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Autore: Medea00    13/10/2012    17 recensioni
Ecco la mia Klaine week, in stile Blame it on Blaine!
Ebbene sì: sono tutti spin off della mia prima fanfiction, e questa cosa mi ha emozionata molto. Ha superato le 150 preferite e dopo tanto tempo ancora c'è gente che la legge, la recensisce e che mi ringrazia per quella storia. Beh io ringrazio voi. E ho voluto ringraziarvi così. Spero che vi piaccia :)
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ce l'avevano fatta. Avevo consegnato la relazione; non sarei stato cacciato fuori dagli Warblers, ed era solo merito loro. Li ringraziai con il cuore in mano, ma fui interrotto quasi subito.

“Amico -esordì Flint, raggiunto dagli altri tre, le braccia conserte, il sorriso orgoglioso- andiamo, pensavo che avessimo superato queste formalità. Siamo i tuoi migliori amici. Saremo sempre pronti ad aiutarti, anche quando sei in stato troppo catatonico per spiccicare mezza parola.”

Arrossii. Kurt strinse debolmente la mia mano. Era rimasto sempre accanto a me, godendosi lo spettacolo con fare leggermente ammirato. Quei ragazzi, davvero, ne sapevano una in più del diavolo.

E capii che, dopotutto, non mi sarei sentito così solo.

--Blame it on Blaine, capitolo 20.

 

Questa OS si colloca nella terza stagione, dopo la puntata di BAD.

 
 
 
 

 
A volte ammettere un errore è più difficile dell’essere perdonati per averlo fatto.
Non avrei mai creduto di ritrovarmi a pensare queste cose sugli Warbler, la mia famiglia. Ricordavo ancora quando Kurt e io eravamo al Lima Bean, io con la mia divisa perfetta e stirata e lui che voleva convincermi a tutti i costi a cambiare scuola.
“Non posso abbandonare gli Warbler”, gli avevo detto; ed ero convinto: non c’era niente, in quel momento, che mi avrebbe fatto cambiare idea.
Perchè, dopotutto, “Quei ragazzi sono i miei amici”.
Avevo detto proprio così. Con un piccolo sorriso, ed una voce addolcita dai ricordi. Io, per molti anni, ero vissuto insieme a loro: nella Dalton, in quel mondo in cui non solo mi ero sentito accettato, per la prima volta in vita mia, ma anche voluto. Amato. In un certo senso, speciale.
Ma sapevo che era sbagliato provare certe cose solo per merito di altri: dovevano nascere da dentro, doveva esserci la consapevolezza di essere esattamente in un certo modo, e non perchè così ti apprezzavano gli altri, ma perchè eri tu a volerlo.
Questo me l’aveva insegnato Kurt; perchè, grazie a lui, avevo imparato a essere veramente me stesso.
Non volevo abbandonare gli Warbler. Ma loro, alla fine, avevano abbandonato me.
E ora stavo sdraiato sul mio letto, con le mie coperte troppo grandi e una benda scura, che copriva tutto l’occhio sinistro. Questo era tutto ciò che restava della mia amicizia durata tanto, tanti anni in cui avevo riso, cantanto, affrontato problemi, per poi risolverli senza mai essere da solo.
Invece, ora, c’era solo buio.
Perchè non vedevo altro, da quell’occhio sinistro. Quella benda mi impediva di vedere ma, paradossalmente, mi aveva aperto gli occhi.
Avrei dovuto capirlo molto tempo prima, quando Flint, Ed, Colin e Nick si lamentarono del poco tempo che passavo con loro; poi, avevano cominciato a evitarmi, a non mandarmi più messaggi, a parlarmi in modo freddo, perfino quando andavo a trovarli.
Avevo pensato che fosse per via delle regionali, il fatto di competere l’uno contro l’altro; non avrei mai creduto che tutto quello potesse essere ricollegato alla fiducia.
Sì, perchè era ovvio: non mi credevano più uno di loro. E forse un poco avevano ragione. Le New Directions mi acvevano finalmente accolto a braccia aperte, il mondo di Kurt era diventato anche un po’ il mio.
E poi, l’ultima volta che ero andato alla Dalton, mi sentii incredibilmente nervoso, preoccupato; perchè loro erano bravi, come sempre, e Sebastian era così sicuro di sè, da incutermi un certo timore. I ragazzi, d’altro canto, sembravano come spenti: burattini in mano di quel ragazzo meschino, ed ero come convinto che, se glie lo avessi chiesto prima, non sarebbero stati in grado di capire cosa fosse giusto e cosa profondamente sbagliato.
Ho agito d’istinto. Non si fa forse così, quando si è sotto minaccia, e quando si rimane profondamente delusi da quelli che pensavo fossero i miei fratelli? Mi trattavano come un estraneo. Un intruso. E forse loro potevano essere rimasti feriti dal mio atteggiamento ostile, ma di certo, quello che stava soffrendo più di tutti ero io.
E il vero motivo, la vera e unica ragione per cui stavo soffrendo, e molto, non era stato osservare i loro occhi freddi, e non era stato nemmeno prendermi quella granita infuocata al posto di Kurt; di quest’ultima cosa non mi sarei mai pentito, se possibile, lo avrei rifatto altre mille volte. In un certo senso, non biasimavo nemmeno Sebastian: avrei dovuto aspettarmi una cosa del genere da uno come lui.
Ma non da loro.
Colin, Flint, Nick, Ed, tutti quanti. Come avevano potuto fare questo a me? A Kurt?
Perchè loro avevano acconsentito a quel piano ridicolo di oltraggiarlo, umiliarlo, avevano collaborato a distruggerlo e sì, in quel modo, avevano distrutto anche me. Avevano tradito tutto ciò in cui credevano, in cui credevamo: tutta l’amicizia, tutte le nostre imprese passate... sparite. E per cosa, poi? Non lo capivo nemmeno.
Francamente, non capivo nemmeno che fine avesse fatto il detto “Once a Warbler always a Warbler”, visto che sembrava del tutto dimenticato.
 
