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Autore: NellieLestrangeLovett    14/10/2012    2 recensioni
[Alice in Wonderland- 2010]
Iracebeth e Mirana. La regina Rossa e la regina Bianca. Prima che Alice tornasse a Sottomondo e che sconfiggesse il Ciciarampa. Come tutto ebbe inizio.
Questa fanfiction è stata scritta da Carlottefran, io l'ho solo tradotta.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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 Nota dell’autrice: Sì, sono ancora viva e a corto di idee per “Can I have this dance?”… Vabbè, sorvolando sul mio blocco, premetto che questa storia non è (purtroppo) frutto della mia testolina, ma di quella di un’autrice straniera su un altro sito di fanfiction. Io l’ho solo tradotta, spero bene! La ff si chiama Young Queens di Charlottefran.


Young Queens- Giovani regine


Mirana e Iracebeth si trovavano nelle loro culle, i loro enormi occhi blu di neonate che brillavano. Indossavano entrambe pigiama rosa identici, nei loro lettini rosa e bianchi, nella loro stanza dalle pareti rosa. Vivevano nel castello dei genitori, che erano il Re e la Regina di Sottomondo, e le bambine erano le loro due principessine.

Mirana e Iracebeth avevano soltanto poche settimane di vita. Nonostante fossero gemelle Iracebeth aveva i capelli di un appariscente rosso, così diversi da quelli biondi, quasi bianchi, di Mirana. La maggiore era molto più irascibile e piangeva molto di più quando non otteneva ciò che voleva. Mentre lei strillava, Mirana se ne rimaneva a guardare tranquillamente i genitori che cercavano di calmare la sorella.

Crescendo, i loro caratteri diversi si evidenziarono sempre di più. Iracebeth diventava sempre più irritabile. Trattava male i genitori e la servitù mentre Mirana era sempre gentile. Per esempio la minore eccelleva negli scacchi e prediligeva il colore bianco, simbolo di purezza e innocenza, mentre l’altra preferiva i giochi con le carte e amava il rosso, il colore della rabbia e… del sangue.

Mirana

“Non ucciderlo!” gridai giusto in tempo per fermare Iracebeth, che stava per calpestare un bruco blu.

“Perché no? È orribile!” replicò mia sorella.

“Non mi interessa! Non voglio far del male a un essere vivente”.

Tirai su l’animale con attenzione, portandolo via dalle grinfie di Iracebeth, e lo appoggiai vicino ad un albero. Eravamo molto giovani, avevamo cinque anni per la precisione, e mi preoccupavo per il mondo molto più di mia sorella. Giocavamo in uno dei molti giardini del castello, quello con i cespugli di rose rosa. Guardai la nostra imponente casa, la luce che si rifletteva nelle vetrate, facendole brillare alla luce del sole.

“Non sai come divertirti!” strillò Iracebeth.

“Credi che uccidere sia divertente?”.

“Sì, guarda” e staccò la testa della mia bambola.

“Iracebeth, perché l’hai fatto?” dissi piangendo.

Nostra madre ci raggiunse dalla panchina dove era seduta, i suoi lunghi capelli ramati agitati da una dolce brezza. Mi prese fra le braccia.

“Iracebeth, perché l’hai fatto?” ripetè le mie parole con rabbia.

“Volevo solo divertirmi un po’” rispose mia sorella battendo un piede per terra e incrociando le braccia.

“Adesso non andare in collera solo perché non puoi fare come vuoi tu!”.

Mamma mi riappoggiò a terra e il mio vestitino bianco mi si attorcigliò attorno ai piedi, facendomi cadere. Guardai Iracebeth asciugandomi la guancia.

“Scusa” mormorò lei.

Le sorrisi e mi rimisi in piedi. La presi per mano e camminammo lungo un piccolo sentiero che ci portò di fronte ad un cespuglio di
rose.

“Queste rose dovrebbero essere rosse, non rosa” commentò mia sorella.

“Dovrebbero essere bianche…”

“Rosse”

“Bianche”

“Rosse”

“Entrambe?”

Lei fece un sorriso maligno e, tenendomi per mano, mi condusse nella sua stanza, dove aprì il suo baule dei giochi.

La sua grande cameretta era tutta rossa. Sui vetri delle finestre erano disegnati piccoli cuori scarlatti, anche il letto era a forma di cuore, alle pareti erano attaccate tante piccole carte da gioco come un’unica carta da parati. Il sole che filtrava dalle finestre illuminò i capelli di mia sorella, facendoli brillare.

Prese due pennelli e della vernice bianca e rossa. Mi passò il contenitore di quella bianca e tornammo nel giardino. Affondò il suo pennello nella vernice e iniziò a pitturare le rose.

“Che cosa stai facendo?” le chiesi, incredula.

“Coloro le rose. A nessuna di noi piace come sono, no? Allora perché non cambiarle?”.

Sospirai e la imitai, dopo mezz’ora tutti i fiori erano rossi e bianchi. In effetti erano molto meglio.

