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Autore: Human Skeleton    27/09/2012    2 recensioni
"Lasciala andare Katerina."
Gli orfani come me sono soli nell'anima e là fuori nel mondo. Gli orfani come me non meritano nemmeno di respirare: la donna che li ha abbandonati non voleva sentire il loro respiro.
La vera storia di quello che é successo dopo che Katerina ha lasciato la bulgaria.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katherine Pierce, Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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capitolo 1

Bulgaria, 1490.

Da una delle grandi proprietà della famiglia Petrova, nella camera della bellissima Katerina, si distinguono forti urla di dolore. La madre la incoraggia a spingere sempre di più. Katerina sta dando alla luce suo figlio. 

Ma nessuno sembra esserne felice. Dopotutto lei non é sposata. E un figlio fuori dal matrimonio porta solo guai. Questo è quello che continuava a ripeterle suo padre da ben nove lunghi mesi. 

"Un figlio fuori dal matrimonio é una sciagura. Non é un degno erede. E nessuno dovrà saperlo al di fuori della nostra famiglia. E quando partirai in esilio per la volta dell' Inghilterra tutti penseranno che la nostra giovane figlia stia semplicemente cercando un degno uomo che resti sempre al suo fianco e che le possa un giorno dare un erede. Un vero erede."

Katerina spingeva sempre più forte urlando dal dolore e piangendo lacrime amare, al solo ricordo delle parole piene di odio e rancore di suo padre. Le cinghiate sulla schiena bruciavano ancora e il contatto con le lenzuola bagnate di sudore le faceva  dolere ancora di più. 

Ad un certo punto Katerina non sentì più dolore. Riuscì solo a sentire un gran senso di liberazione. E le sue orecchie le portarono il suono di un vagito. E' nato. La madre avvolse il neonato nel piccolo e leggero lenzuolo bianco. Alzò lo sguardo verso il viso sconcertato e ancora sfigurato dalle lacrime di dolore di sua figlia. E sorrise. 

"E' una bambina." 

E' nata. La bambina é nata. E sapere che non potrà mai essere la sua bambina fa tornare il dolore. Del parto. Delle cinghiate. Dell'anima. Katerina ancora sconvolta ripete quasi come se fosse in trans. 

"Una bambina."

Quando finalmente riuscì a tornare in sé allungò le mani verso la madre chiedendole, pregandole di farle vedere la sua bambina. Ma suo padre rimproverò la donna.  

"Donna, no! Cosa stai facendo?"

La madre impaurita come solito dal tono di voce austero e dal viso burbero del marito camminò velocemente verso di lui e lasciò la bambina tra le sue braccia. 

Il respiro di Katerina si fece sempre più affanato e gli occhi le bruciavano pericolosamente. Dalle sue labbra carnose uscì solo un sussurro disperato frastagliato da singhiozzi che inciampavano tra le sue parole. 

"Fatemela tenere almeno una volta." 

Katerina si voltò verso il padre e avendo ritrovato la sua solita determinazione pregò ancora una volta quelle persone che fino ad allora aveva considerato una famiglia. Ma come poteva una famiglia ripudiare un tale dono? Come poteva la sua famiglia privarla della sua felicità? 

"Solo una volta... Almeno una..." 

Suo padre si voltò verso di lei e di nuovo come in tutti quei difficili mesi le ricordò il disonore che aveva provocato al buon nome della sua famiglia.

"Dimenticala. Hai disonorato la tua famiglia." 

Il padre uscì dalla stanza di Katerina mentre lei si agitava tra le lenzuola e si sporse sempre più verso la figura del padre che oramai era solo un'ombra creata dalle candele sulle pareti dei grandi corridoi di casa Petrova. Le sue preghiere e le sue implorazioni si infrangevano sulle pareti delle stanze, e sulle fiamme delle candele, ma non arrivavano alle orecchie di suo padre. 

La madre si avvicinò a lei tenendola ferma per le braccia e continuando a ripeterle che "é meglio per lei, Katerina." Katerina ormai stremata si abbandonò nell' abbraccio della madre continuando a chiamare il padre e l'unica parola che usciva dalle sue corde vocali era un semplice monosillabo che continuava a ripetersi con una cantilena. 

"No! Padre... no... no!" 

La madre la strinse più forte a sè e Katerina affondò il viso nell'incavo della sua spalla bagnandola con le sue copiose lacrime. 

"No, madre per piacere..." Sua madre cercò di contenerla, cercando di calmarla.

"Lasciala andare... lasciala andare Katerina." 

All'ultima supplica della figlia anche la madre stremata dalla situazione pianse silenziosamente sulla spalla di Katerina che fissava il vuoto con la morte negli occhi. 

Nikolai uscì dalla stanza con la neonata tra le braccia che intanto continuava a piangere. Ma Nikolai era impenetrabile e aveva lo sguardo sempre fisso avanti a sé. Lui sapeva che c'era un unico e solo modo per eliminare il disonore che la sua sconsiderata figlia aveva causato alla famiglia. Eliminare la causa del disonore.

Nikolai camminava velocemente per i lunghi corridoi della mansione. Appena scese le scale si avviò alle cucine. Aprì le porte facendole sbattere violentemente contro i muri consumati e che odoravano di cucinato. Prima che entrasse, Nikolai lo sapeva, le serve erano intente a bisbigliare qualcosa come esilio... Katerina... perché ha partorito una figlia illegittima. Ma quando entrò gli occhi delle ancelle diventarono neri dalla paura e dalla preoccupazione e sciolsero il piccolo cerchio che avevano formato per correre ognuna di loro alle proprie postazioni di lavoro. C'era chi prendeva uno straccio e faceva finta di pulire. Chi prendeva il primo coltello che capitava a mano e tagliava le carote rozzamente buttate su un canovaccio. Nikolai si guardò intorno con uno sguardo furioso. Ma ora come ora non aveva tempo di punire nessuno. Almeno, nessuno di loro. 

