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Autore: Agapanto Blu    12/10/2012    5 recensioni
Un incendio, una ragazza, un pompiere.
Una canzone e un 'Se'.
***
Autrice: Non mi sento di aggiungere altro.
Spero possa piacervi.
***
Quinta classificata al Contest "La Ballata delle Emozioni" e vincitrice del 'Premio Singulto'
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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SE TI AVESSI INCONTRATO PER LA STRADA…

 
Quel giorno, andai al lavoro come al solito…
Presi un caffè al bar sotto casa, salutai le colleghe prima di entrare nel mio studio di presidentessa dell’agenzia pubblicitaria ‘Magazine X’ e iniziai a lavorare…
Non immaginavo che la mia vita stesse per subire uno scossone…
Tre ore dopo, solo fumo e fuoco attorno a me…
 

/X/

 
Solo fumo e fuoco attorno a sé, Kyle non vedeva altro.
“Kyle, secondo me non c’è più nessuno!” gli urlò il suo collega, George, tentando di guardarsi attorno nonostante il fumo e le lacrime dovute ad esso.
“Esci!” gli urlò l’altro, “Chiedi se manca qualcuno, io faccio un ultimo controllo!”
George annuì e raggiunse la finestra, la scavalcò e poi scese lungo la scala mobile del loro camion.
“Non ho fatto il pompiere per lasciar crepare qualcuno tra le fiamme!” sbottò Kyle poi si aggiustò l’elmetto sulla testa e, solo, proseguì verso l’interno dell’edificio.
Il palazzo una volta doveva essere bellissimo ma le cose che venivano in mente al pompiere venticinquenne erano solo: era pieno di carta, è bruciato come niente, il fuoco ha preso ovunque.
Stando attento a ogni singola maceria, Kyle arrivò fino all’estremità opposta del piano.
Si guardò ancora attorno ma in quella zona c’erano parecchie macerie molto grosse ed era impossibile dire se qualcuno fosse ancora lì.
L’uomo prese un profondo respiro.
“C’è qualcuno?” urlò ma non ebbe risposta, chiamò ancora parecchie volte ma nessuno gli rispose.
Kyle si stava voltando per tornare indietro a chiedere rinforzi per controllare che non ci fosse più nessuno quando la sentì.
Una voce femminile, sottile e incerta, come cristallo venato, a un volume così basso che si stupì lui stesso di essere riuscito a udirla.
Si voltò e tornò indietro.
“Dove sei?” gridò, “Parla, così posso trovarti!”
“Q…qui… Sono qui…” sussurrò piano la voce di prima, o almeno sembrò un sussurro ciò che arrivò alle orecchie del pompiere per via del frastuono.
Kyle superò una porta divelta dai propri cardini e caduta a terra, due pezzi di muro e poi la vide: due grosse sezioni di soffitto si sostenevano a vicenda formando un triangolo con il pavimento e al ragazzo ricordarono un pezzo di un castello di carte; sopra di esse, dal buco che avevano lasciato, pendevano due gambe di una grossa scrivania; sotto, nascosta nel loro incavo, rannicchiata, in bilico sulle punte dei piedi, con le ginocchia al petto, stava una donna.
Kyle le corse di fronte.
Era una ragazza sua coetanea con capelli biondo cenere che le scendevano scalati lungo il collo ma non proseguivano oltre, il suo incarnato era molto chiaro a dispetto della moda del momento e gli occhi, resi probabilmente grandi dalla paura, erano spalancati e di un intenso color caramello. Le labbra piccole e molto sottili si schiudevano e richiudevano senza emettere un suono, quasi esitasse al solo pensiero di parlare, e mostravano due denti incisivi appena un po’ più lunghi del normale, mentre facevano tremare le piccole lentiggini che se ne stavano beatamente sparse per tutto il viso, specialmente su un naso dalla forma particolare: un po’ all’insù ma non troppo.
Nell’insieme, Kyle si ritrovò a pensare che era molto carina.
“Esci! Rischi che ti crolli tutto addosso!” le urlò, sconvolto dalla stupidità di lei che aveva cercato rifugio in quel posto.
