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Autore: Lady Moonlight    16/10/2012    8 recensioni
1700-Mar dei Caraibi.
Crystal Mary Shevington è una ragazza inglese di nobili origini, in viaggio per i Caraibi. Non conosce il mondo oltre il quale è vissuta finchè una ciurma di pirati la fa prigioniera per ottenere una grossa ricompensa dagli spagnoli.
Crystal non ha mai conosciuto il vero amore e quando i suoi occhi incontrano quelli verdi del pirata che l'ha rapita, così simili alle sue adorate campagne inglesi, non potrà far altro che rimanerne incantata.
Ma grandi pericoli ci sono all'orizzonte e il capitano William non è chi dice di essere. Il suo sguardo freddo e gelido potrà condurre Crystal alla salvezza?
Capitolo 4:
Quando i loro corpi furono così vicini da potersi toccare Crystal emise un lungo sospiro.
“Non credete che in una tale situazione, un uomo potrebbe facilmente abusare di voi?” chiese malizioso, accorciando ulteriormente la distanza che separava i loro visi.
Crystal sentì il battito del suo cuore accelerare quando avvertì il fiato di William sulle sue labbra. Velocemente girò la testa di lato e premette le mani sul petto del pirata nel tentativo di allontanarlo.
“Non vorrete mettervi ad urlare, contessina Shevington.” disse William portandosi una ciocca dei suoi capelli castani alle labbra.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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15

Un labirinto senza uscita

 

 

William, scostò lentamente le tende dalla finestra e guardò le figure sottostanti scaricare le ultime casse che lui e i suoi uomini avevano sottratto a un veliero del Drago Dorato.
Alle sue spalle, avvertì il fruscio di alcuni passi e il rumore di una porta che si chiudeva. La mano si strinse attorno al tessuto scuro, nel vano tentativo di scacciare la rabbia che lo aveva accecato quando Crystal gli aveva mostrato quelle vecchie bandiere.
"Come sta, Alfred?" chiese, senza voltarsi, all'unica persona che, era certo, sarebbe sempre stato in grado di riconoscere senza necessariamente vedere.
"Il dottore le ha medicato la ferita e le ha dato qualcosa per abbassare la febbre, signorino Will."
Lui si ritrovò a sospirare e a voltare appena la testa nella sua direzione. Alfred ricambiò l'occhiata con la tipica espressione che mostrava solamente quando qualcosa sfuggiva alla sua comprensione. Il domestico, e unico membro di quella che poteva considerare la sua famiglia, era impeccabile nel suo completo scuro e camicia bianca. I corti capelli grigi, lisciati all'indietro sul capo erano diventati più chiari dall'ultima volta che William lo aveva visto, o forse, quella, era solo la sua opinione. Non aveva mai fatto particolare attenzione ai dettagli, non su quel genere di cose, era Richard l'osservatore attento.
Diede un'ultima occhiata al giardino, brulicante di fiori colorati e persone, poi si voltò verso il maggiordomo.
"Mi sembrate turbato, signorino." disse Alfred, sistemandosi meglio il paio di guanti lattei che era solito portare.
William sospirò nuovamente, lasciandosi scivolare sulla poltrona che si affacciava ad un camino spento. La cenere aveva leggermente scurito le figure di pietra che sembravano protendersi dagli estremi della conca verso la stanza, ma si poteva ancora cogliere l'immagine abbozzata di due leoni.
