It’s always darkest before the dawn
Fino
a qualche mese prima Kurt Hummel fremeva all’idea di
poter fare qualsiasi tipo di esperienza a New York: dai semplici ma piacevoli
pic-nic a Central Park al diventare un assiduo
spettatore dei migliori musical in circolazione a Broadway.
L’inverno
era arrivato, con le sue nevicate e l’atmosfera natalizia che si respirava per
le strade già abbondantemente addobbate ad inizio dicembre. I newyorkesi ogni
anno aspettavano il periodo invernale per riversarsi in massa al Rockefeller
Center e pattinare in compagnia della propria famiglia o amici. Era come una
tradizione, uno dei tanti appuntamenti natalizi cui non si poteva mancare.
Ogni
anno, in inverno, Kurt a Lima pensava a come sarebbe stato bello sfrecciare sui
pattini con l’aria fredda che ti fa gelare la pelle ma covando quella piccola
felicità che ti scalda il cuore. La gioia di sapere di essere nel posto giusto,
al momento giusto, con le persone che ami. Anche se, in realtà, Kurt aveva
troppa paura di cadere e farsi del male su quella lastra di ghiaccio, ma era
pur sempre un suo desiderio.
Questo
era ciò che sognava Kurt Hummel fino a quando aveva
scoperto che il suo ragazzo l’aveva tradito con un altro. Kurt era crollato e
non era più riuscito a riafferrare i propri sogni e a riprendersi la propria
vita, quella per cui aveva tanto duramente lavorato e lottato.
***
“Kurt,
tra qualche minuto sarà pronta la cena!”.
La
voce di Rachel Berry svegliò il ragazzo da un sogno ad occhi aperti. Quel sogno
che lo tormentava da mesi ma che non voleva saperne di andarsene dalla sua
testa.
Kurt
fissò il suo cellulare poggiato sopra il tavolo: non squillava da troppo tempo.
Qualche
minuto più tardi Rachel spense il fornello e si sedette al tavolo, di fronte al
suo amico.
“Direi
che è arrivato il momento di parlarne”.
“Parlare
di cosa?” chiese Kurt, spaesato. Rachel si limitò ad indicare il cellulare ma
quando il ragazzo continuò a non capire fu costretta a parlare.
“Del
fatto che non fai altro che fissare quel maledetto telefono e che non ti decidi
a prendere in mano la situazione” disse Rachel, in maniera schietta. “È da
troppo tempo ormai che stai così. Non puoi continuare a sopravvivere”.
Spostò
la sedia in avanti e andò ad accarezzare la mano dell’amico. “Lo dico per te e
perché ti voglio bene. Mi distrugge vederti così”.
Kurt
continuò a fissare il telefono, come se potesse fare da tramite e far arrivare
i suoi pensieri a Blaine.
“Non
gli interesso più, è evidente. Non mi ha più chiamato”.
“Tu
non gli hai mai risposto, Kurt!” esclamò Rachel.
“Sai,
quando mi chiamava una volta a settimana era come se fossi legato ancora a lui
e mi rimaneva almeno un po’ di speranza ma non potevo rispondere perché sapevo
che non avrei resistito ascoltando la sua voce… Ora
non ho più niente in cui sperare”.
“Kurt,
so che è difficile ma devi prendere una decisione” sussurrò Rachel,
stringendogli forte la mano. “O vai avanti con la tua vita o lo chiami e cerchi
di chiarire la situazione”.
“Ma-“
“Niente
ma” disse Rachel fermamente. “Hai fatto passare troppo tempo, Kurt. Devi andare
avanti, hai il tuo lavoro. Esci, incontra nuova gente, nuov-“
“Ci
ho provato!” urlò Kurt alzandosi in piedi e battendo una mano sul tavolo.
Ci
furono pochi secondi di silenzio prima che Kurt si rimettesse a sedere composto
sulla sedia e ripetesse a mezza voce: “Ci ho provato”.