“Non posso.” sussurrò lei poi guardò in alto.
Kyle seguì il suo sguardo e notò che le due sezioni di soffitto non combaciavano perfettamente l’una con l’altra. Aggrottò la fronte: come potevano restare in equilibrio, allora?
Abbassò lo sguardo ed ecco la risposta: la ragazza teneva le mani contro le pareti improvvisate attorno a lei. Probabilmente non si era rifugiata lì ma aveva provato a passare e la struttura aveva ceduto imprigionandola lì.
Kyle si trattenne per non imprecare davanti a una femmina ma si riservò di lanciare all’improvvisata struttura un’occhiata velenosa mentre insultava quella situazione mentalmente.
Prese un respiro profondo, sbuffò e si grattò la testa, esitante.
Una soluzione c’era ma… aveva un piccolo effetto collaterale.
Per far uscire la ragazza, si sarebbe dovuto sostituire a lei nel reggere i due detriti o le sarebbe crollato tutto addosso; ma, a quel punto, non aveva alcuna certezza che lei sarebbe riuscita ad uscire viva o quantomeno lucida abbastanza da indicare agli altri la sua posizione. E una minima scossa o il minimo crollo al piano di sopra avrebbe potuto far cadere la scrivania sulla struttura, schiacciandolo.
Kyle non era un martire, non lo era mai stato; amava la sua routine per quanto insignificante e quasi del tutto vuota, amava essere il bel rompiscatole di ogni situazione, non se la prendeva perché doveva sempre fare la parte del noioso responsabile con la testa sulle spalle… Di certo, non voleva morire là dentro.
Però era nato per fare il pompiere, quel lavoro era la sua vita anche perché ormai nessun altro ne faceva parte. Orfano a sedici anni, senza una compagna o un amico vero a causa del suo carattere scorbutico e distante…
In fondo, cos’aveva da perdere? E lei cos’avrebbe perso se lui non avesse fatto ciò che doveva?
“Come ti chiami?” chiese alla ragazza sforzandosi di essere gentile nonostante il brivido freddo che si divertiva a percorrergli lentamente la schiena.
La ragazza lo guardò con il suoi occhi color caramello pieni di sorpresa e confusione e Kyle le sorrise.
Il gesto dapprima sconvolse la ragazza ma poi le strappò un piccolo sorriso a sua volta.
“Christine…” rispose, “Christine Dei Pensieri…”
Kyle iniziò a staccarsi dalla schiena le bombole d’ossigeno e prese la mascherina. Piano e a gattoni si avvicinò a Christine e le posò la mascherina sul viso perché respirasse un po’ d’aria pura.
La giovane si lasciò sfuggire un verso soddisfatto nel sentire i suoi polmoni ripulirsi in parte dal fumo e chiuse gli occhi per godere della sensazione almeno un istante ma li riaprì di colpo quando sentì Kyle metterle in grembo le due piccole bombole.
Lo guardò, confusa, ma lui, prima di degnarla di uno sguardo, le infilò l’elastico della mascherina dietro la nuca.
La guardò negli occhi e lei si perse nei suoi.
Due smeraldi…, pensò Christine, troppo sconvolta dal fumo per riuscire a pensare in modo razionale al rischio di morire, Due smeraldi al posto degli occhi. E fili di notte al posto dei capelli.
Stabilite le definizioni per i suoi occhi verdi e per i capelli neri, riuscì finalmente a concentrarsi sulle sue parole.
“C’è qualcosa dietro di te?” le chiedeva lui, “Ci sono ostacoli o è libero?”
Christine si sforzò di controllare alle sue spalle senza muovere di un centimetro le mani dalla posizione dov’erano per mantenere l’equilibrio dei due blocchi che si contendevano il diritto di schiacciarla.
Non erano molto pesanti soltanto perché, fino a che fossero rimasti fermi in equilibrio grazie alle mani di lei, si scaricavano il peso l’uno sull’altro.
Christine però sapeva che, se l’appoggio fosse mancato, sarebbero potuti crollare schiacciandola con un peso notevole.
