Fanfic su artisti musicali > Mika
Segui la storia  |       
Autore: PattyOnTheRollercoaster    15/10/2012    2 recensioni
Il mio nome è Michel Holbrook Penniman Jr. Sembra un nome molto importante da portare sulle spalle, e le mie spalle, sebbene credo siano abbastanza forti, non hanno molta voglia di essere sempre così pesanti. Per questo motivo ho scelto un altro nome, un nome meno complicato, uno che tutti possano ricordare per quanto è corto. Un nome semplice, simpatico, colorato: Mika.
Una canzone diversa per ogni capitolo per dare vita ad una storia a volte triste, a volte allegra, che ha come protagonista un ragazzo - o forse un uomo? O forse un bambino? - che deve vedersela con il suo mondo colorato, in cui le combinazioni di colore non sempre sono perfette.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo ventiquattro
Happy Ending,
o «Sì, lo voglio.»





  Fortuné legge con le sopracciglia aggrottate, lentamente, e mi chiedo quanto cavolo ci vuole mettere a leggere: in fondo è una specie di messaggino, non è mica un’ode! Alla fine lui alza gli occhi e mi guarda attraverso le spesse lenti, le sopracciglia sollevate. «Questa è una proposta. Una proposta vera, seria. Una proposta di…»
   «Sì, è una proposta!», lo interrompo strillando come un invasato. Lo guardo ansioso. «Che te ne pare?»
  Fortuné fa un grosso sospiro e sembra incerto. «Non lo so, non mi è mai capitato di fare una proposta così a una ragazza. Insomma, veramente vuoi fargliela leggere?»
   «No, glielo chiederò a voce, ma questo è una specie di discorso che mi sono preparato.»
   «Pensavo che i discorsi fossero molto più lunghi.»
   Mi spazientisco. «E dai, hai capito che voglio dire: fila, come discorso? Insomma, è convincente almeno?»
  «Ma non è questione di essere convincenti. Cioè, non tu devi convincerla, è una proposta e lei ci deve pensare e poi darti la risposta. Insomma, non si tratta di convincerla con la retorica, se lei vuole lo farà, punto e stop.»
   Fortuné certe volte ha questa insopportabile mania di diventare intelligente. Peccato che lo faccia sempre nel momento più sbagliato.
  Siamo a casa di mamma e papà, manca solo una settimana per la prima data del tour europeo, che quest’anno inizia dalla Spagna, e io voglio solo un consiglio spassionato. Invece mio fratello proprio oggi se ne esce con le sue considerazioni umane e geniali. Maledetto!
  Grugnisco e dico: «Non è che se vuole lo farà: sarà talmente estasiata dalla mia romanticissima proposta che le brilleranno gli occhi e l’unica cosa che dovrà fare sarà dire “Sì, lo voglio”.»
  Fortuné rotea gli occhi sul soffitto. «Okay, come vuoi. Ma perché mi chiedi la mia opinione se poi non la tieni neanche in considerazione?», domanda acidamente incrociando le braccia.
   Mi riprendo la mia lettera. «Era solo per sapere se c’erano errori di grammatica.»
   «Babbeo.»
   «Quattrocchi.»
   «Nasica.»
   «Ah! Colpo basso!»
   In quel momento mamma entra in cucina e io mi affretto a nascondere la mia lettera/proposta in tasca. «Michael rimani a mangiare?», chiede.
   «No, mi vedo con Andrea.»
   «Ah, salutamela.» Mamma sorride benevola; le piace Andrea.
   Io esco e, in macchina, mi controllo i capelli, poi la faccia, poi l’alito: devo essere bello per fare ad Andrea la mia proposta! Fa piuttosto freddo ma ho abbassato la cappotta della macchina perché ieri c’era l’ultimo residuo di sole, però adesso che è scomparso c’è vento, e ancora non ho chiuso il tettuccio perché sono troppo pigro. Mi fermo ad un semaforo lungo la strada per il ristorante nel quale ci dobbiamo incontrare. Tiro fuori il mio foglietto spiegazzato e lo rileggo per l’ennesima volta.