Rachel
mostrò un’espressione sconvolta ma non disse nulla. Lasciò a Kurt un momento
per riprendersi.
“Ho
provato ad uscire con altri ragazzi, affascinanti e pieni di talento, ma non
posso fare a meno di paragonarli a Blaine, in ogni
piccola cosa”.
“Non
riesco a togliermelo dalla testa”.
In
quel preciso momento il cellulare sul
tavolo squillò e Kurt lo afferrò con poco interesse dopo aver letto sul display
che si trattava di suo padre.
“Papà,
che succede?” chiese tentando di mantenere fermo il tono della propria voce.
“Che
c’è, ora non posso più chiamarti?” disse Burt con fare scherzoso.
“Kurt,
va tutto bene?” chiese quasi preoccupato dato che il figlio sembrava non stare
al gioco.
“S-sì, certo. È solo che mi avevi già chiamato ieri, allora
mi hai fatto preoccupare.”
“Volevo
solo dirti che io e Carole arriveremo domani a mezzogiorno, quindi pensavamo di
fare pranzo insieme, magari in quel posticino di cui mi parli sempre”.
“Va
benissimo”.
“Kurt,
sei sicuro di stare bene?”. Questa volta era davvero preoccupato, visto che il
tono di suo figlio era piatto.
“Sì,
papà, ti ho detto che sto bene”.
“Bene”
rispose Burt non troppo convinto. “Puoi passarmi Rachel? Carole vuole parlare
con lei”.
Nonostante
Rachel e Finn si fossero lasciati nello stesso
periodo di Kurt e Rachel, la ragazza era rimasta in ottimi rapporti con Carole
e ogni tanto ne approfittavano per fare due chiacchiere da donna a donna.
Kurt
lasciò il telefono a Rachel e andò in camera sua per sprofondare sul suo letto
e tentare di eliminare qualsiasi pensiero dalla sua mente.
***
Kurt
lanciò un’ultima occhiata al suo outfit scelto
appositamente per far ammirare a suo padre una delle sue recenti creazioni:
indossava una maglia grigia con delle pieghe che ricadevano verso il basso e
dei pantaloni scuri che gli fasciavano perfettamente le gambe. Mentre si stava
sistemando una sciarpa azzurra intorno al collo qualcuno bussò alla porta.
Rachel era chiusa in bagno da almeno quarantacinque minuti: da quando si erano
trasferiti a New York era molto più attenta al look e a non tralasciare nessun
dettaglio.
Kurt
andò ad aprire la porta e si ritrovò di fronte Burt, con il suo solito cappellino
in testa e la sua espressione da padre orgoglioso. Dietro di lui c’era Carole,
raggiante come sempre anche se questa volta il suo sorriso sembrava quasi
dispiaciuto.
“Come
stai caro? Ti sei dimagrito. Mangi abbastanza?” chiese Carole comportandosi
come solo le brave mamme sanno fare.
“Il
giusto. Credo che sia perché corro da una parte all’altra di questa città da
qualche mese” disse Kurt abbozzando un sorriso e sperando che nessuno notasse
il velo di tristezza nei suoi occhi.
Rachel
uscì dal bagno e Carole si lanciò nella sua direzione per farle la stessa
domanda.
“Sono
contento di rivederti, figliolo” disse Burt, poggiando una mano sulla sua
spalla e stringendola leggermente. “Vado a prendere le ultime cose nel taxi”.
Kurt
gli rivolse un sorriso pieno di affetto e tornò a guardare la sua immagine
riflessa nello specchio finché non si aggiunse la figura di un’altra persona
che avrebbe potuto riconoscere anche ad occhi chiusi.
Le
labbra di Kurt si incurvarono verso il basso e il ragazzo non riuscì a muoversi,
come paralizzato da quella visione. Perché doveva essere sicuramente un sogno,
non poteva essere reale. Era un po’ come lo Specchio delle Brame di Harry
Potter che mostrava i desideri più nascosti e quello era il suo.
