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Autore: Shichan    07/10/2012    3 recensioni
Anche lui era stato ispirato ed era cambiato, e si era sentito migliore - perché Kagami aveva sempre avuto la capacità di farti sentire giusto così com'eri, così come sceglievi di essere.
[Kagaroko; post-serie]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi sono proprietà di Fujimaki Tadatoshi.
Il periodo in corsivo e virgolettato nella fanfic è una citazione della serie "Dawson's Creek" - sì, ero perplessa anche io.
Note: vi rimando a fine fanfic, per non rovinare quel che teoricamente sarebbe il finale.
Dedica: a OhBirds <3
 
 
 
 
«Cos'è un'anima gemella?»
 
 
La domanda è strana, curiosa, inattesa. Se ne aspettava tante, e non che gliene rivolgessero poche o delle più disparate, ma forse aveva pensato che quello potesse essere un discorso troppo complicato e profondo, ancora, per essere affrontato. Ed invece, da un momento all'altro, quasi fosse bastata una sua semplice distrazione, eccola lì; una delle domanda più difficili del mondo.
Dalla risposta più complicata e soggettiva da dare.
Priva di una replica "giusta" o di una "sbagliata".
Fatta con tutta la semplicità possibile.
 
 
«È, uhm... beh, è come un migliore amico,
ma qualcosa di più. È l'unica persona al mondo
che ti conosce meglio di chiunque altro.»
 
 
Potrebbe iniziare quella spiegazione nel modo più banale che conosce e andrebbe comunque bene; invece, per chissà quale motivo, si è preso il suo tempo per pensare, ponderare. Per mettere ordine nella propria mente, parola per parola, e poterglielo spiegare, spiegare davvero, non con la definizione di un dizionario di quarta categoria.
Le prime parole che pronuncia potrebbero apparire come niente più del tentativo - andato a vuoto e piuttosto miseramente anche - di spiegarsi alla meno peggio, con un paragone scontato e vecchio come il mondo. Eppure, se ci si pensa bene, non è così: il modo più "ovvio" di spiegargli cosa sia un'anima gemella non sarebbe forse quello di liquidare il tutto a quello che poi, in fondo, è un po' un luogo comune? 
Non basterebbe forse dirgli che l'anima gemella è "quella persona a te destinata per tutta la vita senza che nessuno possa separarti da lei"?
Potrebbe, ma non lo fa. Sceglie quel modo di dirlo, che non è né completamente giusto, né totalmente sbagliato.
Di sicuro non è una bugia, così come sincero è il sorriso leggero e discreto che gli incurva le labbra quando, nel dargli quella prima incompleta definizione, nella sua mente si forma subito l'immagine di lui.
Lui che lo capiva senza bisogno che parlasse, che si spiegasse; che osservava più di quanto credesse e che vedeva, cose che nessun altro aveva visto mai o dalle quali aveva comodamente distolto lo sguardo. 
In un tempo tanto breve lui era stato in grado di capirlo più profondamente di chiunque altro, con una naturalezza disarmante che spesso sembrava quasi voler dire "e allora? Tutto qui?".
Ed una volta, rendendosene conto aveva sorriso, proprio come faceva ora mentre spiegava e ci pensava, ricordava, e si era ritrovato a dire a se stesso: "chissà perché mi era sembrato tanto difficile fino ad oggi".
 
 
«È qualcuno che ti rende una persona migliore.
In realtà non sono loro a renderti migliore,
sei tu stesso, perché ti ispirano a farlo.»
 