“Blaine?”
Kurt aprì la porta di camera con gentilezza, entrando assieme ad un vassoio di tè e biscotti. Mi venne quasi immediato sorridere, perchè lui era il mio Kurt, era lì, sarebbe sempre stato lì. Mi venne quasi da piangere a quel pensiero, ma poi mi ricordai che perfino una minima lacrima faceva bruciare l’occhio per ore, e allora feci un respiro profondo.
Lo vidi avvicinarsi a  me con dolcezza, sedendosi sulla poltrona accanto a me; afferrò dolcemente la mia mano, facendo scorrere il pollice lungo tutto il palmo.
“Tutto bene?”
No. L’occhio brucia da morire. Mi sento solo. Sono triste.
“Sì, alla grande. Li hai fatti tu i biscotti?”
Lui sembrò indugiare sul mio volto come amareggiato, ma qualche secondo dopo sfoggiò un bel sorriso e cominciò a raccontare la sua giornata. Io, come sempre, ascoltai: annuivo quando necessario e ridacchiavo quando me la sentivo, perchè Kurt non meritava le mie lamentele, dovevo fingermi felice. Non volevo annoiarlo con tutte le mie riflessioni sui miei ex-amici.
Ma ancora una volta avevo sottovalutato Kurt Hummel, e quanto in realtà mi conoscesse bene.
“Blaine, posso chiederti una cosa?.” Mormorò dopo un’ora passata nella più totale tranquillità, e io gli rivolsi uno sguardo confuso.
“Certo Kurt. Tutto quello che vuoi, lo sai.”
“Promettimi solo che ascolterai.”
E in quel momento non capii bene a cosa si riferisse, io lo avevo ascoltato per tutto il tempo; stavo quasi per ribadire il concetto mostrandomi anche un po’ offeso, ma poi la porta della camera attirò la nostra attenzione con un rumore secco, di chi volesse bussare ma si fosse tirato indietro all’ultimo.
Kurt si alzò in piedi in quel momento, guardandomi innamorato, e pensai che certe volte avrei voluto fargli una fotografia solo per incollare quell’espressione ai miei sogni.
“Io sarò fuori, se hai bisogno.”
Non capivo; dove stava andando? Chi stava per entrare?
Ma poi il mio occhio sano intravide uno sprazzo di colore rosso e blu proprio oltre la porta, e allora tutto si fece più chiaro.
Non mi ero proprio immaginato come sarebbe stato trovarsi di fronte a Ed, Flint, Colin e Nick nel bel mezzo di camera mia, e forse avrei dovuto: forse, non pensavo nemmeno che sarebbero venuti, perchè insomma, con che coraggio si presentavano dopo tutto quello che era successo?
“Ehi, Blaine.”
Nick si fece avanti per primo, seguito a ruota dagli altri tre, timidi, insicuri.
“Ehi.”
Non avevo nessuna intenzione di mostrarmi gentile; non li volevo lì. Volevo solo Kurt, e quando quel pensiero attraversò la mia mente, spalancai di colpo gli occhi – o meglio, l’occhio – e quasi non riuscivo a crederci: “Vi ha chiamati Kurt?”
Annuirono impercettiblimente, mentre le mie labbra si strinsero in una smorfia. Ero quasi arrabbiato con il mio ragazzo. Non avrebbe dovuto farlo. Avrebbe dovuto chiedermelo prima, parlarne, perchè insomma, come faceva a sapere che li volevo vedere? Non volevo, non volevo assolutamente.
“Ti abbiamo portato... del caffè.”
“Sì, quello della nostra caffetteria...” sussurrò Nick; quello in cui passavo tutti i pomeriggi, conclusi mentalmente, interpretando la sua esitazione.
Mormorai qualcosa, non era un vero e proprio grazie, ma a quanto pare gli bastò per posare il bicchiere proprio sul vassoio di Kurt, accanto alle sue tazze, ai suoi biscotti. Il bicchiere era avvolto dal thermos degli Warbler, lo riconoscevo benissimo, fino a due giorni fa lo usavo anche io. Quel blu attraversato da una sottile striscia rossa era in netto contrasto con il bianco e il verde chiaro del servizio di Kurt, così come con i suoi biscotti ipocalorici.
Perchè stonava così tanto?
Nel frattempo, Flint aveva chiuso la porta, e lentamente si erano seduti tutti accanto a me, Ed sulla poltrona, gli altri, ai piedi del letto. Svoltai la testa da un lato, cercando di respirare regolarmente e non farmi sopraffare dai nervi; loro, quasi per rispetto, o per timore, restarono in silenzio. Quel silenzio durò per molti secondi, uno di quelli ricchi di tensione, amarezza e parole non dette e, per tutti noi, era la prima volta. Non c’era mai stata tensione tra di noi; non avevo mai sentito il desiderio di andarmene, ed ecco che di nuovo l’occhio ferito cominciò a pungere terribilmente, insistendo nel voler piangere.
