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Autore: Ilaryf90    14/10/2012    1 recensioni
Le labbra di Kurt si incurvarono verso il basso e il ragazzo non riuscì a muoversi, come paralizzato da quella visione. Perché doveva essere sicuramente un sogno, non poteva essere reale. Era un po’ come lo Specchio delle Brame di Harry Potter che mostrava i desideri più nascosti e quello era il suo.
Anche l’altro ragazzo non accennava a muovere un muscolo, con le mani in tasca e le labbra che tremavano. Nessuno dei due si decise a fare la prima mossa fino a quando Blaine fu costretto ad alzare una mano ed asciugarsi le lacrime che gli offuscavano la vista.
Kurt si scosse e si voltò verso di lui, con la mascella irrigidita che non gli permetteva di aprire bocca, anche perché non avrebbe saputo cosa dire.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It’s always darkest before the dawn

 

 

 

Fino a qualche mese prima Kurt Hummel fremeva all’idea di poter fare qualsiasi tipo di esperienza a New York: dai semplici ma piacevoli pic-nic a Central Park al diventare un assiduo spettatore dei migliori musical in circolazione a Broadway.

L’inverno era arrivato, con le sue nevicate e l’atmosfera natalizia che si respirava per le strade già abbondantemente addobbate ad inizio dicembre. I newyorkesi ogni anno aspettavano il periodo invernale per riversarsi in massa al Rockefeller Center e pattinare in compagnia della propria famiglia o amici. Era come una tradizione, uno dei tanti appuntamenti natalizi cui non si poteva mancare.

Ogni anno, in inverno, Kurt a Lima pensava a come sarebbe stato bello sfrecciare sui pattini con l’aria fredda che ti fa gelare la pelle ma covando quella piccola felicità che ti scalda il cuore. La gioia di sapere di essere nel posto giusto, al momento giusto, con le persone che ami. Anche se, in realtà, Kurt aveva troppa paura di cadere e farsi del male su quella lastra di ghiaccio, ma era pur sempre un suo desiderio.

Questo era ciò che sognava Kurt Hummel fino a quando aveva scoperto che il suo ragazzo l’aveva tradito con un altro. Kurt era crollato e non era più riuscito a riafferrare i propri sogni e a riprendersi la propria vita, quella per cui aveva tanto duramente lavorato e lottato.

 

***

 

“Kurt, tra qualche minuto sarà pronta la cena!”.

La voce di Rachel Berry svegliò il ragazzo da un sogno ad occhi aperti. Quel sogno che lo tormentava da mesi ma che non voleva saperne di andarsene dalla sua testa.

Kurt fissò il suo cellulare poggiato sopra il tavolo: non squillava da troppo tempo.

Qualche minuto più tardi Rachel spense il fornello e si sedette al tavolo, di fronte al suo amico.

“Direi che è arrivato il momento di parlarne”.

“Parlare di cosa?” chiese Kurt, spaesato. Rachel si limitò ad indicare il cellulare ma quando il ragazzo continuò a non capire fu costretta a parlare.

“Del fatto che non fai altro che fissare quel maledetto telefono e che non ti decidi a prendere in mano la situazione” disse Rachel, in maniera schietta. “È da troppo tempo ormai che stai così. Non puoi continuare a sopravvivere”.

Spostò la sedia in avanti e andò ad accarezzare la mano dell’amico. “Lo dico per te e perché ti voglio bene. Mi distrugge vederti così”.

Kurt continuò a fissare il telefono, come se potesse fare da tramite e far arrivare i suoi pensieri a Blaine.

“Non gli interesso più, è evidente. Non mi ha più chiamato”.

“Tu non gli hai mai risposto, Kurt!” esclamò Rachel.

“Sai, quando mi chiamava una volta a settimana era come se fossi legato ancora a lui e mi rimaneva almeno un po’ di speranza ma non potevo rispondere perché sapevo che non avrei resistito ascoltando la sua voce… Ora non ho più niente in cui sperare”.