Tentando di trattenere la paura, tornò a guardare il bellissimo pompiere che la stava osservando.
“C’è un piccolo spazio vuoto, con un po’ di pietre ma niente di troppo grosso.” spiegò, sperando di essere stata esaustiva.
“Allora ascoltami, Christine.” la chiamò lui, andandole vicino.
Troppo vicino…, pensò Christine per un attimo, poi lui mise le mani accanto alle sue a sostenere le strutture e il suo petto arrivò a un soffio dal viso della ragazza i cui pensieri virarono seccamente in: Troppo lontano…
Una parte di Christine era consapevole del fatto che si trovava bloccata sotto due pezzi di soffitto al quindicesimo piano di un edificio in fiamme nello stesso momento in cui lei si faceva incantare dal pompiere che stava cercando di salvarle la vita, ma un’altra le ricordava che, ehy, con molta certezza sarebbe morta a breve quindi aveva tutto il diritto di concedersi un po’ di follie, anche perché era certa che fosse il troppo fumo a farle quell’effetto.
Kyle la osservò per un attimo mentre lei lo fissava negli occhi e, di nuovo, pensò che era tutto meno che brutta e quell’espressione un po’ spaventata, un po’ svanita e un po’… fissa su di lui, le dava l’aria di un cucciolo smarrito che guarda negli occhi il padrone che l’ha appena preso con sé, salvandolo dalla strada. Solo che lui ancora non era riuscito a salvarla.
Si riscosse.
“Christine, adesso tu, piano, scivolerai fuori da questa trappola indietreggiando, d’accordo?”
Lei scosse la testa con forza, d’un tratto angosciata.
“Se lo lascio, crolla tutto!” esclamò per poi mordersi la lingua quasi avesse paura che la sua voce potesse peggiorare la situazione.
Peggio di così!, pensò amaramente Kyle ma sorrise.
In un certo senso, quel suo comportamento da bambina spaventata lo inteneriva. Perché era vero e non solo un atteggiamento come quello di molte donne che fingevano sperando di piacergli, e lui ben sapeva che era nel momento del pericolo che le persone mostravano com’erano veramente: lei era esattamente così come appariva, una bambina sperduta ma decisa a non fare sciocchezze.
“Lo so.” le disse tranquillo nascondendo la propria ansia e aggiustandosi meglio in ginocchio davanti a lei, “Per questo lo reggo io.”
Lei sgranò gli occhi: l’ossigeno le stava snebbiando la mente e riusciva a ragionare con più lucidità.
“Ma tu?” chiese, senza riuscire a trovare una soluzione in cui lui non dovesse…
“Resto qui.” rispose tranquillo lui confermando la sua paura.
“NO!” esclamò lei sconvolta e per poco non lasciò la presa sui detriti.
“Sì, invece!” replicò Kyle con durezza per poi ammorbidirsi quando la vide tirarsi indietro, spaventata da lui, “Tu devi uscire e chiamare aiuto, capisci?”
Christine non riuscì a impedirsi di pensare che quel pompiere era parecchio volubile poi però, vedendolo avvicinarsi sempre più e avanzare sulle ginocchia, iniziò a indietreggiare spaventata, anche se a fatica per via delle bombole ancora in grembo.
All’improvviso si accorse che sotto le sue mani non c’erano più i pezzi di soffitto e alzò gli occhi: era libera.
Li riportò sul pompiere: lui era bloccato sotto le macerie.
I suoi muscoli erano tesi e le braccia tremavano: evidentemente muovendosi aveva intaccato ancora di più il precario equilibrio e ora lui aveva bisogno di un po’ di forza per reggerli.
“Va’ a chiamare aiuto, Christine!” le ordinò lui, la voce sforzata.
Lei esitò.
“Non hai la radiolina?” piagnucolò guardandogli il petto ma si rispose da sola quando non la vide, “Ce l’hanno tutti i pompieri, perché tu no?!”
Nonostante la situazione e il peso notevole da reggere, Kyle fece un sorrisetto strafottente.
“Perché sono un orso e non l’ho mai voluta: tanto faccio sempre di testa mia!” scherzò.
