Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: rosie__posie    28/09/2012    5 recensioni
teen!Sherlock e teen!John, ai tempi della scuola.
John aveva notato Sherlock quando una folata d’aria sollevata dal treno in partenza aveva scompigliato i suoi riccioli neri, ricordandogli uno di quei personaggi romantici di cui aveva letto spesso nei suoi libri.
Sherlock aveva notato John per il libro di fumetti che teneva stretto stretto in mano come se fosse la cosa più importante di questo mondo.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Sei riuscito a far cambiare idea a vostra madre? Dimmi che ci sei riuscito.
 
Uno sbuffo annoiato.
 
-Perché se non ci sei riuscito, allora... Accidenti, mio fratello...
 
Un altro sbuffo, se possibile ancora più annoiato del precedente.
 
-La situazione é rimasta invariata. Esattamente come le altre volte che hai chiamato questa settimana-, la voce di Mycroft era pacata e apparentemente disinteressata all'altro capo del telefono.
 
-Oh, andiamo Myc! Sembra tu abbia potere su tutto! Vuoi rifilarmi questa panzana di non averlo su tua madre?
 
Mycroft aggrottò la fronte, cercando di ricordare da quando Harriet Watson si era impossessata di tutta quella confidenza nei suoi confronti.  Probabilmente in un momento imprecisato dopo la quarta telefonata di quella settimana.
 
-Mi dispiace deluderti, Harriet, ma se sei convinta che io sia il Governo inglese avrai una bella delusione.
 
Un sospiro triste lo raggiunse all'orecchio, facendogli provare quasi tenerezza. Quasi.
 
-Nostra madre desidera avere il suo cucciolo vicino. Ha paura di lasciarlo troppo solo.
 
-E che cosa potrebbe mai accadergli?
 
-Potrebbe diventare adulto tutto d’un tratto. Sono sicuro che non devo dirtele io queste cose, Harry-, aggiunse poi, attribuendo alla sua voce un tocco di dolcezza per lui decisamente insolita.
 
-Mhm..
 
-La lontananza li aiuterà a crescere e diventare più forti.
 
-Suppongo si dica così... Esattamente come quando pesti gli escrementi di un cane e ti dicono che porta fortuna-, borbottò la ragazza.
 
Mycroft non replicò. Si limitò ad arricciare le labbra e a grattarsi la punta del naso, sconsolato.
 
 
 
 
 
 
 
Alla signora Holmes non andavano proprio giù i due musetti tristi nell'area check-in della British Airways, uno al suo fianco (sguardo basso, capelli più scarmigliati del solito e continuo tirare su con il naso) e l'altro seduto qualche metro più in là sulle poltrone di finta pelle (sguardo vacuo, dita artigliate al sedile, gambe oscillanti in avanti e indietro).
 
-Ecco le vostre carte d'imbarco. L'Executive Club si trova svoltato l'angolo, poi ancora a destra. Buon viaggio e grazie per aver scelto di volare con British Airways.
 
La signora Holmes sorrise forzatamente alla voce asettica dell'hostess di terra, poi prese il figlio per mano, che stranamente non oppose resistenza, e si allontanò dal banco della first class.
 
-Io... uhm, vado a bere un caffè, tesoro. Tu resta pure qui con John, ci vediamo dopo.
 
E così dicendo scappò via, perché proprio non riusciva a sostenere più a lungo quegli occhioni tristi. Le labbra di John si atteggiarono a un accenno di sorriso quando Sherlock si sedette di fianco a lui. Aprì la cerniera della tasca esterna del suo trolley, ne estrasse un libro (Tutti i racconti del mistero, dell’incubo e del terrore di Poe) e lo appoggiò sulle ginocchia, senza tuttavia aprirlo.
 
-Papà ha telefonato stamattina. A Parigi si soffoca.
 
Il ragazzo più giovane aveva parlato tenendo lo sguardo fisso sui banchi del check-in di fronte a sé. Non aveva proprio il coraggio di confrontare gli occhi di John, ma poi sentì la mano calda cercare la sua e stringerla forte, così forte da infondergli il coraggio necessario per voltarsi.
 
-Non andare però troppo in giro mezzo nudo. Se no le parigine...-, disse, con aria maliziosa e sforzandosi di fare lo spiritoso. Ebbe successo, perché riuscì a strappare a Sherlock un mezzo sorriso.
 
-Non mi salteranno addosso, le parigine!
 
-Io se fossi una parigina lo farei!
 
-Intendi se tu fossi una ragazza o un wafer?-, anche Sherlock voleva fare lo spiritoso, per mitigare la tensione, ma non era granché bravo a fare le battute.
 
-Non meriti neanche una risposta!-, lo canzonò l'altro, stringendo di più la mano. Divennero poi entrambi seri. -Vorrei tanto baciarti...
 
Le gote di Sherlock si imporporarono a quelle parole e lo costrinsero a distogliere lo sguardo.
 
-Mi manche...
 