Anche
l’altro ragazzo non accennava a muovere un muscolo, con le mani in tasca e le
labbra che tremavano. Nessuno dei due si decise a fare la prima mossa fino a
quando Blaine fu costretto ad alzare una mano ed
asciugarsi le lacrime che gli offuscavano la vista.
Kurt
si scosse e si voltò verso di lui, con la mascella irrigidita che non gli
permetteva di aprire bocca, anche perché non avrebbe saputo cosa dire.
“Che
cosa ci fai qui?” riuscì a domandare Kurt in un sussurro, non arrabbiato ma molto
triste e sorpreso.
“Kurt,
ti prego. Lascia che ti spieghi” iniziò Blaine,
accennando un passo verso l’altro che indietreggiò. “Ma non qui. Non ora. Ti
prego”.
“Io
non ho niente da dirti” disse Kurt, con gli occhi svuotati di qualsiasi
emozione ma tradito dalla sua voce tremante.
“Io
sì ed è qualcosa di molto importante”. Nei suoi occhi Kurt poteva leggere una
genuina sincerità che non aveva scorto in quella serata di autunno in cui Blaine gli aveva confessato di essere stato con un altro.
Forse fu proprio quello che lo convinse ad annuire debolmente.
“Passo
a prenderti alle sei”. E, senza dire un’altra parola, si avviò verso la porta
dove incontrò Burt che gli offrì uno sguardo comprensivo.
Kurt
si avvicinò al padre che si stava accomodando sul divano dopo aver posato a
terra gli altri bagagli e gli lanciò un’occhiata confusa.
“Tu
sapevi che sarebbe venuto?”.
“In
realtà è venuto qui insieme a me e Carole” disse lentamente ma aggiungendo
subito “perché gliel’ho chiesto io”.
Kurt
alzò un sopracciglio, incredulo, come non aveva mai fatto. Suo padre aveva
chiesto al suo ex ragazzo che l’aveva tradito con un altro di andare con lui a
trovarlo a New York. Tutto questo non aveva senso nella sua testa.
“Perché?”
“Veramente
sono stata io a chiederlo a tuo padre”. Rachel era spuntata dalla cucina con
Carole e, insieme, si stavano avvicinando al divano.
“Bene,
ora sono davvero confuso. Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo?”.
“Ieri
eri così triste e parlando al telefono con Carole ho scoperto che anche Blaine non stava meglio di te. Siete entrambi distrutti.
L’unico modo per stare bene è parlare tra di voi.”
“Quindi
siete voi che decidete cosa devo fare della mia vita? Non credete che io possa
pensarci da solo?”.
“Kurt,
noi lo facciamo per te e-“
“Mi
è passata la fame” disse sfilandosi la sciarpa che lasciò penzolante sulla
poltrona per rinchiudersi in camera sua. Sentì le voci di Rachel, Burt e Carole
dal salotto che molto probabilmente stavano parlando di lui ma non gliene
importava.
Aveva
rivisto Blaine e non sapeva se essere arrabbiato o
triste. Di una cosa era certo: rivederlo gli aveva fatto battere forte il
cuore.
***
Un’ora e mille riflessioni più tardi Rachel
bussò alla porta della camera di Kurt, sperando di ricevere una risposta che,
inaspettatamente, arrivò.
“Voi andate a mangiare. Io ho bisogno di
riflettere ancora un po’…”
“Come vuoi. In frigo c’è un po’ di pasta
avanzata da ieri sera se ti va. Kurt?”
“Sì?”
“Ti voglio bene”.
Kurt non rispose ma Rachel era la sua
migliore amica, non poteva non volerle bene. E sapeva che quello che aveva
fatto era per il suo bene, così iniziò a pensare a cosa poter dire di fronte a Blaine quella sera.
***
Alle sei in punto qualcuno bussò alla porta e
Kurt fu costretto ad alzarsi dal letto da cui non si era mosso per l’intero
pomeriggio, indossando lo stesso completo di quella mattina. Era rimasto solo
per tutto il tempo e non c’era traccia degli altri: molto probabilmente avevano
voluto dargli la possibilità di stare da solo.