Christine sgranò gli occhi.
“L’ho rotta evacuando l’altro piano!” sbuffò Kyle, scherzare lo aiutava a non farsi prendere dal panico, “Non sono un idiota e ora, per favore, Christine, andresti a chiamare aiuto?”
Christine si alzò ma barcollò e ricadde seduta.
“Oh!” esclamò Kyle, preoccupato, “Tutto bene?”
Lei annuì, aveva bisogno di un attimo per riprendere il controllo dei suoi muscoli.
Guardò il pompiere.
“Come ti chiami?” gli chiese, scimmiottando la sua domanda.
Lui sembrò sorpreso ma poi sorrise.
“Kyle, Kyle Adams…” rispose sorridendo, “E, visto che tu non ti vuoi muovere e io probabilmente sto per morire, vorrei chiarire una cosa…”
Christine si alzò in piedi stringendo al petto le bombole d’ossigeno, colpita, ed era sul punto di replicare che lei avrebbe voluto muoversi ma che prima non ci riusciva quando lui continuò a parlare e la interruppe.
“Se ti avessi incontrata per strada, Christine Dei Pensieri, ti avrei sicuramente invitata a cena!” sorrise il ragazzo.
Christine sorrise, senza riuscire a impedirselo, poi si infilò le mani nelle bretelle delle bombole, si voltò e fece per allontanarsi.
Era arrivata all’angolo del corridoio, a dieci metri da Kyle, quando sentì un botto che non avrebbe mai voluto sentire.
Si voltò di scatto: la scrivania in precario equilibrio sopra di Kyle aveva ceduto ed era caduta, facendo peso sui due pezzi di soffitto che, a loro volta, erano crollati.
Kyle non si vedeva più.
“No…” senza pensarci, Christine iniziò a tornare indietro.
“No, no, no, no!”
Arrivata a un metro da lui, lo vide.
Da sotto le macerie spuntavano sì e no le spalle e la testa ma respirava ancora e sembrava più o meno cosciente.
Christine si inginocchiò accanto al suo viso e ringraziò il cielo che fosse sdraiato sulla schiena sperando che, così, questa non avesse subito brutte lesioni.
Gli mise le mani sulle guance e lo chiamò.
Alla terza volta, Kyle riaprì un po’ gli occhi.
Per un attimo, vide tutto grigio ma poi mise più o meno a fuoco il viso di Christine.
Che ca…osa ci fa ancora qui?!, pensò infastidito censurandosi da solo i pensieri.
“Kyle, mi senti?”
La voce che gli arrivò era strana e distorta ma doveva essere sua per forza: a nessun altro aveva dato il permesso di chiamarlo per nome e non per cognome.
Per un attimo si perse a chiedersi perché l’avesse fatto ma poi il dolore bussò alla coscienza, con tanto di fiori e cioccolatini, facendogli fare una smorfia.
“Va’… a cercare…”
Kyle si morse la lingua: non ce la faceva, il dolore era allucinante, e faceva troppo caldo.
“Shhh… Tranquillo…”
Kyle cercò di lanciare un’occhiata scettica a Christine ma lei sorrise quindi doveva aver fallito.
Si sentì soffocare e iniziò ad ansimare.
Le immagini si stavano facendo opache e confuse, come se le stesse guardando da attraverso vetro impreciso, e poi, quando le cose iniziarono a sdoppiarsi e a girare, credette di stare osservando il mondo da attraverso un caleidoscopio.
Fu proprio nel caleidoscopio che vide Christine togliersi la mascherina dal viso e metterla sul suo, sorridendogli dolcemente.
Gli parve anche di vederla voltarsi e di sentirla chiamare aiuto a gran voce ma non ne era certo.
Le immagini si dilatarono diventando sempre più chiare finché tutto quello che riusciva a vedere non fu che un bianco accecante.
Qualcosa, una voce che canticchiava una strana melodia, molto smile ad una ninna-nanna, lo cullò.
Il dolore lo sopraffece nel momento in cui la voce canticchiò: perfino il tuo dolore potrà apparire poi meraviglioso…
A quel punto, mentre lui pensava scetticamente che quella frase fosse una presa per i fondelli, divenne tutto nero.
