Non avevo mai creduto qualcosa di simile potesse accadere. Finchè qualcuno mi disse “Tutto è possibile, basta crederci.”

 Just the beginning
 
Apro gli occhi. La prima cosa che vedo sono i sottili raggi di sole, che fanno di tutto pur di entrare in casa. Non capisco perché abbiano scelto proprio QUESTA casa per brillare tutto il giorno.Ci sono tante belle ville in giro, con giardino e piscina, grandi e maestose. Eppure i raggi più belli entrano sempre qui, in questa casa vecchia e diroccata, facendosi spazio tra i ricordi e le sofferenze. Non è nemmeno casa nostra.
 
Scosto le coperte. Brr, che freddo. Il mio pigiamone di pail non basta a combattere il gelo primaverile del Canada. Scendo dal letto con fatica, e striscio rumorosamente le ciabatte per terra. Sto per crollare dal sonno.
Mi trascino verso la cucina sbadigliando; per fortuna in pochi passi ci si arriva. È così piccola casa nostra… quando mamma invita qualcuno, sembra di soffocare.
Sono in cucina, sto morendo di fame e mi metto a frugare disperatamente nel frigo. “Mamma, dov’è il latte?” Mamma sbuca dalla camera-soggiorno. “Justin, non è un po’ presto per svegliarsi? Lo so che sei agitato, ma sono le cinque e mezza, e la competizione è stasera, tesoro.” “Mfbm, non importa, mamma. Devo prepararmi e ho fame” Avevo la bocca impastata di sonno e…oddio, sembrava avessi appena mangiato un gatto morto. “Va bene, come vuoi. Il latte è nella dispensa.”
Mi trascino a forza fino alla dispensa, vuota come sempre. Però c’era il latte. Mamma sbuca nuovamente alle mie spalle. “Justin, ora vado al lavoro. Tornerò poco prima di pranzo, ciao amore.”
Di nuovo. Dio, quanto amavo mia madre. Si faceva in quattro pur di non farci finire per strada. Due lavori: uno di mattina, uno di pomeriggio. Tutti i giorni, ed ogni tanto pure gli straordinari. Tipo oggi. “Va bene mamma, ti voglio bene. A dopo” Era tutto quello che riuscivo a dire. Sento la porta chiudersi, piano. Sono solo, ho qualche ora per rendere mamma felice. La colazione può aspettare.
Corro in cantina. C’è la chitarra di Paul, uno dei più grandi amici di mamma. Sono bravo a suonare la chitarra, e dato che oggi è sabato e non ho nulla da fare, imparerò ‘I’ll be’.
Prendo in mano la chitarra; che meraviglia l’odore della musica. Apro lo spartito e appoggio le dita sulle corde. Quanto vorrei averne una mia. Mi sembra di essere nato per questo. … “And I’ll be... your crying shoulder, I’ll be love suicide. And I’ll be better when I’m older... I’ll be the greatest fan of your life.”. Amo questa canzone. Passano le ore, sono quasi le otto un quarto, penso che possa bastare. Ho imparato gli accordi più difficili e l’intonazione. Grazie mamma, per avermela fatta ascoltare tante e tante volte. Sono pronto. Appoggio delicatamente la chitarra per terra e corro in camera. Tolgo il pigiama, e mi infilo una felpa rossa e dei pantaloni neri. Un cappellino in testa e ai piedi dei calzini verde chiaro e viola. I miei portafortuna. Ora l’ultimo tocco. Un paio di Adidas ai piedi; un po’ rovinate, con qualche buco. Vissute, ma comode.
Vado in cucina, scrivo un biglietto in caso mamma tornasse presto. “Mamma, sono uscito. Se non mi vedi non ti preoccupare, torno per pranzo.”. Torno giù a prendere la chitarra. Prendo le chiavi. Apro la porta, esco e richiudo. Faccio il primo passo. Annuso l’aria, sa di primavera. “BUONGIORNO MONDO!” urlo. Oggi è il giorno perfetto per rendere mamma fiera di me. Mi avvio lentamente verso colui che mi farà compagnia nelle prossime ore. Il secondo gradino dell’Avon Theatre.