Sulla parete erano stati appesi alcuni quadri che raffiguravano paesaggi londinesi al chiaro di luna e alcuni girasoli essiccati donavano un profumo piacevole alla stanza. Anche cercandola, William era certo che non avrebbe scorto un solo filo di polvere in tutta la villa.
"Il vostro piano non ha avuto buon esito?" riprese, Alfred, vedendolo silenzioso.
William esitò. "No, tutto è andato come avevo progettato. Il Poseidon è riuscito a salvare la ragazza." spiegò. Distese le gambe in avanti, incrociandole all'altezza della caviglie.
Subito gli balenò in mente l'immagine di Crystal ed i suoi occhi carichi di disprezzo. Lo accusavano con la stessa struggente intensità delle onde del mare e come il mare avevano la facoltà di farlo sprofondare in un vortice di dubbio e inquietudine. L'aveva salvata, l'aveva aiutata e a volte si era ritrovato ad osservarla affascinato dal ponte del Poseidon, quando lei era troppo impegnata per poterlo scorgere.
C'erano state notti, in cui l'aveva persino sognata-lei e i suoi ribelli capelli castani- e altrettante sere che aveva passato immaginandosi come doveva essere stata la sua vita in Inghilterra. Si sarebbero mai potuti incontrare, se non fosse stato costretto a fuggire dalle circostanze?
Sorrise. Un sorriso amaro che aveva fin troppo il sapore del rimpianto. Aveva perso troppo e si accingeva verso la fine di in un viaggio che avrebbe chiesto ulteriori sacrifici. Non poteva permettersi di cadere in simili sentimentalismi, di lasciarsi andare ad impulsi e desideri che non solo avrebbero distrutto lui, ma la stessa Crystal.
Eppure...
Richard. Come poteva sopportare che lui potesse trascorrere tutto quel tempo in sua compagnia, mentre a lui era negato persino dirle la verità? No.
Scosse la testa. Crystal non poteva sapere la verità. Per lei era più sicuro continuare a credere di essere stata rapita da un gruppo di pirati, di essere un ostaggio, di essere stata scelta come vittima a causa di una ricca eredità familiare.
Sarebbe stato meglio se avesse continuato a vivere nell'ignoranza; un pugno di neve in una macchia di inchiostro.
L'aveva già messa sufficientemente in pericolo portandola con sé. Aveva segnato, macchiato, la sua esistenza più di quanto...
Per Dio! L'aveva costretta ad abbandonare un uomo, a lasciarlo affogare! Ma era stato lui... Era per lui, che ora le mani di Crystal grondavano sangue, per lui.
Lei si era dimostrata più forte di quanto aveva sperato. Era riuscita a superare quelle prove, era viva. Viva e... lo disprezzava. Lo odiava e William non riusciva a fargliene una colpa.
Sarebbe stato difficile, dopotutto, incolpare qualcuno per un colpa che lui stesso sentiva di aver commesso. Odiarsi, e non poter fare a meno di cercare nel riflesso dello specchio, il vero sé, la metà smarrita in un passato incancellabile.
Come aveva potuto perdersi nel labirinto che lui stesso aveva costruito, con pareti sempre più alte e rovi sempre più fitti, era un enigma a cui non riusciva darsi risposta.
"Signorino, Will." lo chiamò Alfred, alzando il tono di voce. "Non vi sentite bene?"
"Sto bene, Alfred. Sto bene." Il domestico si massaggiò il naso per nulla convinto. Alfred
aveva occhi scuri, una mandibola pronunciata e l'accenno di una barba non fatta. L'aveva colto alla sprovvista con quel rientro non programmato, ma si era rivelato-come sempre- propenso ad aiutarlo.