Sulla soglia trovò Blaine,
con le guance arrossate per il freddo e un cappellino nero che copriva i suoi
capelli sempre ricoperti dal gel. Il ragazzo aveva sicuramente diminuito l’uso
del gel perché i suoi capelli erano piuttosto voluminosi e non pressati come
sempre.
“Sei pronto?” chiese, quasi esitante.
Kurt annuì, si sistemò la sciarpa al collo e
indossò il cappotto nero che gli dava un’aria piuttosto elegante. I due
camminarono fianco a fianco per qualche minuto senza dire una parola, entrambi
in preda all’imbarazzo.
“Kurt, devo parlarti. Possiamo sederci?”. Fu Blaine a rompere il ghiaccio. Si diresse verso la panchina
più distante, quella più appartata, dove avrebbero potuto discutere con calma e
lontano da orecchie indiscrete.
Di fronte a loro erano seduti un ragazzo ed
una ragazza, abbracciati, che si tenevano per mano e si scambiavano sguardi
pieni di affetto. Kurt distolse lo sguardo da quell’immagine troppo sdolcinata
e tornò a concentrarsi su Blaine, quello che un tempo
era l’amore della sua vita e che forse non aveva mai smesso di esserlo.
Blaine lo guardò
dritto negli occhi, cercando le parole giuste. Sapeva che quella era
un’occasione preziosa e che forse Kurt non gliene avrebbe concesse altre.
“Kurt, non so da dove iniziare” disse con
sincerità.
“Perché non dall’inizio? Perché mi hai
tradito? Mi basta sapere questo”.
“Ecco, appunto, il fatto è che…” esitò Blaine, chiudendo per
un attimo gli occhi per poi rituffarsi in quelli di Kurt. “…io
non ti ho tradito”.
Kurt sperò di aver frainteso perché non
poteva essere vero, non stava succedendo. Lui era stato male per mesi quando in
realtà non ne avrebbe avuto motivo?
“Non ci sto capendo nulla”.
“È per questo che sono venuto qui, Kurt. Per
darti delle spiegazioni”.
Kurt fece un cenno con il capo per invitarlo
a continuare.
“Quando ti sei trasferito a New York io mi
sono sentito solo e trascurato. Ti avevo convinto io ad andartene ma non potevo
più fare a meno della tua assenza.”
“Quel giorno sono davvero andato a casa di
quel ragazzo ma ti giuro che non è successo niente. Sono scappato via prima che
qualsiasi cosa potesse succedere”. Il suo sguardo implorava perdono e Kurt
poteva intravedere un briciolo di speranza.
“Perché non me l’hai detto subito? Non
avresti dovuto avere paura di dirmelo.”
“Mi sono sentito in colpa anche solo per
essere andato a casa sua e, in più, non avevo il coraggio di chiudere il nostro
rapporto usando la scusa della distanza”.
“Così hai preferito mentire e farmi soffrire
per tutto questo tempo?”. La rabbia che Kurt aveva covato in quei mesi stava
lentamente riaffiorando ma lui non aveva voglia di litigare, voleva solo una
spiegazione.
“Davvero non riesci a capire? Mi sono sentito
morire dentro mentre ero lì. Come avrei potuto dirtelo?”.
“Mettiti per un attimo nei miei panni. Come
potrei tornare a fidarmi di te?” chiese Kurt, senza interrompere il contatto
visivo. “Dimmelo perché vorrei tanto poterlo fare ma non credo di riuscirci
più”.
Il silenzio cadde tra di loro ed entrambi
fissarono qualsiasi cosa tranne gli occhi dell’altro.
“Kurt, mi sei mancato tanto”.
La dolcezza e la spontaneità di quelle
semplici parole fecero bruciare gli occhi a Kurt, che si costrinse ad
abbassarli per nascondere le lacrime che minacciavano insistenti di scendere.