"Tu." 

L'uomo indico una delle schiave che era intenta a tagliare le carote con mano tremante. La ragazza alzò lo sguardo verso quello del suo padrone. Lasciò cadere sul piano il coltello. 

"S-si, Si-signore?" 

Nikolai aveva ancora il dito puntato contro di lei. L'uomo porse alla ragazza il neonato. 

"Prendi questo coltello. Porta la bambina il più lontano possibile dalla mansione. E uccidila." 

La ragazza era sconcertata e gli occhi le pizzicavano dalla paura. Nikolai si avvicinò a lei con fare minaccioso. 

"Fallo. E' un'ordine. A meno che tu non voglia fare un viaggio senza ritorno nelle segrete..." 

L'aria seria dell'uomo si trasformò ben preso in un ghigno malefico. Si avvicinò al piano di lavoro su cui prima stavano tagliando le carote. Prese in mano il coltello. Lo fece passare tra le sue dita e lo accarezzò in modo quasi spasmodico. 

"... O fare la fine di questa bambina." 

La donna indietreggiò impaurita di qualche passo e poggiò una mano sul tavolo in legno dietro di sè. La sua mano si muoveva sulla superfice in cerca di qualcosa. E alla fine lo trovò. La mano tremante arpionò con improvvisa sicurezza il coltello. La ragazza, ancora sconvolta, annuì al padrone e uscì dalle cucine addentrandosi nei boschi che circondavano completamente la mansione. 

Una leggera e fredda brezza accarezzava la pelle diafana della ragazza e le scompigliava i capelli d'oro. Quando fu sicura di essersi addentrata abbastanza adagiò la bambina su un letto di foglie dai colori autunnali. Pensò che per nascondere il minuscolo ed esile corpo sarebbe bastato coprirlo con le stesse foglie. 

La donna tremava. Ma non era per il freddo. E nemmeno per la paura. No. Semplicemente provava ribrezzo verso se stessa. Era sicura che se l'avesse fatto si sarebbe sentita così in colpa da esserne sommersa e soffocata. E tutto questo l'avrebbe uccisa lentamente. Non si accorse nemmeno che mentre formulava questi pensieri nella sua testa le mani si erano chiuse intorno all'impugnatura del coltello ancora coperto da pezzetti di carota. "Questa bambina ha portato con sé così tanto disonore, che non é degna di essere uccisa nemmeno con un pugnale regale." Pensò. 

Copiose lacrime salate le rigavano il viso. Le mani tremanti stavano pericolosamente facendo avvicinare la lama del coltello al petto della bambina che si muoveva in sincronia con il suo respiro. 

La donna sussultò. Le era parso di sentire un fruscio di foglie. Un lungo e prolungato ululato la fece sobbalzare e il coltello le scivolò dalle mani ormai molli ed inermi. La ragazza si abbassò per recuperare l'arma ma qualcosa l'attaccò e la fece cadere all'indietro. 

L'ultima cosa che i suoi occhi videro fu la luna. Imponente, gigantesca. E piena. Poi il suo sguardo si spostò su degli occhi piccoli, sottili e del colore dell'oro. Un lupo l'aveva atterrata. La ragazza cercava in continuazione di liberarsi, dimenandosi come una pazza furiosa, ma questo non fece altro che aggravare la situazione. Il lupo l'aveva in pugno. Era gigantesco. Ed era troppo forte. Nella confusione del momento la ragazza riuscì comunque ad accorgersi delle dimensioni sproporzionate dell'animale. 

"Incredibile. L'ultimo pensiero l'ho regalato ad un lupo."

 Il lupo la mordeva in continuazione con foga e rabbia. I vesiti erano strappati e facevano intravedere la pelle diafana della donna. Il lupo affondò la sua dentatura in quella pelle perfetta che si era ormai sporcata completamente di sangue. La ragazza sentì una fitta di dolore fortissima alle gambe. Non voleva vedere quello che le aveva fatto ma alzò comunque lo sguardò verso il lupo. La donna sbarrò gli occhi. Tra le fauci dell'animale c'era la sua gamba sinistra. Le palpebre diventarono sempre più pesanti e il dolore persistente cominciava a diminuire finché la ragazza cadde in un sonno profondo dal quale non si sarebbe più risvegliata. 

Il lupo si girò verso la neonata. Con passò felpato raggiunse il corpo minuto della bambina coperta solo da un leggero lenzuolo. La bambina allungò le mani verso il muso del lupo che intanto strusciava contro il corpo della bambina. 

L'animale aprì le sue enorme fauci... e prese un lembo del lenzuolo. 

Il lupo uscì dal bosco e scese per le colline che conducevano in quel piccolo paesello ai margini della città di Sofia. Le persone spegnevano le candele in casa, Le madri facevano addormentare i figli, i mercanti e i banchieri tornavano alle proprie case. Intanto davanti alla chiesa c'era anche il prete che stava chiudendo il portone centrale per poi avviarsi nelle proprie stanze a pregare. 

Il lupo si fermò davanti al portone e aspettò che il prete si voltasse. Quando l'uomo si voltò e vide il lupo indietreggiò impaurito. Il lupo appoggiò il fagotto sporco di sangue sulle scalinate e con il muso lo spinse leggermente verso di lui.

 Il prete prese tra le mani il fagotto e cominciò a cullarlo. Stava quasi per dare al lupo gli avanzi della mensa della chiesa per premiarlo ma quando riabbassò gli occhi non c'era più. Era sparito nella nebbia delle prime luci dell'alba.

   
 
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