Si alzò, incurante delle traccie di terra che i suoi stivali avevano lasciato sul tappeto e sul lucido pavimento color panna. Superò Alfred con passo affrettato, il quale si era affiancato alla riproduzione di una colonna greca, e tirò a sé con un movimento brusco il pomello dorato della porta.
Per l'ennesima volta si stupì di trovare un corridoio sconosciuto, non quello della casa in cui aveva passato l'infanzia. Distolse gli occhi dall'immagine che rimandava uno specchio e drizzando le spalle si diresse nella biblioteca.

 

 

Tremava. Per quanto si sforzasse di fermare quel tremito, che gli percuoteva braccia e gambe, il risultato era inutile. Continuava a tremare... ed aveva così tanto paura, per quello che era successo e per quello che aveva fatto, che non aveva trovato né la forza, né il coraggio, per piangere.
Zoppicava e tremava, mentre la pioggia lo bagnava, quasi a volerlo pulire dai suoi peccati. Ma
esisteva un Dio in grado di poter perdonargli
quel peccato?

Sapeva, ma solo vagamente, come se si trovasse in un sogno-o in quel caso un incubo- che aveva superato il porto e il cantile edile, eppure, non era in grado di trovare la via di casa.
Non ricordava, o forse, non voleva ricordare.
Come fosse riuscito ad attraversare incolume i vicoli di Londra e a scorgere la villa degli Henstone, William non lo sapeva e nemmeno gli importava.
Doveva... Cosa doveva fare? Come doveva comportarsi? Cosa...?
La pioggia continuava a cadere, mentre lui si lasciava scivolare in ginocchio in una pozza di fango.
Macchiato. Peccatore. Assassino.
Parole che continuavano a rimbalzargli alla mente, rammentandogli il suo crimine. Sarebbe stato da ipocriti giustificarsi dicendo che erano stati quegli uomini a volerlo uccidere, liberandosi dell'ultimo erede-vivo-della sua famiglia. Sarebbe stato falso, ammettere che scoprire che quelli individui, correlati alla scomparsa dei suoi genitori, non lo avessero turbato, al punto che aveva accolto la loro morte quasi con sollievo. Era altresì vero, però, che lui non aveva mai programmato di ucciderli. E, d'altra parte, chi avrebbe creduto possibile che un ragazzino di quattordici anni riuscisse a gettare in mare un uomo grosso il doppio di lui e a ferirne gravemente un altro.
Nessuno. Era stata questione di fortuna ed aveva aiutato anche il fatto che i due fossero ubriachi.

 

Si era rialzato da terra, quando il sole aveva cominciato ad albeggiare. Fradicio e febbricitante aveva mosso i primi passi traballanti verso l'entrata della villa e inciampando era caduto dritto tra le braccia di Fabian Henstone che lo aveva afferrato al volo.
"William?" in principio la voce di Fabian gli era parsa esitante. Subito dopo la stretta su di lui si era rafforzata e il suo nome era stato invocato con maggior enfasi.
"William! Cosa è successo?" l'uomo l'aveva preso in braccio, scortandolo in casa. "Buon Dio, che ti è accaduto?"
Fabian stava impartendo secchi e precisi ordini ai domestici, ma lui era troppo stanco per riuscire a capire cosa stesse dicendo. Tossì, rendendosi conto che non aveva smesso di tremare, complice una febbre che gli impediva di essere lucido.
Strinse i denti, aggrappandosi a Fabian con tutte le forze che gli rimanevano. Quando il commerciante tentò di darlo in consegna a un domestico, si mise a strillare con una voce così acuta e stridente da riuscire a convincere l'uomo a desistere da quel proposito.
"Qualcuno vada a chiamare Alfred!" tuonò Fabian, con il tono autoritario che solo raramente adottava in casa. "Chiamatemi Alfred!" ripeté sovrastando le chiacchiere e i bisbigli malevoli della servitù.
William girò la testa, la vista sfuocata. "Zio..." ansimò, protendendo le braccia in avanti. "Zio." la sua voce era poco più di un sussurro.
"Stai bruciando, William."
Lui non gli aveva mai sentito pronunciare delle parole con una tale ondata di angoscia. Stava morendo? Forse se lo meritava. Forse se fosse morto avrebbe potuto ricongiungersi ai suoi cari. Forse...
Suono di passi. "Dove diavolo è finito il dottore?" sbraitò Fabian.
Erano nel soggiorno, affacciati su guizzante fiamme scarlatte. Appoggiato a Fabian, un servitore-Alfred?- lo stava aiutando a liberarsi dagli indumenti bagnati.
Le mani premurose dello zio cercarono il suo volto, allontanando i capelli incrostati di fango, pioggia, e...
Rabbrividì. Non voleva pensare a quella parola, non voleva ricordare, non... Spalancò la bocca per urlare, ma gli uscì solo un profondo singhiozzo. Fabian cercò i suoi occhi e le dita si soffermarono in un punto poco sopra la fronte.
William gemette e cercò di allungare le mani per liberarsi da quelle dello zio. Non voleva che scoprisse cosa aveva fatto, non voleva dover dire addio anche a quella famiglia. Voleva restare lì. Poteva rimanere lì?
"Portatemi quel maledettissimo dottore!" sibilò Fabian, gettando a terra un vaso che si trovava sul tavolo al loro fianco. I cocci si sparsero su tutto il pavimento e con la poca lucidità che gli rimaneva, William intuì che quello era l'oggetto che apparteneva ad una preziosissima collezione di arte orientale, a cui a lui e Richard era proibito avvicinarsi. "Non mi importa cosa sta facendo al momento! Trovatelo! Con quello che lo pago dovrebbe fiondarsi in questa casa ogni volta che lo faccio chiamare!"
Spaventato, si raggomitolò sul pavimento, mentre un rivolo di sangue-suo o dell'uomo che aveva ferito?- finì con il macchiare irrimediabilmente il tappeto persiano.
"Sta sanguinando, ma la ferita non è profonda." Alfred, aveva un timbro di voce inconfondibile. "Signorino, Will?"
Lui annaspò, tossendo-o forse vomitando- quella che credette la sua anima.
Faceva troppo caldo.
Bruciava, bruciava, bruciava... Poteva una persona bruciare? Un peccatore, si disse, forse sì. Erano le fiamme dell'Inferno quelle che avvertiva su di sé, o quelle di un semplice caminetto?
...Faceva male...
"Portate dei vestiti asciutti! Santo cielo, devo dirvi tutto?" gridò Fabian, spingendo via in malo
modo alcune cameriere.