 
Decide di proseguire così quella spiegazione: non si sarebbe mai aspettato di doverla dare un giorno a voce, di dover concretizzare quello che era sempre stato un pensiero custodito quasi gelosamente. Se gli avessero detto che, quando meno se lo aspettava, sarebbe arrivato il momento in cui si sarebbe ritrovato a pronunciare pensieri tutto sommato tanto intimi con la sua immagine ferma e presente ad accompagnare ogni parola, lo avrebbe detto impossibile; e invece, eccolo lì.
Mentre sceglie con cura l'espressione più adatta, non può che formulare - allo stesso tempo - un pensiero che lo farebbe sbuffare divertito nel tentativo di non lasciarsi sfuggire una vera e propria risata, se non fosse ben attento ad evitarlo; tra l'altro, il suo interlocutore non ne sarebbe affatto contento, lo sa.
Eppure è davvero una strana lotta interiore, la sua; perché è abbastanza sicuro che lui non l'abbia mai capito, quanto lo ha inconsapevolmente spronato a cambiare e migliorarsi. Sa bene quel che all'inizio era niente più che una sensazione, qualcosa da immaginare ma priva di reali conferme - lo conosceva così poco, allora, che mai avrebbe azzardato un'opinione senza concedersi il beneficio del dubbio: l'altro non aveva il minimo sentore del tipo di persona genuina che era, e di quanto la cosa spronasse con immensa forza gli altri a cambiare, né per futile imitazione né per infantile spirito di emulazione.
Era solo che ti trascinava come la corrente di un fiume in piena, agitandoti fin quasi a confonderti, fin quando non riuscivi a far altro che seguirlo - non abbandonandoti in sua balìa, ma assecondando il suo corso.
L'altro non si era mai reso conto appieno - così sospettava lui ancora oggi - di quanto abbagliante, calda e rassicurante fosse la sua luce; non quella nel basket, quella di cui tante volte avevano parlato. Perché la luce più forte di cui l'altro dispondeva, con lo sport non aveva nulla a che fare.
E tuttavia, lo sapeva: l'altro non immaginava neanche lontanamente quanto quella luce ti spronasse a cambiare in meglio per affiancarlo, a testa alta, per esserne degno; lo capiva meglio di chiunque altro, lui che era stato per tanto tempo al suo fianco, lui che quella luce l'aveva sempre cercata, lui che una l'aveva persa e aveva creduto di non trovarne mai nessun'altra, non altrettanto forte... lui che, invece, l'aveva poi trovata eccome.
Anche lui era stato ispirato ed era cambiato, e si era sentito migliore - perché Kagami aveva sempre avuto la capacità di farti sentire giusto così com'eri, così come sceglievi di essere.
 
 
«Un'anima gemella è qualcuno che porti sempre con te.
È la persona che ti conosceva e ti ha accettato,
e ha creduto in te prima di chiunque altro,
o quando nessun altro ci credeva.»
 
 
Non è affatto sicuro che la persona a cui è destinata questa sua spiegazione improvvisata possa capire tutto ciò che ci sarebbe da capire - perché sia possibile dovrebbe sapere troppe cose di cui, certamente, non è a conoscenza.
Nonostante ne sia consapevole, sente che mai potrebbe rispondere in un modo diverso da quello, senza - cripticamente - accennare a loro: la Generazione dei Miracoli.
I motivi sono troppi da ricordare persino per lui: i tempi e i compagni del Teikou sono stati il suo inizio, sono stati importanti. Sono stati ciò che lo ha fatto crescere, raggiungere la superficie per dire "io ci sono", persino lui che passava inosservato; e poi lo hanno tirato di nuovo verso il fondo, di nuovo verso l'oscurità informe a cui si sentiva tanto affine.
I compagni del Teikou che avevano smesso di credere in lui - lui che per un periodo aveva persino pensato che forse, in realtà, non ci avevano creduto mai - erano divenuti la ragione per cui era andato al Seirin piuttosto che in qualsiasi altro liceo, e quella scelta era stata il fulcro di tantissime altre cose, tra cui l'incontro con Kagami, e quella sorta di alleanza, quella loro complicità che portava molti nomi - "diventeremo i numeri uno del Giappone", "sconfiggeremo la Generazione dei Miracoli".
Kagami era stato tutto: c'era sempre stato, nel suo modo goffo e burbero di affiancarti e farti sapere che era lì e ci sarebbe rimasto, non fosse altro per testardaggine; lo aveva accettato, in un primo momento tanto quanto dopo, più profondamente e in manierà più completa, totale - non solo quando fra loro le carezze e i baci avevano sostituito con un certo, iniziale imbarazzo le occhiate complici e le pacche sulle spalle, ma ancor prima quando Kagami aveva capito le sue intenzioni, il suo voler dimostrare alla Generazione dei Miracoli che il proprio basket era degno di rispetto e considerazione tanto quanto il loro.
Kagami aveva creduto in lui, sempre: quando a guardarlo gli avresti consigliato di cambiare sport - non sarebbe stata la prima volta che accadeva -, quando avevano vinto, quando avevano perso; aveva creduto in lui quando la sconfitta aveva bruciato e li aveva consumati dentro, quando il pensiero "non sono abbastanza" gli aveva avvelenato la mente, quando superare un avversario era sembrato impossibile, quando avevano avuto voglia di mollare, quando gli ostacoli erano sembrati insormontabili.
Quando erano stati di fronte alla Generazione dei Miracoli, uno per uno, uno dopo l'altro, e i suoi ex compagni di squadra lo avevano guardato e lui l'aveva visto, quel qualcosa che avevano sempre avuto; lo avevano guardato come qualcuno che fa pena, i cui ideali facevano pena, perché infantili, perché troppo ridicoli, perché impossibili da realizzare.
Kagami no. Lui si era semplicemente fidato, convinto che non ci fosse ideale più assoluto del suo.
 
