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Autore: LiberTea    12/10/2012    2 recensioni
"Più il tempo passava più la vita di prima sembrava un ricordo ormai lontano. [...] Ormai il grigiore della guerra aveva ceduto il posto ai colori sgargianti di quell'isola tropicale, a quei tramonti mozzafiato, a quei cieli azzurri, alle piume di quei pappagalli che spesso si sentivano cantare tra le foglie della foresta.
Tutto era così surreale da sembrare un sogno. E un giorno arrivai a sperare di non svegliarmi mai più. Ma non potevo permettermelo. No, semplicemente non potevo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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The island.

The island.

I giorni su quell'isola sono così vividi nella mia mente che mi sembra ancora di poter sentire lo sciabordio delle onde sulla spiaggia, l'odore della salsedine, mi sembra ancora di vedere quel mare illumiato dai raggi del sole, quella verdeggiante e misteriosa foresta di mangrovie.
Chi avesse colpito la nostra nave e l'avesse fatta affondare rimane ancora un mistero tutt'oggi. Una nave dell'Asse, sicuramente.
"E' stato Giappone, ti dico."
"Non dire scemenze, Inghilterra. E' ovvio che è stato Germania."
Le nostre discussioni non cessarono nemmeno in quel paradiso tropicale. Non avevano nè capo nè coda, ma ogni pretesto era buono per litigare. Era un modo come un altro per sentirci a casa, per cercare di non pensare al fatto che eravamo due naufraghi su un'isola sconosciuta.
"Cos'ho fatto di male per finire in questo posto con un rompiscatole come te?"
"Senti da che pulpito!"
America, a differenza di me, si era adattato velocemente alla novità. Sembrava quasi elettrizzato all'idea di mettersi alla prova in un posto ignoto e selvaggio.
Io ero solo arrabbiato. Arrabiato con me stesso, perchè avrei dovuto prevedere quell'attacco in mare. Arrabbiato con Giappone, o con Germania, o con chiunque fosse stato quel maledetto stronzo che ci aveva colpiti, condannandomi a quell'esilio in compagnia di America. E infine, inutile a dirsi, arrabbiato con America, che sembrava tanto tranquillo, nemmeno fosse stato in vacanza. All'inizio credevo che sarei impazzito prima che venissero a salvarci.
"In questo dannato posto dimenticato da Dio fa un caldo allucinante. E poi i viveri che siamo riusciti a salvare dalla nave non basteranno nemmeno per una settimana. Di acqua potabile nemmeno l'ombra. E, oh bè!, immagino che da queste parti l'escursione termica si faccia sentire! Stanotte ci geleremo il culo."
"Inghilterra..."
"Perchè?! Io mi chiedo: perchè a me? Sono stato una persona così spregevole?!"
"Inghilterra, calmati."
"No che non mi calmo! Ti rendi conto delle nostre condizioni?! Siamo allegramente fottuti, imbecille, e tu mi dici di calmarmi!"
"Sei in astinenza da teina per caso? Ora stammi a sentire: la vedi quella foresta? Quella è la nostra salvezza! Cibo, ombra e acqua."
Ero sinceramente sconvolto dalle capacità di America.
Mai mi sarei aspettato una furbizia simile da lui. Sapeva distinguere le piante velenose da quelle commestibili. Sapeva come fabbricare una canna da pesca. Sapeva come accendere un falò con nient'altro che un paio di ciottoli. Sapeva come trovare dell'acqua potabile.
"Sei entrato negli scout recentemente?"
"Spiritoso."
E così inziai ad adattarmi anche io a quella vita.
La mattina lui andava a cercare del cibo e io raccoglievo della legna per il fuoco.
Il pomeriggio, in cui il sole era a picco sulle nostre teste, ci spostavamo all'ombra della foresta. Ci davamo il cambio, in modo che almeno uno di noi tenesse sempre d'occhio il mare, nella speranza di scorgere una bandiera alleata.