-No, non dirlo, non dirlo!-, protestò John, sentendo le lacrime salirgli prepotentemente agli occhi. Voltò il capo verso i finestroni, posando gli occhi sugli aerei parcheggiati e quelli che rullavano piano sulla pista. Respirò a pieni polmoni, nel tentativo di calmarsi. -Non dirlo-, mormorò ancora.
 
Rimasero così, a guardare in direzioni opposte ma stringendosi forte le mani, così forte da far male, fino a quando la signora Holmes riapparve di fronte a loro. Aveva i capelli scomposti e una strana luce negli occhi.
 
-Vieni anche tu, John-, se ne uscì tranquillamente la signora Holmes, aggrottando la fronte e arricciando le labbra, la mano stretta al fianco destro avvolto nel pregiato tessuto del suo abito color cremisi.
 
John aprì la bocca per ribattere, senza che uscì alcun suono. Sherlock strinse di più a sé il libro di Poe che si era programmato di leggere in volo, schioccando le dita di una mano come a significare "perché non ci ho pensato io, prima?".
 
-Io... io-, balbettò, colto alla sprovvista. -Adesso?
 
Un misto di stupore, paura e desiderio si dipinse sul volto di John.
 
-Quando sarai pronto. Il tempo di informare i tuoi genitori e di prepararti. 
 
John notò la sottigliezza: informare i genitori, non chiedere loro il permesso.
 
-John! Pensa a tutte le cose che potremmo fare assieme!
 
Gli occhi di Sherlock brillavano di luce propria. Se John ci avesse guardato bene, vi avrebbe visto riflessa la luce del sole, di almeno un paio stelle e magari anche di tutto il firmamento.
 
-Ho un esame quest'anno... L’AS… [1]
 
Gli occhi straniti di John saltellavano invece dal viso di Sherlock a quello della signora Holmes. Da quello ipereccitato dell'uno a quello risoluto dell'altra, senza più capirci realmente un granché.
 
-Le catacombe....
 
-Ci raggiungerai non appena li avrai finiti.
 
-...i gargoyles...
 
--Chiamerò personalmente i tuoi genitori appena arriveremo a Parigi, se la cosa ti può far piacere. Dirò loro che mi prenderò in persona cura di te.
 
-...potremmo persino mettere un lucchetto su Ponteveche...
 
John non aveva la minima idea di ciò che Sherlock stesse parlando; il lieve rossore che si dipinse sulle gote del suo giovane ragazzo alla parola "lucchetto" non gli fu di aiuto. Riusciva solo a pensare che si sentiva un po' travolto da tutte quelle parole. Che non riusciva proprio a immaginare come l'avrebbero presa i suoi genitori. E, beh, anche al fatto che mettere lucchetti su un ponte gli suonava come un rischio di arresto imminente da parte della Gendarmerie. Anche se, doveva ammettere, l’idea di essere ammanettato con Sherlock aveva un certo fascino.
 
-Potrai fermarti un mese, tutta l'estate o quanto vorrai.
 
Il tono della signora Holmes era sempre più risoluto, del tipo che non ammetteva contraddizioni. Esattamente come quello che usava spesso il figlio. D'improvviso, John sentì le dita lunghe di Sherlock cercare le proprie e intrecciarle in una calda stretta che sapeva di rassicurazioni e promesse.
 
-Sarebbe bellissimo, John, se tu mi raggiungessi.
 
Ecco, le paroline magiche in grado di aprire tutte le serrature di questo pianeta! Bastava solo che Sherlock lo chiedesse.
 
-D'accordo, sì. Se i miei acconsentiranno, sì. Grazie-, disse John alla signora Holmes, guardandola negli occhi e sorridendo con fare impacciato. Poi, strinse forte la mano di Sherlock tra la sua, voltandosi meglio verso di lui. -Lo sarà, sarà davvero bellissimo-, gli sussurrò all'orecchio, solleticandogli il lobo con il respiro.
 
-Bene, allora è deciso!-, cinguettò la signora Holmes, impugnando il trolley per la maniglia e accarezzando teneramente il figlio sulla schiena con l'altra mano. -Io inizio ad avviarmi, tesoro. Vi lascio salutarvi in santa pace. Allora arrivederci, John.
 
John seppe solamente annuire nervosamente un paio di volte mentre arrossiva sino alla radice dei capelli.
 
-Allora...-, balbettò nervosamente, una volta rimasti soli.
 
-Allora!-, lo canzonò Sherlock, arricciando le labbra. -Mi accompagni alla security?
 
-Sto morendo dalla voglia di abbracciarti...-, se ne uscì John con un filo di voce, agganciando gli occhi blu in quelli più chiari dell'altro.
 
-Lo so, John. Per questo ti ho appena chiesto di accompagnarmi.
 
Percorsero la rampa mobile con passo svelto, sfrecciando tra gli altri passeggeri come se fossero in procinto di perdere il proprio volo. Poi una svolta. E un'altra svolta. Una seconda rampa mobile seguita da una terza e da un'ennesima svolta.
 
