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Autore: Blackbird_    14/10/2012    1 recensioni
Liverpool, 1961. Quattro giovani Beatles sono di ritorno dalla loro avventura tedesca. Ad attenderli non solo i loro vecchi amici, ma anche un turbine di novità. L'enorme successo sorprende tutti quanti, anche Ray e Sun, le due piccole "mascottes" della comitiva liverpooliana.
Dal Secondo Capitolo:
“Magari così trovate un nuovo manager che vi farà fare qualche provino per le etichette discografiche, no?” aggiunse Sun. George annuì sorridente e tornò a guardare gli altri. “Non sarebbe affatto male un provino, magari è la volta buona che sfondiamo sul serio” ammise. Come se fosse stato il cucciolo di un qualsiasi animale iniziai a carezzarlo sulla testa. “Sfonderete sicuramente e magari diventerete famosi in tutto il mondo e cambierete la storia della musica e…” “Frena, frena Ray!” mi interruppe lui ridendo “non starai correndo un po’ troppo?”.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La pioggia incessante del giorno dopo impedì a me e Sun di trascorrere del tempo insieme sulla nostra amata panchina di Sefton Park. Ma non potevamo arrenderci, non di nuovo, e per questo decidemmo di vederci comunque, ma di spostare il luogo dell'incontro al tea room vicino casa sua. Un buon the era l'ideale per risolvere ogni questione in sospeso.
"Allora, cosa è successo ieri? Richard mi hai detto che hai delle grandi novità" insistette, senza nemmeno darmi il tempo di togliermi la giacca e di sedermi al tavolo. "Non è questo di cui dovremmo parlare" la rimproverai, storcendo il naso. "Abbiamo abbastanza tempo per parlare di qualsiasi cosa, quindi siediti e raccontami". La accontentai e mi misi a sedere. La cameriera, una signora sulla sessantina con i capelli grigio topo, prese le ordinazioni e se ne andò con i menù. Non riuscendo a resistere alle occhiate ammiccanti della mia amica, tirai fuori dalla tasca della giacca una cosa che le mostrai subito.
"Perchè non lo indossi?" mi domandò Sun. I suoi occhi brillavano quasi quanto l'anello che tenevo in mano. La sua indole terribilmente romantica era rapita da quel gingillo che, per me, non aveva alcun significato. Nessuno, se non quello di essere un grosso problema da risolvere nel migliore dei modi e nel minor tempo possibile. "Perchè non gli ho detto di sì" risposi, riposando in tasca quel maledetto anello. Lo possedevo da nemmeno dodici ore e già lo detestavo. "Non gli hai detto di sì? Lo hai lasciato così come uno scemo? E perchè?" mi tempestò di domande. Scrollai le spalle, a mo’ di giustificazione. "Bè, d'accordo, è un ragazzo carino, simpatico, tutto quello che vuoi tu, ma sta decisamente correndo un po' troppo. E poi non mi piace, non voglio sposarmi con lui solo perchè è il primo ad essersi dichiarato. Ho solo diciotto anni ed un'intera vita davanti, non voglio arrendermi alla prima occasione". La mia amica non faceva che annuire, ascoltandomi attenta. "Non dirmi che ti stai convertendo al romanticismo" ammiccò sorridente. Arrossii, ma scossi la testa. "Ormai ci ho rinunciato a quello, dato i miei precedenti" ammisi. "E ha provato a baciarti? O ad avere un qualsiasi contatto fisico?" domandò curiosissima, ignorando il fatto a cui facevo riferimento. Scossi nuovamente la testa. "Certo che no! Penso di avergli tolto ogni impulso strano con il mio rifiuto!". Scoppiai a ridere, e Sun mi seguì. "Povero Nicholas" pronunciammo in coro, e continuammo a ridere. La situazione, benché scomoda, era abbastanza ilare e non potemmo fare a meno di riderne di gusto.