 
«E non importa cosa accade, la amerai sempre.
Nulla potrà mai cambiare questo.» 
 
 
Decide di finirla così.
Che è quello il modo migliore di concludere la spiegazione che il suo interlocutore forse non ricorderà fra qualche anno, o che magari non ha ben capito neppure ora.
Quello è il modo migliore perché è quella la sua verità, quella che nel suo piccolo è la realtà che vede, tocca, sente; perché tra lui e Kagami ci sono state tante di quelle cose che non gli riuscirebbe possibile immaginarsi con sentimenti diversi verso di lui, con sentimenti che non siano la dolcezza e l'affetto, quello più puro, quello che non dipende né dal contatto fisico né da parole vuote, che non ha bisogno di avere il nome di una relazione, di essere dimostrato da degli anelli al dito.
Quello per Kagami è l'amore per tutto quello che lo rende la persona che è, per i momenti passati, per le parole di conforto, per i gesti complici, per la fiducia, per tutto quello che gli ha dato e avrebbe potuto tenere per sé, per gli sguardi che non avevano bisogno di parole, per i pensieri simili e così diversi, per i caratteri così distanti ma complementari. 
Quello per Kagami è il tipo di amore che non puoi spiegare mai davvero, quello che lo devi vivere, quello che ti fa sorridere e ti rende triste, che aspetti tutta una vita e poi arriva, e rimane, ti segna, quasi ti graffia e rimane, rimane anche se lo calpesti e lo cancelli, e se invece lo coltivi, se invece lo tieni con te, allora sarà sempre lì.
Sempre, sempre lì.
Qualunque cosa accada.
Sempre lì.
 
Un sospiro leggero, lo sguardo gentile si sposta sul piccolo Shinobu; di certo, dei suoi allievi dell'asilo, è quello più sveglio al punto da fargli domande come quella.
Nota che lo osserva un po' confuso, com'è normale che sia, e per un'ultima volta il pensiero va a Kagami, con un misto di troppe cose dentro di sé - Kagami che era stato tanto, Kagami che tanto lo sarebbe sempre stato, Kagami che era lontano.
Kagami che aveva la sua vita, e non sarebbe tornato lì ma che dopotutto, a suo modo, non se ne sarebbe andato mai via davvero.
 
 
«Ha senso?» 
 
 
 
 
 
 
Note finali
Non so se alla fine quello che nella mia mente è ovvio qui sia altrettanto chiaro.
Ho voluto scrivere di un Kagami e un Kuroko che non stanno più insieme: per nulla di drammatico come morti e distruzione, ma per un qualcosa che nella vita può capitare benissimo, e che è la fine di una storia.
Ho amato particolarmente la citazione che ho voluto utilizzare come unico dialogo di tutto il testo, e che - ad eccezione della domanda iniziale - è pronunciata da Kuroko, come spiegazione.
Nel caso non fosse chiaro, è ambientata in un ipotetico tempo in cui sono adulti, con Kuroko maestro d'asilo (Shinobu è appunto uno dei suoi alunni) e Kagami che ha scelto un suo percorso di vita che lo vede lontano da Kuroko. Il significato di "anima gemella" è qualcosa di profondo, che credo possa prescindere abbastanza dalla persona con cui magari alla fine si passa la vita, e che esuli anche dal semplice contesto amoroso.
Era quello che volevo trasmettere, ma non so se si è capito *ride*
Di certo, scrivere di questi due distanti e in maniera abbastanza irreversibile - come qui - è la cosa più difficile del mondo, almeno per me.
   
 
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