“Devo andare o gli altri mi daranno per
disperso. Mi dispiace, Blaine”.
Kurt se ne andò senza voltarsi un’altra
volta, lasciando Blaine seduto sulla panchina a
fissare il posto abbandonato da Kurt. Improvvisamente il gelo penetrò nella sua
pelle fino alle ossa e il ragazzo si ricordò solo in quel momento che era
inverno e il sottile strato di neve che ricopriva la panchina gli stava bagnando
i vestiti.
***
Kurt tornò al suo appartamento solamente
molto più tardi, dopo aver vagato senza meta per le strade affollate della
città dove la gioiosa atmosfera natalizia non era in armonia con il senso di
angoscia che provava.
Aprendo la porta Kurt trovò Burt e Rachel
seduti sul divano impegnati in una fitta conversazione alla fioca luce di una
lampada da terra. Non appena lo vide lì sulla soglia, immobile per il freddo e
per lo sconforto, Rachel gli corse incontro.
“Ti ho chiamato almeno un centinaio di volte.
Eri con Blaine?” chiese preoccupata.
“Sì, per un po’.” Si lasciò cadere sul divano
accanto al padre che lo osservò attentamente per tentare di capire come potersi
comportare con lui.
“Vado a prenderti qualcosa da mangiare. Ho
visto che non hai toccato niente in frigo” disse Rachel affrettandosi verso la
cucina.
“Kurt…” iniziò
Burt, non sapendo bene cosa dire e in che modo.
“C’è una cosa che devi sapere”. Il suo tono
grave fece intuire al ragazzo che qualcosa non andava, così alzò gli occhi per
incontrare lo sguardo del padre.
“In queste ultime settimane Blaine è venuto spesso a casa nostra” mormorò Burt,
voltandosi per raccogliere da terra una scatola marrone.
“Qui ci sono tutte le lettere che ha lasciato
per te, visto che non rispondevi alle sue chiamate e che sapeva che saresti
tornato a casa per Natale”.
Kurt guardò la scatola che il padre stava
adagiando sulle sue ginocchia, indeciso sul da farsi.
“Io te le lascio. Vedi tu cosa fare. Ci
vediamo domani” disse prima di alzarsi e dirigersi verso la porta
dell’appartamento.
“Papà?”. Burt si voltò verso il figlio che si
era alzato e lo stava guardando con gli occhi lucidi.
“Scusa per come ti ho trattato oggi. So che
lo hai fatto per me, dovevo solo capirlo”.
“Non preoccuparti. Riposati”. Salutò Rachel
che stava portando un piatto caldo e uscì.
“Scusami anche tu. Non so cosa mi sia preso”.
“Lascia stare. Adesso pensa a mangiare” gli
disse l’amica porgendogli il piatto con l’arrosto e le patate che Kurt accettò
volentieri non avendo toccato cibo per tutta la giornata.
“Hai deciso cosa fare con quelle?” chiese
Rachel indicando con un cenno del capo la scatola ancora chiusa.
“Le leggerò stanotte, ormai non ha senso
ignorarle. Magari mi aiuteranno a schiarirmi le idee” disse debolmente Kurt,
appoggiando il piatto sul tavolino per tagliare la carne ed iniziare a mangiare
in silenzio. Rachel non aggiunse nulla per tutto il tempo ma rimase accanto all’amico.
“Grazie, Rachel” disse Kurt, appena ebbe
finito di mangiare, prendendo il piatto e la scatola.
“Ti voglio bene anch’io. Buona notte”. Le
lasciò un leggero bacio sulla guancia, ricambiato da un sorriso colmo d’affetto.
Kurt mise il piatto nel lavandino e andò in
camera sua. Si posizionò a gambe incrociate sul letto e fissò la scatola di
fronte a sé, sperando che gli potesse comunicare quale fosse la cosa giusta da
fare.