La signora dai capelli grigio topo arrivò a piccoli passi, cercando di non far cadere il vassoio. Poggiò al centro del tavolino l'enorme teiera piena di thè bollente, il piattino con i pasticcini e la piccola brocchetta con il latte freddo, e ci servì ad entrambe lasciando le due tazze già stracolme di infuso vicino ai nostri tovaglioli. Il profumo di vaniglia m'inebriò.
"Senti, Sun..." cominciai. "Mi dispiace" concluse, interrompendomi, la mia amica. Le sorrisi. "Sei tu che devi scusare me" dissi, fissando il mio thè. Sun scosse la testa. "Sono stata una bambina capricciosa e non ho voluto nemmeno ascoltare quello che avevi da dirmi. Ero... Furiosa. Ed invidiosa. Perché erano anni che morivo dietro a Paul, ma non avevo mai avuto l'occasione che invece a te è capitata senza nemmeno volerlo" si aprì. Feci di no con la testa, lievemente. "È colpa mia. Avrei dovuto evitare di creare tutto questo trambusto, avrei dovuto evitare Paul. E soprattutto avrei dovuto provare a farti capire quello che era successo, senza giustificarmi solamente dicendoti che eravamo entrambi ubriachi" mi sfogai.
"Ray, io ti voglio bene. Promettimi che mai più nessun ragazzo si metterà fra me e te" disse, porgendomi la mano. Gliela strinsi. "Promesso!" la assecondai, sorridendo.
"Bene! E ora... Buon appetito!". Prese un biscotto dal piattino e lo inzuppò nella sua tazza. Scoppiai a ridere, di nuovo. Mi era mancato enormemente il suo entusiasmo.
"Cosa ti ha fatto capire?" le domandai, bevendo una sorsata di thè. Mandò giù un boccone troppo grande persino per lei. "Principalmente la tua lettera, quella che mi hai mandato a Natale". Annuii, addentando un biscotto. "Poi diciamo che una buona parte l'ha fatta anche Richard" "Richard?" "Sì, Richard" arrossì. "C'è qualcosa che devo sapere?" chiesi, ammiccante. Divenne ancora più rossa. "Ehm, sì... Diciamo che... Ci... Frequentiamo? Boh, più o meno. Da l'altro ieri sera, quindi niente di che. Però, boh. È carino" balbettò. Feci un sorriso che probabilmente mi arrivò fino alle orecchie. "Devi assolutamente raccontarmi tutto!" la pregai.
"Sì... Bè. Allora. Si è semi dichiarato alla fermata del bus" cominciò. Conoscevo già questa minima parte ma ascoltarlo da lei, entusiasta com'era, era decisamente tutta un'altra musica. "Mi ha fatto talmente tanto strano che oltre a ringraziarlo non sapevo che altro dirgli, tant'è che ho continuato a evitarlo per qualche giorno. Si è sempre comportato in maniera impeccabile con me, ed io gli ho sempre voluto bene, quindi non ho fatto altro che pensare e ripensare alle sue parole. Se n'è accorto persino Ted! Ne ho parlato anche con lui e mi ha consigliato di fare ciò che credevo migliore, aggiungendo che avrebbe approvato una relazione tra noi due, dato che Richie è una persona seria, e così via. Quindi la sera che tu sei tornata da Whitby, mentre Teddy ti riaccompagnava a casa, ho parlato con Ringo e... Vabbè quello che siamo ora è il risultato". Applaudii come una foca al circo, contentissima. Mi tornarono in mente il film che avevo girato nella mia testa quando Richard aveva ammesso di avere una cotta per Sun: ero felice che, nella realtà, avesse vinto la versione piena d’amore, e non quella in cui Ted picchiava Ringo.