-Di qui!-, sibilò Sherlock, afferrando con forza John per il polso e costringendolo a seguirlo.
 
-Ma la gente sta andando...
 
-Fidati di me.
 
-Ma qui c'è scritto Accesso riservato al personale...-, commentò perplesso John col naso per aria.
 
-Uffa, ti ho detto di fidarti!-, borbottò Sherlock, strattonandolo.
 
-Ok, ok!
 
John gli corse dietro, ridendo e divertendosi come un bambino appena scappato di casa. Il corridoio curvava e sbucarono in un vicolo cieco, dove notarono un'uscita di emergenza e, in un angolo, una rigogliosa pianta sempreverde in un bel vaso rosso. Nessuno in vista.
 
-Eccoci-, comunicò Sherlock fermandosi e lasciando andare contemporaneamente la presa sul trolley da una parte e John dall'altra. 
 
-Non c'è proprio... nessuno...-, commentò John a fatica, il respiro corto, le mani appoggiate sulle ginocchia, la schiena leggermente curva. 
 
-Sbrighiamoci, non abbiamo molto tempo.
 
John si tirò dritto, mentre si raffigurava già davanti agli occhi l'immagine di una guardia della security che li avrebbe colti in flagrante e ammoniti.
 
-Non ho… non ho più fiato. Tra poco... sputo un polmone, Sherl.
 
-Ti ho già detto di non affibbiarmi soprannomi-, borbottò il più giovane, appoggiando una mano sulla spalla del compagno.
 
-Oh piantala! Mi stai mollando qui per otto mesi!-, ringhiò John.
 
-Mhm, allora vedi che ce l'hai, il fiato?
 
John si sentì indeciso se prenderlo a schiaffi o abbracciarlo. Optò per la seconda.
 
-A volte sai essere un po' irritante-, commentò con poca convinzione, schiacciando Sherlock tra le braccia.
 
-Ti mancherò lo stesso?-, gli chiese l'altro, respirandogli sul collo.
 
-Da morire-, rispose John, affondando una mano nel cespuglio di riccioli neri e accarezzando lievemente la cute di Sherlock. Sentì le parole Ti amo salirgli dal cuore, entrargli nella gola ma morirgli di nuovo sulle labbra. Non perché non corrispondessero a verità. Tutt'altro. Amava Sherlock da morire. Avrebbe voluto dirglielo e questo era probabilmente il momento migliore, ma quelle due parole lo terrorizzavano sino al midollo. Improvvisamente, sentì le labbra del suo giovane ragazzo posarsi su quel pezzettino delicato e altamente sensibile di pelle appena sotto il lobo dell'orecchio, per depositarvi un bacio leggero. Lo strinse forte a sé, strofinando il naso contro la tempia dell'altro, mentre una lacrima silenziosa iniziò a rigargli il viso, senza che le avesse accordato il permesso di scendere.
 
-Devo andare, John.
 
Sentì che l'aria gli veniva meno, mentre le sue orecchie furono costrette a udire quelle parole. Ancora un'altra carezza tra i riccioli neri. Non era capace di dire nulla.
 
-Sei in grado di tornare indietro o devo farti una piantina?-, scherzò Sherlock per mitigare la situazione.
 
-Dovrei riuscire a non perdermi-, rispose John, mordicchiandosi il labbro inferiore nel tentativo di non piangere.
 
Sherlock si staccò da lui, eccezion fatta per la mano destra, che cercò la mancina di John per un'ultima stretta. Nessuno dei due stava guardando l'altro negli occhi.
 
-Ricorda, ti aspetto tra due settimane, John.
 
Sherlock lasciò andare la mano di John, sfiorandola appena con il mignolo. Prese il trolley e si avviò verso la security e da lì al suo terminal. Non si voltò mai indietro.
 
 
 
 
 
 
 
-Gradisce una coppa di champagne?
 
La voce vellutata della hostess di bordo penetrò invadente nella testa di Sherlock, mentre teneva gli occhi chiusi e il viso schiacciato contro il finestrino freddo. Sentì la madre ringraziare cortesemente. Annoiato, si tolse le scarpe, aprì la custodia gentilmente offerta dalla compagnia aerea, prese le pantofole che vi trovò all'interno, le indossò e, al loro posto, ci infilò dentro le scarpe. Sbuffò. Due volte.
 
-Smettila, ti stai comportando da bambino. Tanto tra due settimane lo rivedi-, commentò la madre, sfogliando svogliatamente la rivista di bordo.
 
-E se non venisse?
 
-Non contemplo minimamente questa opzione, caro.
 
Il ragazzo reclinò completamente lo schienale ed estese al massimo il poggiapiedi, trasformando la poltrona in un piccolo lettino. Che spreco, per un viaggio di un'ora, pensò.
 