Tolse il coperchio e prese in mano la prima
di una decina di lettere. Le mani gli tremavano e si ritrovò a fissare “Caro
Kurt”, senza avere la forza di andare avanti. Fece un respiro profondo e
cominciò a leggere.
“Caro Kurt,
mi manchi
tanto. Ho capito che non vuoi più vedermi e sentirmi ma ti prego di perdonarmi.
Ho sbagliato tante cose nella mia vita ma questa è una di quelle che non mi
perdonerò mai. Ho bisogno di parlarti il più presto possibile.”
“Caro Kurt,
sto
impazzendo. Mi manca averti qui con me, mi mancano il tuo sorriso, la tua
risata, il tuo profumo, le tue carezze, i tuoi baci. Non riesco ad andare
avanti senza di te. Ci sto provando ma è tutto inutile. Tu eri tutto quello che
avevo e ora sono rimasto solo, non ho più niente. Perdonami.”
“Spesso vado
a trovare Pavarotti e ripenso a quando proprio lì, sotto quell’albero, ti ho
teso la mano e tu l’hai afferrata. Come siamo arrivati a tutto questo? Vorrei
poter tornare indietro a quando non provavo questo senso di angoscia che mi
attanaglia lo stomaco. A quando eravamo io e te, spensierati ed innamorati.
Rimarrà un sogno?”
“Kurt,
vorrei chiamarti e sentire la tua voce ma non posso più farlo. Non rispondi
mai. Vuol dire che non vuoi saperne più niente di me. Se è questo ciò che
desideri davvero ti lascerò in pace. Niente più chiamate. Questa sarà la mia
ultima lettera.
Questo non
significa che smetterò di amarti.
Tuo per
sempre,
Blaine”
Kurt macchiò quella lettera con le sue stesse
lacrime. Non pensava che Blaine avesse provato
esattamente tutto ciò che aveva passato lui in quei mesi. In quelle parole c’erano
anche la sua storia e il suo stato d’animo.
Rilesse tutte le lettere una seconda volta e
si addormentò tenendone una in mano, mentre un’ultima lacrima andava a bagnare
il suo cuscino.
***
La
mattina successiva Kurt si ritrovò nell’esatta posizione in cui si era
addormentato la notte precedente, anche se il suo sonno era stato piuttosto
movimentato: aveva ripercorso tutti quei mesi, riprovando quel senso di
frustrazione del momento in cui la loro storia era finita.
Kurt
ripose tutte le lettere nella scatola, la chiuse e si preparò per uscire, non
sapendo nemmeno che ora fosse.
Rachel
stava facendo colazione in cucina e si stupì di trovarlo alzato alle sette di
mattina.
“Dove
stai andando?” gli chiese, mentre Kurt afferrava il cappotto.
“Puoi
darmi l’indirizzo dell’albergo di Blaine?” chiese
Kurt, senza fiato, come se avesse corso una maratona, quando in realtà era solo
il suo cuore che gli stava scoppiando in gola.
Rachel
sorrise e scrisse l’indirizzo su un foglietto di carta.
“Ricordati
solo che la vita è troppo breve per vivere nel rancore, Kurt” gli disse
porgendogli il biglietto.
“Lo
so” rispose Kurt ricambiando il sorriso e uscendo in fretta dall’appartamento.
***
Kurt
arrivò all’hotel alle 8.30 dopo aver attraversato di corsa l’intera città,
concedendosi una sola sosta da Starbucks per fare
rifornimento di zuccheri. Aspettò un’altra ora di fronte all’albergo: non
voleva presentarsi in camera sua e doveva pensare bene a cosa dire e come
dirlo.
Blaine comparve all’ingresso con un borsone in mano e uno sguardo
inespressivo che si costrinse in un sorriso solo quando il tassista prese il
suo bagaglio per caricarlo in macchina.
Kurt
si fece avanti e aspettò ai piedi delle scale, di fronte al taxi.
Blaine spalancò gli occhi per la sorpresa e gli si avvicinò lentamente.
