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Autore: Aries K    03/10/2012    6 recensioni
"Penso che qualsiasi sentimento mi legasse a Colin aspettava solo di scatenarsi in tutta la sua totale inclemenza, cogliendomi di sorpresa per poi lasciarmi annichilito dinanzi alla consapevolezza di desiderarlo.".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bradley James, Colin Morgan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Posso smettere quando voglio.
Questo era il mantra che ripetevo tutte le volte che le mie mani s’insinuavano nei capelli corvini di Colin. Tutte le volte che le mie labbra lambivano ogni singola parte del suo corpo senza tralasciare nessun spazio di epidermide.
Posso smettere -davvero- quando ne avrò voglia.
M’incoraggiavo quando le mani del moro, tremanti per la fifa di essere scoperti qui, nei sotterranei di Pierrefonds, aumentava in un crescendo di gemiti e passione.
Posso smettere. Anche subito.
Era l’ultimatum che lanciavo alle mie facoltà mentali –alla mia volontà che si era andata a far benedire da un pezzo- quando Colin sussurrava che dovevo star tranquillo, lasciarmi andare come avevo sempre fatto perché nessuno – né Katie, né Angel o chissà chi altro della troupe- ci avrebbe mai scoperto, nel nostro angolo di pace.
Lo diceva con una tale sicurezza che non potevo far altro che accogliere la sua mano scorrere sul mio addome, addentrarsi con calcolata lentezza nelle parti più sensibili del mio corpo.
-“Lo stai facendo apposta?”, proruppi una volta, incassati in una cripta sempre lì, nei sotterranei. I suoi occhi azzurri saettarono nei miei e, nonostante tornarono a guardare verso il basso, non potetti non accorgermi del velo malizioso che li rivestiva, infuocandoli.
-“A fare… cosa, esattamente?”, si finse ingenuo. 
-“A torturarmi, Colin. E non abbiamo tutto il giorno, per tua informazione.”.
Fece schioccare la lingua alzando gli occhi al cielo, per poi sprofondare con la testa nella mia clavicola. Lo strinsi forte inspirando il profumo della sua pelle mentre mi tornò alla memoria, in una sorta di violento flashback, la volta in cui tutto ebbe inizio.

