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Autore: Ciribiricoccola    27/09/2012    0 recensioni
Scrivo di donne. Senza troppi luoghi comuni, senza censure, con un pò d'ironia, una punta di romanticismo e anche una stilla di dramma, che nei giorni più malinconici non guasta mai.
Sono tutte diverse tra di loro, ma hanno una cosa in comune: saranno sincere con chi leggerà, perciò non spaventatevi, non vi offendete.
Sono fatte così e non c'è verso di cambiarle.
Tutte noi ne sappiamo qualcosa, no?
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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donne

It's time we all reach out for something new
(That means you too)

 

 

Davanti alla finestra spalancata sulla città, in piedi, con le braccia conserte sotto il seno e un’espressione concentrata. Gli occhi puntavano lontano, al di là del ponte.
Non ricordava di essere mai stata tanto seria in vita sua.
E solo in quel momento le parve una cosa inconcepibile da constatare.

 
Si trattava di lei, di una cosa molto importante; il pensiero non la spaventò, ma le fece alzare la guardia, e addirittura credette di percepire come uno scatto dentro di sé, un guizzo di prudenza e responsabilità.
I soldi, le agiatezze, un lavoro prestigioso, le raccomandazioni, una famiglia dal portafogli sempre aperto, un appartamento pluriaccessoriato per la sua bella vita.

Judy si morse il labbro inferiore con stizza, irritata con se stessa.
Si decise, per la prima volta, ad essere spietata con se stessa.

“Hai quarant’anni e guarda dove sei. Stronza egoista incosciente. Hai fatto proprio un bel lavoro.”

Lo disse ad alta voce al proprio riflesso nel vetro e non abbassò lo sguardo, anzi, lo indurì ancora di più e sospirò, sollevata.

“Finalmente l’hai ammesso.”

 

Si accorse che di quella sua vita avrebbe potuto morire, in tutti i modi possibili ed immaginabili.
La sua coscienza era sempre stata annientata da tutto, da sempre: a cosa serviva avere rimorsi quando un assegno poteva comprarti un nuovo obiettivo?  E perché restare fermi a contemplare la felicità quando potevi permetterti il lusso di mille modi per divertirti?

Come i suoi genitori: una macchina metropolitana, una cacciatrice di fortuna, un predatore scattante, agile e letale nella sua città.
Con il cuore ingrigito. Sì, perché aveva ancora un cuore, ce l’aveva. Aveva pompato a vuoto per troppo tempo, ma non l’aveva ancora abbandonata.


Judy si mise a sedere sulla cassapanca, a ridosso della finestra, e appoggiò la testa contro il vetro chiudendo gli occhi. Chissà se così il mondo si sarebbe fermato per un attimo intorno a lei, per permetterle di schiarire le idee.
Si sforzò, respirò a fondo per qualche secondo e le parve di riuscirci: sentì il lieve rumore del suo corpo al lavoro, dal respiro lungo le narici alla saliva che scendeva con un rumore liquido lungo la gola, fino allo stomaco che brontolava lievemente e al cuore che batteva.

“Cosa devo fare?” bisbigliò sull’orlo delle lacrime nel silenzio di casa sua, perché conosceva già la risposta.

Mettersi in discussione. Rischiare. Sbagliare. Sentirsi dire “no”.
Ma non poteva andare sempre e solo così, lo sapeva. Cioè, lo aveva sentito dire, anche se non ci aveva mai fatto troppo caso.
Si poteva essere felici con poco, no? Si poteva ridere di se stessi, dei propri errori, ma anche dei propri successi.
Succedeva a tutti da sempre, perché non anche a lei?

Mai un cambiamento in quarant’anni, ed ecco come ci si sentiva anche solo a progettarne uno.


Judy riaprì gli occhi, lanciò un’occhiata al ponte di Brooklyn e silenziosamente si disse che sì, ce la poteva fare.
Riuscì a sorridere, sorpresa: non sapeva di poter ragionare in modo tanto umano e sensato. Non l’aveva mai fatto prima.

Si ricordò di quando, molti anni prima, una sua compagna di college, una dell’alta società di Manhattan come lei, aveva dichiarato scandalizzata: “Oggi come oggi, non capisco come possa ancora esistere la pista pedonale sul ponte! Anche se fossi una turista, col cavolo che percorrerei due chilometri a piedi,  praticamente è impossibile! Diamine, esistono i taxi, paghiamoli quei poveracci che li guidano!”
Quella tipa era particolarmente stupida, ma il suo ragionamento aveva permesso a Judy di mostrarsi superiore a lei e a tutti quelli della sua stessa cerchia.