-Ti suggerisco di ascoltare un po' di musica. Distende i nervi. Sui canali dodici e tredici troverai qualcosa di tuo gradimento, Sherly.
 
Sherlock sbuffò, sempre due volte, prima di infilarsi le cuffie e premere il pulsante per scorrere tra i canali audio di intrattenimento. Si fermò al dodici. Musica swing. Il pensiero corse immediatamente a John e a quando avevano ballato assieme. Sentì un calore sconosciuto infiammargli il petto. Stavano suonando Beyond The sea.
 
 
 

Da qualche parte oltre il mare
Da qualche parte, mi sta aspettando
Il mio amore è rimasto sulla sabbia dorata
E guarda le barche che si allontanano



 

Da qualche parte oltre il mare
È la che mi cerca
Se potessi volare in alto come gli uccelli
Poi dritto tra le sue braccia navigherei
È lontano oltre le stelle, vicino oltre la luna
Senza dubbio, lo so
Il mio cuore mi condurrà presto là



 

Ci incontreremo oltre la riva
Ci baceremo proprio come prima
Felici saremo oltre il mare
E mai più salperò

 
 
 
Decise che avrebbe fatto il possibile affinché quella sarebbe stata l'ultima volta in cui sarebbe partito lasciando John da solo. Chiuse gli occhi e reclinò la schiena, lasciandosi abbracciare dalle curve morbide della poltrona di pelle. La musica si arrestò per un secondo, lasciando spazio a un fastidioso gracchiare.
 
-Personale di bordo, prepararsi al decollo.
 
 
 
 
 
 
 
Sono arrivato. Piove. Papà ha mentito. SH
 
Pensavo stessimo all'ambasciata e invece no. Ritz, Place Vendome. Prendi nota SH
 
Quello di Lady Diana, mi dicono. Presumo tu sappia che cosa intendono. Io no. SH
 
Preparati che tra poco mia mamma chiamerà tua mamma. SH
 
Non è una minaccia, è una promessa. SH
 
Tu dovresti rispondere qualche volta. È noioso parlare da soli al telefono. Anche con gli SMS. SH
 
 
 
 
 
 
 
John aveva sentito ogni vibrazione del cellulare rimbombare contro la sua coscia, dalla tasca dei bermuda dove l'aveva riposto. Tuttavia, preso com'era dall'interrogatorio che gli stavano facendo i genitori sul perché e il per come volesse andarsene a Parigi, aveva optato per ignorarli, non senza una certa sofferenza, fino a quando il suddetto interrogatorio non fosse giunto al termine.
 
-Come mai proprio a Parigi? Ma per quanto tempo? Tutta l'estate?
 
-E questa famiglia Holmes? È affidabile?
 
-Beh, se il padre lavora all'ambasciata, lo sarà, caro!
 
La testolina bionda saltellava dal padre alla madre, mentre ogni tanto si voltava per lanciare un'occhiata implorante d'aiuto a Harry, seduta al tavolo della cucina intenta a leggere un libro e ad ascoltare musica con le cuffie. Contemporaneamente.
 
-Non sapevo nemmeno che avessi questo nuovo amico, John.
 
-Tze, "amico"!
 
Questo fu il commento di Harry, che le fece guadagnare un'occhiataccia da parte del fratello. Non era proprio il momento di intavolare con i genitori un'estenuante e difficile conversazione sulla sua identità sessuale. Quello che voleva era solo finire in fretta gli esami e volarsene via a Parigi dal suo... ragazzo. Già il solo pronunciare quella parola nella sua mente lo faceva sentire bene. 
 
Detto questo, lo sguardo di entrambi i genitori si catapultò interessato su Harry, mentre John alzò gli occhi al cielo domandandosi quali santi avrebbe dovuto ingraziarsi per avere un po' di fortuna. Dopo il cielo, gli occhi si posarono sulla sorella, con uno sguardo che sembravano promettere di ricacciarle in bocca il segnalibro appena si fosse avvicinato a lei.
 
-Intendevo... Più che amico gli farà da mentore, essendo John più grande...
 
Harry ricambiò lo sguardo assassino verso il fratello, prima di immergersi nuovamente nella lettura, non senza aggiungere ancora qualcosa: -Sarà un'ottima occasione per migliorare il suo francese...
 
L'idea sembrò piacere alla signora Watson, il cui viso si illuminò tutto come se avesse appena ricevuto la visita di un arcangelo. 
 
-Non hai tutti i torti, Harry. John ne avrebbe proprio bisogno! Quand'è che chiama questa signora Holmes?
 
Fu così che, prima di scapparsene in camera a leggere i suoi messaggi con il cuore in gola, John decise che avrebbe portato a Harriet un bel regalo da Parigi.
 