"La prima volta che ci siamo baciati ho pensato a te, sai?" ammise. Prese la tazza e ne diede una sorsata, continuando a scrutarmi. "E perché?" domandai, sorpresa. "Perché sono stata una sciocca a pensare che tu mi reputassi una stupida bimbetta inesperta solo perché non avevo ancora mai baciato nessuno" disse, scrollando le spalle e distogliendo lo sguardo da me. Mi misi a ridere di cuore. "Cioè il tuo primo bacio lo hai sprecato pensando a me invece di concentrarti sul momento?" le domandai, continuando a ridere. Annuì ed iniziò a ridere anche lei. "Mi sono concentrata sui successivi, tranquilla" ammise, arrossendo leggermente, ma continuando a ridacchiare.

 
La più grande questione in sospeso che avevo, la litigata con Sun, era stata risolta nella maniera più divertente e pacifica che potessi immaginare, e ne ero felice. Tornando a casa sotto la pioggia, però, capii che ora mi si presentava davanti una questione che mi premeva ancora di più. Non potevo non trovare una soluzione alla faccenda in cui Nicholas mi aveva invischiato.
Detestavo avere delle questioni in sospeso. Dovevo assolutamente risolvere in qualche modo.
Dopo una minuziosa analisi del problema decisi che, effettivamente, essere sincera era il modo migliore per uscire da quella situazione così scomoda.
Una volta a casa passai tutto il tempo chiusa in camera mia. Sdraiata sul letto, giocherellando con l’anello che il ragazzo di Whitby mi aveva regalato, continuavo a pensare al modo migliore per poterglielo restituire senza sembrare una ragazza senza cuore. Ogni discorso che cercavo di prepararmi, però, appariva troppo duro e crudele persino alle mie orecchie. Il piccolo diamante mi fissava severo, ascoltando e rimproverando i miei pensieri. Mi faceva sentire talmente tanto in colpa che fui costretta a riporlo nella tasca della giacca.
Non sapevo come avrei fatto, sapevo solamente che avrei dovuto farlo quella sera stessa. Non volevo lasciargli covare speranze vane, a costo di sembrare troppo frettolosa.
Dopo cena mi vennero a prendere Ted e Sun, come di vecchia abitudine. Ora che la sorella era tornata a parlarmi, anche Ted era tornato ad essere spiritoso ed affettuoso nei miei confronti.
Il pub poco lontano del Cavern era la nostra meta. Il pub del misfatto. Entrando venni percorsa da brividi inspiegabili al solo pensiero di quella serata che già mi sembrava terribilmente lontana.
Al tavolo già ci aspettavano tutti gli altri. Sun si sedette al fianco di Ringo. Si guardarono senza dirsi niente per qualche istante ed entrarono nella conversazione aperta da Pete. Erano adorabili.
Un improvviso ed inaspettato crollo emotivo mi fece prendere in considerazione l'idea di sposare Nick. Iniziò a ronzarmi fastidiosamente per la testa l’idea che probabilmente quello sarebbe stato l'unico ragazzo che avrebbe mai potuto volermi bene, dati i disastrosi precedenti. Volevo essere libera ancora per qualche anno, godermi la giovinezza, ma improvvisamente, vedendo quella scena così dolce, sentii l’irrefrenabile impulso di legarmi a qualcuno. Mi sentii improvvisamente sola, incapace di amare e di essere amata. Probabilmente quel posto influiva molto negativamente su di me.
Mi alzai di scatto dal tavolo, provocando una grande curiosità fra i miei amici. “Esco a farmi una passeggiata” annunciai. “Dove te ne vai con questo tempaccio?” domandò George, preoccupato. Alzai le spalle senza rispondere; uscii dal tavolo e raccolsi il mio ombrello da terra. “Ma dove vai da sola? Che per due minuti che sei stata senza di noi sei stata in grado di rimorchiare un maniaco, l’ultima volta” mi rimproverò John. “Davvero?” domandò Paul sottovoce a Pete. Quello, non sapendo cosa rispondere, si limitò ad un’alzata di spalle. “Invece di rompermi le scatole accompagnami, no? Così potrai stare tranquillo” replicai, acidamente. “D’accordo” acconsentì alzandosi e raggiungendomi. Non mi sarei mai aspettata una reazione simile. Lanciai un’occhiata spaventata a Sun che venne accolta con un sorrisetto divertito, decisamente poco d’aiuto.