“Kurt, so che è difficile ma devi prendere una decisione” sussurrò Rachel, stringendogli forte la mano. “O vai avanti con la tua vita o lo chiami e cerchi di chiarire la situazione”.

“Ma-“

“Niente ma” disse Rachel fermamente. “Hai fatto passare troppo tempo, Kurt. Devi andare avanti, hai il tuo lavoro. Esci, incontra nuova gente, nuov-

“Ci ho provato!” urlò Kurt alzandosi in piedi e battendo una mano sul tavolo.

Ci furono pochi secondi di silenzio prima che Kurt si rimettesse a sedere composto sulla sedia e ripetesse a mezza voce: “Ci ho provato”.

Rachel mostrò un’espressione sconvolta ma non disse nulla. Lasciò a Kurt un momento per riprendersi.

“Ho provato ad uscire con altri ragazzi, affascinanti e pieni di talento, ma non posso fare a meno di paragonarli a Blaine, in ogni piccola cosa”.

“Non riesco a togliermelo dalla testa”.

In quel  preciso momento il cellulare sul tavolo squillò e Kurt lo afferrò con poco interesse dopo aver letto sul display che si trattava di suo padre.

“Papà, che succede?” chiese tentando di mantenere fermo il tono della propria voce.

“Che c’è, ora non posso più chiamarti?” disse Burt con fare scherzoso.

“Kurt, va tutto bene?” chiese quasi preoccupato dato che il figlio sembrava non stare al gioco.

S-sì, certo. È solo che mi avevi già chiamato ieri, allora mi hai fatto preoccupare.”

“Volevo solo dirti che io e Carole arriveremo domani a mezzogiorno, quindi pensavamo di fare pranzo insieme, magari in quel posticino di cui mi parli sempre”.

“Va benissimo”.

“Kurt, sei sicuro di stare bene?”. Questa volta era davvero preoccupato, visto che il tono di suo figlio era piatto.

“Sì, papà, ti ho detto che sto bene”.

“Bene” rispose Burt non troppo convinto. “Puoi passarmi Rachel? Carole vuole parlare con lei”.

Nonostante Rachel e Finn si fossero lasciati nello stesso periodo di Kurt e Rachel, la ragazza era rimasta in ottimi rapporti con Carole e ogni tanto ne approfittavano per fare due chiacchiere da donna a donna.

Kurt lasciò il telefono a Rachel e andò in camera sua per sprofondare sul suo letto e tentare di eliminare qualsiasi pensiero dalla sua mente.

 

***

 

Kurt lanciò un’ultima occhiata al suo outfit scelto appositamente per far ammirare a suo padre una delle sue recenti creazioni: indossava una maglia grigia con delle pieghe che ricadevano verso il basso e dei pantaloni scuri che gli fasciavano perfettamente le gambe. Mentre si stava sistemando una sciarpa azzurra intorno al collo qualcuno bussò alla porta. Rachel era chiusa in bagno da almeno quarantacinque minuti: da quando si erano trasferiti a New York era molto più attenta al look e a non tralasciare nessun dettaglio.

Kurt andò ad aprire la porta e si ritrovò di fronte Burt, con il suo solito cappellino in testa e la sua espressione da padre orgoglioso. Dietro di lui c’era Carole, raggiante come sempre anche se questa volta il suo sorriso sembrava quasi dispiaciuto.

“Come stai caro? Ti sei dimagrito. Mangi abbastanza?” chiese Carole comportandosi come solo le brave mamme sanno fare.

“Il giusto. Credo che sia perché corro da una parte all’altra di questa città da qualche mese” disse Kurt abbozzando un sorriso e sperando che nessuno notasse il velo di tristezza nei suoi occhi.

Rachel uscì dal bagno e Carole si lanciò nella sua direzione per farle la stessa domanda.

“Sono contento di rivederti, figliolo” disse Burt, poggiando una mano sulla sua spalla e stringendola leggermente. “Vado a prendere le ultime cose nel taxi”.

