It's time we all reach out for something new
(That means you too)
Davanti alla finestra spalancata sulla città, in piedi, con
le braccia conserte sotto il seno e un’espressione concentrata. Gli occhi
puntavano lontano, al di là del ponte.
Non ricordava di essere mai stata tanto seria in vita sua.
E solo in quel momento le parve una cosa inconcepibile da
constatare.
Si trattava di lei, di una cosa molto importante; il pensiero
non la spaventò, ma le fece alzare la guardia, e addirittura credette di
percepire come uno scatto dentro di sé, un guizzo di prudenza e responsabilità.
I soldi, le agiatezze, un lavoro prestigioso, le
raccomandazioni, una famiglia dal portafogli sempre aperto, un appartamento
pluriaccessoriato per la sua bella vita.
Judy si morse il labbro inferiore con stizza, irritata con se
stessa.
Si decise, per la prima volta, ad essere spietata con se
stessa.
“Hai quarant’anni e guarda dove sei. Stronza egoista
incosciente. Hai fatto proprio un bel lavoro.”
Lo disse ad alta voce al proprio riflesso nel vetro e non
abbassò lo sguardo, anzi, lo indurì ancora di più e sospirò, sollevata.
“Finalmente l’hai ammesso.”
Si accorse che di quella sua vita avrebbe potuto morire, in
tutti i modi possibili ed immaginabili.
La sua coscienza era sempre stata annientata da tutto, da
sempre: a cosa serviva avere rimorsi quando un assegno poteva comprarti un
nuovo obiettivo? E perché restare fermi
a contemplare la felicità quando potevi permetterti il lusso di mille modi per
divertirti?
Con il cuore ingrigito. Sì, perché aveva ancora un cuore, ce
l’aveva. Aveva pompato a vuoto per troppo tempo, ma non l’aveva ancora
abbandonata.
Judy si mise a sedere sulla cassapanca, a ridosso della finestra,
e appoggiò la testa contro il vetro chiudendo gli occhi. Chissà se così il
mondo si sarebbe fermato per un attimo intorno a lei, per permetterle di
schiarire le idee.
Si sforzò, respirò a fondo per qualche secondo e le parve di
riuscirci: sentì il lieve rumore del suo corpo al lavoro, dal respiro lungo le
narici alla saliva che scendeva con un rumore liquido lungo la gola, fino allo
stomaco che brontolava lievemente e al cuore che batteva.
“Cosa devo fare?” bisbigliò sull’orlo delle lacrime nel
silenzio di casa sua, perché conosceva già la risposta.
Ma non poteva andare sempre e solo così, lo sapeva. Cioè, lo
aveva sentito dire, anche se non ci aveva mai fatto troppo caso.
Si poteva essere felici con poco, no? Si poteva ridere di se
stessi, dei propri errori, ma anche dei propri successi.
Succedeva a tutti da sempre, perché non anche a lei?
Judy riaprì gli occhi, lanciò un’occhiata al ponte di
Brooklyn e silenziosamente si disse che sì, ce la poteva fare.
Riuscì a sorridere, sorpresa: non sapeva di poter ragionare
in modo tanto umano e sensato. Non l’aveva mai fatto prima.
Quella tipa era particolarmente stupida, ma il suo
ragionamento aveva permesso a Judy di mostrarsi superiore a lei e a tutti quelli
della sua stessa cerchia.
“Ma perché, scusa?
Percorrere il ponte a piedi è possibile, un passo alla volta!”
E poi forse aveva aggiunto che erano 1852 metri e non due
chilometri, che inoltre il percorso della Via Crucis ogni anno si svolgeva là… *
Un passo alla volta, era sicura di averlo detto, soprattutto di averlo pensato
con una logica e una forza che per un attimo l’avevano estraniata da tutto il
suo mondo di eccessi e futilità.
Si rialzò in piedi, rasserenata, e mentre iniziava a piovere
si voltò per raggiungere il telefono sul mobile vicino alla porta d’ingresso.
Il primo passo lo aveva fatto. Aveva scelto.
Il secondo passo, paradossalmente il più difficile, doveva
ancora compierlo.
“Pronto?”
“Papà. Sono io.”
“Oh, Judy. Allora, hai vinto la causa? Ti avrò lasciato
almeno tre messaggi in segreteria.”
“Mi occuperò della causa appena starò meglio.”
“Come sarebbe a dire?”
“Sono incinta, papà.”
L’aveva detto. Si stupì ancora una volta. E sorrise.
“Come sarebbe a dire?”
Non lo aveva mai sentito così, preso in contropiede. Con una
sfumatura di disappunto. Ma non si sorprese, neanche un po’.
“Judy, non fare questi scherzi con me. E soprattutt-“
“Io terrò il bambino. Diseredami, sbattimi fuori dallo
studio, disconoscimi, fa’ ciò che vuoi. Mi conosci, e sai che ho tutto sotto
controllo, come sempre. Me l’avete insegnato tu e la mamma. Di questo devo
ringraziarvi.”
“Io non credo di capire dove vuoi arrivare, Judy…”
Sarcasmo nelle sue parole. Adesso sì che lo riconosceva.
“Già, e lo chiami un b-“
“Non ti azzardare. No, papà, no.
Vi ho ridato tutto quello che vi devo. Non chiederò più nulla. So che anche se
lo facessi, non lo otterrei.”
“Bugiarda.”
“No, sto dicendo la verità. E tu stai andando nel panico perché
stai perdendo la tua figlioletta da competizione.”
“Mi pare di capire che tu abbia bisogno di aiuto, non di…”
“Lo so io di cosa ho bisogno. Né tu né mia madre lo avete mai
saputo. E adesso questa conversazione si chiude qui. Perché prima di tutto ho
bisogno di finirla con voi due.”
“Judy, non-“
Riattaccò in faccia a suo padre. Suo padre, con cui non aveva
mai giocato, scherzato, parlato. Suo padre, che l’aveva sguinzagliata per
vent’anni nei tribunali di fronte a cause penali di tutti i tipi.
Per un istante il pensiero andò a sua madre, a come avrebbe
potuto reagire alla notizia, ma fu facile figurarsela indignata, snobista e
fredda, come sempre.
Il resto sarebbe venuto un po’ alla volta, senza troppa fretta,
con la consapevolezza del tempo che passava.
Judy si accarezzò il ventre e pensò di sentirsi forte,
pronta, finalmente realizzata e libera.
Dopo quarant’anni avrebbe imparato, un passo alla volta, a
camminare da sola.
THE END
Note:
* Le informazioni sul Ponte di Brooklyn sono
verificabili su Wikipedia