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Autore: Diletta8    30/09/2012    1 recensioni
george, vecchio vedovo, cerca disperatamente l assassino della moglie eleonora
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Ricordava bene il volto della propria moglie, ricordava tutto di lei, la sua voce soave, i suoi occhi che nascondevano una vita tranquilla, le sue mani affusolate poggiate sul pianoforte che creavano melodie meravigliosi.

Ma dell’assassino che l’aveva uccisa non sapeva nulla, non un piccolo dettaglio che potesse aiutarlo a capire chi fosse, neanche la polizia ne conosceva il volto. Possedeva solo un indizio trovato sul luogo del delitto, forse non inutile: una medaglia sulla quale era incisa la data della Prima Guerra Mondiale, una medaglia americana. L’uccisore probabilmente aveva lavorato come dottore delle truppe americane.

Nonostante tutto George continuava a cercare l’assassinio, sospettava chiunque, chiedeva a tutti di raccontargli la loro vita e alcune volte era poco interessato a queste storie che sfociavano su altri argomenti e cominciava a chiedersi come avesse reagito davanti all’assassino di sua moglie, dopo anni comprese che cercava la vendetta, voleva ucciderlo. Aveva sofferto molto per la mancanza della sua amata e questo condizionava la vita quotidiana. Passarono giorni, mesi, anni e George continuava a cercare l’assassino dietro gli occhi della gente, alcune volte si illudeva di averlo trovato, ma quando comprendeva di aver torto, rimaneva deluso e si frustrava l’anima al pensiero di essere lontano dal suo desiderio più grande.
Spesso parlava con l’amata, urlava frasi al cielo sperando che lei potesse sentirlo, una volta parlando con lei le disse: “te lo giuro Eleonora, amore mio, su questa terra che calpesto, su questo vento che arriva fin da te, su queste nuvole che ci dividono, che quando il tuo assassino si presenterà a me io, con queste mani, lo ucciderò.”

Nel 1933 George di accorse di essere diventato troppo vecchio, forse troppo per cercare l’assassino, ma nonostante tutto non si arrese, aveva fatto un giuramento e intendeva mantenerlo.
La sua casa gli ricordava la moglie: in ogni cigolio delle finestre, in ogni angolo, in ogni parete lei c’era e questo, dopo qualche tempo, finì per infastidire George che si arrendeva ogni notte all’incubo del corpo della propria moglie steso a terra, morto e l’assassino li davanti, senza espressione, senza un vero volto.

Si trasferì per qualche giorno a Washington da un vecchio amico conosciuto nel 1919, quando lo guarì da una grave ferita di guerra. Questo si offrì immediatamente di ospitarlo. Gli sembrò strano trasferirsi da una casa così  silenziosa a una contenente una grande famiglia, ma tutto sommato non gli dispiaceva, anzi, provava un po’ di invidia nel vedere tanto amore mentre nella sua vita gli era stata tolta la sua gioia più grande.

Dopo qualche settimana, durante la notte, sentiva il bisogno di parlare con la moglie, di dirle che le mancava, che quando l’avrebbe raggiunta le avrebbe promesso amore eterno. Nel buio inciampò tra i comodini e cascò a terra insieme a una grande e maestosa libreria, dei fogli gli coprirono il viso. Accese velocemente la luce e vide i libri che, precedentemente, erano stati poggiati ordinatamente su una meravigliosa libreria di legno lavorato, rimise tutto in ordine, preferiva non dare problemi in una casa che non gli apparteneva. Solo un diario rimase a terra, la curiosità di George si fece sentire tanto da farsi spazio tra le idee che gli oscuravano la mente. Prese il diario e lo sfogliò, dopo pochi secondi notò la data sulla copertina, l’anno era quello della morte della moglie, ma non ci fece molto caso. Aprì il diario in una pagina a caso, vi era scritto: “Ero ubriaco, non era colpa mia. Quella pistola perché l’avevo? Ero uscito dalla riunione dei dottori della Grande Guerra, finalmente era finita e dovevamo brindare, noi che avevamo salvato la vita a tanta gente invece di ucciderla. Uscito da li avevo bevuto molto, mi girava la testa e avevo allucinazioni ogni secondo, caddi a terra e quella donna si chinò verso di me per aiutarmi, ma lo ripeto ero ubriaco e non capivo, infatti estrassi la pistola e sparai, un colpo e il suo corpo a terra, morto, freddo. Presi la carta di identità, c’era scritto: Eleonora Smit. Non sapevo chi fosse e il dolore e il pentimento dell’azione compiuta mi oscura l’anima.  Solo la mattina seguente mi accorsi veramente di ciò che avevo fatto, lo raccontai a mia moglie, inizialmente sembrò sconvolta, in seguito, quando le confessai di volermi suicidare, iniziò ad essere comprensiva e mi fermò. Mi pento tutt’oggi e il dolore della morte di quella donna ancora lo sento”.

George rimase immobile, la sua vita ora era completa, poteva entrare nella camera dell’assassino, ucciderlo, ma i suoi occhi rimasero su quelle parole: mi pento tutt’oggi. No, non l’avrebbe ucciso e l’avrebbe detto immediatamente alla moglie, si sdraiò sul letto e, osservando il cielo dalla finestra, disse: “Mia amata che la mia vita ha cambiato, adesso io mi rivolgo a te e ti chiedo di sciogliere il mio voto. Per anni ho cercato il tuo assassino, per anni volevo farlo pentire dell’azione compiuta e ora mi accorgo che il mio intervento sarebbe inutile. Nella mia mente è passato il desiderio di togliergli la vita, ma la sua pena l’ha scontata, davvero. So che vorresti essere vendicata, vorresti vedermi ucciderlo. Ma ho visto una famiglia felice alla quale non voglio portare dolore, hanno un figlio piccolo che non potrebbe crescere senza un padre. Non avrei mai immaginato che ti avrei detto le seguenti parole poiché il desiderio di ucciderlo era molto, ma mi dispiace, non ci sono riuscito.”
  
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