avventata sicurezza che Steve non sopportava. Bruce era una persona razionale ed assennata, e come tutti loro, non desiderava altro che trovare un modo per lasciare quel posto; se continuava a muovere delle obiezioni, aveva di sicuro delle ottime ragioni.
 
"Parli come se usciti da qui fossimo liberi di andarcene senza intoppi."
 
"Ti fai troppi problemi" lo ammonì Tony, dandogli le spalle e cominciando ad armeggiare con i fili che fuoriuscivano dalla cassettina di metallo.
 
Nessuno aveva approvato la sua idea e lui già si metteva all’opera.
 
"Sei tu che non te ne fai abbastanza."
 

"Nessuno ha chiesto il tuo parere, Capitano."
 
"Beh, è proprio quello che avresti dovuto fare, visto che siamo in cinque e le decisioni vanno prese di comune accordo."
 
"Non c’è altro modo per uscire di qui, pertanto siete obbligati ad accettare la mia proposta" replicò, tornando a maneggiare i cavetti penzolanti.
 
Steve represse a stento un grugnito di collera, esasperato dall’arroganza di Tony e dal tono di sufficienza con cui gli si era rivolto. Come al solito, era convinto di essere nel giusto e troncava sul nascere ogni tentativo di esprimere dissenso nei confronti delle sue trovate.
 
"Questo è da vedere."
Tony non diede alcuna risposta, non si voltò nemmeno; continuò a districare fili e collegare cavi come se nulla fosse.
 
In preda allo sdegno, Steve si diresse verso di lui a passi spediti, ignorando le fitte lancinanti che gli trafiggevano il torace. Sentì il volto bruciargli ancor più intensamente, forse a causa del rancore che gli ardeva dentro.
 
Lo costrinse spalle al muro con uno strattone e allungò il braccio meno dolorante, cingendogli la gola con la mano.
 
"Non è il momento di giocare a fare l’eroe" gli intimò, a denti stretti.
 
Ebbe l’impressione che Tony lo fissasse come fosse un povero pazzo e questo non fece altro che alimentare la sua rabbia.
 
"Smettila di pensare di essere l’unico che vale qualcosa tra di noi, altrimenti…"
 
"Non sei nelle condizioni di minacciarmi" lo interruppe Tony. Adesso sembrava addirittura annoiato. "Se è per la mia salute che sei preoccupato, ti assicuro che farò in modo di recuperare il reattore prima di lasciare questa stanza."
 
"Che cosa vuoi, che i giornali scrivano che hai salvato i Vendicatori mettendo a repentaglio la tua stessa vita?"
 
"Voglio portarvi fuori di qui, e se questo comporta dei rischi, sono disposto a correrli."
 
Questa volta non c’era traccia di sarcasmo né di sufficienza nella sua voce. Se non si fosse trattato di Tony Stark, Steve sarebbe stato disposto a credergli.
 
Una fitta più acuta delle altre lo costrinse a mollare la presa, e lottando con tutte le sue forze per restare in piedi, si allontanò per riprendere posto accanto a Bruce.
 

***

Il tempo continuava a scorrere, ma quantificarlo era impossibile. Passavano i minuti, le ore, ma tutto restava immobile; non vi era traccia delle orrende creature con cui si erano scontrati, non c’era nulla che potessero fare per tirarsi fuori. Steve detestava doversene stare seduto spalle al muro, torturato dal dolore e afflitto da quell’insopportabile sensazione di impotenza.
Il laboratorio era privo di finestre, non c’era modo di constatare a che punto della giornata fossero arrivati. L’interno era illuminato da una fastidiosa luce artificiale, e Steve si chiese se oltre quelle mura splendesse il sole o fossero già calate le tenebre. Natasha e Clint dormivano dall’altra parte della stanza, l’uno rannicchiato e l’altra distesa, con le braccia incrociate sotto la testa a farle da cuscino. Bruce camminava nervosamente attorno alle attrezzature diroccate, tracciando un cerchio immaginario sul pavimento, e Tony perseverava nell’assurdo tentativo di rianimare quel vecchio congegno.