   Ma perché l’ho scritto? Adesso ci sono troppo attaccato: se mi dimentico una parola non so più come andare avanti!
  Ad un tratto una macchina mi passa di fianco e dà gas, accelera e tira su una folata d’aria non indifferente. Il foglietto mi scivola dalle mani, vola via e, prima che io possa anche solo imprecare (un bel, sano, «Cazzarola!») finisce prima in mezzo ad una pozzanghera e poi viene spappolato dalle ruote di una bici. Rimango con gli occhi fissi sulla carta spiaccicata ad almeno cinque metri di distanza da me, ridotta in pappa di fronte ai miei occhi. Il verde scatta e io non lo vedo. Mi riscuoto quando un clacson suona forte. Faccio un cenno di scuse con la mano alla macchina dietro alla mia e parto.
   …che razza di idiota sfigato che sono.
   Arrivo al ristorante e vedo Andrea che mi aspetta di fronte all’entrata. Indossa un vestito grigio e verde, semplice, di seta, che le cade addosso con leggerezza. I capelli le sono cresciuti dall’ultima volta che li ha tagliati e adesso le arrivano di nuovo alle spalle, come quando l’ho incontrata nella chiesa al funerale di Pagnin. Però è diversa, riesco a vederlo: sembra più serena, forse più bella. Ogni giorno diventa sempre più bella ai miei occhi, quindi è inutile che sto a raccontarmela con il “forse”: è bella punto e stop.
   La raggiungo e le do un bacio. «Come va?», domando.
   «Come al solito. Che hai fatto oggi?» Entriamo nel ristorante e prendono i nostri cappotti.
   «Niente di che. Sono stato dai miei, ti saluta mia mamma.»
   Quando entriamo c’è un’intera tavolata da un lato che, a quanto ho capito, festeggia i cinquant’anni di matrimonio di una coppia. Mi siedo e li occhieggio, poi decido di tastare il terreno con Andrea: «Dev’essere bello festeggiare i cinquant’anni di matrimonio», butto lì con noncuranza. «Ripensi a come è iniziata no? Andare a vivere assieme, scegliere assieme le tende, cose così.»
   Lei alza le spalle. «Troppo presto per pensarci. Pensa a passare il primo anno, poi il secondo e poi il decimo, poi forse possiamo parlare del cinquantesimo.»
   Rido e le passo una mano sul viso con delicatezza. «Ma sarai bella anche tutta rugosa come una tartaruga.»
   Andrea si mette a ridere e apre il menù. «Grazie. Anche tu lo sarai, ne sono certa.»
   Mangiamo tranquillamente e parliamo di quel che capita, applaudiamo assieme al resto della sala quando la tavolata dei vecchi amanti fa loro il brindisi, e poi riporto a casa Andrea e mi fermo di fronte alla sua porta, spegnando le luci e il motore. Ecco, forse è il momento giusto per chiederglielo: con la pancia piena uno è sempre più bendisposto.
   «Ci sentiamo domani allora», dice lei sorridendo e facendo per scendere dalla macchina.
   «Aspetta, volevo dirti una cosa.»
  Andrea chiude la portiera e mi guarda, in attesa. Io in testa ho un blackout: il mio discorso perfetto è andato perduto, ho la gola secca, mi ricordo solo le prime quattro parole, e le dico subito prima di perdere il coraggio:
   «Andrea, io ti amo.»
   Lei sorride, si sporge e mi bacia. Rimane accanto al mio viso e dice: «Anch’io ti amo.»
   Okay, ormai è inutile provare a pensare.
  «Devo chiederti una cosa importante, stasera. Prima che partiamo per il tour, perché mancano solo due settimane», comincio. «Adesso tu magari esci dalla macchina e vai a casa tua, e io vado a casa mia, e mi mancheresti terribilmente. Me ne sono accorto l’altra notte, dopo il primo concerto assieme: erano le due in punto del mattino, mi passavano un sacco di cose per la testa. Non riuscivo a riposare, continuavo a camminare in giro per casa. Poi ho avuto un’illuminazione: voglio stare con te sempre», le dico guardandola negli occhi. «Vuoi…», lei allarga gli occhi e mi guarda allucinata, «vuoi venire a vivere a casa mia?»