Kurt gli rivolse un sorriso pieno di affetto e tornò a guardare la sua immagine riflessa nello specchio finché non si aggiunse la figura di un’altra persona che avrebbe potuto riconoscere anche ad occhi chiusi.

Le labbra di Kurt si incurvarono verso il basso e il ragazzo non riuscì a muoversi, come paralizzato da quella visione. Perché doveva essere sicuramente un sogno, non poteva essere reale. Era un po’ come lo Specchio delle Brame di Harry Potter che mostrava i desideri più nascosti e quello era il suo.

Anche l’altro ragazzo non accennava a muovere un muscolo, con le mani in tasca e le labbra che tremavano. Nessuno dei due si decise a fare la prima mossa fino a quando Blaine fu costretto ad alzare una mano ed asciugarsi le lacrime che gli offuscavano la vista.

Kurt si scosse e si voltò verso di lui, con la mascella irrigidita che non gli permetteva di aprire bocca, anche perché non avrebbe saputo cosa dire.

“Che cosa ci fai qui?” riuscì a domandare Kurt in un sussurro, non arrabbiato ma molto triste e sorpreso.

“Kurt, ti prego. Lascia che ti spieghi” iniziò Blaine, accennando un passo verso l’altro che indietreggiò. “Ma non qui. Non ora. Ti prego”.

“Io non ho niente da dirti” disse Kurt, con gli occhi svuotati di qualsiasi emozione ma tradito dalla sua voce tremante.

“Io sì ed è qualcosa di molto importante”. Nei suoi occhi Kurt poteva leggere una genuina sincerità che non aveva scorto in quella serata di autunno in cui Blaine gli aveva confessato di essere stato con un altro. Forse fu proprio quello che lo convinse ad annuire debolmente.

“Passo a prenderti alle sei”. E, senza dire un’altra parola, si avviò verso la porta dove incontrò Burt che gli offrì uno sguardo comprensivo.

Kurt si avvicinò al padre che si stava accomodando sul divano dopo aver posato a terra gli altri bagagli e gli lanciò un’occhiata confusa.

“Tu sapevi che sarebbe venuto?”.

“In realtà è venuto qui insieme a me e Carole” disse lentamente ma aggiungendo subito “perché gliel’ho chiesto io”.

Kurt alzò un sopracciglio, incredulo, come non aveva mai fatto. Suo padre aveva chiesto al suo ex ragazzo che l’aveva tradito con un altro di andare con lui a trovarlo a New York. Tutto questo non aveva senso nella sua testa.

“Perché?”

“Veramente sono stata io a chiederlo a tuo padre”. Rachel era spuntata dalla cucina con Carole e, insieme, si stavano avvicinando al divano.

“Bene, ora sono davvero confuso. Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo?”.

“Ieri eri così triste e parlando al telefono con Carole ho scoperto che anche Blaine non stava meglio di te. Siete entrambi distrutti. L’unico modo per stare bene è parlare tra di voi.”

“Quindi siete voi che decidete cosa devo fare della mia vita? Non credete che io possa pensarci da solo?”.

“Kurt, noi lo facciamo per te e-“

“Mi è passata la fame” disse sfilandosi la sciarpa che lasciò penzolante sulla poltrona per rinchiudersi in camera sua. Sentì le voci di Rachel, Burt e Carole dal salotto che molto probabilmente stavano parlando di lui ma non gliene importava.

Aveva rivisto Blaine e non sapeva se essere arrabbiato o triste. Di una cosa era certo: rivederlo gli aveva fatto battere forte il cuore.

 

***

 

Un’ora e mille riflessioni più tardi Rachel bussò alla porta della camera di Kurt, sperando di ricevere una risposta che, inaspettatamente, arrivò.

“Voi andate a mangiare. Io ho bisogno di riflettere ancora un po’…”

“Come vuoi. In frigo c’è un po’ di pasta avanzata da ieri sera se ti va. Kurt?”