 
 
 
 
 
 
Ben arrivato! Scusa, non sono riuscito a risponderti prima. I miei volevano sapere per filo
 
INVIO
 
Intendevo: per filo e per segno di te e Parigi. Non ho ancora preso la mano con questo telefono! JW
 
Il Ritz? Che fondoschiena che hai! Certo che so chi era Lady Diana! JW
 
PS. Ma è proprio necessario firmarsi negli sms? Te ne ho già mandati tantissimi, mi costerà una fortuna questo tuo viaggio a Parigi! JW
 
PS2. Ci tengo a precisare che i soldi non sono un problema, pur di comunicare con te spenderei qualsiasi cifra JW
 
 
 
 
 
 
 
Sherlock era sdraiato sul suo letto singolo nella cameretta a lui riservata della suite executive dei suoi genitori, il fresco copriletto di pizzo color crema che gli solleticava le braccia nude. Teneva le mani intrecciate dietro la nuca, lo sguardo rivolto agli stucchi e ai fregi che decoravano il soffitto, probabilmente intento a studiarne lo stile per ricavare il maggior numero di informazioni.
 
Bip.
 
Il cellulare vibrò contro il cuscino. Messaggi di John. Era ora. Si tirò a sedere per leggere meglio, lanciando distrattamente un’occhiata alla portafinestra, da cui si godeva un panorama mozzafiato su Place Vendome. Correzione. Panorama che avrebbe mozzato il fiato a chiunque, tranne ovviamente a lui. Dopo aver letto i messaggi, indugiò con lo sguardo sopra il nome John, così come appariva sul display del cellulare. Era una bella sensazione, leggere quel nome.
 
 
 
 
 
Non è richiesto dal codice firmarsi. Non chiedermi quale codice. Io preferisco farlo. Ci sentiamo stasera, così mi dici che impressione ha fatto mia mamma a tua mamma. Chiamo io SH
 
PS. Dovresti iniziare a comprare una guida turistica di Parigi. E studiartela. Soprattutto gli itinerari meno conosciuti dalle masse. SH
 
PS2. Cosa intendevi dire riguardo al mio fondoschiena? SH
 
 
 
 
 
Mamma è entusiasta di tua mamma. Ha dato l’OK. Inizia a contare i giorni!
 
Perfetto. Inizia a scrivere le X sul tuo calendario SH
 
Come sai del mio calendario e delle X?
 
Banale e prevedibile. Oltre alla guida turistica, leggiti anche I delitti della Rue Morgue di Poe. Ti chiamo dopo. SH
 
 
 
 
 
-Sei andato sulla torre?
 
-Quale torre?
 
-La Tour Eiffel, sciocchino.
 
-Non chiamarmi “sciocchino”.
 
-Non è nell’elenco della parole proibite, ho controllato bene. Due volte.
 
-E invece c’è. Abbiamo concordato per una nuova aggiunta.
 
-E quando l’avremmo concordato?
 
-Domenica.
 
-Ma domenica non ci siamo sentiti…
 
-Problema tuo, John.
 
-Mpf.
 
Pausa di silenzio sconsolato.
 
-Beh, insomma, ci sei andato o no?
 
-Mia mamma ci ha provato ma non ho ceduto.
 
-Allora ci andiamo assieme quando arrivo.
 
Sbuffo.
 
-Se proprio insisti…
 
-Insisto.
 
 
 
 
 
Ho comprato la guida. Me la sto studiando.
 
Forse dovresti studiare altro, non credi? SH
 
C’è una sezione dedicata agli itinerari romantici! Facciamo il picnic negli Champs de Mars?
 
I picnic sono noiosi. Piuttosto, inizia a pensare a quali catacombe vuoi visitare. SH
 
Io vengo alle catacombe solo se tu vieni a fare il picnic al parco.
 
E va bene… SH
 
 
 
 
 
-Sono libero! AS level fatto!
 
-Sai già i risultati?
 
-Tra tre giorni. Comunque io parto lo stesso, in ogni caso. Cosa hai fatto ieri?
 
-Libreria, museo, museo, galleria, cena all’ambasciata. L’apoteosi della noiosità.
 
-Non hai ancora fatto qualcosa che ti piaccia?
 
-Una cosa c’è stata. Un concerto di musica classica all’ambasciata. L’unica che si è salvata.
 
-E le catacombe? Non ci sei ancora andato?
 
-Ovvio che no. Dobbiamo andarci assieme.
 
Silenzio.
 
-John? John, sei ancora lì?
 
-Sì, credo di stare per implodere di dolcezza.
 
-Che cosa significa?
 
-Niente, lascia perdere. A proposito di dolcezza, la guida che ho comprato parla di un bellissimo e gustosissimo itinerario del cioccolato! Potremmo…
 
-Non ci pensare neanche.
 
 
 
 
 
Nella suite dei miei c’è proprio di tutto. Frigobar, TV satellitare, telefono (anche in bagno), frutta, cioccolatini, spazzolini da denti, lettore cd con selezione di cd, pantofole, accappatoi leopardati, preservativi, lubrificante SH [2]
 
CHE COSA?!
 
Devo ripetermi? SH
 
Perché cercavi preservativi e lubrificante?
 