“Mi
sorprende vederti qui”.
“Avevo
bisogno di parlarti” iniziò Kurt, tenendo le mani occupate con i bottoni del
cappotto.
“La
notte scorsa ho letto le tue lettere”. Blaine era
sempre più sorpreso e preoccupato perché non sapeva se quella conversazione
avrebbe portato a qualcosa di positivo o meno.
“Mi
sono accorto che in questi mesi ho pensato solo a me stesso, a come stavo, a
come andare avanti ma mai a come potevi sentirti tu” disse Kurt pesando ogni
parola.
“Ho
tentato di andare avanti ma non ci sono riuscito. Vorrei provare a perdonarti e
tornare a fidarmi di te” mormorò Kurt tra le lacrime.
I
loro sguardi si incontrarono ed entrambi capirono di avere la voglia di
riprovarci perché divisi non erano riusciti a trovare la giusta strada da
percorrere e ad avere la forza di fare qualsiasi cosa. Erano l’uno il sostegno
dell’altro.
“Perché
non hai mai risposto alle mie chiamate?”.
“Avevo
paura che solo ascoltando la tua voce sarei tornato da te e non potevo
permetterlo, dovevo farcela da solo” disse Kurt facendo un passo in avanti
mentre si asciugava una lacrima con il dorso della mano.
“Non
ti ho mai dimenticato. Non posso negarlo”.
“Ti
va di ritentare? Ora sappiamo a cosa possiamo andare incontro…”
disse Blaine abbassando lo sguardo.
Kurt
si avvicinò ancora e gli prese la mano con esitazione ma delicatezza: quel
contatto portò Blaine ad alzare gli occhi mentre una
scarica di energia gli attraversava la spina dorsale.
“Non
posso perderti, Blaine. Non posso e non voglio
farlo”.
Blaine strinse leggermente la sua mano e con l’altra andò ad asciugare
una lacrima che stava scendendo su quel viso che aveva tanto desiderato poter
anche solo sfiorare in quei lunghi mesi di lontananza.
Il
tassista aveva aspettato per tutto il tempo in macchina ma a quel punto,
spazientito, aprì lo sportello e li guardò insistentemente.
“Tra
pochi giorni tornerò a Lima. Potremmo parlarne, se ti va” disse Kurt
indietreggiando di un piccolo passo. Quel leggero tocco lo aveva paralizzato e
non si era reso conto di essere ad un palmo dall’altro.
“Certo”
disse Blaine mentre un piccolo sorriso di sollievo
nasceva sulle sue labbra.
“Ora
è meglio che vada” aggiunse, indicando con il capo il tassista che minacciava
di separarli.
Kurt
annuì e continuò a guardarlo finché non salì in macchina e il taxi si allontanò
sfrecciando lontano da lui.
Questa
volta Kurt non sentì il suo cuore spezzarsi in mille pezzi.
Questa
volta Kurt sapeva che quello non era un addio.
***
New York, un
anno dopo
“Kurt,
come mai indossi la tuta che porti solo in casa quando nessuno può vederti?
Stai bene?” domandò Blaine, vedendo il ragazzo uscire
dalla sua stanza con qualcosa che non faceva parte dell’ultima collezione di
uno dei suoi stilisti preferiti.
“Non
vorrei rovinare uno dei miei completi. Una caduta sul ghiaccio sarebbe letale
per le mie creazioni” affermò Kurt come se fosse ovvio, avvicinandosi
all’altro.
“Per
me puoi anche metterti due stracci ma rimarrai sempre il ragazzo più sexy e
affascinante del pianeta” gli disse per poi posargli un bacio sulle labbra
mentre l’altro arrossiva vistosamente, ancora non abituato a quel genere di
complimenti. Blaine credeva che non ci avrebbe mai
fatto l’abitudine ma continuava a stuzzicarlo perché adorava quando reagiva in
quel modo.