“Sì?”

“Ti voglio bene”.

Kurt non rispose ma Rachel era la sua migliore amica, non poteva non volerle bene. E sapeva che quello che aveva fatto era per il suo bene, così iniziò a pensare a cosa poter dire di fronte a Blaine quella sera.

 

***

 

Alle sei in punto qualcuno bussò alla porta e Kurt fu costretto ad alzarsi dal letto da cui non si era mosso per l’intero pomeriggio, indossando lo stesso completo di quella mattina. Era rimasto solo per tutto il tempo e non c’era traccia degli altri: molto probabilmente avevano voluto dargli la possibilità di stare da solo.

Sulla soglia trovò Blaine, con le guance arrossate per il freddo e un cappellino nero che copriva i suoi capelli sempre ricoperti dal gel. Il ragazzo aveva sicuramente diminuito l’uso del gel perché i suoi capelli erano piuttosto voluminosi e non pressati come sempre.

“Sei pronto?” chiese, quasi esitante.

Kurt annuì, si sistemò la sciarpa al collo e indossò il cappotto nero che gli dava un’aria piuttosto elegante. I due camminarono fianco a fianco per qualche minuto senza dire una parola, entrambi in preda all’imbarazzo.

“Kurt, devo parlarti. Possiamo sederci?”. Fu Blaine a rompere il ghiaccio. Si diresse verso la panchina più distante, quella più appartata, dove avrebbero potuto discutere con calma e lontano da orecchie indiscrete.

Di fronte a loro erano seduti un ragazzo ed una ragazza, abbracciati, che si tenevano per mano e si scambiavano sguardi pieni di affetto. Kurt distolse lo sguardo da quell’immagine troppo sdolcinata e tornò a concentrarsi su Blaine, quello che un tempo era l’amore della sua vita e che forse non aveva mai smesso di esserlo.

Blaine lo guardò dritto negli occhi, cercando le parole giuste. Sapeva che quella era un’occasione preziosa e che forse Kurt non gliene avrebbe concesse altre.

“Kurt, non so da dove iniziare” disse con sincerità.

“Perché non dall’inizio? Perché mi hai tradito? Mi basta sapere questo”.

“Ecco, appunto, il fatto è che…” esitò Blaine, chiudendo per un attimo gli occhi per poi rituffarsi in quelli di Kurt. “…io non ti ho tradito”.

Kurt sperò di aver frainteso perché non poteva essere vero, non stava succedendo. Lui era stato male per mesi quando in realtà non ne avrebbe avuto motivo?

“Non ci sto capendo nulla”.

“È per questo che sono venuto qui, Kurt. Per darti delle spiegazioni”.

Kurt fece un cenno con il capo per invitarlo a continuare.

“Quando ti sei trasferito a New York io mi sono sentito solo e trascurato. Ti avevo convinto io ad andartene ma non potevo più fare a meno della tua assenza.”

“Quel giorno sono davvero andato a casa di quel ragazzo ma ti giuro che non è successo niente. Sono scappato via prima che qualsiasi cosa potesse succedere”. Il suo sguardo implorava perdono e Kurt poteva intravedere un briciolo di speranza.

“Perché non me l’hai detto subito? Non avresti dovuto avere paura di dirmelo.”

“Mi sono sentito in colpa anche solo per essere andato a casa sua e, in più, non avevo il coraggio di chiudere il nostro rapporto usando la scusa della distanza”.

“Così hai preferito mentire e farmi soffrire per tutto questo tempo?”. La rabbia che Kurt aveva covato in quei mesi stava lentamente riaffiorando ma lui non aveva voglia di litigare, voleva solo una spiegazione.

“Davvero non riesci a capire? Mi sono sentito morire dentro mentre ero lì. Come avrei potuto dirtelo?”.

“Mettiti per un attimo nei miei panni. Come potrei tornare a fidarmi di te?” chiese Kurt, senza interrompere il contatto visivo. “Dimmelo perché vorrei tanto poterlo fare ma non credo di riuscirci più”.

