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Autore: fawsley    22/04/2007    6 recensioni
Fa troppo caldo. Sean non riesce a dormire e nemmeno la sua mente tormentata potrà farlo.
E' la traduzione che io (Carnilie) ho fatto di una fan fiction di un'autrice inglese (fawsely), ovviamente col suo consenso.
Nel profilo ho messo un link dove poter trovare le sue fan fic in lingua originale, se foste interessati.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sean Bean, Viggo Mortensen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Blackbird


Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly.
All your life
You were only waiting for this moment to arise.


Blackbird singing in the dead of night
Take these sunken eyes and learn to see.
All your life
You were only waiting for this moment to be free.


Blackbird fly, blackbird fly
Into the light of a dark black night.


Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly.
All your life
You were only waiting for this moment to arise.


(John Lennon & Paul McCartney)


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Quando avevano detto alle previsioni del tempo che sarebbe arrivato un periodo piuttosto caldo, lui
non aveva dato molto peso alla cosa – era pur sempre l'inizio di maggio, dopotutto. Ma nelle prime
ore del mattino, Sean si svegliò sudato e a disagio, sotto un piumino troppo peso in una stanza in cui
aleggiava ancora l'aria viziata della notte. Gettò via le coperte e rimase disteso, nudo, lasciando che
il sudore sul suo corpo si asciugasse.


Il sonno gli sfuggiva. Il caldo viziato, le lenzuola sgualcite, il tormento nella sua mente.
Non riusciva a trovare pace da tutto questo.


La stanza sul retro che si affacciava sul giardino era silenziosa ma senza aria. Rassegnato, si alzò e
si ritrovò nella stanza d'ingresso, quella con la porta-finestra che si apriva sul piccolo terrazzo con la
ringhiera lavorata in ferro battuto, il tavolo traballante e le sedie, e un po' troppe piante in vaso. La
grande bottiglia di plastica per l'acqua era per le piante, ma questa era pulita – beh, abbastanza pulita - e lui
aveva bisogno di bere. Aprì la finestra e uscì fuori.


Solo acqua. Per troppe notti si era svegliato a quell'ora, scolandosi vodka, whisky, sherry da cucina.
Qualsiasi cosa fosse a portata di mano. Qualsiasi cosa attenuasse il dolore e la paura.


Il tempo – avrebbe dovuto essere un gran guaritore, ma Sean stava cominciando ad avere seri dubbi.
Viggo gli aveva dato tutto il tempo di cui aveva bisogno e forse gliene aveva dato anche troppo.
Forse sarebbe stato meglio se Viggo avesse forzato la mano, costringendolo a prendere una
decisione all'istante, piuttosto che essere così comprensivo, paziente, fiducioso e soprattutto – Dio
lo maledica – affettuoso.


Nonostante il caldo fuori stagione, Sean rabbrividì mentre una sottile nebbia mattutina saliva
dall'isolato. Tornando nella stanza trovò un lenzuolo pulito, prese il primo vestito che ebbe sotto
mano e lo indossò.


Solo in un secondo momento si rese conto di che cos'era. La t-shirt di Viggo.


Perché l'avesse lasciata là, Sean non lo sapeva. Quello che sapeva era che fosse l'unica cosa che
portava ancora l'odore di Viggo. Stava svanendo, inafferrabile, quasi perso sotto l'odore di Sean,
dopo essere stata indossata troppe volte e mai lavata. Presto, sarebbe andato perso per sempre.


Non c'era motivo di tornare a letto. Era troppo presto per alzarsi ma troppo tardi per dormire.
Seduto sul terrazzo e avvolto nel lenzuolo, la maglietta di Viggo e il mantello dell'aria notturna,
solo l'acqua nella bottiglia tanto per cambiare, i pezzi del puzzle che aveva provato così
disperatamente d'ignorare cominciarono ad andare lentamente al loro posto.


Viggo era andato da lui, gli aveva confessato dolcemente e onestamente il suo amore, era rimasto,
aveva aspettato, ma se n'era andato senza una risposta. Quei pochi giorni passati insieme erano stati
tra i più confusi che Sean avesse mai vissuto. Pensieri ed emozioni che non si era mai accorto di
provare – tanto meno reprimere – stavano all'improvviso danzando selvaggiamente nel suo cervello,
chiedendo attenzione.


Era stato troppo.


E poi, rapido e silenzioso com'era arrivato, Viggo se n'era andato, portando – ora Sean lo sapeva –
buona parte del suo cuore con lui, lasciando solo una t-shirt.


All'inizio c'erano state telefonate titubanti, messaggi prudenti, una cartolina occasionale o una
lettera con una foto da dove Viggo stava lavorando. Gradualmente queste si erano fatte sempre più
rare e poi più niente. E ora, Sean l'aveva finalmente capito, - no, non capito, ammesso – che non
solo Viggo gli aveva offerto un amore più profondo e vero di qualsiasi altro avesse conosciuto, ma
voleva e aveva bisogno di ricambiare quell'amore.