   Me ne sto con le braccia conserte e il muso, lo sguardo fisso sul cruscotto. Al mio fianco, Andrea si sganascia dalle risate talmente tanto che fra un po’ le vengono le lacrime agli occhi.
   «Ti odio», dico senza guardarla.
   «Ma non mi amavi?», domanda lei ilare.
   «Questo era prima che ti mettessi a ridere della mia proposta.»
  Andrea ansima ancora un po’ e rimane con un largo sorriso sul volto. «Scusa, è che l’hai fatta talmente seria che credevo che stessi per chiedermi di sposarti. Poi invece te ne esci con “Vuoi venire a vivere a casa mia?”.» Mi scimmiotta anche la voce, non ci posso credere!
   «Be’ scusa se per me era importante», dico stizzito. «La prossima volta che ti chiedo qualcosa d’importante te lo scriverò su Twitter.»
   Lei capisce che me la sono presa e si preme una mano sulla bocca. «Scusa. Scusa, mi dispiace di essermi messa a ridere così. Non lo faccio più, giuro.» Mi dà un bacino sulla guancia e mi guarda dispiaciuta.
   «E se ti avessi chiesto di sposarmi sul serio ti saresti messa ridere?»
   «Non credo», dice lei, questa volta seria.
   «E avresti detto di sì?»
   «Non ti pare una domanda un po’ troppo in “se”? Non voglio parlare della possibilità di sposarci usando il congiuntivo.»
   Rimaniamo in silenzio per un po’.
   «Però posso dirti una cosa», dice poi Andrea senza guardarmi. Osservo il suo profilo illuminato solo dalla luce gialla del lampione. Lei si volta e sorride: «Sì, lo voglio.»

   «Rispiegami perché non puoi vendere la casa», dico per l’ennesima volta.
   «Non voglio venderla, è la mia casa. Mi ci sono affezionata, okay?», dice Andrea cocciuta mettendo lo scotch ad una scatola.
   «Ma adesso ne hai una nuova», mi lagno io. «E poi scusa, la lasci qui tutta vuota e la vuoi pure pagare?»
   «Posso portare via tutto quello che mi interessa e darla in affitto. Si pagherà da sola. E poi, ho già quell’altra casa al mare da vendere, a meno che tu non voglia trasformarla nella nostra casa delle vacanze.»
   Al ricordo della casa ad Hastings, polverosa e piena di fantasmi e ricordi, quasi rabbrividisco. La casa di Ewan. «No, è tua: devi decidere tu», dico piano ad occhi bassi.
  «Allora la venderò. Non la voglio. Questa però la teniamo.» Mi piace come parla di noi al plurale. «Metti che un giorno avremo dei figli: quando saranno grandi potremmo lasciargli questa casa», continua con tono pratico. Oh, mi piace ancora di più questa prospettiva di un lungo futuro assieme. E mi piace come ne parla in maniera così naturale!
   «Mi sembra una buona idea», dico senza potermi impedire un sorriso.
  Impacchettiamo tutto quel che Andrea vuole portarsi via dalla casa per il momento: vestiti, libri e altre cose come il pc, ma cominciamo a chiederci che farcene di tutto il resto, le cose come i mobili, la lavatrice e la tv. Decidiamo di rimandare le decisioni per dopo il tour, quando avremo più tempo e ci saremo resi conto che cosa Andrea deve assolutamente portarsi via da questa casa.
   Ci mettiamo solo due giorni a trasferire tutti gli averi di Andrea in casa mia, però ci mettiamo due giornate intere anche a trovare un posto per tutta la sua roba in mezzo alle mie cose. Comincio a non considerare più nulla di mia legittima proprietà: se io e Andrea vivremo assieme allora le mie cose diventeranno anche sue, in un certo senso. Le userà anche lei, ecco. Non sarebbe giusto invitarla a vivere assieme a me e poi considerare tutto ciò che non si è portata dietro come mio e solo mio, no? La verità è che non sono mai andato a convivere con nessuno, non so cosa aspettarmi e nemmeno cosa devo fare.