Il silenzio cadde tra di loro ed entrambi fissarono qualsiasi cosa tranne gli occhi dell’altro.

“Kurt, mi sei mancato tanto”.

La dolcezza e la spontaneità di quelle semplici parole fecero bruciare gli occhi a Kurt, che si costrinse ad abbassarli per nascondere le lacrime che minacciavano insistenti di scendere.

“Devo andare o gli altri mi daranno per disperso. Mi dispiace, Blaine”.

Kurt se ne andò senza voltarsi un’altra volta, lasciando Blaine seduto sulla panchina a fissare il posto abbandonato da Kurt. Improvvisamente il gelo penetrò nella sua pelle fino alle ossa e il ragazzo si ricordò solo in quel momento che era inverno e il sottile strato di neve che ricopriva la panchina gli stava bagnando i vestiti.

 

***

 

Kurt tornò al suo appartamento solamente molto più tardi, dopo aver vagato senza meta per le strade affollate della città dove la gioiosa atmosfera natalizia non era in armonia con il senso di angoscia che provava.

Aprendo la porta Kurt trovò Burt e Rachel seduti sul divano impegnati in una fitta conversazione alla fioca luce di una lampada da terra. Non appena lo vide lì sulla soglia, immobile per il freddo e per lo sconforto, Rachel gli corse incontro.

“Ti ho chiamato almeno un centinaio di volte. Eri con Blaine?” chiese preoccupata.

“Sì, per un po’.” Si lasciò cadere sul divano accanto al padre che lo osservò attentamente per tentare di capire come potersi comportare con lui.

“Vado a prenderti qualcosa da mangiare. Ho visto che non hai toccato niente in frigo” disse Rachel affrettandosi verso la cucina.

Kurt…” iniziò Burt, non sapendo bene cosa dire e in che modo.

“C’è una cosa che devi sapere”. Il suo tono grave fece intuire al ragazzo che qualcosa non andava, così alzò gli occhi per incontrare lo sguardo del padre.

“In queste ultime settimane Blaine è venuto spesso a casa nostra” mormorò Burt, voltandosi per raccogliere da terra una scatola marrone.

“Qui ci sono tutte le lettere che ha lasciato per te, visto che non rispondevi alle sue chiamate e che sapeva che saresti tornato a casa per Natale”.

Kurt guardò la scatola che il padre stava adagiando sulle sue ginocchia, indeciso sul da farsi.

“Io te le lascio. Vedi tu cosa fare. Ci vediamo domani” disse prima di alzarsi e dirigersi verso la porta dell’appartamento.

“Papà?”. Burt si voltò verso il figlio che si era alzato e lo stava guardando con gli occhi lucidi.

“Scusa per come ti ho trattato oggi. So che lo hai fatto per me, dovevo solo capirlo”.

“Non preoccuparti. Riposati”. Salutò Rachel che stava portando un piatto caldo e uscì.

“Scusami anche tu. Non so cosa mi sia preso”.

“Lascia stare. Adesso pensa a mangiare” gli disse l’amica porgendogli il piatto con l’arrosto e le patate che Kurt accettò volentieri non avendo toccato cibo per tutta la giornata.

“Hai deciso cosa fare con quelle?” chiese Rachel indicando con un cenno del capo la scatola ancora chiusa.

“Le leggerò stanotte, ormai non ha senso ignorarle. Magari mi aiuteranno a schiarirmi le idee” disse debolmente Kurt, appoggiando il piatto sul tavolino per tagliare la carne ed iniziare a mangiare in silenzio. Rachel non aggiunse nulla per tutto il tempo ma rimase accanto all’amico.

“Grazie, Rachel” disse Kurt, appena ebbe finito di mangiare, prendendo il piatto e la scatola.

“Ti voglio bene anch’io. Buona notte”. Le lasciò un leggero bacio sulla guancia, ricambiato da un sorriso colmo d’affetto.