Ma “ora” era anche quando Viggo era scomparso dalla sua vita. Nessuna chiamata, nessuna lettera,
nessun regalo stupido da qualche parte del mondo. Non che Sean ne avesse bisogno. Quello di cui
aveva bisogno era Viggo stesso, caldo di cuore e nel corpo, ma era troppo tardi per dirglielo. Sean
aveva avuto tutto il tempo necessario ed era riuscito a sprecarlo in un velo di alcol e rifiuto.


All'improvviso disgustato da sé stesso, Sean si rovesciò la bottiglia d'acqua sulla testa, in un atto di
auto-umiliazione, inzuppandosi i capelli arruffati, sussultando per lo shock. Nascose la testa fra le
braccia e per la prima volta in tutti i mesi da quando Viggo aveva messo sottosopra la sua vita,
pianse come un bambino.


Nel groviglio del giardino circondato dalle case dell'isolato, nascosto da qualche parte tra gli alti
platani, un merlo cominciò a cantare. Esitante all'inizio, provando la sua voce per la prima volta
quel giorno, quasi irritato per la sua stessa bellezza.


Sean alzò la testa, asciugandosi le lacrime col dorso della mano e stringendosi di più nel lenzuolo. Il
canto del merlo era sempre stato il suo preferito. Fin da bambino si era sempre fermato ad
ascoltarlo, catturato dalla sua melodia flautata, l'intonazione quasi colloquiale, il risolino beffardo
alla fine di una frase. Sembrava come se il canto contenesse un messaggio, ma appena al di là della
sua portata.


Il merlo aveva cantato quando Viggo era lì. Nuovo al richiamo degli uccelli inglesi, l'americano era
rimasto fermo e in silenzio ad ascoltare, lasciando che il canto s'infrangesse su di lui. “Musica
liquida”, l'aveva chiamato, “balsamo spirituale”, e Sean l'aveva amato per questo.


Gli occhi chiusi, ascoltando intensamente, Sean lasciò che il potere guaritore del canto scivolasse
sopra e dentro di lui, permettendogli di sciogliere il suo dolore. Come se avesse capito, il merlo
rinnovò i suoi sforzi, aggiungendo nuovo vigore alla melodia. Lentamente ma con sicurezza, tutti
gli uccelli di Belsize Park si unirono alla chiamata del merlo, accogliendo l'alba di un nuovo giorno.


Bellezza e forza, semplice ma pura – questo era ciò che aveva sempre percepito del significato
segreto del canto del merlo e adesso filtrava inosservato nella sua anima.


Lo sapeva. Sapeva che amava Viggo, sapeva che era stato uno stupido a negare quell'amore e la
verità della sua sensualità. Sapeva che non poteva più crogiolarsi nel rimorso e
nell'autocommiserazione aspettando che Viggo tornasse, sapeva che doveva andare fuori e cercarlo,
trovarlo e riportarlo a casa.


Un brusio sommesso, il tintinnio del vetro e un carro del latte avanzava rumorosamente dall'angolo
dell'isolato. Il mondo si stava svegliando, intromettendosi nel microcosmo privato che Sean aveva
diviso con il merlo. La bolla svaniva, piuttosto che esplodere. Sean si ritrovò a scivolare di nuovo
nella realtà di un nuovo giorno ma capace di vedere la sua ordinarietà con occhi nuovi, occhi che
per troppo tempo avevano visto solo oscurità e disperazione. Era di nuovo vivo.


Le bottiglie del latte tintinnavano sugli scalini, il lattaio fischiava mentre lavorava. Le porte si
aprivano e chiudevano, i vicini uscivano, sbattendo le palpebre come talpe. Un aereo ronzava
in alto, le luci lampeggiavano mentre si sistemava nella traiettoria dell'atterraggio. I mattinieri
emergevano, preparandosi per il lavoro. Da una strada secondaria apparve una figura solitaria, con
una borsa buttata sulle spalle con noncuranza, camminando decisa a grandi passi. Una figura che
Sean conosceva troppo bene, una figura che non poteva essere reale, doveva essere un sogno,
poteva essere soltanto Viggo.


Sean balzò in piedi, afferrando la ringhiera del terrazzo, sporgendosi per vedere bene nella luce
crescente. La figura si fermò mentre attraversava la strada vuota, guardando in alto, assumendo quel
sorrisetto caratteristico.


“Credo che il merlo mi abbia richiamato a casa.”


Solo un mormorio, come sempre, ma abbastanza chiaro nella calma del mattino.


Incapace di rispondere, Sean rimase pietrificato. Poi si ritirò velocemente nella stanza, gettando la
maglietta nel cesto della biancheria proprio mentre il campanello suonava.


Nell'isolato, il merlo continuò a guardare attento finché la porta non si chiuse. Poi, ridacchiando a
voce alta, se ne andò.
  
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