“Dove mi porti di bello?” chiese John, sistemandosi la sciarpa e infilando le mani nelle tasche per evitare che congelassero. “Io non ti porto proprio da nessuna parte, al massimo sei tu che mi stai seguendo” replicai. La mia acidità delle volte sorprendeva anche me. “Mi hai chiesto tu di venire, te lo ricordo” mi zittì, divertito.
"Epstein vi ha organizzato qualche altro provino?" domandai, tanto per non dargli la soddisfazione di avere l'ultima parola. Ad ogni passo mi avvicinavo sempre di più a lui, quasi impercettibilmente, per evitare che si bagnasse troppo. "Non che io sappia. Ci sta lavorando, però. Ma da domani fino a non so quando non penso ci servirà". "Perchè?" non coglievo l'allusione nelle sue ultime parole. "Amburgo, presente? Domani ripartiamo". Ero sconvolta. "Domani? Così presto? Siete tornati a Liverpool a malapena un mese fa!". Ripensai al lungo periodo in cui i ragazzi avevano vissuto in Germania: era stato assolutamente orribile senza di loro. "Abbiamo solo bisogno di un po' più di pratica, torneremo presto" mi rassicurò. "Non ti strappare i capelli dalla disperazione durante la mia assenza" concluse, ridacchiando. Gli feci la linguaccia e non risposi. "Non lo abbiamo ancora detto a Stu ed Astrid, domani andiamo a fargli una sorpresa a casa" continuò, raggiante. Stu era uno dei suoi migliori amici, non mi sorprendeva affatto di sentire una punta di nostalgia e di entusiasmo in quella frase. Per quanto non lo dimostrasse apertamente, era molto affezionato ad i suoi amici, e la lontananza da Stu era stata una grande sofferenza per John.
Continuammo a chiacchierare di tutto e di niente, percorrendo il bagnato Albert Dock sotto il mio striminzitissimo ombrello. Ogni istante che passavo con lui lo rendeva sempre più irritante, ma al contempo irresistibile. La sua risata era terribilmente contagiosa.
Arrivammo di fronte al cancello principale della marina di Liverpool, e mi arrestai di colpo. Ero arrivata a destinazione, ed ora era arrivato il momento di abbandonare il buonumore che il ragazzo insieme a me mi aveva trasmesso e riprendere la versione responsabile e matura di me. "Fammi indovinare, ti sei voluta fare tutta questa strada per parlare con quel mammalucco di ieri, non è così?" chiese, retoricamente. Sapeva benissimo che eravamo lì perchè dovevo vedere Nicholas. Annuii e mi avvicinai alla vedetta di turno. Domandai di poter parlare con il mio amico. Mi spacciai per la sua fidanzata che doveva dargli una grave notizia riguardante la sua famiglia e la guardia si precipitò dentro. "Fidanzata?" fece John, alzando il sopracciglio. "Dovevo pur inventarmi qualcosa" risposi per giustificarmi. Potevo considerarmi la fidanzata di Nick anche se non avevo accettato la sua proposta? "Qualcuno lassù non è stato molto generoso con te nel donarti le doti recitative, sai? Sei davvero pessima" ridacchiò. Appena scorse Nick da lontano, però, cambiò decisamente espressione. Mi poggiò una mano sulla spalla, si raccomandò che non facessi troppi danni e scappò verso il pub dall'altra parte della strada. "Prenditi almeno l'ombrello" gli urlai dietro, ma con un cenno della mano mi liquidò.
Ero ancora intenta a scuotere la testa, interdetta dal suo comportamento, quando finalmente il ragazzo di Whitby mi raggiunse. Dovevo ammettere che la divisa gli donava. "Non mi aspettavo di vederti qui" era piacevolmente sorpreso, il che rendeva ancora più difficile tutto ciò che avevo da dirgli. Non poteva oltrepassare il cancello, né io potevo entrare. Il problema del contatto fisico era quindi risolto facilmente. Speravo anche ci fosse un rimedio per evitare anche il contatto visivo: i suoi occhi raggianti mi studiavano e mi rendevano decisamente più nervosa del solito.