Kurt mise il piatto nel lavandino e andò in camera sua. Si posizionò a gambe incrociate sul letto e fissò la scatola di fronte a sé, sperando che gli potesse comunicare quale fosse la cosa giusta da fare.

Tolse il coperchio e prese in mano la prima di una decina di lettere. Le mani gli tremavano e si ritrovò a fissare “Caro Kurt”, senza avere la forza di andare avanti. Fece un respiro profondo e cominciò a leggere.

 

“Caro Kurt,

mi manchi tanto. Ho capito che non vuoi più vedermi e sentirmi ma ti prego di perdonarmi. Ho sbagliato tante cose nella mia vita ma questa è una di quelle che non mi perdonerò mai. Ho bisogno di parlarti il più presto possibile.”

 

“Caro Kurt,

sto impazzendo. Mi manca averti qui con me, mi mancano il tuo sorriso, la tua risata, il tuo profumo, le tue carezze, i tuoi baci. Non riesco ad andare avanti senza di te. Ci sto provando ma è tutto inutile. Tu eri tutto quello che avevo e ora sono rimasto solo, non ho più niente. Perdonami.”

 

“Spesso vado a trovare Pavarotti e ripenso a quando proprio lì, sotto quell’albero, ti ho teso la mano e tu l’hai afferrata. Come siamo arrivati a tutto questo? Vorrei poter tornare indietro a quando non provavo questo senso di angoscia che mi attanaglia lo stomaco. A quando eravamo io e te, spensierati ed innamorati. Rimarrà un sogno?”

 

“Kurt, vorrei chiamarti e sentire la tua voce ma non posso più farlo. Non rispondi mai. Vuol dire che non vuoi saperne più niente di me. Se è questo ciò che desideri davvero ti lascerò in pace. Niente più chiamate. Questa sarà la mia ultima lettera.

Questo non significa che smetterò di amarti.

Tuo per sempre,

                        Blaine

 

 

Kurt macchiò quella lettera con le sue stesse lacrime. Non pensava che Blaine avesse provato esattamente tutto ciò che aveva passato lui in quei mesi. In quelle parole c’erano anche la sua storia e il suo stato d’animo.

Rilesse tutte le lettere una seconda volta e si addormentò tenendone una in mano, mentre un’ultima lacrima andava a bagnare il suo cuscino.

 

***

 

La mattina successiva Kurt si ritrovò nell’esatta posizione in cui si era addormentato la notte precedente, anche se il suo sonno era stato piuttosto movimentato: aveva ripercorso tutti quei mesi, riprovando quel senso di frustrazione del momento in cui la loro storia era finita.

Kurt ripose tutte le lettere nella scatola, la chiuse e si preparò per uscire, non sapendo nemmeno che ora fosse.

Rachel stava facendo colazione in cucina e si stupì di trovarlo alzato alle sette di mattina.

“Dove stai andando?” gli chiese, mentre Kurt afferrava il cappotto.

“Puoi darmi l’indirizzo dell’albergo di Blaine?” chiese Kurt, senza fiato, come se avesse corso una maratona, quando in realtà era solo il suo cuore che gli stava scoppiando in gola.

Rachel sorrise e scrisse l’indirizzo su un foglietto di carta.

“Ricordati solo che la vita è troppo breve per vivere nel rancore, Kurt” gli disse porgendogli il biglietto.

“Lo so” rispose Kurt ricambiando il sorriso e uscendo in fretta dall’appartamento.

 

***

 

Kurt arrivò all’hotel alle 8.30 dopo aver attraversato di corsa l’intera città, concedendosi una sola sosta da Starbucks per fare rifornimento di zuccheri. Aspettò un’altra ora di fronte all’albergo: non voleva presentarsi in camera sua e doveva pensare bene a cosa dire e come dirlo.

Blaine comparve all’ingresso con un borsone in mano e uno sguardo inespressivo che si costrinse in un sorriso solo quando il tassista prese il suo bagaglio per caricarlo in macchina.

