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Autore: Jadis96    12/10/2012    3 recensioni
La mattina del 20 novembre, in un modesto appartamento di Londra, un uomo muore. Unico sospettato dell'omicidio: il suo migliore amico.
Sherlock e John si occupano del caso.
La mattina del 21 novembre, un misterioso scambio di corpi sconvolge le loro vite.
Come se la caveranno l'unico Consulente Investigativo al mondo e il suo inseparabile blogger l'uno nei panni dell'altro?
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Lestrade , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10! Questo sarà l’ultimo dal punto di vista di Sherlock, mentre dal prossimo in poi si ritornerà a John.
Buona lettura!
 
 
<< Così sono sicuro che non andrai da nessuna parte >>.
Le parole di Samuel mi giungevano ovattate, come provenienti da molto lontano.
Il proiettile si era conficcato nella mia gamba destra. Rettifico: la gamba destra di John.
Per qualche lungo secondo il dolore m’impedì di pensare, il che è più che sufficiente per esprimerne l’intensità. Ma subito dopo il mio senso pratico ebbe la meglio.
Mi costrinsi a poggiare la mano sulla ferita. Non appena la sfiorai, dovetti mordermi la lingua per non urlare. Il dolore era, se possibile, aumentato. Ma era necessario: non dovevo perdere troppo sangue.
Poi, concentrai la mia attenzione su Samuel. La sua camicia, prima di colore azzurro chiaro, era diventata quasi completamente rossa, ma lui non sembrava esserne particolarmente preoccupato.
Anzi, la sua espressione era insolitamente spensierata mentre serrava la finestra e chiudeva a chiave tutte le porte che comunicavano con il soggiorno.
<< Già da un po’ di tempo pensavo di liberarmi di questa casa e della maledizione che vi risiede, ma ovviamente venderla non era la soluzione più adatta. Mi sarebbe piaciuto organizzare uno spettacolo di fuochi d’artificio, ma la dinamite è costosa e un po’ troppo eclatante persino per i miei gusti. La benzina, invece, è decisamente più economica… e mi piace l’odore >>. Samuel parlava tra sé, incurante di essere ascoltato.
Dovevo sfruttare al meglio quelli che sarebbero potuti essere gli ultimi minuti della mia vita.
Infilai una mano nella tasca dei pantaloni, cercando di raggiungere il cellulare.
<< Provaci di nuovo e il prossimo colpo sarà più in alto >>, disse Samuel, con tono annoiato.
Abbandonai l’idea del cellulare e cercai di analizzare la situazione da un punto di vista logico.
Non c’era speranza che riuscissi ad andarmene da lì da solo. Forse sarei riuscito a camminare, ma sfondare una porta era fuori discussione.
Sapevo che, se Samuel mi avesse lasciato lì con la casa in fiamme, preferibilmente vivo, avrebbe avuto l’accortezza di prendere il mio cellulare. Per farla breve: non potevo scappare, non potevo contattare nessuno e di certo non potevo persuadere Samuel a lasciarmi andare.
C’era solo una possibilità. Un’unica, folle possibilità.
Welch aveva detto di aver impiegato anni per imparare ad usare il suo potere. Io potevo prendermi tutto il tempo necessario a partire da quel momento… fino a quando non fossi morto soffocato per il fumo. Potevo tornare nel mio corpo, che si trovava a Baker Street, mentre John sarebbe tornato nel suo, con una pallottola nella gamba, in una stanza in fiamme. Allora avrei avuto pochi minuti per arrivare da lui.
Potevo provarci, oppure morire lì.
 
Intanto Samuel aveva preso una tanica e bagnato il massiccio tavolo di legno e le pareti della stanza, fin quasi al soffitto. L’odore pungente della benzina mi pizzicò le narici.
Welch si guardò intorno, soddisfatto della sua opera. Poi si avvicinò a me.
Era pallido, aveva gli occhi iniettati di sangue e la sua voce era roca.
<< E’ stato bello condividere qualcosa di così unico con te. Addio Sherlock >>.
Si chinò a raccogliere il mio cellulare e la rivoltella che era caduta lì vicino. Poi andò alla soglia della porta d’ingresso, accese un accendino, lo lasciò per terra ed uscì.
Quella fu l’ultima volta che vidi Samuel Welch.
La piccola, innocente fiamma dell’accendino divampò non appena toccò il pavimento bagnato di benzina. Un istante dopo mi raggiunse una vampata di fumo e calore, avvertendomi che mi era ormai restato poco tempo.
Feci forza sulle braccia e sulla gamba sana per strisciare dall’altro lato della stanza, dove il fuoco avrebbe impiegato più tempo ad arrivare.
Con la coda dell’occhio notai che mi stavo lasciando alle spalle una scia di sangue.
Mi appoggiai alla parete, mi tolsi il cappotto e lo annodai attorno alla gamba, ignorando il dolore.
Poi, chiusi gli occhi. Il mio palazzo mentale era ancora lì, forse con delle stanze mancanti, ma intatto. Andai al piano dedicato a John. Quello era un po’ impolverato. Raccolsi tutte le informazioni che avevo in ogni singola stanza. Tutto quello che sapevo o che avevo dedotto su John. Doveva essere un desiderio intenso, tanto potente da forzare l’anima di John fuori dal suo corpo (il mio, in realtà).
E così, lo desiderai, mentre il calore mi avvolgeva e l’aria diventava soffocante.
In quel momento, per la prima volta in vita mia, ebbi paura di morire. Ma non era l’idea del dolore e dell’ignoto che mi spaventava, bensì quella di lasciare John intrappolato nel mio corpo per sempre.
Questa era la mia più grande preoccupazione, mentre lasciavo il mio unico amico in un pericolo mortale per salvare entrambi.
E se fossimo sopravvissuti, dubito che me l’avrebbe mai perdonato.
 
Quando il dolore alla gamba scomparve e la temperatura si abbassò di colpo, capii che forse ce l’avevo fatta. Riaprii gli occhi, timoroso di quello che avrei visto…
   
 
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