“Ma perché, scusa? Percorrere il ponte a piedi è possibile, un passo alla volta!”
E poi forse aveva aggiunto che erano 1852 metri e non due chilometri, che inoltre il percorso della Via Crucis ogni anno si svolgeva là… *
Un passo alla volta, era sicura di averlo detto, soprattutto di averlo pensato con una logica e una forza che per un attimo l’avevano estraniata da tutto il suo mondo di eccessi e futilità.

 
Si rialzò in piedi, rasserenata, e mentre iniziava a piovere si voltò per raggiungere il telefono sul mobile vicino alla porta d’ingresso.
Il primo passo lo aveva fatto. Aveva scelto.
Il secondo passo, paradossalmente il più difficile, doveva ancora compierlo.

“Chiama, Judy. Chiama e finiscila. Non hai più debiti e non hai più scuse. Pensaci tu, nessun altro lo farà e lo sai.”

 

“Pronto?”
“Papà. Sono io.”
“Oh, Judy. Allora, hai vinto la causa? Ti avrò lasciato almeno tre messaggi in segreteria.”
“Mi occuperò della causa appena starò meglio.”
“Come sarebbe a dire?”
“Sono incinta, papà.”

 
L’aveva detto. Si stupì ancora una volta. E sorrise.

 
“Come sarebbe a dire?”

Non lo aveva mai sentito così, preso in contropiede. Con una sfumatura di disappunto. Ma non si sorprese, neanche un po’.

“Sono incinta, e intendo tenere il bambino.”
“Judy, non fare questi scherzi con me. E soprattutt-“
“Io terrò il bambino. Diseredami, sbattimi fuori dallo studio, disconoscimi, fa’ ciò che vuoi. Mi conosci, e sai che ho tutto sotto controllo, come sempre. Me l’avete insegnato tu e la mamma. Di questo devo ringraziarvi.”
“Io non credo di capire dove vuoi arrivare, Judy…”

Sarcasmo nelle sue parole. Adesso sì che lo riconosceva.

“Lo sai benissimo dove voglio arrivare. Ci ho messo vent’anni per fare questa telefonata, e ci è voluto un buon pretesto, come hai potuto notare.”
“Già, e lo chiami un b-“
“Non ti azzardare. No, papà, no.
Vi ho ridato tutto quello che vi devo. Non chiederò più nulla. So che anche se lo facessi, non lo otterrei.”
“Bugiarda.”
“No, sto dicendo la verità. E tu stai andando nel panico perché stai perdendo la tua figlioletta da competizione.”
“Mi pare di capire che tu abbia bisogno di aiuto, non di…”
“Lo so io di cosa ho bisogno. Né tu né mia madre lo avete mai saputo. E adesso questa conversazione si chiude qui. Perché prima di tutto ho bisogno di finirla con voi due.”
“Judy, non-“

 

Riattaccò in faccia a suo padre. Suo padre, con cui non aveva mai giocato, scherzato, parlato. Suo padre, che l’aveva sguinzagliata per vent’anni nei tribunali di fronte a cause penali di tutti i tipi.
Per un istante il pensiero andò a sua madre, a come avrebbe potuto reagire alla notizia, ma fu facile figurarsela indignata, snobista e fredda, come sempre.

Avrebbe comunicato la grossa novità, quella importante, alle persone a lei più care. Lea e Morris erano in cima alla lista e di sicuro sarebbero stati felici di diventare “nonni”, di aiutarla a crescere il bambino come se fosse stato loro, come tanti anni prima, quando avevano cresciuto lei, in casa sua.

 
Il resto sarebbe venuto un po’ alla volta, senza troppa fretta, con la consapevolezza del tempo che passava.

Judy si accarezzò il ventre e pensò di sentirsi forte, pronta, finalmente realizzata e libera.

Dopo quarant’anni avrebbe imparato, un passo alla volta, a camminare da sola.

 

 

THE END

 

Note:

*  Le informazioni sul Ponte di Brooklyn sono verificabili su Wikipedia

Il titolo del racconto è tratto da un verso di “Purple rain”, brano di Prince. Nessuno scopo di lucro.

   
 
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