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Autore: Queenofsockpuppets    02/10/2012    1 recensioni
"Tavoli rovesciati e sedie marcie giacevano a terra, gonfiati dall'umidita': in un angolo Clara riuscì a scorgere il cadavere di un gabbiano su un letto di cocci di vetro, schiantatosi contro una delle finestre che era andata in frantumi."
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Secondo me non hai le palle per farlo" la schernì Federica, fissandola con aria di sfida.
"Questo é poco ma sicuro" ribatté Clara, facendo trapelare una nota di nervosismo nella sua voce.
"Non sono un uomo.".
Federica fece una smorfia di disgusto: "Cos'é, la fiera della battuta squallida?" la provocò, fissandola sempre con i suoi critici occhi azzurri.
"Perché non ci vieni anche tu?" le chiese Clara, speranzosa. 
L'amica scosse il capo con veemenza.
"No" rispose, categorica: "Io il mio tesoro l'ho già preso" aggiunse cavando fuori dalla borsetta il cappuccio di uno stick di rossetto su cui era inciso qualcosa che il tempo aveva reso illeggibile. 
Clara guardò con invidia quella che era la prova del coraggio della sua migliore amica, che era riuscita ad entrare nel relitto della vecchia nave da crociera che giaceva circa a trenta chilometri dall'isoletta dove abitavano: nessuno sapeva da dove fosse arrivata, né cosa l'avesse fatta arenare proprio lì, in mezzo al mare. 
I vecchi dell'isola raccontavano di averla vista arrivare alla deriva un giorno di vent'anni prima, così dal nulla.
Di più non sapevano dire. 
Di certo c'era che era una nave da crociera straniera spaventosamente grande che per qualche oscuro motivo si era fermata in mezzo al mare: questo arcano fu per metà risolto da una squadra di rimorchiatori che salì a bordo e constatò via radio che vi era una grossa falla nello scafo in corrispondenza della sala macchine e che non c'era nessuna traccia dell'equipaggio né dei passeggeri, prima di svanire nel nulla.
Dei sei uomini che entrarono nella nave quel giorno non ne uscì neanche uno, e la gente dell'isola cominciò a tenersi a distanza da essa, sostenendo che fosse maledetta.
Alcuni sostenevano che fosse stata infestata da un demone marino che aveva spinto i passeggeri ad uccidersi a vicenda, altri affermavano che venisse addirittura dal triangolo delle Bermuda o da uno squarcio temporale.
Maledetta o no, la nave era diventata comunque rapidamente la principale attrazione turistica dell'isola: pescatori e facoltosi attrezzavano alla meglio barconi per condurre i curiosi alla "nave fantasma", così ribattezzata dagli isolani, che per tenere viva la leggenda sostenevano continuamente di aver visto luci accendersi a bordo, gente gironzolare sul ponte o di aver udito una musica da ballo provenire da prua.
I ragazzi dell'isola ci andavano a nozze, e si bevevano quelle storielle avidamente, ripetendole arricchite di particolari raccapriccianti ai più piccoli, per terrorizzarli: questo era uno dei passatempi preferiti.
L'altro consisteva nel riuscire a salire sul relitto, rimanerci per almeno dieci minuti, prendersi un "ricordino" e scendere: era questa la massima prova di coraggio, in grado di farti guadagnare il massimo rispetto dall'intera comunità giovane dell'isola, bulletti e ragazzi fighi compresi.
In quegli anni solo quattro ragazzi ci avevano provato, compresa Federica, e tutti avevano riportato a terra un reperto diverso, simbolo del rispetto a loro dovuto dei mocciosetti e dei cacasotto che avevano paura di salire su di un povero piccolo innocente relitto scricchiolante. 
Ora Federica (che era sempre stata, come Clara, una sfigata) era adulata da tutti, persino dai ragazzi più grandi, che la soprannominavano "palle quadre": tante volte Clara passava i sabato sera seduta con il mento fra le mani seduta al tavolino del bar, all'ombra della sua migliore amica che ogni volta ripeteva la storia della sua impresa, e ogni volta vi aggiungeva un particolare nuovo. 
Tutti la ascoltavano rapiti, pendendo dalle sue labbra, i più grandi le davano passaggi in macchina e le offrivano da bere, i piccoli correvano a procurarle sigarette o gomme da masticare non appena schioccava le dita.