"Z-Zi... zio." balbettò, gattonando come un animale nella sua direzione. Fabian si fiondò su di lui, obbligandolo a distendersi nuovamente accanto alle fiamme-le fiamme da cui lui voleva fuggire.
"Sono qui, William. Sono qui." tentò di rassicurarlo.
...Rumore di passi.
"Ti avevo detto di restare in camera tua, Richard!"
Richard? Richard era lì? Provò ad aprire gli occhi, incrociando l'espressione sconvolta dell'amico.
...Uno schiaffo ed un singhiozzo trattenuto a fatica. "Zio?" domandò titubante.
Vide Richard sgranare gli occhi per la sorpresa.
"William?" Il buio avvolse ogni cosa, ma non riuscì a soffocare il ricordo di quanto era accaduto.

 

 

Stava fissando quella busta sigillata da quasi mezz'ora, quando Alfred lo raggiunse con un vassoio e un pasto frugale. Appoggiò il piatto di fine porcellana bianca e fece qualche passo all'indietro per non invadere i suoi spazi.
"Dovreste accettare l'invito." gli suggerì con garbo.
William alzò lo sguardo dalla lettera e osservò il volto imperturbabile del fidato domestico. Incrociò le mani tra loro e vi appoggiò sopra il mento con fare svogliato.
"Se non erro, rammento che la gente del luogo mi crede un povero moribondo che necessita di un costante bisogno di cure. Un disgraziato, ricco e viziato, rampollo inglese che gode di pessima salute. "
Alfred accennò ad un lieve sorriso, ma con un colpo di tosse simulato si affrettò a ridarsi un contegno. "Sì, signorino." si lisciò distrattamente la camicia. "Tuttavia, la gente inizia a parlare di voi con una certa malizia. È trascorso molto tempo da quando avete preso parte ad un ricevimento mondano." si fermò, irrigidendo la mascella. "Perdonate." sussurrò chinando il capo. "Non volevo insinuare che..."
"Alfred." lo chiamò sospirando. "Sai bene che non mi offendi se esprimi la tua opinione. Rimani solo tu della mia famiglia..."
Il maggiordomo tossicchiò nervoso. "Oh, signorino! Voi sapete sempre come fare per prendere in giro un povero vecchio."
"Lusingare." lo corresse divertito, suggerendogli con un'occhiata di non replicare a quella affermazione. "E poi, Alfred, non sei vecchio. Quanti anni hai? Cinquanta, forse?"
Alfred scosse il capo sconsolato, ricordandogli come quel gesto fosse stato piuttosto usuale nelle sua infanzia. "Signorino Will!" esclamò con finto rimprovero. "Presto raggiungerò i sessant'anni." lo informò.
Senza volerlo si irrigidì sulla sedia, finendo con lo stropicciare la lettera che aveva ripreso in mano. Suo padre era morto il giorno in cui avrebbe dovuto festeggiare con la moglie il compleanno, ma era stata un'altra la festa a cui entrambi avevano partecipato: un funerale.
Notando il suo sguardo adombrarsi, Alfred si affrettò a scusarsi. "Vado ad occuparmi di quella faccenda che avete richiesto." si congedò a quel modo, lasciandolo nuovamente con i fantasmi del suo passato. 
 