Una parte di me stava per raccogliere tutte le forze necessarie a urlare contro coloro che una volta erano tutto il mio mondo e dir loro di andare via, di lasciarmi da solo, di far venire da me Kurt. Ma fu proprio quest’ultimo pensiero che mi bloccò quasi lasciandomi senz’aria, perchè, ad un tratto, mi apparvero con chiarezza le sue parole: “Promettimi solo che ascolterai.”
Sembrava quasi un paradosso che avessi cominciato a sorridere, così, senza un motivo apparente, ma dentro di me continuavo a ripetere che Kurt mi conosceva così bene, che aveva già previsto tutte le mie mosse, dalla prima all’ultima; sapeva della mia amarezza verso gli Warblers senza mai parlarne. Sapeva che volevo vederli, ancora prima che lo avessi realizzato io.
“Insomma, come ti senti?” Mormorò Colin guardandomi di sottecchi, come se non sapesse bene se poterlo fare o meno; mi strinsi nelle spalle, riportando tutto ciò che mi aveva detto il dottore, l’operazione, la convalescenza.
“Cavolo... sembra una cosa seria.”
“Lo è”, sentenziai di fronte a quel commento idiota di Ed, “Ma mi hanno assicurato che è un’operazione sicura.”
“Beh allora...”
Di nuovo, silenzio. Ognuno fissava le proprie mani, come incapaci di agire, di dire tutto quello che ci stavamo sigillando dentro. Ma non io; io ero troppo frustrato, deluso, arrabbiato, per non reagire.
“Adesso smettetela, tutti quanti.”
Immediatamente, alzarono la testa e io mi ritrovai con quattro paia di occhi allibiti.
“Non serve tutta questa compassione. Non serve questa premura, il caffè, le domande. Potete anche lasciare evitare.”
“Non stiamo fingendo”, mi interruppe Nick, un po’ bruscamente. “Siamo veramente preoccupati per te.”
“Ma davvero?”
Mi misi composto a sedere, la coperta rossa adesso era stretta tra le mie dita, il mio volto era rigido e freddo, mentre guardavo i ragazzi uno ad uno.
“Beh, avreste dovuto farlo quando Sebastian vi ha proposto quello stupidissimo piano della granita. O quando gli avete passato il bicchiere. O quando ve ne siete andati senza dire nulla, mentre io ero stato appena accecato.”
Non c’era nemmeno bisogno di urlare; c’era così tanta rabbia, nelle mie parole, che perfino il minimo sussurro li faceva rabbrividire.
“Voi eravate i miei migliori amici.”
Non piangere. Non piangere.
“Voi-voi eravate tutto per me, e- e vi siete già dimenticati di tutto quello che abbiamo passato insieme? Di quando abbiamo rubato la televisione nello sgabuzzino? Di quando avete rapito il gatto della Pitsbury solo per farmi andare da Kurt?”
“Eravamo furiosi!” Ammise con un’esclamazione Ed, battendo un piede a terra. “Tu ci hai abbandonati, Blaiene! Come puoi tirare fuori queste cose del passato, proprio tu?! Tu, che te ne sei andato dalla Dalton ignorando completamente ogni nostra supplica, che ci hai voltato le spalle per... per un ragazzo!”
“Non è un ragazzo qualsiasi!”, urlai, “E’ Kurt! E’ il nostro Kurt! Cosa avrei dovuto fare!? Volevate accecarlo, vi rendete conto? E’ stato un Warbler, proprio come voi!”
Quella frase lasciò tutti con un grandissimo macigno sul cuore: le loro schiene si fecero più curve, i loro volti più doloranti, mentre dei piccoli ricordi cominciavano ad affiorare nella loro memoria.
Ricordi di quando Kurt era solo e impaurito, e loro lo avevano subito accolto a braccia aperte interrompendo il mio tour della scuola; ricordi di quando aveva passato una settimana a prepararli per un appuntamento; ricordi di quanto erano stati felici, quando io stavo correndo per le strade di Lima solo per la voglia di rivederlo.
“Cos’è cambiato?”
Non mi ero nemmeno accorto che il mio occhio bendato, lancinante, aveva cominciato a piangere, nascosto dal resto del mondo. Fu l’unica volta in cui mi sentii felice di avere la benda.
Dopo poco tempo, parlò Flint. Non era mai stato un uomo di grandi parole, soprattutto in quei casi: di solito faceva le battute, prendeva in giro. In quel momento mi guardò con gli occhi lucidi quanto i miei e disse: “Non lo so Blaine. Tu eri andato via, e stavi sempre con Kurt, e l’ultima volta che ci siamo visti ci hai offesi.”
“Ho offeso l’esibizione”, puntualizzai, “Perchè Sebastian-“
“Noi non siamo Sebastian.”
Fu in quel momento che, almeno un poco, il mio cuore trasalì: avevano ragione. Non me l’ero presa solo con Sebastian. Non avevo offeso solo lui.