Kurt si fece avanti e aspettò ai piedi delle scale, di fronte al taxi.

Blaine spalancò gli occhi per la sorpresa e gli si avvicinò lentamente.

“Mi sorprende vederti qui”.

“Avevo bisogno di parlarti” iniziò Kurt, tenendo le mani occupate con i bottoni del cappotto.

“La notte scorsa ho letto le tue lettere”. Blaine era sempre più sorpreso e preoccupato perché non sapeva se quella conversazione avrebbe portato a qualcosa di positivo o meno.

“Mi sono accorto che in questi mesi ho pensato solo a me stesso, a come stavo, a come andare avanti ma mai a come potevi sentirti tu” disse Kurt pesando ogni parola.

“Ho tentato di andare avanti ma non ci sono riuscito. Vorrei provare a perdonarti e tornare a fidarmi di te” mormorò Kurt tra le lacrime.

I loro sguardi si incontrarono ed entrambi capirono di avere la voglia di riprovarci perché divisi non erano riusciti a trovare la giusta strada da percorrere e ad avere la forza di fare qualsiasi cosa. Erano l’uno il sostegno dell’altro.

“Perché non hai mai risposto alle mie chiamate?”.

“Avevo paura che solo ascoltando la tua voce sarei tornato da te e non potevo permetterlo, dovevo farcela da solo” disse Kurt facendo un passo in avanti mentre si asciugava una lacrima con il dorso della mano.

“Non ti ho mai dimenticato. Non posso negarlo”.

“Ti va di ritentare? Ora sappiamo a cosa possiamo andare incontro…” disse Blaine abbassando lo sguardo.

Kurt si avvicinò ancora e gli prese la mano con esitazione ma delicatezza: quel contatto portò Blaine ad alzare gli occhi mentre una scarica di energia gli attraversava la spina dorsale.

“Non posso perderti, Blaine. Non posso e non voglio farlo”.

Blaine strinse leggermente la sua mano e con l’altra andò ad asciugare una lacrima che stava scendendo su quel viso che aveva tanto desiderato poter anche solo sfiorare in quei lunghi mesi di lontananza.

Il tassista aveva aspettato per tutto il tempo in macchina ma a quel punto, spazientito, aprì lo sportello e li guardò insistentemente.

“Tra pochi giorni tornerò a Lima. Potremmo parlarne, se ti va” disse Kurt indietreggiando di un piccolo passo. Quel leggero tocco lo aveva paralizzato e non si era reso conto di essere ad un palmo dall’altro.

“Certo” disse Blaine mentre un piccolo sorriso di sollievo nasceva sulle sue labbra.

“Ora è meglio che vada” aggiunse, indicando con il capo il tassista che minacciava di separarli.

Kurt annuì e continuò a guardarlo finché non salì in macchina e il taxi si allontanò sfrecciando lontano da lui.

Questa volta Kurt non sentì il suo cuore spezzarsi in mille pezzi.

Questa volta Kurt sapeva che quello non era un addio.

 

***

 

New York, un anno dopo

 

“Kurt, come mai indossi la tuta che porti solo in casa quando nessuno può vederti? Stai bene?” domandò Blaine, vedendo il ragazzo uscire dalla sua stanza con qualcosa che non faceva parte dell’ultima collezione di uno dei suoi stilisti preferiti.

“Non vorrei rovinare uno dei miei completi. Una caduta sul ghiaccio sarebbe letale per le mie creazioni” affermò Kurt come se fosse ovvio, avvicinandosi all’altro.

“Per me puoi anche metterti due stracci ma rimarrai sempre il ragazzo più sexy e affascinante del pianeta” gli disse per poi posargli un bacio sulle labbra mentre l’altro arrossiva vistosamente, ancora non abituato a quel genere di complimenti. Blaine credeva che non ci avrebbe mai fatto l’abitudine ma continuava a stuzzicarlo perché adorava quando reagiva in quel modo.