Non li cercavo, mi sono capitati sott’occhio mentre esploravo SH
 
Che cosa esploravi? SH
 
I cassetti dei miei genitori SH
 
Non si ficca il naso nelle cose altrui, Sherlock!
 
Ah no? SH
 
 
 
 
 
-Che cosa stai facendo?
 
-Sto suonando il violino. Mi annoiavo, fuori piove.
 
-Cosa darei per ascoltarti suonare…
 
-Ho comprato delle partiture nuove.
 
-Davvero?
 
-Già, ho trovato una bancarella su Pont Royal che vende vecchi spartiti musicali.
 
-Non vedo l’ora di rivederti con il violino in mano.
 
-Suonerò per te lunedì sera, quando sarai qui, prima che tu vada a dormire.
 
-È una promessa?
 
-È una promessa.
 
 
 
 
 
-Sei agitato?-, chiese Harry, mentre osservava il fratello con la testa immersa nel grande trolley nero della madre, in quanto non possedeva una valigia tutta sua sufficientemente capiente per contenere tutto ciò che voleva portare a Parigi. –Ovvio che lo sei, stai andando dal tuo ragazzo…
 
-Da quando ti rispondi da sola?-, chiese John, sollevando la testa dalla pila di t-shirt che non sapeva bene come sistemare. Harry sbuffò.
 
-Uff, Parigi dev’essere così romantica…-, commentò lei, sistemandosi meglio sul suo letto e incrociando le gambe. John aggrottò le sopracciglia.
 
-E da quando sei diventata romantica?-, domandò, non senza un alone di preoccupazione mascherato nella voce. Harriet fece spallucce, ma John poté quasi giurare di aver intravisto una sfumatura di porpora passare per le sue gote piene.
 
-Piuttosto, ti sei portato tutto?
 
John allungò una mano verso il suo comodino, per prendere la lista delle cose da mettere in valigia. Dette una rapida occhiata alle voci spuntate e alle poche che rimanevano da spuntare.
 
-Mhm, tanto so già che dimenticherò qualcosa-, rispose, con un po’ di sconforto. –Beh, tanto non vado in Uganda, penso di trovare tutto ciò che mi serve a Parigi-, e così dicendo ripose la lista dov’era.
 
-Tshirt? Qualche camicia bella per la sera? Vai al Ritz, qualcuna senza tasche, possibilmente, e non a scacchi. Pantaloni puliti? Guida turistica? Macchina fotografica? Caricabatterie della macchina fotografica? Cellulare? Caricabatterie del cellulare?
 
A ogni parola John annuiva nervosamente, saltellando con lo sguardo dal grande trolley alla piccola borsa da usare come bagaglio a mano.
 
-Qualcosa da leggere in volo?
 
-Sì, i fumetti. E il libro di Poe.
 
-Preservativi?
 
-Pres… cosa?!
 
John sgranò gli occhi e avrebbe volentieri fatto un balzo in piedi, se non lo fosse già stato.
 
-Mhm, capisco, li compri là.
 
-Cosa diavolo dici, Harry?-, chiese, mentre la sua pelle passava attraverso tutte le tonalità del rosso (Pantone, Cartier e affini), –Non li porto, né li compro.
 
John fece uno sforzo sovraumano su se stesso per non pensare ai preservativi e al lubrificante del Ritz.
 
-Non lo vedi da una vita!-, commentò Harriet, stringendosi nelle spalle.
 
-Due settimane, sono solo due settimane!-, protestò John, aprendo e chiudendo le mani a pugno, mentre il rosso non accennava ad andarsene.
 
-E non desideri… ehm… copulare con lui?
 
-Harry, è piccolino…-, rispose John in un sussurro, prendendo posto accanto a lei sul letto. Harry lo guardò con un’espressione dubbiosa, come se volesse dire “Non colgo il nesso”.
 
-È giovane-, ripeté John. Il suo tono si fece ancora più flebile, tradendo una nota di ansia mista a incertezza. –Ho solo voglia di stringerlo al petto, soffocarlo di baci, farmi raccontare ogni minuto e secondo trascorso finora e programmarne altre migliaia insieme. Voglio stargli accanto e allietarmi del suo viso sereno mentre vive ogni nuova esperienza…
 
Gli occhi di Harriet si strinsero in poco più di una fessura.
 
-Smettila, o rischi di farmi venire un attacco di glicemia acuta-, proferì a denti stretti.
 
John sbuffò insofferente.
 
-E in mezzo a tutto questo vorresti dirmi che non vuoi fare l’amore con lui? Non me la bevo, fratello.
 
-Non ho detto che non voglio. Lo desidero sopra ogni cosa, in verità. Solo che è così giovane che ho paura di… spezzarlo, se non rispetto i suoi tempi.
 