 
Arrogante e ostinato, pensò Steve irritato, prima di crollare in un sonno profondo, sopraffatto dalle sofferenza fisica e mentale.
 

***

 "Rogers."
 
Una voce roca e ovattata lo chiamava, turbandone il sonno. Steve si chiese se rimbombasse nella sua mente o provenisse da un sogno; dato che in entrambe le circostanze non avrebbe richiesto alcuna risposta, si voltò su un lato, deciso ad ignorarla.
 
"Non è il momento di fare 'La bella addormentata'."
 
Steve si rese conto che non era affatto lontana; era lo stato di dormiveglia in cui ancora versava a renderla tale alle sue orecchie.
 
Due grosse mani presero a scuoterlo, risvegliando il dolore che pareva essersi finalmente placato.
Vide con la coda dell’occhio i propri compagni assopiti e si impose di non gridare per non svegliarli.
 
"Sta fermo Stark, mi stai uccidendo."
 
"Allora piantala di dormire e ascoltami. Settant’anni non ti sono bastati?"
 
Reprimendo un’imprecazione, Steve si voltò verso di lui, ma prima che potesse sollevarsi fu attraversato da un moto di profondo stupore. Al posto del reattore, sul petto scoperto di Tony campeggiava una cavità vuota.
 
"Ma che diavolo…?"
 
"Non c’è bisogno che tu tessa le mie lodi, il mio acume è fin troppo evidente" si celebrò a voce bassa. Poi, improvvisamente, il suo tono cambiò e divenne ancora una volta serio e solenne, com’era avvenuto alla fine della loro precedente discussione.
 
"Ho degli ordini da impartirti."
 
Lo sguardo seccato di Steve gli suggerì che l’approccio non era dei migliori.
 
"E va bene, se ti suona meglio, diciamo che ho un favore da chiederti" rettificò, roteando gli occhi.
 
"Lo vedi questo?" proseguì, porgendogli un piccolo oggetto metallico. Era rettangolare ed arrugginito, una sorta di minuscolo telecomando.
 
"Che cos’è?" chiese Steve, afferrandolo.
 

Il ferro ossidato era sormontato da un piccolo pulsante.
 
"È inutile che te lo spieghi, non saresti in grado di capire" lo liquidò Tony, col solito fare borioso e indisponente "Quando quella porta si chiuderà alle nostre spalle, tu devi schiacciare questo pulsante. Tutto chiaro? Non è difficile, suppongo che tu sia in grado di…"
 
"Non potresti farlo tu?"

"Ho già fatto abbastanza, voglio delegare a te questo gravoso incarico" replicò, rimarcando l’aggettivo con fare teatrale.
 
"Perché proprio io?"
 
Tony sbuffò, strappandogli di mano il dispositivo. "Volevo un pretesto per disturbarti mentre dormivi."
 
"Sei veramente un idiota" sbottò Steve, rassegnato. Sperare di intraprendere una conversazione seria con quell’uomo era inutile quanto attendere il diluvio nel deserto. Tornò a sdraiarsi sul pavimento, risentito e stizzito, muovendosi con accortezza per evitare che il le fitte tornassero a torturarlo.
 
"Perché un soldato sa che in guerra i sacrifici sono necessari."
 
Si era voltato solo parzialmente quando quelle parole vennero pronunciate, ma a sufficienza da non riuscire a guardare Tony in volto; il suo tono gravoso e risoluto lo scosse e un oscuro presentimento lo rabbuiò.
 

***

Tony fissava con un sorriso compiaciuto la sua creazione, sottolinenando che nessun altro sulla Terra - né su uno degli altri pianeti (menzionando accuratamente tutti quelli di cui avevano scoperto l’esistenza grazie a Thor) - avrebbe saputo resuscitare quel contatore in così poco tempo.
 
"Funzionerà?"
 
Dubbio e speranza si mescolavano nella voce di Bruce, e tutti gli altri dovevano provare quel misto di emozioni.
 