“Siete
pronti per pattinare???”. L’entusiasmo e la voce acuta di Rachel riempirono la
stanza mentre Brody la seguiva arrendendosi
all’esaltazione della sua ragazza.
***
“Io
non ci metto piede in quella pista. È scivolosa”.
“Kurt,
è ricoperta di ghiaccio. Deve scivolare così ci puoi pattinare” spiegò Blaine come se avesse a che fare con un bambino delle
scuole elementari.
Rachel
e Brody sfrecciavano sulla pista di pattinaggio del
Rockefeller Center da più di un quarto d’ora ormai mentre Blaine
era rimasto con il suo ragazzo per convincerlo a pattinare con lui.
“E
va bene”. Si arrese Kurt afferrando la mano di Blaine
e lasciandosi portare all’ingresso della pista, spostando con cautela il peso
del corpo da un piede all’altro.
Blaine entrò in pista e gli offrì la mano a cui l’altro si aggrappò come
fosse la sua unica salvezza.
“Appoggia
il primo piede e poi con calma anche l’altro”.
Kurt
fece come gli aveva detto e non appena poggiò anche il secondo piede sulla
lastra di ghiaccio perse l’equilibrio ma Blaine lo
tenne con forza per non farlo cadere.
“Blaine Anderson, non provare ad abbandonarmi qui altrimenti
te la farò pagare cara”. Il suo tono minaccioso aveva il potere di spaventare Blaine che gli strinse più forte la mano e lo guidò nei
primi passi.
Dopo
un po’ di pratica Kurt era molto più sciolto ed in grado di fare più di due metri
senza l’aiuto di Blaine. In realtà ci prese gusto ed
iniziò anche a canticchiare.
“Non
potevo credere che un ragazzo che è entrato nei Cheerios
e sa usare i sai non sapesse pattinare sul ghiaccio”.
“Mi
ci voleva solo un po’ di pratica” disse Kurt alzando il mento con finta aria di
superiorità per poi scoppiare a ridere mentre Blaine
aveva rallentato fino a fermarsi.
“Che
c’è?” chiese Kurt tornando indietro.
“Esattamente
un anno fa ci siamo detti di voler riprovare a stare insieme ed ora guarda dove
siamo arrivati” disse Blaine allargando le braccia.
Kurt
rabbrividì al solo ricordo di quei giorni infernali e di tutto quello che aveva
passato. Si avvicinò a lui cingendogli i fianchi.
“Ti
amo” sussurrò piano al suo orecchio. Aveva bisogno di farglielo sapere affinché
non lo dimenticasse.
“Ti
amo anch’io, Kurt” mormorò Blaine sorridendogli
dolcemente e stringendogli la mano mentre tornavano a pattinare.
Kurt
si trovava a New York con il suo ragazzo, i suoi migliori amici, un lavoro che
sognava da una vita e stava pattinando al Rockefeller Center, come nella
migliore delle tradizioni newyorkesi.
Tutti
i suoi più grandi desideri si erano finalmente avverati.
Note
dell’autrice
Dato che
volevo partecipare anche io con un mio piccolo contributo alla Klaine Week, ho scelto il prompt
che mi ispirava di più. Come ignorare “Winter in New
York”? Tutto è partito da un’idea felice di Kurt e Blaine
che pattinano ma non sapevo cos’altro metterci fino a quando non ho visto la
4x04.
Questa OS
presenta un po’ la mia idea di come, secondo me, andranno le cose. Io non ce lo
vedo Blaine a tradire Kurt, almeno non nella mia
testa. Naturalmente c’è il lieto fine!
Mi farebbe
piacere sapere la vostra in merito!
Ringrazio
tantissimo SeleneLightwood che mi ha supportato nei
miei momenti di incertezze e dubbi che mi prendono sempre prima di pubblicare
una nuova OS, e che mi ha dato consigli utilissimi.
Ringrazio
anche Medea00 per le sue osservazioni che mi fanno sempre riflettere e il suo
sincero parere. Grazie, Fra!
Alla
prossima,
Ilaryf90