"Mi fa davvero piacere" continuò. Balbettai qualcosa di incomprensibile persino a me, fingendo un sorriso sincero. Infilò le mani fra le grate del cancello e strinse le mie. Maliziosamente immaginai che avesse fatto quella mossa solo per verificare che indossassi l'anello, sotto i guanti. Dopo qualche istante lasciai la presa ed infilai le mani in tasca.
"Senti, Nick, devo dirti una cosa importante" dissi seria, cercando nella tasca della giacca il gingillo che mi aveva lasciato la sera precedente. Annuì, senza che la mia serietà spegnesse il suo entusiasmo. Tirai finalmente fuori l'anello e glielo mostrai. "Senti, io..." "Ma non è John, quello?" m'interruppe, indicando il pub dalla parte opposta della strada. In uno scatto rinfilai le mani in tasca e mi voltai. Effettivamente, sull'uscio della porta d'entrata, John si stava sbracciando per farsi notare. Appena fu sicuro che mi fossi girata per guardarlo, m'indicò un piccolo boccale di birra e subito dopo m'indicò. "Vuoi?" urlò. Sorrisi. "Sì, arrivo subito! Grazie!" urlai anch'io. Tirò su il pollice per dare segno che avesse recepito il messaggio e se ne tornò dentro. Mi voltai nuovamente verso Nicholas, ancora sorridente.
"È incredibile quanto i tuoi occhi dicano molto più di quanto tu voglia" disse, lasciando che il suo sorriso svanisse. "Cosa vuoi dire?" non capivo questo suo improvviso cambio di umore. Credevo che il suo sorriso svanisse dopo il mio discorso, non prima, per ragioni ignote. "Niente, lascia stare. Cosa dovevi dirmi?" sorrise nuovamente. Stavolta, però, non era sincero.
Spinsi il tasto del rewind e tornai indietro di qualche minuto. Tirai fuori l'anello dalla tasca e glielo mostrai. "Non so bene da dove cominciare...". Non ero mai nemmeno stata davvero con nessuno, e già mi ritrovavo a dover trovare le parole per liquidare qualcuno. Era davvero tutto più difficile di quanto immaginassi e per un attimo mi pentii di essermi fatta avanti così presto. Avrei dovuto aspettare qualche altro giorno per poter preparare un discorso anche solo vagamente ascoltabile.
Per tranquillizzarmi strinse nuovamente le mie mani. Tutto ciò non mi aiutò affatto. "Sei un ragazzo fantastico, anche se non sembra ti voglio bene..." esordii. "Ma non sono quello giusto per te" m'interruppe. Il suo flebile sorriso aveva lasciato spazio ad una faccia terribilmente seria, che quasi stonava col suo solito modo di fare. Scossi la testa. "Sono io quella sbagliata per te, Nick. Ti meriti di molto meglio. Non sono pronta per queste cose, voglio essere libera" il mio tono era mozzato. Qualcosa dentro di me quasi si opponeva di pronunciare tali parole. Probabilmente erano i sensi di colpa. La felicità degli altri era sempre stata una priorità per me, ma non quella sera. Per una volta volevo pensare a ciò che rendeva me felice.
Gli restituii l'anello e infilai per l'ennesima volta le mani in tasca. Stette lì a guardarlo che brillava nella sua mano per un po'. "Sono contento che tu sia stata sincera con me" ammise. Anche la sua voce era mozzata. "Mi dispiace davvero tanto" ammisi, in un sussurro. "Anche a me" sorrise amaramente.