"Naturalmente."
 
Steve era certo che avrebbe funzionato; la sicurezza di Tony l’aveva convinto. Per quanto lo detestasse e non capisse assolutamente nulla di ciò di cui si occupava, sapeva che nel suo campo era infallibile e, soprattutto, quando gli aveva chiesto di azionare quel aggeggio, poche ore prima, sapeva che sarebbe stato necessario. Non aveva fatto cenno all’eventualità di fallire e, di conseguenza, di non utilizzare quel marchingegno. Steve sperava che tanto convincimento fosse fondato e non semplicemente figlio del suo ego spropositato.
 
"Allora, apriamo le danze?" chiese Tony allegramente, posizionandosi accanto all’alimentatore riparato.
 
Bruce e Clint sostenevano Natasha, le cui braccia erano cinte attorno alle loro spalle. Aveva riportato dei danni molto seri alla gamba e, malgrado i tentativi disperati di reggersi in piedi, non c’era stato verso. Se fosse stato una persona normale Steve non sarebbe riuscito a compiere due passi di fila, a causa del dolore che non accennava a diminuire, ma fortunatamente il siero gli consentiva di sopportarlo.
 

La porta blindata si ergeva maestosa davanti a loro, incassata nella parate ora sgombra da tutti i macchinari che prima la ricoprivano.
 
I Vendicatori annuirono all’unisono, e una scossa di agitata tensione attraversò il laboratorio smantellato, mentre Tony incastonava nella cavità al centro dell’alimentatore il reattore, che rischiarò l’ambiente con la sua tenue luce azzurrina.
 
La parete si smosse con un tonfo sordo e la porta prese a spalancarsi lentamente.
 
"Bingo!"
 
Non si era ancora aperta del tutto quando i latrati rabbiosi di quelle orrende creature fendettero l’aria come lame affilate.
 

***

La porta dava direttamente sull’esterno.
 
I mostri dovevano essere assolutamente certi dell’inespugnabilità di quel laboratorio, per averli rinchiusi lì ad un passo dalla libertà.
 
Clint e Bruce trascinarono Natasha oltre la soglia e cominciarono a correre, per quanto fosse possibile dovendo sorreggere una terza persona.
 
Nel frattempo, Tony tirava frettolosamente fuori il reattore dall’alimentatore, mentre le grida disumane si facevano sempre più vicine.
 
Con sommo stupore di Steve, Tony non impiantò il dischetto fluorescente nell’incavo del proprio petto, ma si avvicinò ad un nuovo aggeggio, posizionato sul pavimento accanto all’armadietto sfasciato, e cominciò a manipolare due grossi cavi colorati.
 
"Ti sembra il momento di giocare all’inventore?!" gli gridò, lanciando un’occhiata carica d’apprensione alla porta spalancata alle sue spalle. Era l’unico via d’uscita presente, eppure i guaiti animaleschi non provenivano da quella parte. Probabilmente, quelle creature si sarebbero materializzate davanti ai loro occhi da un momento all’altro. L’ipotesi terrorizzò Steve, che non potè fare a meno di chiedersi come avrebbero fatto a fuggire se i loro inseguitori avevano tali capacità. Si impose di non pensare e compì qualche passo in direzione di Tony, deciso a trascinarlo via.
 
"Non ti avvicinare."
 
Il tono era deciso ma la voce leggermente incrinata, in maniera quasi impercettibile. Steve fu invaso dal panico; sapeva che quelle belve sarebbe comparse da un momento all’altro, e quella nota di malcelata paura trapelata dalla voce di Tony non faceva altro che renderlo ancor più inquieto.
 
"Non andremo da nessuna parte se quei bestioni ci vengono dietro. Lo sai, vero?"
 
Per fortuna la domanda non richiedeva una risposta ragionata; Steve era troppo teso per formularla.
 
"Questo è un piccolo ma potente ordigno esplosivo" proseguì, indicando l’oggetto metallico ai suoi piedi "Una bomba, nel caso l’espressione che ho utilizzato sia troppo tecnica per le tue capacità comprensive."
 