La notte tenevamo acceso il fuoco il più a lungo possibile, sia per scaldarci sia per segnalare la nostra presenza. Quelli erano gli unici momenti in cui la guerra, durante il giorno così lontana, ci appariva più reale e vicina che mai.
Là fuori c'erano sicuramente navi brittaniche e statunitensi che ci cercavano. Ma potevano esserci anche navi ostili, navi dell'Asse, pronte a farci prigionieri.
Inoltre, era così strano dormire all'aperto senza il terrore che un qualche caccia ci sparasse addosso. Era così strano guardare quel meraviglioso cielo stellato senza temere di scorgervi il nemico.
"Era da tanto che non guardavo le stelle, sai Inghilterra?"
"Già, anche io."
"Lo credo, da te il cielo è sempre nuvoloso."
"Dormi e sta zitto."
E poi forse a un certo punto impazzii davvero, perchè America non mi parve più nemmeno così insopportabile. Mi ritrovai a guardarlo una volta, mentre stava accendendo il fuoco. Era così concentrato, i suoi occhi erano raramente così sottili, il suo viso così serio. Riuscivo a vedere una goccia di sudore scendergli lungo il collo mentre faceva cozzare vigorosamente quei due ciottoli che aveva in mano, i muscoli delle braccia che si contraevano e si rilassavano ritmicamente.
Era davvero molto bello. Chissà se a casa aveva qualche ragazza che lo aspettava. Non me ne aveva mai parlato, ma non parlava mai a me della sua vita privata quindi non c'era da stupirsi. Mentre ero immerso nei miei pensieri, lui aveva alzato lo sguardo su di me.
Si era accorto che lo stavo fissando e mi guardava con aria interrogativa.
"Qualcosa non va?"
"Niente! Niente di niente, idiota! Accendi quel fuoco, sbrigati prima che cali la notte!"
"Inghilterra..."
"Che c'è?!"
"L'ho già acceso."
"...Ah."
Più il tempo passava più la vita di prima sembrava un ricordo ormai lontano.
Non sapevo quanto fosse passato dal naufragio, forse qualche settimana, ma a me sembravano anni. Il che è strano per una nazione: di solito sono gli esseri umani ad avere una percezione del tempo maggiormente dilatata, proporzionale alla loro vita, e alla loro mortalità.
Ormai il grigiore della guerra aveva ceduto il posto ai colori sgargianti di quell'isola tropicale, a quei tramonti mozzafiato, a quei cieli azzurri, alle piume di quei pappagalli che spesso si sentivano cantare tra le foglie della foresta.
Tutto era così surreale da sembrare un sogno. E un giorno arrivai a sperare di non svegliarmi mai più. Ma non potevo permettermelo. No, semplicemente non potevo.
Ma America ovviamente non riuscì a non dare voce a quelli che per me erano solo dei desideri proibiti.
"Sai, a volte vorrei che non ci trovassero più."
"Ma che dici?"
"Questo posto è una favola. Molto meglio che tornare sul fronte, sicuramente."
"E' il tuo dovere di nazione, America."
"Lo so, ma...a te non capita mai di pensarci?"
"No. Non abbandonerei mai la mia patria per un sogno infantile. E poi credevo odiassi il fatto di avermi tra i piedi."
"L'ho detto settimane fa."
"Questo vuol dire che...ora non è più così?"
"Bè...mi sono abituato alla tua presenza, in fin dei conti. E poi da solo mi annoierei a morte."
"Sei un idiota."
"Perchè?"
"Perchè sì! Ma ti ascolti quando parli?! Stai vaneggiando! Stai davvero considerando l'ipotesi di rimanere qui per sempre! Per l'amor del cielo, siamo naufraghi, America!"
"Sei insopportabile quando fai così."
"Tu sei sempre insopportabile. Cos'ho fatto di male per finire qui con una persona così infantile?"
"Non sei mia madre, te lo vuoi mettere in testa?!"
"Oh scusami! Dimenticavo che sto parlando con Mister Indipendenza!"