 

/X/

 
Scomodo…, fu il primo concetto con una motivazione chiara e precisa che Kyle riuscì a pensare.
Il secondo fu: ho fame.
Il terzo: sto da cani.
Una volta chiariti i tre punti fondamentali, Kyle pensò che, forse, poteva aprire gli occhi per accertarsi che fosse vera la diceria secondo la quale una volta che sei morto puoi vedere il tuo corpo da fuori.
Annoiato, Kyle aprì gli occhi.
E si ritrovò in ospedale.
Aggrottò la fronte.
“Mi sono perso qualcosa…” borbottò con la voce ancora impastata dal sonno e arrochita dal fumo dell’incendio.
Una risata forte, decisa ma dolce, lo fece voltare verso la sinistra del suo letto.
Intenta a mettere a posto un grosso mazzo di fiori, delle specie di grosse margherite fucsia con la parte centrale molto gonfia, stava una ragazza.
“Echinacee.” spiegò la ragazza, “Sono un augurio di ‘forza e salute’.”
“Ah beh, di quello ho bisogno senz’altro…” sbottò Kyle osservandosi per la prima volta le gambe, entrambe ingessate.
“Tutte e due!” sbottò, deciso a lamentarsi con qualcuno, “Mi sono rotto tutte e due le gambe!”
“Eh già…” rispose la ragazza ridendo piano.
Kyle aggrottò la fronte: un’infermiera non sarebbe stata così gentile con lui. Insomma, a volte finiva in ospedale ma i medici facevano di tutto per sbatterlo fuori il prima possibile perché tendeva a far venire l’esaurimento nervoso al personale.
Si voltò a guardare la ragazza… e si ritrovò davanti il viso sorridente di Christine.
“Tu!” esclamò saltando istintivamente a sedere.
O almeno, provando a mettersi seduto perché le gambe, e a dire il vero anche tutto il resto del corpo, protestarono con forza contro il suo proposito e lo fecero ricadere sul materasso.
Christine gli afferrò la testa appena in tempo per impedirgli di sbatterla contro la testiera del letto.
“Scusa…” sussurrò poi lasciandolo andare.
Kyle la vide distogliere lo sguardo arrossendo e affrettarsi a recuperare giacca e borsa da una sedia.
“No, aspetta!”
Christine si fermò e lo vide imprecare tra i denti.
“Dannazione, sono un orso, altroché se lo sono!” lo sentì sbottare prima di guardarla di nuovo in viso, “Senti, mi dispiace, d’accordo? Ero solo sorpreso di vederti qui, non volevo mandarti via!”
Christine sorrise senza riuscire a impedirselo e posò di nuovo la sua roba.
“Ti spiace se resto un po’ a farti compagnia?” gli chiese.
Lui sorrise e scosse la testa.
Ora di nuovo in sé, Christine si permise di confrontare il vero Kyle con quello un po’ distorto dei suoi ricordi e… cavolo, era ancora più affascinante di come l’avesse visto allora!
“Christine?”
“Sì?”
“Lo so che sembra una cavolata ma…” Kyle esitò poi scosse la testa e si decise, “Per caso hai sentito qualcuno cantare?”
Christine sgranò gli occhi poi però arrossì.
Piano, sperando che non la sentisse, borbottò un: ero io.
Kyle sgranò gli occhi.
“Caspita!” commentò, “Sei brava… Che canzone era?”
Christine arrossì ancora ma rispose.
“Era una ninna-nanna che mi cantava mia nonna… Sai, quando c’erano i temporali e avevo paura…” ammise poi si guardò le dita che stava torturando, “Infantile, eh?”
Kyle scosse la testa e sorrise.
“No, dolce…” la corresse.
Lei lo guardò e lui sorresse il suo esame rispondendo al gesto.
“Allora…” esclamò Kyle battendo le mani incerottate, “Cosa mi sono perso?”
Christine rise, si sedette sulla sedia di plastica accanto al letto e gli spiegò di come, preoccupati per la sua assenza, i suoi colleghi fossero venuti a cercarlo e li avessero trovati grazie alle grida di lei.