Lo sguardo di John vagava lontano e Harriet si fece più seria, iniziando a intuire solo in quel momento il reale stato d’animo in cui versava il fratello. Titubante, gli mise una mano sulla spalla. Erano rare le sue manifestazioni d’affetto in questi termini nei confronti del fratello minore, ma in quel momento Harry sentiva che doveva farlo, che doveva esserci per John.
 
-Arriverà il vostro momento…
 
-Se non mi molla prima.
 
Le parole di John furono appena più di un bisbiglio malinconico.
 
-E perché dovrebbe? Non ha nessun altro all’infuori di te-, gli fece notare.
 
-Proprio perché ha solo me, cosa accadrebbe se mai dovesse arrivare un’altra persona che gli dica quanto sia meraviglioso? Incredibile?
 
Gli occhi di John erano così sconsolati da ricordare quelli di un cagnolino abbandonato. Harry aveva davvero voglia di stritolarlo e sbaciucchiarlo, se non fosse stata troppo imbarazzata per farlo. Si limitò ad aumentare la stretta di fiducia sulla spalla.
 
-Se mai questa persona dovesse arrivare, sono sicura che Sherlock le dirà, con tutta la formalità del caso, “La ringrazio ma non si disturbi a dirmi quanto io sia incredibile; John me l’ha già espresso in ogni possibile variante esistente della lingua inglese”.
 
Il fratello sorrise, appoggiando la sua fronte a quella della ragazza.
 
-Grazie, Harry. Ti devo un favore-, bisbigliò.
 
-Posso accompagnarti in aeroporto, domani? C’è una persona che desidero conoscere.
 
 
 
 
 
 
 
-Ti credevo più basso…-, commentò Harry con aria indagatrice, sporgendosi un po’ in avanti per soppesare meglio il profilo del giovane uomo seduto due poltroncine più in là, nell’area check-in a Heathrow.
 
-E io ti immaginavo vestita da uomo-, sentenziò Mycroft, aprendo il Financial Times davanti al suo viso, senza voltarsi a guardarla.
 
-Che cos’hanno i miei abiti che non va?-, borbottò la ragazza, controllando ciò che aveva indosso: scarpe da ginnastica e calzettoni bianchi di cotone lunghi fino al ginocchio (che aveva indossato all’allenamento di pallavolo), minigonna a pieghe e blusa chiara con cappuccio a maniche corte.
 
-Niente. Ti mancano solo i capelli azzurri e poi potresti anche trasformarti nell’eroina di un cartone animato giapponese [3]-, rispose Mycroft, lanciandole un’occhiata distratta. –Credo non farebbe male neanche a te una gita a Parigi. Magari impareresti a vestirti…
 
-Ha parlato colui che si mette il doppio petto anche con trenta gradi!-, bofonchiò Harry, diventando viola acceso in viso.
 
-Non si sa mai cosa ti riservi la giornata, mia cara. È sempre meglio farsi trovare prontamente eleganti.
 
Harriet trattenne a stento un sorriso divertito, mentre scuoteva il capo. Pensò che le sarebbe davvero piaciuto conoscere il ragazzo di suo fratello, per controllare con mano se fosse strambo quanto il maggiore degli Holmes.
 
-No, non lo è-, disse Myc, quasi conversando con i suoi pensieri, gli occhi sempre incollati sul quotidiano.
 
-Prego?
 
-Sherlock non è strano come me. O meglio-, aggiunse, inclinando il viso da un lato come per ponderare meglio le parole. –Lo è molto di più, ma in modo tutto suo.
 
La testa della ragazza prese a scuotere con ancora più decisione, valutando la bizzarria della famiglia con cui si stava andando a impegolare suo fratello.
 
-Okay, senti, ora parliamo di cose serie-, proruppe all’improvviso, avanzando di un paio di posti per andare a sedere proprio accanto a Mycroft. Gli mise una mano sul braccio, costringendolo ad abbassare il Financial. Lui sbuffò.
 
-Mio fratello ha tanta… no, estrema, paura di volare. Da piccolino, tutte le volte che abbiamo preso un aereo… beh, in effetti sono state solo un paio... comunque, vomitava dal decollo all’atterraggio-, spiegò Harry, accostandosi meglio al viso di Mycroft e bisbigliando come se gli stesse rivelando l’esistenza di piani militari classificati Top Secret.
 
-Hai detto una cosa giusta, ragazza.
 
-Cosa? Che cosa ho detto?
 
-Da “piccolino”. Ora probabilmente sarà diverso. Comunque sta tranquilla: se dovesse vomitare vedrò di sorreggergli la busta di carta e farlo respirare per bene-, risposte Mycroft, sarcastico. Quindi, alzò di nuovo il quotidiano di fronte a sé, ma di nuovo Harry gli abbassò il braccio.
 
-Intendevo semplicemente dire: fai in modo che non gli accada nulla. I nostri genitori non ti hanno mica sottoscritto una dichiarazione di affido per niente-, ribatté Harry, indicando il taschino della giacca di Mycroft.
 