"Vaffanculo."
"Sì bè, anche tu."
Era sparito nella foresta per tutto il pomeriggio.
Non mi importava. Non mi importava se avevo infranto i suoi sogni, non mi importava se avevo ferito i suoi sentimenti. Su quell'isola serviva qualcuno che mantenesse il lume della ragione, e chiaramente quello non poteva essere lui.
Il sole calò. E America non era ancora tornato.
Con il buio il mio senso di colpa iniziò a farsi sentire. Non poteva passare la notte nella foresta. Poteva ferirsi, poteva venire attaccato da qualche animale pericoloso, poteva morire congelato.
E se gli fosse successo qualcosa mi sarei sentito un verme per il resto della mia ignobile vita. America poteva essere anche un idiota, un megalomane, un bambinone infantile, ma rimaneva pur sempre la mia ex colonia. Lo avevo amato come non avevo mai amato nessun altro. E lui mi aveva amato come non ero mai stato amato da nessun altro.
Mi aveva abbandonato, mi aveva fatto soffrire, questo è vero: ma non significava affatto che lo odiassi. Non lo avevo mai odiato davvero, non ci ero mai riuscito.
E anche se non lo avrei mai ammesso, ero così fiero di lui. Di quanto grande e potente fosse diventato. Durante quella dannata guerra avevo potuto constatare che la nazione ribelle e insicura di un tempo, era ora una magnifica e invincibile potenza mondiale. Era giovane, forte, magnifico. Con un sorriso amaro, capii che in un certo senso riconoscevo in lui quello che un tempo ero stato io. Quello che ricordavo con nostalgia essere stato il padrone del mondo.
E poi lui riemerse dalla foresta buia. Una lacrima mi rigò la guancia.
"Sei uno stupido! Dove diavolo sei stato?! Hai la più pallida idea di quanto fossi preoccupato per te?!"
Lui non mi aveva nemmeno risposto. Si era avvicinato al fuoco, con un espressione di ghiaccio sul volto, stando in piedi a fissare la vasta massa nera del mare di fronte a sè. Sembrava immerso nei suoi pensieri.
No, non poteva ignorarmi così. Non dopo avermi fatto stare tanto in pensiero.
Lo avevo colpito sul petto, con tutta la mia forza.
"Rispondimi imbecille! Dimmi qualcosa!"
E poi improvvisamente le sue labbra erano contro le mie. Le assaporavano, le divoravano con foga, con rabbia.
Caddi all'indietro, o forse fu lui a spingermi. Fatto sta che eravamo a terra, sulla sabbia, uno addosso all'altro, la sua bocca ancora sulla mia. Cercai di allontanarlo. Non servì a nulla.
"Che stai facendo...?!"
"Non è evidente?"
Non c'era alcuna traccia di ironia nella sua voce. Mi guardava serio, i suoi occhi fissi nei miei, mentre mi bloccava qualsiasi via di fuga, sovrastandomi.
Il suo viso, serio e impassibile come mai era stato prima d'allora, era illuminato dalla traballante luce del fuoco. Dio, Dio quanto era bello.
"America, smettila..."
"No. Non puoi dirmi quello che devo fare, Arthur. Non più."
Il cuore mi aveva fatto un salto nel petto quando avevo sentito che mi aveva chiamato per nome, il mio nome umano. L'ultima volta in cui glielo avevo sentito pronunciare, era ancora la mia piccola e angelica colonia. Com'era cambiato da allora.
Le sue mani erano così grandi e calde, la sua bocca così esperta, mentre mi faceva impazzire di desiderio. Un desiderio che, lo sapevo, non avrei dovuto provare. Non per lui, non così.
"N-Non dovremmo farlo, lo sai. E'...sbagliato."
"Allora perchè sembra piacerti tanto?"
Lo odiavo da morire in quel momento. Quel sorriso sul suo volto, quelle occhiate sfuggevoli, quelle parole sussurrate al mio orecchio mi stavano dando alla testa.