“Siete pronti per pattinare???”. L’entusiasmo e la voce acuta di Rachel riempirono la stanza mentre Brody la seguiva arrendendosi all’esaltazione della sua ragazza.

 

***

 

“Io non ci metto piede in quella pista. È scivolosa”.

“Kurt, è ricoperta di ghiaccio. Deve scivolare così ci puoi pattinare” spiegò Blaine come se avesse a che fare con un bambino delle scuole elementari.

Rachel e Brody sfrecciavano sulla pista di pattinaggio del Rockefeller Center da più di un quarto d’ora ormai mentre Blaine era rimasto con il suo ragazzo per convincerlo a pattinare con lui.

“E va bene”. Si arrese Kurt afferrando la mano di Blaine e lasciandosi portare all’ingresso della pista, spostando con cautela il peso del corpo da un piede all’altro.

Blaine entrò in pista e gli offrì la mano a cui l’altro si aggrappò come fosse la sua unica salvezza.

“Appoggia il primo piede e poi con calma anche l’altro”.

Kurt fece come gli aveva detto e non appena poggiò anche il secondo piede sulla lastra di ghiaccio perse l’equilibrio ma Blaine lo tenne con forza per non farlo cadere.

Blaine Anderson, non provare ad abbandonarmi qui altrimenti te la farò pagare cara”. Il suo tono minaccioso aveva il potere di spaventare Blaine che gli strinse più forte la mano e lo guidò nei primi passi.

Dopo un po’ di pratica Kurt era molto più sciolto ed in grado di fare più di due metri senza l’aiuto di Blaine. In realtà ci prese gusto ed iniziò anche a canticchiare.

“Non potevo credere che un ragazzo che è entrato nei Cheerios e sa usare i sai non sapesse pattinare sul ghiaccio”.

“Mi ci voleva solo un po’ di pratica” disse Kurt alzando il mento con finta aria di superiorità per poi scoppiare a ridere mentre Blaine aveva rallentato fino a fermarsi.

“Che c’è?” chiese Kurt tornando indietro.

“Esattamente un anno fa ci siamo detti di voler riprovare a stare insieme ed ora guarda dove siamo arrivati” disse Blaine allargando le braccia.

Kurt rabbrividì al solo ricordo di quei giorni infernali e di tutto quello che aveva passato. Si avvicinò a lui cingendogli i fianchi.

“Ti amo” sussurrò piano al suo orecchio. Aveva bisogno di farglielo sapere affinché non lo dimenticasse.

“Ti amo anch’io, Kurt” mormorò Blaine sorridendogli dolcemente e stringendogli la mano mentre tornavano a pattinare.

Kurt si trovava a New York con il suo ragazzo, i suoi migliori amici, un lavoro che sognava da una vita e stava pattinando al Rockefeller Center, come nella migliore delle tradizioni newyorkesi.

Tutti i suoi più grandi desideri si erano finalmente avverati.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

 

Dato che volevo partecipare anche io con un mio piccolo contributo alla Klaine Week, ho scelto il prompt che mi ispirava di più. Come ignorare “Winter in New York”? Tutto è partito da un’idea felice di Kurt e Blaine che pattinano ma non sapevo cos’altro metterci fino a quando non ho visto la 4x04.

Questa OS presenta un po’ la mia idea di come, secondo me, andranno le cose. Io non ce lo vedo Blaine a tradire Kurt, almeno non nella mia testa. Naturalmente c’è il lieto fine!

Mi farebbe piacere sapere la vostra in merito!

 

Ringrazio tantissimo SeleneLightwood che mi ha supportato nei miei momenti di incertezze e dubbi che mi prendono sempre prima di pubblicare una nuova OS, e che mi ha dato consigli utilissimi.

Ringrazio anche Medea00 per le sue osservazioni che mi fanno sempre riflettere e il suo sincero parere. Grazie, Fra!

 

Alla prossima,

 

Ilaryf90

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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