“Mettiti nei nostri panni”, esordì Colin piano, con un tono quasi dolce, “Il tuo migliore amico, il tuo compagno di avventure...”
“E disavventure”, intervenne Ed con un ghigno, e quasi venne da sorridere anche a me.
“Sì, insomma – proseguì l’altro – te ne sei andato, solo perchè te l’ha chiesto Kurt. E va bene, è il tuo ragazzo, e lo ami, ma che ne dici di noi? Noi non contiamo proprio niente, Blaine?”
“Che cosa stai dicendo?! E’ ovvio che-“
“Ti sei unito ad un altro Glee Club”, sentenziò Nick, “Sei diventato un nostro rivale. E poi ogni volta che ti chiedevamo di uscire tu non potevi mai perchè dovevi stare con loro e provare. Come ti saresti sentito?”
Non era andata così, stavo per urlare, ma poi tutto ad un tratto non ne ebbi le forze: davvero mi ero comportato in quel modo? Rielaborai mentalmente gli ultimi mesi della mia vita, le persone con cui lo avevo passato: tutto ad un tratto, un enorme senso di colpa cominciò a farsi strada trai miei timori.
“E poi sei venuto alla Dalton, e ci hai offeso, e sembravi completamente un’altra persona rispetto al Blaine che conoscevamo... nemmeno un anno fa cantavi e ti divertivi insieme a noi.”
Avevo davvero giudicato la loro esibizione come se non fossi più un loro membro? Ero davvero stato così freddo, distaccato?
..., rispose una piccola parte del mio cuore, quella che cominciava a uscire attraverso delle piccole lacrime e dei sospiri.
“Mi dispiace.”
La mia voce uscì spezzata e a malapena udibile, ma per fortuna i ragazzi mi conoscevano da così tanto tempo, avevano già capito.
“Mi dispiace, io-io non volevo comportarmi in questo modo, non volevo allontanarmi.”
“Non è colpa tua.” Flint si alzò piano, per avvicinarsi a me, dandomi una piccola pacca sulla spalla. “Ehi, è normale. Tu stai dalla parte di Kurt. La colpa è solo nostra.”
Come?
“Perchè?” Bisbigliai, e Colin mi rispose con una smorfia amara, che mostrava tutto il suo senso di colpa.
“Perchè lo abbiamo capito troppo tardi. Eravamo così arrabbiati con te, che non riuscivamo davvero a capirti. Noi... abbiamo pensato che Kurt ti avesse cambiato. E Sebastian è riuscito a fuorviarci e a indirizzare tutte le nostre colpe su di lui.”
“Così abbiamo pensato alla granita, - intervenne Flint – ma Blaine, ti assicuro, non era nostra intenzione fargli del male. Cioè, non fisicamente. Sapevamo che il sale scioglieva l’acqua e noi volevamo una miscela più liquida per farla attaccare meglio ai vestiti. Non volevamo ferire nessuno dei due, e nemmeno Sebastian voleva.”
Non mi interessava sapere cosa pensasse o non pensasse lui, ma in quel momento un altro dubbio cominciò ad attanagliare la mia mente, martellandomi con insistenza e frustrazione: non era come dicevano loro, io non ero cambiato. O forse sì?
Forse, non ero più il Blaine Anderson della Dalton Accademy, il ragazzo che metteva gli Warblers al primo posto, che avrebbe fatto di tutto, per difendere un suo amico.
Forse, nella mia scala delle priorità aveva fatto breccia un altro nome, che mi aveva salvato davvero, a cui dovevo così tanto, da non riuscire nemmeno a immaginare una vita senza di lui.
Amavo gli Warbler, ma non quanto amassi Kurt. E io non ero più un Warbler, ma un membro delle New Directions.
“Abbiamo sbagliato.” Sussurrò Flint. Il mio compagno di stanza. Il mio confidente. Il primo ad aver notato il mio Kurt-sorriso, dentro le mura della nostra stanza.
“Non puoi capire quanto ci dispiaccia, Blaine.”
No, pensai, scuotendo debolmente la testa, perchè in quel momento anche il minimo movimento mi faceva male.
“No, dispiace a me.”
Perchè Blaine Warbler adesso era solo un vago ricordo, uno di quelli dolci e malinconici, che mi avrebbero accompagnato la sera prima di andare a dormire. Perchè non sarei più tornato a esibirmi con loro, non ufficialmente; potevo andarli a trovare quando volevo, potevo uscire insieme a loro, parlare. Ma non sarebbe stata la stessa cosa. Non più.
“Noi... noi saremo sempre i tuoi migliori amici, Blaine.”
Anche se tu ne hai trovati altri, conclusi mentalmente. Buffo: ancora una volta, ero riuscito a intuire la scia dei loro pensieri.
“Vi vorrò sempre bene, ragazzi.”
Perchè non c’era nient’altro da dire.
Quando uscirono dalla mia stanza, insieme alla porta si richiuse tutto un universo di sorrisi. Di ricordi.
 