In un altro momento, Steve gli avrebbe sbraitato contro che sapeva perfettamente cosa fosse un ordigno esplosivo. In un altro momento, uno qualsiasi, ma non quello.

 
Tony inserì il reattore nel solco al centro del dispositivo, per poi proseguire.
 
"Non sapevo come alimentarlo, con i rottami che c’erano qui dentro non avrei potuto fare di meglio."
 
Adesso, il piano appariva in tutta la sua tragica genialità.
 
"Bene, visto che i nostri simpatici amici stanno per arrivare, esci fuori di qui e…"
 
Il sarcasmo non riusciva a nascondere la paura che lo animava.
 
"Non se ne parla nemmeno."
 
"L’alternativa è morire tutti e lasciare il mondo in pasto a quegli esseri."
 
"Ma…"
 
"È inutile che cerchi di intavolare un dibattito, ho una risposta a tutte le tue obiezioni. Non posso scappare senza il reattore, senza contare che se fuggissimo tutti quei cosi ci comparirebbero davanti in un niente, e saremo spacciati."
 
Steve aprì la bocca per ribattere, ma l’unica cosa che ne uscì fu un suono inarticolato. La tesi di Tony era inconfutabile.
 
"Avresti dovuto dircelo."
 
Si rendeva conto di quanto fosse assurda la sua recriminazione, ma aveva bisogno di protestare, di discutere, di rimandare quel momento, malgrado sapesse in cuor suo quanto fosse vano.
 
"Avresti…"
 
Si interruppe, conscio dell’infondatezza di ogni critica.
 
Restò muto e immobile, con le capacità cognitive momentaneamente sospese, lo sguardo fisso sul rettangolino metallico che stringeva tra le mani.
 
"Tenete d’occhio Pepper."
 
La voce rotta di Tony fu un amaro richiamo alla realtà.
 
"E tu smettila di fare l’eremita e cerca di viverti questo mondo; non sarà come il tuo, ma non è poi così male. Certo, se continui a stare ostinatamente lontano da ogni fonte di piacere, quale l’alcol, le donne, le automobili sportive…"

In un altro momento, avrebbe preso ad imprecargli contro. In un altro momento.

Si voltò e uscì a grandi passi; compiva ogni gesto meccanicamente, come un automa, cercando di non fare appello al cervello. Se l’avesse fatto, non avrebbe avuto il coraggio di svolgere il compito assegnatogli.

Malgrado i latrati tuonassero ormai vicinissimi, alle sue orecchie suonavano remoti e attutiti, come provenienti da un mondo lontano anni luce.

Varcò la soglia, si bloccò, cercò di maneggiare quel maledetto aggeggio, ma le dita non rispondevano ai suoi comandi. L’impulso di tornare indietro lo torturava, fermandogli l’indice come una catena invisibile.

Poi chiuse gli occhi e trattenne il respiro, quasi dovesse immergersi in acque profonde e putride, pronto a sprofondare.

Strinse il minuscolo telecomando tanto forte che temette di averlo frantumato, poi premette il pulsante con rabbia, come a volerlo disintegrare, più che schiacciare.

Il boato fu tanto intenso da assorbire ogni rumore.
 

***

Steve guardava le automobile sfrecciare sull’asfalto, al di là dei vetri scuri dei finestrini.

 
Fury l’aveva pregato di non andare con lui, aveva anche provato ad ordinarglielo, ma non era servito a niente.
 
Per quanto sapesse che fosse un pensiero assurdo, non riusciva a rimuovere dalla sua mente l’idea di averlo ucciso. Aveva causato la sua morte, e le circostanze in cui era avvenuto non riuscivano ad appianare i sensi di colpa che lo opprimevano, come schegge conficcate nel petto.
 
La lussuosissima villa era immersa nella luce accecante del sole d’Agosto, e si stagliava contro un cielo tanto terso da apparire surreale. Un panorama talmente straordinario da sembrare il set di un film.
 