***

 

Crystal spalancò la bocca per replicare, ma le parole le morirono in gola. Cosa stava insinuando Richard? Due navi? Pirati buoni? Avrebbe voluto ridergli in faccia ma si diede un contegno.
"State delirando." agitò in aria la mano, liquidando a quel modo la conversazione.
"Oh, no mia cara." la schernì, palesemente divertito dalla situazione. "Temo che tutta questa fastidiosa vicenda, sia assurdamente vera."Crystal si domandò se Richard si rendesse conto dei suoi strani sbalzi di umore. La
cosa, a lungo andare, stava diventando preoccupante.

"Non riesco a capire cosa vorreste che io comprenda da ciò. Anche ipotizzando ci fossero state due imbarcazioni, quella sera..." venne interrotta.
"Oltre al Poseidon e la Black Rose." ci tenne a precisare Richard.
Lei sospirò. "Certo." lo assecondò turbata. "La terza nave fantasma..."
"Eravate troppo sorpresa quella notte, per riuscire a cogliere determinati dettagli. Siete fuggita, in preda a urla, sangue e fiamme... La vostra mente era concentrata su questioni
più pratiche, piuttosto che sull'osservare il paesaggio." cercò di fare dell'ironia sulla
questione, ma lei non ricambiò l'espressione di falsa tranquillità che le stava mostrando.

Si ritrovò a ripercorrere mentalmente quella sera, ma i ricordi erano sfuocati e frammentari. Si era svolto tutto troppo velocemente.
"Quello che sto cercando di dirvi..." si schiarì la gola.
Con le mani immerse nell'erba, Crystal ne strappò qualche ciuffo, macchiandosi l'abito. Non che avesse importanza. Sembrava che da quando era cominciata quella bizzarra
avventura, tutti i suoi vestiti fossero destinati all'autodistruzione.

Le onde del mare si infransero sulla sabbia e un piccolo granchio, si affrettò a tornare nell'acqua.
"...Drago Dorato." concluse Richard con aria soddisfatta.
Crystal alzò lo sguardo, perplessa. "Come avete detto?" si era distratta e inevitabilmente aveva perso il discorso di Richard. Per una tale disattenzione sua madre avrebbe trovato il modo di punirla, magari, impedendole di suonare il pianoforte per una settimana. Oppure, ipotizzò, l'avrebbe tenuta lontana da Tom per qualche giorno.
Richard si alzò in piedi, facendo roteare gli occhi al cielo. Era evidente che la cosa lo aveva infastidito. Probabilmente, rifletté lei, era abituato ad avere tutta l'attenzione della gente su di lui, e il motivo non era difficile da intuire. Di bell'aspetto, ricco e affascinante, a Londra, metà dei membri della nobiltà dovevano essere ai suoi piedi. Per l'ennesima volta, si domandò perché Richard avesse voluto seguire William in quella complicata vicenda.
"La terza nave." ripeté lui, arcigno. "L'imbarcazione fantasma, come l'avete affettuosamente soprannominata..." riprese il discorso. "È di proprietà del Drago Dorato."
A quel punto, Crystal, tossì presa alla sprovvista. Si rizzò a sedere, ringraziando di essere a terra, anziché a bordo del Poseidon. "Volete dirmi..." incespicò nelle sue stesse parole, non sapendo bene come dover formulare la frase. "La Black Rose da quale nave è stata attaccata?" lo disse tutto d'un fiato, sapendo che non sarebbe riuscita a chiederglielo una seconda volta.
Gli angoli delle labbra di Richard si incurvarono leggermente verso il basso. Sembrava dispiaciuto per qualcosa e infuriato per altro. Contrasse la mascella in un gesto che le ricordò, vagamente, l'espressione contrariata di suo padre.
Dalla sua espressione comprese che qualunque fosse stata la risposta non le sarebbe piaciuta conoscerla.
"Come voi stessa avete detto, da un veliero fantasma: il Phantom."
...Phantom.
Crystal si portò, stordita, una mano alla testa. Il capogiro le passò velocemente, ma non l'inquietudine che strisciò nel suo animo.
"Perché avrebbe dovuto attaccare la Black Rose?" domandò. "E perché dovrei fidarmi della vostra parola?"
"Fiducia... Sì, capisco la vostra riluttanza." fece una pausa. "Fate bene a non fidarvi. Ho imparato a mie spese che non bisogna cederla troppo facilmente."
"Vi riferite a William?" aveva parlato di impulso, vedendo però che Richard si era irrigidito nel sentir nominare quel nome.
"È esatto, contessina Shevington." tagliò corto. " Dunque, cosa stavamo dicendo?" era evidente il suo desiderio di cambiare discorso, ma lei non glielo avrebbe concesso tanto
facilmente.

