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Autore: Il Saggio Trentstiel    13/10/2012    9 recensioni
La Corte era riunita.
Una corte assai strana, andava detto.
Sull'alto scranno del giudice, una bizzarra figura con una inquietante maschera bianca sul volto sedeva immobile: impossibile dire se stesse scrutando le poche persone presenti nella sala o, addirittura, se fosse desta o dormiente.
[...]
-Ho sempre amato l'arte.- dichiarò semplicemente -Un amore così forte da farmi giustificare in continuazione i comportamenti di quello lì...-

Mini-long ispirata da quel capolavoro che è il "Cell Block Tango", dal musical "Chicago".
Sei capitoli per sei carcerate, macchiatesi del terribile crimine di omicidio.
Come però la canzone stessa dice "They had it coming": "Se la sono cercata".
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Pop.
Six.
Squish.
Uh-uh.
Cicero.
Lipschitz.

 

 

 

 

La Corte era riunita.
Una corte assai strana, andava detto.
Sull'alto scranno del giudice, una bizzarra figura con una inquietante maschera bianca sul volto sedeva immobile: impossibile dire se stesse scrutando le poche persone presenti nella sala o, addirittura, se fosse desta o dormiente.
Egli era l'unico componente della Corte.
Non era possibile udire alcun suono.
Non un singhiozzo, non un respiro profondo, non un singolo, pietoso colpo di tosse.
Nella penombra stavano altre sei figure, tutte di sesso femminile.
Sedevano su delle scomode sedie di legno, rigide e scheggiate in più punti: ogni sedia e la sua occupante era circondata da solide sbarre di ferro.
Macchie di rossa ruggine tempestavano le gabbie improvvisate, facendole apparire meno solide di quanto in realtà non fossero.
Nessuna delle prigioniere, comunque, sembrava avere il desiderio di forzare le sbarre.
Sedevano in diverse posizioni e con espressioni variamente annoiate sul volto.
D'un tratto, come rispondendo a un segnale prestabilito, il giudice mascherato si animò.
Afferrò il suo martelletto e, battuto un colpo secco sul legno del suo banco, fece udire la sua voce, spezzando il silenzio.
-La Corte chiama la prima imputata: Courtney Barlow!-
Tra agghiaccianti e fastidiosi stridii, le sbarre della prima gabbia si aprirono, lasciando uscire la prima donna.
I capelli castani erano ordinati e pettinati in maniera così perfetta che mai la si sarebbe detta una carcerata; incedeva con aria quasi regale, gli occhi scuri puntati sulla figura misteriosa che la sovrastava e un'espressione di puro disgusto che le distorceva i lineamenti fieri.
Giunta al centro della sala si fermò, incrociando le braccia e sospirando.
Passarono diversi, silenziosi istanti, finché senza alcun preavviso la donna si voltò verso le sue compagne.
-Le persone hanno molti difetti, amiche mie. Nessuno ne è immune, ma alcune...- assottigliò gli occhi, rimembrando le circostanze che l'avevano portata lì -... Superano ogni limite.-

 

 

 

 