C’erano voluti quattro uomini per spostare la scrivania e cinque per sollevare ciascuno di quei pezzi di soffitto abbastanza da tirarlo fuori poi, visto che nessuno sapeva se lui avesse parenti, lei si era offerta di andare in ambulanza con lui.
“E tanti cari saluti alla mia autorità!” borbottò Kyle, “Ti avevo detto di uscire da lì! Quale parte del mio discorso non era chiara?!”
Christine sgranò gli occhi e spalancò la bocca poi reagì, irritata e sarcastica.
“Scusami tanto se ti ho salvato la pelle e anche qualcos’altro che, almeno di nome, ci assomiglia!”
A Kyle cadde la mascella ma lei fece spallucce.
“Tesoro, tutta la parte inferiore del tuo corpo era bloccata là sotto: è un miracolo che tu ce l’abbia ancora attaccate al corpo…” commentò guardandosi le unghie e fingendo nonchalance.
No, davvero: era lei quella?!
Kyle scosse la testa e chiuse gli occhi.
“Una tregua?” propose.
“Assolutamente!” assentì Christine poi sorrise, “Quindi sei in debito con me…”
Non era mai stata una donna intraprendente ma, in fondo, che male c’era a provare una volta? Tanto per vedere come fosse prendere l’iniziativa…
Kyle la fulminò con un’occhiataccia.
“Ah, io sono in debito con te?” ripeté acido, “Non so se ti sei resa conto della mia situazione per colpa di qualcuno…”
“Allora sono io in debito con te.” assentì Christine scrollando le spalle poi sorrise, “Mi pareva che qualcuno avesse parlato di una certa strada…”
Kyle aggrottò la fronte, confuso.
“…e di una certa ragazza…”
Il ragazzo sgranò gli occhi, iniziando a capire.
“…e di una certa cena?” si azzardò a concludere al posto di lei che lo guardava con aspettativa.
Christine sorrise, felice.
“Appena ti sarai rimesso!” promise.
Kyle sentì una punta di delusione crescergli nel petto: sarebbe dovuto rimanere bloccato là dentro per almeno un mese e mezzo prima di guarire e per allora lei si sarebbe certo dimenticata di lui.
“Ma fino ad allora tu avrai bisogno di assistenza. E io sono bloccata a casa finché non rimetteranno in piedi l’edificio quindi…” continuò Christine facendogli sgranare gli occhi per poi correggersi subito quando vide la sua espressione, “Sempre se hai bisogno di aiuto! Lo so che sei un uomo tutto d’un pezzo e che ce la faresti benissimo da solo ma…”
“Uomo tutto d’un pezzo?” chiese Kyle ghignando.
“Era un modo di dire…” sbottò Christine arrossendo.
“Ce la farei benissimo da solo? Con due gambe rotte?!”
“Cavolo ne so di come fate voi uomini?!”
“D’accordo, va bene, va bene!” si arrese Kyle ridendo, “Allora… Grazie…”
Christine sorrise e, facendolo, spense la stanza rubando su di sé tutte le luci della camera.
“Grazie a te…” sussurrò.
Continuarono a parlare per un po’, finché l’orario delle visite non fu terminato.
Christine si alzò e fece per uscire ma, sulla porta, si fermò e si voltò indietro.
“Ah… Ancora una cosa…”
“Sì, Christine?”
“Se un uomo come te, Kyle Adams, mi avesse fermata per strada e mi avesse invitata a cena, avrei sicuramente accettato!”
Kyle rimase a bocca aperta ad osservare la porta che si chiudeva poi sorrise.
 
Perfino il tuo dolore potrà apparire poi meraviglioso…
 
In effetti, ammise Kyle con sé stesso, il dolore che si era procurato nell’incendio non gli pareva poi così terribile in quel momento.






Questa storia non è splendida, non è un capolavoro, non è nulla di eccezionale.
Però è il mio regalo per qualcuno che mi ha fatto un dono enorme.
Grazie Chris, questa è per te.
A presto.
Agapanto Blu
  
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