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Autore: Marceline    09/10/2012    1 recensioni
Si morse l’interno della guancia e fece un altro passo.
Qualche macchina suonò, altre lo schivarono velocemente.
Lui era solo una persona incontrata per strada, uno sconosciuto.
Quelle macchine lo evitavano come la vita aveva sempre fatto con lui.
Quelle persone, tornate a casa dalle loro belle famiglie, stanche dal lavoro, si sarebbero dimenticate in fretta del pazzo che avevano evitato mentre erano in auto.
Frank non era nulla.
Un altro passo e fu come se non avesse più paura.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non sono in grado di scrivere qualcosa di decente prima di una storia. Davvero, mi risulta molto difficile.

Questa è una storia che è nata da un’idea folle con una mia folle amica durante una noiosa lezione.

L’ho scritta il tempo di dieci canzoni in riproduzione casuale.

Le canzoni sono le seguenti, in ordine:

Gerard Way – Umbrella

The Pretty Reckless – Make Me Wanna Die

Foster the People - Pumped Up Kicks

Panic! At The Disco – Oh Glory

Glee Cast – One Of Us

All Time Low – Weightless

Sleeping With Sirens – If I’m James Dean, You’re Audrey Hepburn

My Chemical Romance – House Of Wolves

Panic! At The Disco – New Perspective

You Me At Six – No One Does It Better

 

Buona lettura, ci si vede giù!

 

 

 

A Chiara, che merita tutto il bene di questo mondo.

 

 

Frank si sentiva distrutto.

L’ennesimo abuso gli bruciava sulla pelle. E faceva male, tanto.

Si sentiva sporco. Si sentiva lurido e sentiva il corpo pieno di emozioni non sue. Provava davvero tanto dolore.

Nemmeno quella pioggia incessante riusciva a ripulirlo da tutto quello schifo.

Che brutta la parola schifo. Gli faceva venir voglia di morire.

Ogni volta che quello che doveva chiamare padre abusava di lui gli ripeteva che “era uno schifo e meritava tutto quello che c’era di male al mondo.”

Ma era giusto tutto quello?

Frank poteva vederlo negli occhi dei passanti che lo guardavano straniti.

Era a maniche corte sotto la pioggia e nemmeno aveva freddo.

Quel freddo incessante se lo sentiva dentro da quando era nato. Sentiva i brividi di paura e gelo trafiggerlo ovunque.

Odiava tutti quegli occhi freddi su di lui. Odiava uscire di casa. Odiava dover vedere tutti quegli sguardi schifati.

Gli bastava quello di suo padre.

Lo sguardo di suo padre gli faceva venire voglia di morire.

E forse sarebbe stato meglio così.

Dopotutto suo padre gli diceva sempre che meritava del male e dello schifo. Tanto valeva morire…

Lo sguardo del ragazzo ricadde su una pozzanghera di fianco al marciapiede. Era placida e tranquilla. Finché una macchina non la investì.

L’acqua schizzò un po’ ovunque, anche su i suoi jeans logori.

Frank, oltre a far schifo, era anche codardo.

Non avrebbe mai avuto il coraggio di prendere una pistola, una lama o una corda per uccidersi. Lo avrebbe fatto in modo molto vigliacco. Magari faceva anche più male… Ma lui, d’altronde, meritava del male.

Le macchine schizzavano come impazzite per la strada, come se stessero correndo via dalla pioggia.

Frank rimase affascinato da quella scena. Una scena talmente quotidiana da essere banale, davvero.

Sembrava che tutti fossero malati e non avessero tempo; tutti schizzavano per la strada per scappare dal tempo e dallo schifo.

Lui di tempo e schifo ne aveva avuto abbastanza, era ora di darci un taglio.

Posò il piede destro sull’asfalto, nel bel mezzo di un semaforo verde, verde per le auto. Gli era sempre piaciuto il verde. Gli ricordava i muri delle pareti della sua camera quando era giorno.

Il verde era il giorno. Tutto diventava buio quando la sera si avvicinava e la porta si spalancava.

Si morse l’interno della guancia e fece un altro passo.

Qualche macchina suonò, altre lo schivarono velocemente.

Lui era solo una persona incontrata per strada, uno sconosciuto.

Quelle macchine lo evitavano come la vita aveva sempre fatto con lui.

