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Autore: Nika L Majere    13/04/2007    11 recensioni
"Le piccole mani raggiungono il muro, dall’intonaco bianco un po’ screpolato. E il bambino urla, come se quelle parole dovessero riecheggiare nell’eternità. “TANA LIBERA TUTTI!!”" ATTENZIONE Spoiler del vero nome di L e della puntata 25/capitolo 58 del manga
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Quel bambino ha cinque anni

Quel bambino ha cinque anni. Due occhi vispi, di chi non si fa scappare nulla.

Il corpo esile, le spalle un po’ curve e le gambe agili, pronte a scattare verso l’ignoto.

Ma ora non corre. Se ne sta appoggiato al muro ad osservare in silenzio gli altri bambini giocare. Fermo in attesa.

Sa che è diverso.

Sa anche che è per questo che molti lo evitano.

Quello che non sa è che “molti” non sono “tutti”.

“Ciao! Ti va di giocare a nascondino con noi?”


Gli era sempre piaciuto osservare.

Rimanere ore ed ore immobile a scrutare ogni singolo elemento, movimento, sfumatura.

Osservare era la cosa che gli riusciva meglio. Osservare e analizzare.

Aveva imparato a decifrare ogni cosa, ridurla in elementi essenziali, numeri e dati. Sembrava quasi che anche i sentimenti per lui avessero un algoritmo ben preciso.

Quegli occhi profondi sembravano essere stati creati apposta per cercare. E trovare. Soprattutto trovare.

Lui era il silenzioso spettatore della vita altrui. Come colui che osserva un quadro e sa spiegare con precisione perché lì, nell’angolo in basso a destra, l’autore abbia voluto piazzarci una brocca colma d’acqua cristallina, piuttosto che una mela marcia.

Come un quadro.

Non un palco. Non un teatro.

Il teatro è coinvolgimento. Nel teatro ti commuovi, ti incazzi, ti diverti.

Un quadro è muto. Volendo può essere anche discreto. Puoi decidere se vederlo o meno. Mentre in teatro devi vedere. E devi anche sentire.

Ma lui non era fatto per il coinvolgimento. Lui era portato per la critica chiusa solo a se stesso.

Un quadro era decisamente meglio.

Gli era sempre piaciuto osservare.

Perché l’atto di osservare non necessita di un contatto fisico. Quello gli piaceva un po’ meno.

Forse perché prima di ricevere una carezza si era preso tante di quelle botte che il solo ricordo gli faceva male. Dentro. Gli ricordava la sua diversità.

L’infanzia che in realtà non aveva mai avuto.

Le manate e le parole di scherno. Le risa che non ridevano mai con lui. Che forse ridevano per il suo strano modo di camminare, oppure per non averlo mai visto mangiare un boccone di carne, o magari per quel suo particolare modo di sedersi. O che più semplicemente erano un modo come un altro per proteggersi da quel bambino, capriccioso come tutti i bambini, ma più inquietante.

Un qualcosa che non era mai riuscito a capire appieno, ma sapeva che semplicemente doveva essere così. Anche se era terribilmente ingiusto.

Gli era sempre piaciuto osservare.

Perché così il suo mondo rimaneva distante, non veniva intaccato da estranei. Perché così non poteva rimanere ferito.

E soprattutto non provava rimorso quando feriva.

Il suo lavoro era ferire la gente. Farla sanguinare per poter scavare in profondità nelle loro anime e così trovare le risposte che cercava.

Farle male.

Forse era una sorta di vendetta trasversale.

Ferire, ma non venir ferito.

Per questo faceva in modo di non aver bisogno di nessuno. E, se proprio ne aveva bisogno, cercava di starci il più lontano possibile.

Senza rendersi conto che così facendo non aveva solo allontanato gli altri: da solo, si era costruito intorno un muro e ci si era imprigionato dentro.

Fino ad ora questo era andato bene così.

Fino ad ora…

Ma ora quel suo mondo isolato gli faceva male.

Il non potersi fidare di nessuno. Non poter guardare in faccia una persona e poter pensare: è un volto amico.

Il non poter dire: guardatemi, sono io colui che combatte per voi.

Sarebbe potuto scendere in strada in quello stesso momento, proclamando a piena voce di essere il famoso detective che tutti considerano come il più geniale al mondo. E chi gli avrebbe dato ragione?

Ora che si era plasmato come l’ombra di se stesso, chi avrebbe potuto riconoscerlo come ciò che era veramente?

Indossare un nome diverso per ogni diversa occasione. Non essere mai l’immagine vera, ma solo il riflesso. Nemmeno una maschera: può essere tolta e sotto rivelare l’essenza vera.

Ma lui era solo l’uomo che stava dall’altra parte dello specchio. Senza che nessuno si fosse specchiato.

Era solo una grande lettera nera nel bianco virtuale di uno schermo.

Era solo una voce modificata che a nessuno piaceva sentire.

Era solo…

Era solo e basta.

E questo era triste.

L’avere costantemente gente intorno glielo stava dimostrando con una semplicità disarmante.

Maledetto il giorno in cui aveva deciso di mostrare il proprio volto.

Così adesso la copertura era saltata, la protezione scalfita.

Ma soprattutto, il muro di carte crollato.

E quegli occhi profondi, che sembravano essere stati creati apposta per nascondere, risero.

Sinceramente.

Come mai avevano riso in vita loro.


Quel ragazzo ha da poco compiuto venticinque anni.

Giace in silenzio, tra lenzuola bianche. Le spalle rilassate, il volto disteso.

E gli occhi chiusi. Non potranno più mentire da ora in poi.

La partita è finita. Forse ha perso, forse no. Queste cose ora non contano.

Perché dentro di lui il bambino continua a correre.

Corre come se i polmoni dovessero scoppiargli nel petto. Il respiro bruciante, le gambe dolenti.

E là in fondo il traguardo della sua folle corsa.

Le piccole mani raggiungono il muro, dall’intonaco bianco un po’ screpolato. E il bambino urla, come se quelle parole dovessero riecheggiare nell’eternità.

“TANA LIBERA TUTTI!!

E il bambino ride.

Sì, ora sono tutti liberi.

Anche tu lo sei, Lawliet.




Parole dall’Autrice

Questa fic non è nata di getto.

Mi sono venuti in mente flash e frasi senza un ordine ben preciso e mi sono ritrovata a doverle incollare su un foglio bianco per riuscire a dar loro una forma. Forse è per questo che a me sembra così strana.

È stata una sorta di auto esorcismo. Perché dopo aver visto la 25^ puntata non sono più riuscita a dormire per tre notti di fila.

Anche se avevo già letto il manga e sapevo perfettamente quello che sarebbe accaduto, la mia debole psiche non ha retto.

Lo so che può sembrare assurdo attaccarsi così tanto ad un personaggio, ma ciò che è avvenuto mi sembrava, e tutt’ora mi sembra, così ingiusto che mi ha fatto veramente male rivedere quelle scene.

Il personaggio di L è uno dei più difficili da capire e per questo credo sia meraviglioso e inquietante al tempo stesso. Forse è più demoniaco di quanto non sia Kira.

Adorabile.

Mi mancherai da morire.

  
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