 
Come previsto arrivai in enorme ritardo. Fortunatamente sapevo di avere dei buoni amici che mi avevano coperto con il professore di turno.
“Oh, ecco Blaine!” Esclamò Ed, indicandomi da lontano. Io corsi verso il sorvegliante, accennando a delle scuse, ma lui scrollò violentemente il capo.
“No-non ti preoccupare, Anderson.” Balbettò, diventando viola. “Non ti devi assolutamente scusare. Spero che tu abbia risolto il tuo…hem…problema.”
“…Sì, certo. La ringrazio per l’interessamento, professor O’Riley.”
Lui annuì titubante, e poi si defilò velocemente. Mi girai verso i miei amici con un sorriso spettrale.
“Posso sapere, di grazia, quale problema avrei avuto?”
“Mah, niente di che – commentò Nick, trattenendo a stento le risate- gli abbiamo detto che hai avuto un attacco di diarrea acuta, e che non riuscivi più ad alzarti dalla tavola del cesso.”
Li fissai.
“Mi rimangio tutto quello che ho pensato su di voi.”
“Perché? Cosa avevi pensato?????” Urlò Ed tenendomi per la giacca.
“Sicuramente aveva pensato che siamo i migliori amici del mondo!”
“Esatto, Nick. Avevo.”