Quelle persone, tornate a casa dalle loro belle famiglie, stanche dal lavoro, si sarebbero dimenticate in fretta del pazzo che avevano evitato mentre erano in auto.

Frank non era nulla.

Un altro passo e fu come se non avesse più paura.

Era come camminare in cima ad un palazzo altissimo e avere le vertigini. Poi, d’un tratto non avere più paura.

Non avere più paura di quello che si sta facendo.

Frank non voleva più rimanere in bilico. Aveva preso la sua decisione. Non voleva più spendere un minuto lontano dalla sua decisione.

Camminò sicuro di sé, come se il semaforo fosse rosso per le auto e lui potesse passeggiare tranquillamente sulle strisce pedonali.

Un paio di auto inchiodarono e lo evitarono. Davvero per poco, però.

Un rumore stridente giunse alle orecchie di Frank.

Gomme che si consumano in fretta sull’asfalto. Una frenata che era giunta troppo tardi.

Frank si preparò a dire addio alla vita.

L’unica cosa che aveva chiesto alla vita era l’amore, un per sempre, che non era mai giunto.

Ma la sua vita non era nata per essere una fiaba.

L’unica cosa che Frank notò furono gli occhi spalancati del conducente dell’auto.

Un paio d’occhi così belli. Così verdi.

Il dolore lo investì con una velocità tale da paralizzarlo.

Faceva così fottutamente male. Così tanto!

Delle voci, dei clacson, sirene.

Frank sentì tutto ma non capì nulla.

Capì solo che era morto.

Forse si, forse no.

Ed eccolo, davanti a lui.

Il conducente dell’auto era sceso in fretta per soccorrerlo. Gli sorreggeva la testa grondante di sangue cremisi.

Frank sentiva le forze abbandonarlo.

Il ragazzo che lo aveva investito era bellissimo.

Anzi, non lo aveva investito. Lui si era suicidato.

E in quel momento Frank capì che la vita è tutta una grande cazzata.

I capelli di quel ragazzo erano rosso fuoco, rosso tramonto, rosso sangue cremisi. E i suoi occhi, quelli sgranati di poco prima, erano così verdi. Sembravano due smeraldi grezzi.

Frank capì che avrebbe potuto meritare di più dalla vita.

Aveva solamente guardato tutto dalla prospettiva sbagliata, tutto era sbagliato.

Quel ragazzo era il rosso del fermarsi, dell’errore, della morte. Ma era anche il verde della gioia, del giorno, della speranza.

E lui non poteva conoscerlo, non poteva dirgli grazie per essere l’ultima cosa meravigliosa che avrebbe visto nella sua insulsa vita. L’unica cosa meravigliosa che aveva visto nella sua inutile vita.

Frank sentiva gli occhi pesanti ma non voleva chiuderli, non ancora, non era pronto. Voleva godersi quella prospettiva di vita diversa, così verde e così rossa.

Era sbagliato sentirsi felice mentre si muore?

Era sbagliato aver capito di non voler morire?

Ma non poteva tornare indietro, non più.

E anche se lo avesse fatto non avrebbe conosciuto quel ragazzo verderosso. Senza di lui non avrebbe mai capito quanto la sua vita valeva la pena di essere vissuta.

Quel ragazzo era quello che lo aveva aiutato nel modo migliore.

Lo aveva aiutato uccidendolo.

Lo aveva aiutato regalandogli i suoi colori.

E Frank gliene era infinitamente grato.

Sperò solo che il ragazzo continuasse a vivere la sua vita felice. Non voleva che avesse paura degli occhi come ne aveva avuto paura lui per tutta una vita.

Il ragazzo verderosso non doveva pensare di averlo ucciso.

Lui si era suicidato.

Lui era codardo.

Ma almeno era morto tra il verde e il rosso, era morto sapendo di aver sbagliato per una vita intera. Pensa che brutto se fosse morto tra l’ignoranza e la paura.

Frank guardò quegli occhi verdi, i capelli rossi bagnati dalla pioggia incessante.

Disse addio alla persona migliore che aveva mai conosciuto.

Morì così, tra il rosso e il verde.

 

 

Spero che la storia vi sia piaciuta.

Solitamente non scrivo cose molto introspettive… ma questa è nata così :3

Magari, se vi và, lasciatemi una recensione!

 

Spero a presto, Flavia- Marceline.

  
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