Clara,rosa dall'invidia, aveva pensato che non ci sarebbe voluto nulla a diventare come lei, una sfigata niente cervello e tutte palle che aveva arraffato un pidocchioso tappo di rossetto marcio da un relitto puzzolente.
Così quella sera aveva insistito perché Federica prendesse la barca dei suoi genitori e la portasse fino alla nave: andandoci di notte raddoppiava la difficoltà e, di conseguenza, la popolarità.
Vista dalla barca la nave pareva veramente mastodontica, un gigante triste e arrugginito, color marrone rossiccio e con la prua mezza sprofondata nel nero inchiostro del mare notturno.
Cozze, conchiglie, alghe e patelle incrostavano mezzo scafo, quasi coprendo la scritta color bianco stinto che risaltava in mezzo alla ruggine, "Searider", di cui ciascuna lettera era alta almeno tre metri.
Per salire a bordo i ragazzi avevano arrangiato delle carrucole collegate ad una speciale imbragatura: c'era quindi bisogno di un compagno che ti issasse su fino al parapetto del ponte di prua, dove potevi contare solo sulla forza delle tue braccia per scaraventarti dall'altra parte.
Se non ce la facevi volavi giù per trenta metri, fino a cadere in mare se ti andava bene, sulla tua stessa barca se ti andava male, e il tuo compagno se ne stava a penzolare per aria al tuo posto, senza imbragatura e attaccato solo alla corda. 
Era già successo.
"Allora" disse Federica mentre le allacciava le cinghie.
"Se vuoi tornare indietro questo è il momento".
Clara ci pensò un pò su, maledicendo l'amica e le sue proposte allettanti dell'ultimo minuto.
"No" rispose infine,con aria di sufficienza.
"Brava" le disse Federica,con aria tronfia.
"Lo sapevo che non ti saresti fatta spaventare dalle chiacchiere di quattro marinai superstiziosi. Non c'e' nulla di cui aver paura: è solo un vecchio relitto. La maggior parte dei rumori sono di assestamento. Quella vecchia bagnarola potrebbe affondare da un momento all'altro,non certo stanotte, ma comunque... questa è l'occasione giusta per dimostrare a tutti che non sei una sfigata puzzolente." Continuò.
Clara annuì, cercando di convincersi che le parole dell'amica erano vere, quando all'improvviso le chiese: "Ma tu non hai visto niente di strano quando sei salita lassù, no?".
"Che intendi dire?" rispose Federica, fulminea.
"Intendo dire... niente" si affrettò a concludere Clara: non voleva sembrare stupida agli occhi della sua migliore amica.
"Ascoltami Clara" le disse, fissandola.
"Non c'è niente lassù. Mi segui? Solo ombre e qualche rumore sinistro. Dopotutto questo schifo è mangiato dalla ruggine,no? E sta pure affondando, quindi..." si interruppe a metà, volgendo lo sguardo in alto verso il ponte.
"Ora vai" concluse, iniziando a issarla.
Clara avrebbe voluto ribattere, ma non lo fece: rimase a guardare Federica e la sua barca rimpicciolirsi nel buio.
Quando finalmente vide il bordo del parapetto vi si lancio' contro e si issò con tutte le forze che aveva, lanciandosi oltre e atterrando con un tonfo sordo sul pavimento di legno marcito.
Si alzò in piedi spolverandosi i jeans e guardò in basso per cercare Federica e la sua barca.
"Tutto a posto?" le grido' lei da sotto.
"Sì" rispose Clara.
"Se volessi scendere in fretta allacciati bene, non pensare di buttarti giù dalla nave in nessun caso" le raccomandò l'amica.
"Va bene. Ora vado. Sono giù fra dieci minuti" la rassicurò lei.
Si voltò verso il portellone a tenuta stagna che dava l'accesso all'interno della nave, ravviandosi i capelli e chiedendosi perchè avrebbe dovuto aver voglia di scendere in fretta.
Con uno sforzo sovrumano riusci' ad aprire la valvola arrugginita e fece il suo ingresso in un lungo ed angusto corridoio buio, maledicendo subito il fatto di non essersi portata dietro una torcia. 