L’afa soffocante non fece altro che fiaccarlo ulteriormente, provocandogli un forte ed improvviso giramento di testa. Sentiva un peso invisibile schiacciarlo, come un gigantesco masso impossibile da scostare.
 
Fury lo precedeva, ma Steve accelerò il passo, superandolo.
 
Voleva essere lui a dare l’annuncio a Pepper, doveva essere lui. Era giusto così.
 
Giusto
 
Mai come in quel momento, l’aggettivo gli parve privo di senso, una serie di lettere senza significato.
 
Era giusto quello che era successo? Sacrificare una vita – un’altra, l’ennesima – era stata una cosa giusta?
 
Ma la sua non era una teorica e distaccata riflessione di natura etica; era un interrogativo assillante, tangibile, pesante come quel masso che lo schiacciava, un enigma che l’avrebbe assillato per il resto dei suoi giorni; al di là di ogni razionalità, si sarebbe sentito colpevole per tutta la vita.
 
Perché un soldato sa che in guerra i sacrifici sono necessari
 
La voce di Tony gli rimbombò nella testa più e più volte, con più violenza del fragore dell’esplosione.
 
Cercò di riacquistare un pizzico di lucidità, mentre la porta della villa si avvicinava inesorabilmente, crudele come un patibolo.
 
Non aveva la minima idea di cosa avrebbe detto a Pepper, di come le avrebbe spiegato che l’uomo che amava aveva deciso di farsi saltare in area per salvarli, e soprattutto, che lui gli aveva permesso di farlo. O meglio, lui l’aveva fatto, lui aveva azionato quel congegno, lui aveva innescato la bomba.
 
Ma gliel’avrebbe detto, avrebbe buttato fuori tutto, senza omettere alcun dettaglio. Malgrado in quel momento quella parola gli suonasse estranea e fuori contesto, sentiva che era giusto, e l’avrebbe fatto. 
 
Mentre si apprestava a bussare, nella sua mente al campanello bianco si sostituì un pulsante rosso, e Steve ebbe un attimo di timorosa esitazione, come se schiacciandolo potesse far esplodere qualcos’altro, troncando un’altra vita.
 
"Capitano…"

La voce di Fury lo risvegliò dal torpore.

"Va tutto bene."

Finalmente bussò, e dei passi leggeri si mossero oltre la porta.

Pepper la spalancò dopo un istante, talmente in fretta che, se Steve fosse stato abbastanza lucido, avrebbe sospettato che attendesse qualcuno.

Gli occhi color cielo della donna lo scrutavano, colmi di lacrime.

Sentì una morsa stringergli lo stomaco, come una mano munita di artigli affilati.

"Virgi-"

"Pepper!"

Steve tacque e spalancò gli occhi. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.

"Potresti accompagnare Thor fuori dal mio laboratorio? Qui c’è qualcuno che sta cercando di costruire un nuovo reattore!"

Il volto della donna si contrasse in una smorfia d’esasperazione, illuminata però da un sorriso gioviale.

"È meglio che usciate entrambi, ci sono visite" rispose, affacciandosi in casa.

Li invitò ad entrare, spostandosi di lato e lasciando la soglia libera. "Prego."

"Sai, mia cara divinità patinata, qui sulla Terra non tutti abbiamo la fortuna di avere un paparino onnipotente e onnisciente e, pertanto, dobbiamo ingegnarci da soli; sei pregato di..."

Tony comparve da dietro l’uscio del salotto, seguito da Thor; gesticolava ampiamente, rivolgendosi al dio del tuono con tono incalzante, come fosse un venditore ambulante intento a persuadere un cliente sulla convenienza della propria offerta.

Steve strabuzzò gli occhi più volte, sbattendo le palpebre con forza. Quando le riaprì, Tony era ancora lì e continuava a declamare le proprie gesta come se non fosse arrivato nessuno.

"Hai una pessima cera, Rogers. Sembra che tu abbia appena visto un fantasma."