Penso che qualsiasi sentimento mi legasse a Colin aspettava solo di scatenarsi in tutta la sua totale inclemenza, cogliendomi di sorpresa per poi lasciarmi annichilito dinanzi alla consapevolezza di desiderarlo.
Era tardi, eravamo reduci da una giornata piuttosto impegnativa sul set e l’unica cosa che avevamo in frigo era una vaschetta di fragole e del vino. Colin, rendendosi conto che quella sarebbe stata la nostra cena, mi lanciò un’occhiata al limite della disperazione. E dopo uno sfiancante battibecco su chi aveva l’incarico di andare a fare la spesa, desistemmo, sbragandoci sul divano con quelle leccornie.
-“Temo che tu ti stia identificando un po’ troppo col tuo personaggio.”, mormorò Colin mentre mi versava il vino in un bicchiere. Lo guardai in tralice, sogghignando.
-“Che cosa vorresti dire?”.
-“Che più passa il tempo e più stai diventando una regale testa di fagiolo come Arthur. Devo procurarci io, il cibo, altrimenti guarda con cosa dovremmo sfamarci.”, rispose, sventolandomi una grossa fragola davanti al naso. Sbuffai sonoramente ma stetti in silenzio perché –mi duole ammetterlo- Colin aveva tutte le ragioni. E lui era il motivo di tutte le mie mancanze, la ragione per cui vivevo costantemente con la testa tra le nuvole, scordandomi persino di dormire o di far qualsiasi altra cosa che non riguardasse lui. Quella sera mi domandai, nel guardare le sue labbra modellarsi alla tondezza del frutto, perché non provassi disgusto o almeno un pizzico di riluttanza nel fantasticare su un uomo. Un amico e collega, tra l’altro.
Fu nel momento in cui lui si accorse che lo stavo fissando che la serata precipitò, dando il via ad una situazione più grande di noi.
-“Perché mi fissi?”, sbottò ma non era spazientito, anzi, -“è per le orecchie? Non ti sei ancora abituato a loro, dopo cinque anni?”.
Risi scuotendo il capo e mi avvicinai quel tanto che bastava per afferragliene una e tirarla.
-“Queste sono adorabili e gommose, senza dubbio il mio anti-stress preferito.”, obiettai per poi cadere bruscamente in un silenzio ingombrante. Dunque Colin si fece serio di colpo, come se avesse letto nei miei pensieri, ed ebbi l’impulso di mollarlo lì e andarmene da quella stanza claustrofobica.
-“Allora”, si schiarì la voce, -“che cos’hai?”.
Chiusi gli occhi inspirando profondamente, lo afferrai per le spalle per poi lasciarlo andare un secondo dopo. Senza che me ne rendessi davvero conto gli stavo parlando, abbandonando il divano. Gli stavo confessando i miei tormenti, il fatto che forse passavamo troppo tempo insieme, che forse non avrei dovuto scoprire le fan fiction Merthur e, successivamente le Brolin; che quindi ero confuso e che non avevo mai pensato di sperimentare una simile attrazione per una persona del mio stesso sesso. Lui mi lasciò parlare, chino con i gomiti poggiati sulle ginocchia, mentre si mordicchiava nervosamente le labbra rese ancor più rosse dalla polpa delle fragole. Ero un fiume in piena. Non controllavo più le parole che uscivano dalla bocca, nemmeno le sentivo le mie parole perché, nella cassa toracica, il cuore batteva come un ossesso, assordandomi. Quando Colin si alzò di scatto, però, credetti di rimanerci secco. M’immaginavo che venisse di fronte a me, che mi guardasse desolato perché –chiaramente- non poteva ricambiare quel mio folle, irrazionale, scombussolato sentimento. Ed invece, come avrete certamente capito, la sua reazione fu tutto ciò non avrei mai osato immaginare poiché lui, nell’avvicinarsi, azzerò la distanza tra le nostre labbra. Baciarlo – baciare un uomo!- fu così naturale che sembrava lo facessi da una vita intera. Fu come trovare l’ultimo e sudato tassello di un puzzle che era la mia esistenza.
La mattina successiva, un istante dopo aver aperto gli occhi, lo trovai che mi fissava intensamente. Mi godetti della vista del suo corpo longilineo rivestito dal lenzuolo del mio letto, della strana angolatura che aveva assunto il mondo dopo quella notte che mai potrei dimenticare.
 Nemmeno se un giorno decidessi di smettere.
Mugugnò un impastato “buongiorno” che mi fece intuire si fosse appena svegliato anche lui.
-“Buongiorno a te.”, ricambiai, non riuscendo nemmeno a riconoscere la mia voce.
-“Colin…”, iniziai, poco dopo, senza sapere realmente cosa volessi dire o dove volessi andare a parare.
-“No, non dire niente te ne prego”, m’interruppe alzandosi e dandomi le spalle, -“ricorda che possiamo smettere quando vogliamo. Anche subito.”.
Lo vidi allacciarsi l’orologio da polso in un gesto nervoso, poi raccattò i suoi vestiti sparpagliati nella stanza, ed io lo guardai perplesso:
-“Che… che cosa significa?”.
-“Ti sei già pentito di quello che è accaduto. Sai, per tutti questi anni ho creduto che fosse frutto della mia immaginazione. O di quella storia delle fan fiction…voglio dire, quante ne abbiamo lette insieme, Bradley? Ogni parola che hai detto ieri sera è da me condivisa, te lo posso assicurar…”.
-“Colin!”, cercai di fermare quel vomito di parole, e avreste dovuto vedere il colore purpureo che aveva assunto.
-“Brad, lasciami finire. E’ così complicato!”.
-“Sei tu che stai complicando tutto!”, lo accusai e con un balzo mi ritrovai in piedi, a pochi passi da lui.
-“Innanzitutto, come puoi credere che io mi sia già pentito? Da cosa lo hai dedotto dal momento che mi son svegliato da soli tre minuti?”.
-“Stavi iniziando a dire qualcosa”, sussurrò stringendosi nelle spalle,-“e il tono con cui lo stavi facendo non presagiva niente di buono. E ci ho pensato a quello che è successo, tutta la notte.”.
-“E…”, lo invitai a proseguire facendo roteare la mano.
-“E, Brad, lo volevo davvero così tanto.”.
Mi spuntò un sorrisino trionfante che non riuscii a reprimere nemmeno quando mi arrivò, dritto al petto, un cuscino.
-“Se c’è una cosa che odio è quel sorriso!”, brontolò pronto a lanciarmi il secondo cuscino ma io fui più veloce e glielo scacciai dalle mani.
-“Però di una cosa hai ragione.”, mormorai, -“possiamo davvero smettere quando vogliamo.”.
Lui mi fissò sembrandomi intenzionato a ribattere, ma stette in silenzio limitandosi ad annuire col capo.

Senza che ce ne rendemmo conto era passato tanto tempo da quella promessa che, in un certo senso, ci rincuorava. Tuttavia nessuno dei due aveva ancora detto basta, nessuno sembrava dover cedere o patire a tal punto di metter un freno, un punto. Ma quello era il mio mantra e, sì, avrei potuto smettere a seconda della mia volontà.
Ritornai al presente e lo guardai negli occhi, mentre la cripta assorbiva i nostri ultimi gemiti.
-“Cinque minuti e si torna sul set.”, ansimò aggiustandosi la sciarpa rossa.
Gli sorrisi seguendo la sua schiena che si allontanava, udendo, non appena sbucò fuori dai sotterranei, la sua voce recitare: “Ehi! Qualcuno ha visto James? Possibile che ad ogni pausa sparisce?”.
Qualcuno gli rispose perché un secondo dopo aggiunse: -“Cosa? Ha rubato il Nintendo ad Anthony?”.
Mi lasciai andare ad una risata mentre mi preparavo a recitare di essermi appisolato proprio con il Nintendo DS del mio amico in grembo. 
Quando apparii al centro del castello di Pierrefonds e lo vidi in lontananza sorridermi con fare canzonatorio,-assolutamente bellissimo, irradiato dai raggi del sole-, lo capii: non avrei mai potuto smettere.
Ed entrambi avremmo continuato a fingere di non saperlo.

   
 
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