Courtney era una giovane, brillante avvocatessa.
Laureata a Harvard con il massimo dei voti era stata ben presto contesa dai maggiori studi legali di Ottawa ma, grazie alle conoscenze e all'influenza del padre, era ben presto riuscita ad aprire un suo personalissimo studio.
Rimirando la targhetta dorata che recitava “Avv.ssa Courtney Barlow” apposta all'esterno del palazzo dove lavorava sentiva ogni volta una vampata d'orgoglio.
Ben presto il suo nome era stato sostituito dall'azzeccato soprannome di “Principessa del Foro”: nonostante la sua giovane età, nonostante la sua apparenza da ragazza dolce e fragile, non aveva mai perso una causa.
Temuta e rispettata da tutti, era...
Oh, no.
Non da tutti.
C'era una persona che non la temeva affatto.
Duncan, era il suo nome.
Un ex galeotto dal passato turbolento di cui, senza poter dare alcuna spiegazione logica, Courtney si era invaghita.
Convivevano ormai da quasi un anno, e le cose andavano a gonfie vele: lui lavorava come barista in un locale della periferia e sembrava aver messo la testa a posto.
C'era però qualcosa, una sua abitudine che Courtney non riusciva a tollerare.
Il fumo.
Ah, dannate sigarette!
Il loro odore penetrante, la sensazione di disgusto che la permeava baciando quell'uomo dopo che si era concesso una sigaretta... Quello era l'unico motivo di litigi, spesso anche pesanti, tra loro.
Duncan, comunque, non aveva intenzione di smettere di fumare.
Lo rilassava, lo faceva sentire bene.
Courtney odiava letteralmente quel vizio.
Una sera la donna rientrò a casa dopo un processo.
Aveva i nervi a fior di pelle, come da molto tempo non le succedeva.
L'avvocato della difesa continuava a chiedere rinvii in giudizio per quel porco del suo cliente.
Courtney mal tollerava l'espressione trionfante che, ogni santa volta, compariva sui volti di quel maledetto e del suo azzeccagarbugli...
Infilò le chiavi nella toppa ed entrò come una furia nella villetta.
Immediatamente un odore penetrante raggiunse le sue narici: fumo di sigaretta.
Duncan aveva fumato e, quel che era peggio, aveva fumato in casa!
Courtney gettò a terra la borsa, sbatté la porta e marciò come una furia verso il salotto.
-Duncan!- gridò fermandosi di botto, trovandolo comodamente stravaccato sul divano, una bottiglia di birra sul tavolino da caffè e una sigaretta ancora fumante tra le labbra.
-Principessa...- la accolse lui con un ghigno, inspirando e buttando fuori dal naso una boccata di fumo.
La donna si piantò le mani sui fianchi e fece qualche passo in avanti, apparendo più minacciosa del solito.
-Senti... Ho avuto una giornata pesante, sono nervosa, stanca e demotivata, e non posso sopportare di vederti qui a fumare nel nostro salotto! Mi fa schifo!- urlò, allungando una mano per sottrarre la sigaretta al compagno.
Questi la scansò abilmente, senza smettere di ghignare.
-Dovresti provare, dolcezza, non è poi così male!-
Chissà cosa passò per la mente di Courtney in quel momento...
La donna afferrò il fucile -il vecchio fucile da caccia di suo padre, appeso al muro come pregevole oggetto d'arredamento- da sopra il caminetto e lo puntò dritto verso Duncan.
L'uomo sgranò gli occhi, ma il suo stupore durò solo qualche secondo.
Si riprese in fretta e sostituì l'espressione basita con una, a lui più familiare, decisamente strafottente.
-Cosa vuoi fare con quel giocattolo?-
-Spegni quella maledetta sigaretta, oppure...- lo minacciò Courtney, la presa salda sull'arma e il dito che tremava appena sul grilletto.
Duncan ridacchiò e, con noncuranza, le soffiò una nube di fumo dritta in faccia.
Il dito di Courtney si mosse di sua spontanea volontà.
Due sonori spari riecheggiarono nella villetta e per la strada: furono in tanti a sentirli e a spaventarsi.
Nessuno a parte Courtney udì però il tonfo del corpo che si accasciava sul pavimento.
Nessuno a parte Courtney udì il flebile, debole e ridicolo “Pop!” emesso da Duncan quando l'aria fluì fuori dai suoi polmoni.”

 

 

 

 

-Beh... Un paio di colpi di avvertimento servono sempre... Specialmente se vengono piantati dritti in mezzo agli occhi!-
A quelle parole le altre cinque donne cominciarono a rumoreggiare, acclamando la loro compagna: il giudice batté il martelletto sul banco, riducendole infine al silenzio.
Senza attendere oltre, Courtney tornò al suo posto: si sedette e accavallò con nonchalance le gambe, mentre la gabbia si richiudeva attorno a lei.
-Adesso...- riprese la voce imperiosa del giudice -... Si presenti la seconda imputata!-
La donna alla sinistra di Courtney sorrise, apparentemente divertita: si alzò ancor prima che il suo nome venisse chiamato e, come se la situazione in cui si trovava non la toccasse affatto, si sistemò con fare sensuale i lunghi capelli neri.
-La Corte chiama Heather Wilson!-

   
 
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