Il sorrisetto compiaciuto che apparve sul suo viso, in un altro momento, lo avrebbe irritato a tal punto da fargli desiderare di prenderlo a calci; ma in quel momento, nulla avrebbe potuto infrangere il suo sconcerto.

"Avanti, non fare quella faccia. Avere un dio nella propria cricca di supereroi pure avere qualche vantaggio, no?"

Thor prese la battuta come una sorta di celebrazione nei suoi confronti, e sorrise compiaciuto.

"Non devi ringraziarmi, uomo di metallo. Gli amici servono a questo."

"Mi devi delle spiegazioni, Stark" tuonò Fury, in cui lo sdegno sembrava superare di gran lunga lo sgomento.

"Tutto a tempo debito, grande capo" ribattè Tony, pimpante "Per adesso accontentati di un caffè."

Pepper condusse Fury in cucina e Thor li seguì.

Steve non aveva ancora proferito parola. Continuava a fissare Tony con gli occhi sbarrati, temendo ancora che si trattasse di un’allucinazione.  

"Mi spiace deluderti, ma sono davvero ancora vivo"disse Tony, interpretando i suoi pensieri "Ti concedo di toccarmi il braccio per appurarlo, ma è l’ultima volta che mi metti le mani addosso senza rischiare che ti polverizzi."

Steve prese in considerazione l’idea di tastarlo per accertarsi che non fosse solo il frutto della sua immaginazione, ma si rese conto che, per quanto fosse stato turbato dagli ultimi eventi, non aveva ancora raggiunto un tale livello di suscettibilità.

Avrebbe voluto chiedergli come fosse possibile che fosse sfuggito all’esplosione, quell’esplosione che lui stesso, con le sue mani, aveva provocato. Avrebbe voluto porgergli mille domande, ma furono tutte soffocate da quell’opprimente senso di colpa che, nemmeno adesso che Tony era vivo e vegeto al suo fianco, accennava a svanire.

"Ottimo lavoro, Capitano. Ti ringrazio per aver eseguito i mie ordini senza protestare."

Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Tony Stark gli si rivolgeva senza deriderlo o biasimarlo. Le sue parole erano animate da autentica gratitudine, e Steve potè finalmente sentirsi più leggero.

"So di avere un fascino irresistibile, ma ti prego di smetterla di fissarmi. Pepper è nella stanza accanto, non vorrei che pensasse…"

"Smettila, Stark. Non costringermi a desiderare che tu sia veramente morto."

Riprovare quell’esasperazione fu quasi un sollievo.

"Perfetto, così mi piaci!" esclamò Tony, entusiasta, colpendogli la schiena con una pacca tanto vigorosa da sbilanciarlo.

"Il caffè è pronto!"

Si avviarono verso la cucina, richiamati dalla voce squillante di Pepper.

Poco prima che varcassero la soglia, Tony si voltò verso di lui e gli lanciò un’occhiatina divertita.

"La prossima volta che vorrò farmi saltare in aria, saprò a chi rivolgermi."



Note
Stavolta sono esente da colpe; è stato il proverbio "non c'è due senza tre" ad indurmi a produrre questa "cosa" e sottoporla al vostro giudizio. Non so bene come sia venuta fuori, ero partita da un'idea di base diversa che si è autonomamente modificata e si è praticamente sviluppata da sola, senza dar molta retta alla volontà dell'autrice (me medesima). Francamente non sapevo nemmeno come classificarla; continene dei momento più "forti" rispetto alle due precedenti, ma non manca quel pizzico di ironia senza la quale non riuscirei a dipingere adeguatamente il nostro scalmanato gruppo di Supereroi. Nemmeno questa volta il risultato mi soddisfa a pieno, ma una radicata convinzione mi ha spinta a scrivere questa storia: sotto la facciata di arroganza ed esaltazione, Tony Stark è un buono, un uomo che, come ha ampiamente dimostrato, conosce l'altruismo ed è capace di compiere sacrifici estremi in suo nome (prendi nota Rogers, eh eh). Nella speranza che possiate trovare gradevole la lettura, vi ringrazio per l'attenzione. 

  
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