-Non ho intenzione di tradire tutta questa fiducia che la famiglia Watson ha riposto nella mia persona. Ma, dimmi, come mi dovrei comportare in caso ci sparassero addosso un missile terra-aria?
 
Harry sgranò gli occhi e impallidì, mentre Mycroft ridacchiava per l’effetto provocato dalla sua battuta.
 
-La selezione di fumetti che avevano da WH Smith faceva un po’ pena…-, John si materializzò di fronte a loro, con un fumetto in una mano, un bicchiere formato large di Coca-cola nell’altra e la borsa nera da viaggio a tracolla. –Di che cosa parlavate?
 
Se era nervoso, non lo dava minimamente a vedere.
 
-Tua sorella è preoccupata per come affronterai il volo-, spiegò Mycroft, tornando finalmente ad affondare gli occhi nel giornale.
 
-Tranquilla, Harry, non sto partendo per l’Afghanistan!-, scherzò John, sedendosi di fianco a lei e infilando il fumetto tra i denti. Appoggiò la Coca sul sedile accanto e iniziò a trafficare con la borsa per rimettere via il portafogli. –Non ancora, almeno-, aggiunse, muovendo appena le labbra.
 
-Come sarebbe a dire “non ancora”?-, proruppe Harry, che stava inaspettatamente iniziando a sentire gli effetti dell’imminente distacco fraterno.
 
-Stavo scherzando, Harry.
 
-Tu scherzi, ma questo qua…-, indicò Mycroft con il pollice, il quale alzò perplesso un sopracciglio alle parole “questo qua”, -…mi ha parlato di missili terra-aria!
 
-Missili?-, ripeté John, le mani ancora sulla borsa. Ora sì che iniziava a innervosirsi.
 
-Pensavo fosse superfluo specificare che si trattava di una battuta, ma evidentemente mi sono sbagliato-, borbottò Mycroft, ripiegando il giornale con meticolosità estrema e alzandosi. –Credo sia giunto il momento di incamminarci, John. Ti aspetto ai controlli della security. Arrivederci, Sailor Moon!
 
-Diceva a me?-, chiese Harry, basita, mentre osservava Mycroft prendere l’ombrello e allontanarsi con tutta la calma di questo mondo.
 
-Sì, diceva proprio a te, Harry-, convenne John, sorridendo.
 
Una piccola pausa di silenzio.
 
-Bene, okay, è giunto il momento per te di andare…
 
Si alzarono. La ragazza prese a sistemare nervosamente la tshirt bianca e grigia stropicciata dei Ramones che indossava il fratello quella mattina.
 
-Mi raccomando, non fare nulla che io non farei! E vedi di tornare… il più tardi possibile.
 
Harriet tirò su col naso e John fu mosso dal desiderio di abbracciarla forte a sé.
 
-Farò il possibile, te lo prometto!
 
-Giurin giuretta?-, chiese lei, il viso schiacciato contro la spalla del fratello minore.
 
-Giurin giuretta-, promise John, scompigliandole i capelli ricci in una sorta di carezza di saluto. –Ehi, non rovinarmi la maglietta!
 
-È già tutta sgualcita… non potrei fare molto di più-, Harry soffocò una risata triste.
 
-Te l’ho già detto, non sto partendo per la guerra. Sto solo andando a trovare… la mia persona cara-, mormorò John.
 
-Lo so, ma tornerai diverso.
 
-Diverso come?-, John aggrottò sorpreso la fronte.
 
-Più maturo. Più innamorato. Più desideroso di vivere la tua vita, insomma.
 
La mente di John non fu capace di articolare una risposta, mentre rimase un attimo a ponderare in silenzio quelle parole.
 
-Devo andare, ora. Mycroft sarà già abbastanza irritato per l’attesa.
 
Harry tirò nuovamente su col naso.
 
-Mandami un SMS quando atterri.
 
-Un SMS? Hai comprato un cellulare anche tu?
 
-Ce l’ho già da un po’, fratello!
 
-Ma mamma e papà lo sanno?
 
-Sparisci!-, sentenziò Harry, soffiandosi il naso con un fazzoletto azzurro di stoffa leggera. John si chinò per lasciarle un bacio veloce sulla tempia.
 
-A presto, sorella, e sta tranquilla.
 
-Au revoir!
 
Gli occhi di Harriet seguirono fin dove le fu possibile la figura di John che si affrettava lungo le rampe mobili.
 
-Au revoir-, mormorò ancora, fra sé e sé.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:  [1] AS Level, un esame dell’istruzione secondaria inglese previsto da alcune scuole, all’età di 17 anni. [2] Non so dirvi se il Ritz offra tutte queste cose, ma per esperienza personale posso dirvi che ci sono al The Argonaut di San Francisco (tranne il telefono in bagno) ^__^. [3] Perché mi immagino la “mia” Harriet come Kaname Chidori di Full Metal Panic.
 
E…. il prossimo capitolo dovrebbe essere finalmente l’epilogo. So, stay tuned!
 
 
   
 
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