 
 
“Ragazzi, che ci fate qui!?”
“Ah, bell’accoglienza!” Esclamò Ed, con il naso all’insù, e Flint incrociò le braccia.
“E’ questo il modo di salutare i tuoi amici!?”
“Dopo sette lunghi giorni!” Sbottò Colin, e Nick annuì, da vero snob.
“E noi che siamo tornati prima apposta per te…”
“Sul serio?” Domandai io, incredulo e francamente commosso.
“Certo, per te, e per una mega festa di capodanno organizzata dal comitato della Dalton e della Crawford!”
“Ah, ecco, ora vi riconosco.”
“COOOSA!?”

 
 
“Non penso che usciremo più”, disse Colin, una volta che fummo tutti riuniti – Flint e Nick con ancora i costumi di scena -. Eppure, avevano ammesso di essersi divertiti molto, e tutto grazie a noi.
“All'inizio quando vi abbiamo visti abbiamo seriamente pensato all'omicidio di massa...-affermò Ed, scrocchiandosi minacciosamente le nocche -ma devo ammettere che mi sono sentito subito meglio, sapendo che eravate al nostro fianco.”
“Un Warbler non canta mai da solo”, sentenziai, e i miei amici mi guardarono sognanti.
 

 
 
“Blaine, sono qui.”
Kurt.
Non mi ero nemmeno accorto del modo disperato con cui avevo pronunciato il suo nome.
Lo abbracciai, affondando la testa nell’incavo del suo collo, lasciandomi cullare dalla stretta dolce e protettiva delle sue braccia e ascoltando la sua voce sussurrarmi parole piccole e dolci.
Perchè cambiare fa parte della vita.
E anche se sapevo benissimo di non aver nessun diritto nel pensare una cosa simile; anche se quella tazza blu e rossa continuava ad apparire strana ai miei occhi, come, fuori luogo... una parte di me sarebbe stata sempre un Warbler. Era quella parte che adesso stava piangendo più forte.
 
 
 

 
 

   
 
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