Poggiò la mano libera sulla mia spalla. "Sai, sono uno di quei tipi che non si innamora con poco, ma che si dedica con tutta l'anima alla ragazza che gli fa battere il cuore. Avrei fatto davvero di tutto per farti sentire libera e felice proprio come sogni di essere" cercai di interromperlo ma con un cenno mi zittì "e spero davvero con tutto il cuore che tu possa trovare, quando sarai pronta, un ragazzo che ti adori anche solo la metà di quanto non lo faccia già io". Le sue parole erano una continua coltellata al cuore. Non sapevo come replicare, quindi me ne rimasi in silenzio a guardarlo, incapace di concludere un discorso che avevo avuto tanta fretta ad aprire.
"È incredibile quanto i tuoi occhi dicano molto più di quanto tu voglia" ripeté. Sbuffò. Non lo capii, di nuovo. "Vorrei tanto essere guardato da te nello stesso modo con cui guardi John, sai?" ammise. "John?". Annuì. "I tuoi occhi diventano più splendenti del solito quando lo guardi". Arrossii. "Ammetto di essere un po' invidioso" ridacchiò. "Ma invidioso di cosa? È un insopportabile spocchioso. Non lo sopporto" "Non vuoi ammetterlo nemmeno a te stessa. Ti piace, e non poco. I tuoi occhi non mentono. E nemmeno il tuo sorriso e il colorito del tuo volto" sorrise. Storsi la bocca, assolutamente in disaccordo con lui. "Devo andare, non voglio rischiare di prendere un ammonimento il primo giorno" troncò il discorso. "Mi dispiace tantissimo" ripetei tornando in me, incapace di trovare parole più adatte. "Non importa" alzò le spalle "mi passerà. Col tempo, ma mi passerà. Potremmo anche rimanere amici, chi lo sa". "Lo spero" confessai, a bassa voce. "Ora và da lui, ti sta aspettando" e corse via, senza nemmeno un cenno di saluto.
Mi allontanai dal cancello ancora pensierosa. Mi dispiaceva immensamente per Nicholas, ma non comprendevo il suo discorso. Ciò che aveva detto su John non aveva assolutamente senso. Cercavo di immaginare cosa significasse avere uno sguardo luminoso, ma nessuna immagine raggiungeva la mia mente. Non riuscivo ad immaginare i miei occhi come specchio della mia anima. E non comprendevo in quale modo Nick fosse riuscito a leggere nel mio cuore con così poco tempo. Era sbalorditivo: nemmeno io ero mai riuscita a leggermi dentro. L'avevo sempre reputata un'attività ardua; ero decisamente troppo complicata persino per me stessa. Ed ora arrivava un tipo qualunque che non solo mi chiedeva di sposarlo dopo così poco, ma che mi insegnava, a modo suo, a decifrare le idee contorte nella mia testa. E i miei veri desideri, soprattutto.
Entrai nel pub dove il mio amico mi aspettava. Era un piccolo localino, frequentato quasi unicamente dai lavoratori del porto e dai marinai che avevano il permesso di uscire per una sera. Non ero mai entrata lì dentro, da quanto ricordavo, anche se la similarità rispetto a tutti gli altri locali della città me lo rendeva particolarmente familiare.
John era seduto all'angolo più luminoso. Il resto dei clienti era piantato davanti al bancone, quindi sistemarsi al tavolo più confortevole non doveva essere stato difficile, per lui. Quano mi vide mi fece un cenno con la mano e lo raggiunsi. Appena mi sedetti mi porse il mio bicchiere di birra. Lo ringraziai e diedi subito una sorsata. Sarebbe stato bello bere a tal punto di cancellare dalla mia mente tutto ciò che era accaduto, ma la consapevolezza che l'indomani dovessi tornare a scuola non me lo permise.
