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Autore: blackfyre    14/10/2012    3 recensioni
One shot ambientata dopo la guerra che ha visto Capitol City perdere. Katniss vive da qualche anno nel suo distretto ed ha ripreso pian piano a vivere, grazie soprattutto al ragazzo del pane.
E' una Katniss/Gale, con piccoli accenni a Peeta.
Dal testo:
Mi stringo nella giacca, come a voler evitare di cadere in mille, minuscole briciole. E quando raggiungo un masso familiare, capisco finalmente qual è il problema. Ma non ci penso, perché al contrario del sorriso di Prim, non sono sicura di serbare ricordi felici di lui che non mi facciano apparire subito in testa il corpo della mia sorellina in fiamme.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi alzo dal letto, qualche ora prima dell’alba, stando ben attenta a non svegliare Peeta.
Lui nel sonno mormora qualcosa, probabilmente il mio nome. Un lieve sorriso mi spunta sulle labbra e rimango a fissarlo per un po’, prima di prendere il mio arco in spalla e di indossare la giacca di mio padre.
Quei due oggetti sono per me di valore inestimabile, ormai. Soprattutto la giacca. Non posso credere che sia sopravvissuta a tutto quanto. Contro qualsiasi aspettativa, eccomi lì nel mio malinconico distretto, ancora legata ai ricordi. Forse una parte di me – nemmeno troppo profonda – vorrebbe dimenticare tutto. Chiudo gli occhi, immaginandomi di spuntare in cucina, con un allegra Prim che beve il latte della sua capra Lady e che discute animatamente con mia madre di quello che ha visto a scuola. Attorno a me, non queste mura, ma quelle della mia vecchia abitazione.
La dolcezza della visione mi abbaglia, lasciandomi più triste che mai. Però il sorriso di Prim, così nitido nella mia immaginazione, mi aiuta a capire che no, non posso rinunciare ai ricordi. E tutto quello che mi resta, ora. Insieme a Peeta.

Cammino silenziosa per la casa, sapendo che al suo risveglio, Peeta non si spaventerà dal non trovarmi.
La prima volta, però, l’ha fatto.  Ero andata a caccia mentre lui dormiva e quando aveva aperto gli occhi, non vedendomi, si era messo ad urlare. Lo capisco in un certo senso. Anch’io, dopo gli incubi, controllo ogni volta che lui sia accanto a me. E il mio respiro non torna regolare fino a che non percepisco il suo braccio stretto intorno al mio corpo.
 L’arena, sebbene lontana, è viva nella nostra mente.

Quando respiro l’aria dei boschi, ritorno la vecchia Katniss. Quella che è cresciuta nel 12, che si è arrampicata milioni di volte su quegli alberi e che trae sicurezza dalla semplice presa salda sul suo arco. Faccio qualche passo avanti, sentendomi stranamente a pezzi. Forse pensare a Prim è stato un errore. Mi stringo nella giacca, come a voler evitare di cadere in mille, minuscole briciole. E quando raggiungo un masso familiare, capisco finalmente qual è il problema. Ma non ci penso, perché al contrario del sorriso di Prim, non sono sicura di serbare ricordi felici di lui che non mi facciano apparire subito in testa il corpo della mia sorellina in fiamme.
Qualsiasi cosa, ora, mi collega a lei.  Mi allontano dalla zona e la prima preda del giorno mi distoglie, fortunatamente, da quei pensieri. Una lepre.
La freccia scatta veloce e finisce con estrema precisione nel tronco di un albero. Sono così sorpresa e sconcertata dall'aver sbagliato, che inseguo l'animale con ostinazione. Lo rincorro, facendo scappare qualsiasi essere nei dintorni, quasi volessi ucciderlo con le mie mani, anziché con l'arco. Seguo le sue traccie, quando lo perdo di vista. Finalmente il mio tiro va a segno e vedo crollare la lepre proprio davanti ad un cespuglio di more. Lo ignoro, stringendo i pugni. Mi inginocchio sul terreno per sfilare la freccia e prendere la lepre, quando capisco che non riuscirò ad alzarmi. Non senza cadere a pezzi.
Davanti a me, le more sembrano un richiamo. Sussurrano una frase. Poi un nome. Ed è il mio.
Katniss.
E’ la sua voce.
Katniss.
Quando sta per dare il colpo di grazia.

E la frase di prima, che al contrario del mio nome non ho colto, mi è tutto ad un tratto chiara.
Felici Hunger Games. E possa la sorte
Essere sempre a tuo favore.
Chiudere gli occhi è un errore. Perché nell’esatto momento in cui calo le palpebre, rivedo con spietata precisione il giorno della mietitura.
No, non della mietitura. Noi facciamo sempre quel gioco. Lui pronuncia mezza frase e poi mi lancia una mora, in attesa che la continui al posto suo. E tutte le volte che lui l’ha fatto, si mescolano nella mia testa, in un vortice. I suoi ricordi, che ho cercato di seppellire persino più degli altri, mi assaliscono. La voce, proveniente dalle more in apparenza, per un meschino gioco del mio cervello, ripete il mio nome.
Ma io so di non essere pronta per rispondergli. Probabilmente non lo sarò mai.
Mai. E’ quella la parola che funge da freccia, da bomba, nella mia testa colpendo dritta il bersaglio e liberandolo dalle catene.
Gale. E’ lui che mi manda in pezzi.   


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Okay, potete anche uccidermi. Ci sono sicuramente vari errori (cose che non ricordo con precisione) che hanno reso l'one shot poco dettagliata. Ma volevo assolutamente scrivere qualcosa su Katniss e Gale. Il loro rapporto, la loro amicizia, per me sono speciali. E nella storia, alludo proprio a quel legame e non all'amore. Mi è dispiaciuto tantissimo quando, alla fine del libro, è chiaro che nulla sarebbe tornato più come prima. 
  
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