Il giorno seguente tornammo in quella parte del giardino per ammirare il nostro lavoro. Quando arrivammo i giardinieri giravano intorno ai cespugli chiedendosi cosa fosse successo.

“Curioso!” esclamò uno.

“E’ molto strano, forse è stato il Dodo…” disse un altro.

Iracebeth ridacchiò davanti a tutta quella confusione ma smise appena vide nostra madre andare in direzione dei giardinieri. Parlò un po’ con loro e poi fece qualche passo indietro per ammirare i fiori con attenzione.

“In realtà sono… meglio!” disse dopo qualche minuto di considerazione.

Quando lo disse, sia io che mia sorella sorridemmo.

Iracebeth

Presi a calci il mio vestito per la terza volta quel giorno.

“Perché lei” esclamai rivolta a me stessa “Perché ‘Piccola miss Perfezione’ piace sempre a tutti, e non IO?”

“Forse perché sei una ragazza irritabile, egocentrica e sconsiderata?” disse Mirana affacciandosi alla soglia della mia stanza.

“L’ho chiesto a te?!” strillai.

“No, te lo sei chiesto da sola, e sono piuttosto sicura che tu stia diventando pazza, e questo spiega perché continui ad andare in collera con chiunque come una bimbetta viziata”.
 
Era sempre così piena di sé.
 
“Vattene!” gridai sbattendole la porta in faccia.
 
A tutti i ragazzi piaceva lei. Sì, avevamo solo sedici anni e di tempo per trovare un fidanzato ne avevamo in abbondanza, ma perché lei? Perché non io? Io ero perfetto, giusto? Strillai di nuovo frustrata. Uscii dal castello fino al frutteto, dove le piante erano meno curate del solito. Era tutto così buio e freddo laggiù, perciò probabilmente mi piaceva, mi aiutava a pensare. Le nuvole coprivano la luna, facendo apparire tutto ancora più oscuro. Mi sedetti appoggiandomi al tronco di un ciliegio. Mi strinsi le ginocchia al petto, il tessuto del mio vestito che mi solleticava il naso. Piansi in silenzio per chissà quanto.
 
Dopo qualche tempo sentii un fruscio dietro di me e mi rialzai velocemente, in allerta.
 
Niall comparì da dietro un albero, un’espressione sconvolta dipinta sul viso.
 
“Oh, perdonatemi, Principessa Iracebeth, non mi ero reso conto che foste qui, stavo solo dando un’occhiata alle piante… state bene”.
 
“Sì” tagliai corto.
 
“Non sembra”
 
“Beh, è così, d’accordo?”
 
“Volete dirmi cosa c’è che non va?” mi chiese tranquillamente.
 
Sospirai e mi risedetti, facendogli segno di imitarmi. Gli raccontai tutto e lui mi confessò il suo affetto per me.
 
Da quel momento il mio cuore aveva una nuova speranza.
 
Mirana
 
Mi inginocchiai di fronte alla tomba dei miei genitori. Singhiozzai per qualche tempo nella neve, il mio vestito si bagnò. Appoggiai un mazzo di rose bianche accanto alla lapide, poi mi alzai cercando di recuperare un po’ di contegno, i miei soldati al mio fianco. Sentii uno scricchiolio e con la coda nell’occhio vidi una sagoma rossa. Era Iracebeth. Non ci parlavamo da quando i miei genitori avevano lasciato a me il trono di Sottomondo.
 
“Salve Iracebeth” dissi timidamente, temendo che perdesse le staffe.
 
“Ciao” rispose lei in tono sbrigativo, deponendo una singola rosa rossa accanto alle mie. “Solo perché tu lo sappia, penso ancora che sia ingiusto che tu fra tutti abbia ricevuto la corona nonostante io sia la maggiore”.
 
“Sei più grande di quattordici minuti e mezzo! E avevano deciso che io mi sarei presa cura di Sottomondo meglio di te!”
 
“Come osi dirmi questo!”
 
“E’ la verità, sappiamo entrambe che a me importano molto di più queste creature di quanto importino a te!”
 
Proprio mentre dicevo questo Iracebeth scacciò una mosca con una mano.
 
“Questo è esattamente ciò che voglio dire” dissi sospirando.
 
“Bene! Ma io voglio la Spada Bigralace”.
 
“No, quella rimane con me nel castello”.
 
“L’avrò un giorno” sogghignò mia sorella.
 
Rimasi lì a guardarla mentre si allontanava seguita dai suoi soldati Rossi e Niall a braccetto con lei.
 
-X-
 
Guardai il castello che una volta era dei miei genitori, ormai in distruzione dalla battaglia. La loro tomba era proprio di fronte, immersa fra gli alberi, esattamente come volevano che fosse. Congedai i miei soldati e camminai fra le rovine, pensando alla mia infanzia. Infine arrivai anche dove io ed Iracebeth avevamo dipinto le rose quando eravamo bambine, e trovai strano che ricordassi perfettamente ogni dettaglio di quella giornata. Raggiunsi uno dei cespugli e ne colsi un fiore. Me lo rigirai lentamente fra le mani, ammirandolo. Era uno dei tanti che avevo pitturato di bianco, con piccole sfumature rosate perché ormai la vernice iniziava ad andarsene. Lo appoggiai dolcemente a terra e tornai dai miei soldati che mi scortarono fino alla mia fortezza.
 