Forse, solo la sua infantile, egoistica testardaggine era la stessa di un tempo.
E se la mia mente si ribellava a quello che stava accadendo, decisa a non cedere a quei desideri nascoti e proibiti, il mio corpo stava lentamente scivolando in quell'oblio di piacere che lui mi stava offrendo.
Desideravo solo essere suo, abbandonarmi completamente a lui, perdermi in quegli occhi color del cielo che tanto amavo. E che avevo amato sempre.
"America..."
"Dì il mio vero nome, Arthur. Ti prego."
"Alfred...A-Alfred!"
Urlare quel nome verso il cielo stellato, quella volta scura che sembrava proteggerci come una nostra discreta complice, stringedomi a lui, affondando le dita nei suoi capelli dorati era stato emozionante. Sentivo il cuore battermi così follemente nel petto, mi sentivo uno sprovveduto ragazzino innamorato.
Quella notte ci addormentammo stretti l'uno nelle braccia dell'altro.
E ci svegliammo allo stesso modo il mattino dopo.
Non parlammo di quello che era accaduto quella notte. Per tacito accordo, durante il giorno eravamo quelli di sempre. Come sempre lui andava a cercare del cibo e io della legna per il fuoco, e come sempre ci spostavamo all'ombra della foresta quando il sole si faceva troppo caldo. Come sempre litigavamo. Come sempre guardavamo il mare, forse non più con speranza ma con un immotivato timore nel cuore.
E poi calava la notte, e tutto cambiava.
Bastava che le nostre mani si sfiorassero, che le nostre bocche si avvicinassero. A volte bastava anche solo uno sguardo d'intesa, per rovesciare quel gioco delle parti.
Alleati di guerra durante il giorno, amanti clandestini durante la notte.
E all'improvviso l'isola nei miei ricordi comincia a sfumare, lasciando spazio ad Alfred. Al suo viso, al suo corpo, al suo profumo.
"Io...ti amo, Alfred..."
Non mi aveva risposto. Mi aveva zittito con uno dei suoi baci possessivi.
E poi il sogno era finito.
Qualche giorno dopo la Royal Navy ci ritrovò, e ci riportò in patria. Non ci scambiammo una parola nè un'occhiata per tutto il viaggio di ritorno. Tornammo in guerra, combattendo l'uno al fianco dell'altro, come alleati e nulla più.
Niente era cambiato.
Dovetti aspettare tanto tempo prima di ricevere quella risposta, rimasta sospesa tra quel sogno che era la nostra isola e la dura realtà.
Dovetti aspettare la fine del conflitto, la vittoria degli Alleati.
"Sai, Arthur? Credo di amarti."
I giorni su quell'isola sono ancora vividi nei miei ricordi.
La vita va avanti, passano gli anni. Ma quel breve, fugace periodo mi sembra sempre così vicino, come un piccolo angolo caldo e variopinto nella mia mente, dove i riflessi dorati del sole sulle onde si mescolano al colore azzurro cielo degli occhi di Alfred, dove so che nulla è iniziato e nulla si è concluso, ma dove, a dispetto di tutto, potevamo permetterci di sognare.

Angolino dell'Autrice:

Se siete arrivati fino a qui vi meritate una pacca sulla spalla. *pat pat*
Ebbene sì, questa è la mia prima lime. (che cosa imbarazzante ~ )
E' ispirata da una strip del manga, in cui i nostri eroi naufragano su quella famosa isola deserta (quella dove prima o poi naufraga qualsiasi povero disgraziato che sia mai apparso in Hetalia...esatto, proprio quella lì u.u). Chiedo perdono ma non ho potuto resistere, dovevo usare quel momentuccio canon per dare sfogo alla mia mente da usukkista. Quindi sì, insomma...ditemi cosa ne pensate, consigli e critiche sono sempre ben accetti. E dopo questa, credo che ora andrò a ritirarmi a vita privata (?)
See ya soon, people!

   
 
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