  «Come mai c’è uno spazzolino dentro la credenza?», domanda Andrea dalla cucina mentre io sto sistemando le scatole dei suoi vestiti estivi vicino ai miei.
   «Non preoccuparti, lascialo lì!», grido io di rimando.
   «Okay!»
   Mi fa piacere che non si batta per cambiargli il posto, anche se è assurdo tenere uno spazzolino nella credenza, me ne rendo conto. Significa che gli va bene così, che io gli vado bene così. Magari sembra una cosa stupida, ma il fatto che non le dia fastidio mi rincuora.
   «Ti piace il blu come colore per un divano?»
   «Veramente non ci ho mai pensato.» Ci penso. «Non mi fa impazzire, veramente.»
   «Quindi niente cuscini blu? Ho comprato le fodere la settimana scorsa, guardale, ci sono disegnati degli orsi sopra.»
   «Potrei pensarci.»
   Immagino che vivere assieme sia anche un compromesso. Anche per cose stupide come il colore dei cuscini.
   «No, non fa niente!», dice Andrea dall’altra stanza.
   La raggiungo in salotto, dove sta mettendo via quelle che hanno tutta l’aria di essere fodere blu con disegnati tanti orsacchiotti. Sembrano un pigiama per bambini. Mi inginocchio al suo fianco e le tiro fuori. «No, sono carine dai.»
   «Se non ti piacciono…»
   «Mi piacciono», dico convinto.
   Andrea sorride e cominciamo a cambiare le fodere (certo, saranno un pugno in un occhio vicino ai cuscini gialli) e qualcuno suona alla porta. Vado ad aprire e trovo Yasmine, che è passata a salutarci e chiedere come va il trasloco.
   «È un trasloco solo per metà», dice Andrea dirigendosi in cucina. «Vuoi qualcosa?»
   «Ti sei già ambientata vedo», dice mia sorella sedendosi e rigirandosi fra le mani un cuscino blu, perplessa. «Lo sai che a volte Michael non si lava per tre giorni di fila?»
   «Ma sta zitta.» Le strappo il cuscino dalle mani e glielo calo leggero sulla testa. Lei ride e cerca di scostarsi.
   Sentiamo Andrea dalla cucina che ride. «Sì, lo so.»
   «Ma non è vero!», dico io.
   Andrea torna in salotto e ci porge due tazzine di caffè. Se ne va per prendere anche la sua e Yasmine mi guarda sorridendo, un po’ con l’aria di prendermi in giro. «Oh, che bel lieto fine.»
   «Non c’è un lieto fine», dico io.
   Perché non è una fine.




















Buonsalve!
Allora, spero che questo capitolo vi sia piaciuto ^^ Avevo una mezza idea di far sposare Mika e Andrea, ma poi non mi convinceva così tanto. Era troppo presto per loro, e mi sembrava troppo "e vissero felici e contenti", quindi alla fine ho deciso di farli andare a convivere e bona.
Forse il capitolo poteva essere più lungo, e raccontare meglio di come loro vivono assieme, ma alla fine è uscito così. Non mi andava di farlo troppo lungo.
Insomma, ci sono dei capitoli in mezzo alla storia che sembrano stare lì per errore e non raccontano niente, poi alla fine mi vengono a mancare capitoli! xD Vaaabè...
Preparatevi psicologicamente, perché il prossimo chiude la fanfiction. Caspita, mi sembra strano persino dirlo. Ho iniziato a pubblicarla il 6 Maggio, e adesso siamo ad Ottobre. In questi cinque mesi scarsi per me sono anche cambiate un sacco di cose (magari anche per voi, che ne so io u.u) e se ripenso a quando ho deciso di postare la storia mi sembrano passati anni, non mesi! xD
Meglio lasciare le considerazioni sentimentali alla prossima volta, che è effettivamente la fine, quindi lo sbrodolo puccioso alla fine del capitolo ci sta. Posterò Domenica (se ne ho le forze) o Lunedì c: Intanto ecco qui il link del prossimo capitolo, e passate una buona settimana!
Patrizia
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Mika / Vai alla pagina dell'autore: PattyOnTheRollercoaster