Proseguì a tentoni fino ad arrivare ad un grande salone scarsamente illuminato dalla luce blu della luna che entrava a fatica attraverso i vetri sporchi dei grandi finestroni a cui qualcuno aveva strappato le pesanti tende sudicie color senape.
Tavoli rovesciati e sedie marcie giacevano a terra, gonfiati dall'umidita': in un angolo Clara riuscì a scorgere il cadavere di un gabbiano su un letto di cocci di vetro, schiantatosi contro una delle finestre che era andata in frantumi.
Si diede una rapida occhiata intorno, alla ricerca di qualcosa di interessante che avrebbe potuto portarsi via, ma non trovò nulla che valesse la pena intascarsi.
Intorno a lei la nave continuava ad assestarsi, poteva sentire gli scricchiolii e, in lontananza, lo scoppio di qualcosa.
Diede un'occhiata al suo orologio: mancavano sette minuti.
Notò che sul suo braccio i peli si erano rizzati: era assurdo, dato che lei non aveva nessun motivo per essere terrorizzata.
Come aveva detto Federica, quello era solo un relitto abbandonato, completamente deserto.
O no?
Impedì alla sua mente di fantasticare oltre e si costrinse a proseguire, fino ad arrivare ad un corridoio costeggiato da porte: le cabine dei passeggeri.
Entrò in una delle camere, chiudendosi la porta alle spalle.
Con sua somma gioia trovò una montagna di oggetti che avrebbe potuto prendere: l'intera stanza ne era costellata.
Sul piccolo lettino stava una valigia aperta, piena di vestitini infiocchettati che avrebbero potuto essere di una bambina: il mobile nell'angolo era pieno di gioielli, ninnoli, catenine, uno specchietto, boccette di profumo.
I cassetti erano stati aperti e svuotati per terra, e il loro contenuto giaceva sparso tutt'intorno: calze, mutande, fazzoletti ingialliti dal tempo.
Controllò ancora nervosamente il suo orologio: tre minuti.
Sembrava che chiunque si fosse trovato a bordo avesse cercato di raccogliere le sue cose più importanti per abbandonare la nave al più presto. 
Perchè?
In un angolo della stanza c'era un libro gonfio dagli anni e dall'umidità, con un disegno inquietante di una bambina in lacrime che reggeva una testa mozzata in copertina.
Clara si chinò per prenderlo, ma mentre lo faceva udì un urlo squarciare il silenzio.
Si voltò di scatto, guardandosi intorno freneticamente con il cuore in gola.
Dietro ad un'anta aperta dell'armadio scorse due occhi giallognoli roteare follemente fino a fissarsi su di lei. 
Lentamente si alzò in piedi: gli occhi continuavano a fissarla.
Avrebbe voluto urlare il nome della sua amica, ma dalla bocca le uscì solo un rantolo flebile: era una sua impressione o la stanza era diventata più scura?
Nella sua mente si vide uscire dalla stanza, correre lungo il corridoio, attraverso la sala, fuori dal portellone a tenuta stagna, saltare giù dal parapetto in mare o sulla barca di Federica non le importava, le bastava solo uscire da lì, andarsene da quella nave.
E poi lo vide.
Uscì dall'armadio: un uomo in abito da sera, la pelle livida, metà del cranio polverizzata, macchie di sangue circolari sulla camicia bianca: fori di proiettile.
La ragazza urlò con quanto fiato aveva in gola: era tutto vero, le leggende dei marinai, le voci dei superstiziosi, le storie che le avevano raccontato i suoi amici durante le serate in cui non sapevano fare altro che parlare della Searider.
Si voltò per scappare, e ancora rivide il percorso che si era disegnata nella mente, ripercorse con il pensiero il tragitto che avrebbe dovuto fare di corsa fino al parapetto, e poi la salvezza, Federica, l'isola: al diavolo la popolarità!
Il timer dell'orologio iniziò a martellarla con il suo suono acuto e irritante, avvertendola che i dieci minuti erano trascorsi, il tempo era scaduto, doveva andare via di lì.
Clara corse verso la porta, allungando una mano verso la maniglia.
Girò il pomello d'ottone macchiato...e la trovò chiusa.
   
 
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