"Hai la faccia distrutta! Che hai fatto, hai combattuto una guerra?" mi domandò ridacchiando. Annuii. "Più o meno. Però ho vinto io" risposi sorridente. "Aia. Sento puzza di cuore di marinaio infranto" continuò, divertito. Scoppiai a ridere, assolutamente divertita. "E il tuo senso dell'umorismo sta anche iniziando ad affiorare. Sono sconvolto. Ecco perchè piove" proseguì. "Io ho sempre avuto il senso dell'umorismo. È semplicemente troppo inglese perchè tu lo capisca" risposi a tono, dando un'altra sorsata. Mi fece una smorfia buffa, cercando di farmi ridere ancora. Contro ogni sua previsione ci riuscì, facendomi quasi strozzare. Soddisfatto del risultato, finì di scolarsi la sua birra e si alzò. Era decisamente arrivato il momento di raggiungere di nuovo gli altri. Probabilmente ci credevano persi. Probabilmente qualcuno fra i più maliziosi avrebbe creduto che John avesse provato ad appartarsi: era sempre stato parecchio famoso per le sue enormi doti di rimorchio. Ma forse il mio atteggiamento acido e schivo nei suoi confronti era anche più famoso.
Anche sulla via del ritorno cercai di tenere John all'asciutto sotto al mio ombrello, ma senza riuscirci. Ad ogni accenno di avvicinamento si faceva più in là. Faceva il gradasso sostenendo che ormai la pioggia non poteva più scalfirlo, facendomi divertire. Passeggiare sotto quell'acquazzone terribile sarebbe stato molto piacevole, se solo avessi avuto la mente sgombra.
"Ho come l'impressione che fra Sun e Richard ci sia qualcosa" ipotizzò, all'improvviso. Chissà quali pensieri lo avevano portato ad una simile conclusione. "Wow. Mille punti per la scaltrezza, signor Lennon" lo guardai con un sopracciglio alzato. "Cosa ho vinto?" ridacchiò. Aveva sempre utilizzato questo comportamento perennemente giocoso e spesso ambiguo nei miei confronti, ma per la prima volta gli diedi spago. Scrollai le spalle. "Boh. Lascio scegliere a te". Il suo improvviso sguardo da maniaco mi terrorizzò. "Ma niente di indecente, per favore". Scoppiò a ridere, più divertito che mai. "Rebecca, hai paura di me?". "Assolutamente" annuii, provocando una grande ilarità nel mio compagno.
Arrivati sotto alla tettoia dell'entrata del locale dove gli altri ancora ci aspettavano ci bloccammo. L'indomani i ragazzi sarebbero partiti ed io non li avrei rivisti per chissà quanto tempo, ma in quel momento restare lì fuori mi allettava di più. Tirai fuori il fazzoletto di stoffa che tenevo sempre nella giacca e lo porsi a John. "Datti un'asciugata, sei zuppo. Non vorrei che gli altri pensassero che sono così cattiva con te da lasciarti sotto la pioggia" risposi alla sua domanda inespressa. Sorridente lo accettò ed iniziò ad asciugarsi.
Mi avvicinai alla porta per aprirla. "Dimmi che ti piaccio". Mi fermai. Lo guardai con un'espressione interrogativa stampata sul volto. Probabilmente ero anche arrossita. "Il mio premio. Mi accontento di una tua confessione" fece spallucce, guardandomi con non chalance. Sembrava fosse la richiesta più ovvia del mondo. "Cosa vai blaterando?" domandai. Scrollò di nuovo le spalle. "Non mi pare una richiesta indecente, quindi devi accontentarmi". Spocchioso egocentrico. Ma, in fondo, aveva ragione. Gli avevo promesso di scegliersi da sé il premio, ed ora dovevo accontentarlo. Sbuffai. "John Winstan Lennon, sei la persona più egocentrica, presuntuoso ed irritante che io conosca. Ma sei, in ogni caso, anche la più divertente, intelligente, creativa ed irresistibile. Ti voglio bene, davvero e... Mi piaci. Come persona". Avrei potuto dire qualunque cosa, ma decisi di essere sincera. Silenzio. Non ricevetti nessuna risposta repentina, e questo mi spaventò. Sentii un calore improvviso raggiungermi le gote e, con uno scatto, mi portai le mani in viso. "Soddisfatto?" domandai, disorientata e spiazzata da quel terribile silenzio. Sorrise lievemente. "Anche tu mi piaci, sai? Il mio cuore è per un'altra, ma dopo di lei tu rimani la mia preferita" rispose. Ora si che ero davvero diventata paonazza. "E ammetto che vederti con Paul e con quel marinaretto da quattro soldi m'infastidiva" concluse, alzando gli occhi al cielo.