Camminai lungo il sentiero che portava al portone d’ingresso, guardando i bellissimi alberi in fiore. Nonostante fosse ormai inverno, avevano ancora qualche bocciolo. Accarezzai la mia cavalla bianca, calmandola. La riportai nelle stalle, dandole un bacio sul naso. Raggiunsi la sala del trono per prepararmi alla riunione. Me ne accorsi subito. Un pezzo di vitale importanza mancava. La Spada Bigralace.
 
Non potevo credere che lei mi avesse fatto una cosa del genere, per dispetto oltretutto!
 
“Guardie! Portate il mio cavallo, andiamo a visitare mia sorella”.
 
Cavalcammo oltre il cancello d’entrata ad una velocità impressionante. Capii che eravamo vicino al castello di mia sorella perché la natura intorno a noi sembrava improvvisamente morta. In lontananza, oltre alle colline sterili, potevo vedere una montagna di rosso. Rosso e cuori, per essere precisi. Avvicinandoci, riuscii a vedere la fortezza più dettagliatamente. C’erano parecchie torrette che svettavano verso il cielo, tanti piccoli cespugli di rose rosse che circondavano il castello e piccoli cuori rossi dipinti fra le finestre. Era una costruzione completamente esagerata, tipico di mia sorella.
 
Camminai speditamente fino all’ingresso e bussai con rabbia. Uno dei suoi fanti rispose alla grande porta di legno rosso e io entrai senza permesso, salendo le scale scarlatte che guidavano alla sua sala del trono. Sarebbe stata lì, era la stanza più sontuosa, perfetta per lei. Era facile da trovare, l’entrata era cosparsa di cuori e dipinti dorati. Marciai sul tappeto rosso, fino all’enorme trono di velluto dove lei sedeva, i piedi appoggiati su un leopardo. Abbassai lo sguardo verso il povero animale.
 
“Non hai nessuna pietà!” gridai.
 
Le alzai i piedi e ordinai ad uno dei miei soldati di prendere il leopardo e riportarlo al mio castello.
 
“Non hai il diritto di farlo!” urlò lei.
 
“Tu non hai il diritto di rubare la mia Spada Bigralace!”
 
“Tu hai la corona, anche io mi merito qualcosa!”
 
“E’ stata data in custodia a me, non a te!”
“Vuoi una battaglia per questo?” strillò Iracebeth.
 
“Io non combatterò mai, non rischierò delle vite per te” dissi proprio davanti alla sua faccia, i nostri nasi che quasi si toccavano.
 
“Sei debole”
 
“E tu patetica, una bambina immatura che si nasconde dietro le sue parole per fingere di non avere insicurezze”
 
“Tagliatele la testa!”
 
“Non credo proprio” risposi sorridendo mentre uno dei miei soldati mi copriva le spalle proteggendomi dai suoi cavalieri Rossi.
 
“Vattene” mi disse “E non tornare mai più a meno che tu non ne abbia un buon motivo, e spero che tu non ne abbia”.
 
Con questo mi voltai e uscii dalla stanza. Salii sul mio cavallo e cavalcai indietro fino al mio castello.
 
Iracebeth
 
“Mi disgusti, non posso credere di averti mai amato!” urlò Niall.
 
“Perché mi tratti così?” risposi io a voce alta cercando di trattenere le lacrime.
 
“E’ come tu tratti chiunque altro! È orribile! Tua sorella ha ragione, tu ti comporti così per nasconderti dalle tue sfiducie!”.
 
“Non metterla in mezzo!” ringhiai.
 
“Ha ragione! È molto meglio di quanto tu sia mai stata! Almeno lei mostra un po’ di compassione!”
 
“TAGLIATEGLI LA TESTA!” strillai.
 
I miei soldati arrivarono, lo presero per le braccia e lo trascinarono via. Riuscii a sentire le sue grida.
 
Non volevo che mi lasciasse, ma solo che mi amasse. Lei aveva sempre avuto tutto l’amore e le attenzioni. Sempre.
 
Mi acciambellai sul letto e piansi tutte le lacrime che avevo fino ad addormentarmi.
 
Il giorno seguente era già nella sua tomba. Ordinai che ne avesse una, nella sua parte preferita del frutteto, vicino ad un ciliegio. Passai lì tutto il giorno, pentendomi di tutto quello che avevo fatto la notte prima. L’unica cosa che mi fece smettere di piangere fu il familiare tocco della mano di mia sorella sulla mia spalla.

Benissimo... piuttosto deprimente, no? Volevo solo specificare una piiiiccola cosina: NIALL NON HA NIENTE A CHE FARE CON QUELLO DEGLI "ONE DIRECTION" (quando questa ff è stata scritta non erano ancora famosi) quindi non fatevi strane idee sui miei gusti musicali, o su quelli dell'autrice originale!!
  
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