"Mi piace che tu pensi queste cose di me" disse annuendo. Il suo ego era stato nutrito in maniera spropositata dalle mie parole. Si era accorto della mia sincerità e mi aveva ripagato con altrettanta sincerità. Nella mia testa iniziarono a rimbombare le sue parole. Ero lusingata e piacevolmente sorpresa: non avrei mai potuto immaginare che pensasse una cosa simile di me. Non feci in tempo a gustarmi i toni rosa di quel momento che tutto tornò nuovamente grigio. La mia indole a vedere tutto sotto una luce negativa era più forte di qualunque altra cosa. "D'accordo, ma ora che senso ha questo discorso?" domandai. Probabilmente le mie parole erano terribilmente divertenti, perchè scoppiò a ridere. "Nessuno" rispose. Certo, ovvio. Trovare uno stupido modo per farmi dichiarate e ammettere di ricambiare - seppure un minimo - per lui era un discorso senza senso. "Detesto la Lennonsense" scossi la testa.
"Perchè rovini un momento tanto profondo cercandogli un senso? Sei troppo legata al reale, sei troppo quadrata. Le cose non devono necessariamente avere un senso". Storsi la bocca, interdetta. "È che non ti capisco, tutto qui" mi morsi il labbro, assolutamente imbarazzata. "Sono un genio incompreso" sdrammatizzò. Sorrisi, finalmente.
Si avvicinò pericolosamente. La velocità dei battiti del mio cuore era inversamente proporzionale alla distanza che ci separava. Lo fissavo ad occhi sbarrati, incapace di muovermi o di fare qualsiasi altra cosa. Le sue labbra fine sfiorarono la mia pelle, a metà strada fra la guancia e le labbra. Fu un attimo, che terminò in un istante.
Continuando a guardarlo stupefatta, involontariamente portai la mano nel punto esatto un cui ci eravamo appena sfiorati. "Te l'ho detto, mi piaci, ma non vorrei mai tradire la mia Cyn. Questo è il senso". Scossi la testa. "Mi piace essere tua amica, non ho mai chiesto altro" sussurrai. Mossa da una forza invisibile lo abbracciai. Dai suoi comportamenti meccanici capii che non si aspettava una cosa del genere da parte mia. Furono pochi secondi, ma che mi parvero un'eternità. Non avevo mai pensato che sarebbe mai successo qualcosa del genere; non credevo fosse possibile, per una come me. Ogni pensiero tornò al proprio posto, improvvisamente, senza troppa fatica. Incredibile quanto fosse grande il potere di un abbraccio.
"Posso ritenermi soddisfatto del mio premio. Mi congratulo con lei, signorina" sciolse l'abbraccio.
"Solo un'ultima cosa". Lo guardai, curiosa di sapere cosa avesse ancora in mente. "Aggiungi alla lista delle cose in cui sono migliore di Paul la 'delicatezza', per cortesia" disse sghignazzando, ponendo fine definitivamente al 'momento profondo'. Annuii e scoppiai a ridere.


Finalmente ecco anche questo capitolo. La storia sta volgendo al termine, ahimè: manca l'epilogo e poi qusta fan fiction potrà dirsi conclusa :(
Scrivere questo capitolo è stato più difficile del previsto, fra anacronismi e indecisioni varie (trovare una giusta via di mezzo è così complicato, dannazione!). Spero sia valsa la pena aspettare un po' :)
Spero vi piaccia! Fatemi sapere oooogni cosa, sono curiosa!
A presto, con l'ultimo capitolo :)

 

   
 
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