"Cosa è accaduto tra di voi?"
"Nulla che vi può interessare."
"Questo dovrei deciderlo da me." affermò sicura, alzando il mento. Possibile che tra loro due, scorresse tanta amarezza?
"Lasciatemi finire di parlare di quella notte, volete?" era evidente che non si aspettava alcuna risposta e Crystal gli fece segno di proseguire. Richard ghignò soddisfatto e riprese il discorso che avevano interrotto. "Dicevamo, perché attaccare la Black Rose?"
Crystal alzò le spalle in un gesto impaziente. "Cercavano qualcosa." propose. "Monete e gioielli?" tentò.
"O qualcuno." la interruppe Richard, prendendo a camminare in cerchio.
"A bordo non c'era nessuno che..." si portò una mano a coprire la bocca, improvvisamente consapevole di ciò che stava per dire. "Oh." sussurrò. "Oh, voi... Volete dire che..." si bloccò nuovamente, avvertendo i battiti del cuore impazziti. "No." scosse la testa. "Come avrebbero potuto sapere chi c'era a bordo?" le tremavano le mani e si affrettò a nasconderle dietro la schiena.
"E William? Anche lui sapeva chi eravate quando vi ha salvato: Contessina Crystal Mary Shevington." Lei sobbalzò, mordicchiandosi il labbro inferiore.
"Ditemelo, Richard." mugolò, con una voce così lamentosa che stentò quasi a riconoscerla.
"Vi stavano aspettando, Crystal." dichiarò, cercando di prenderle la mano.
"Non capisco." mormorò lei, arrendevole. Le labbra di Richard le sfiorarono la pelle e Crystal si lasciò condurre docilmente fino al limite della spiaggia.
"Mi dispiace." le sussurrò all'orecchio, prima di fare un lungo sospiro. Non riuscì a chiedergli perché si stesse scusando, non ne aveva la forza. "Siete in pericolo. Vi stanno dando la caccia."
 

 

Darle la caccia? Richard si stava prendendo gioco di lei? Scioccata balbettò qualcosa, ma nemmeno lei capì quello che disse. Con uno strattone si liberò dalla stretta di Richard e a passo veloce cercò di ripercorrere la strada che l'aveva allontanata dal Poseidon. Sul cammino incontrò un paio di pirati che aveva già visto a bordo e che la salutarono con un mesto sorriso.
Ignorò i richiami di Richard e quando fece per voltarsi il suo sguardo ricadde sulla figura a cavallo che stava scendendo la collina.
... William, in tenuta da cavallerizzo. Indossava degli stivali in pelle chiara, con risvolto, che gli arrivavano ai ginocchi e un elegante completo marrone scuro che metteva in risalto i ricami verde-foglia. L'animale, dal manto nero, nitrì e si fermò slittando a pochi metri da lei.
Crystal cercò Richard con lo sguardo, ma si accorse che sembrava essere sparito nel nulla. Sbuffò esasperata mentre William la raggiungeva conducendo il cavallo a mano.
"Cosa avete fatto?" il suo tono era stranamente premuroso.
Lei lo guardò dubbiosa, cercando di mascherare il nervosismo che la colpiva ogni volta che era in sua presenza. "Cosa volete dire?"
Lo vide alzare la mano in un gesto repentino e temendo che potesse colpirla lei chiuse gli occhi, voltando il capo a sinistra. Tuttavia, lo schiaffo non arrivò e le dita di William sfiorarono gentilmente i suoi capelli, allontanando qualcosa che poi le mostrò aprendo il palmo.
Erano ciuffi d'erba, probabilmente la stessa che lei aveva strappato. Impacciata, non seppe cosa dire e lo sguardo del pirata si adombrò. Si domandò se si fosse offeso per la reazione che aveva avuto, quando aveva creduto che volesse ferirla. Di certo, a lui non era sfuggito il modo con cui lei si era ritirata al suo tocco.
"Il vestito è rovinato." commentò in modo piuttosto pacato. Era infastidito che i suoi soldi fossero stati spesi così inutilmente? Eppure, non sembrava adirato o turbato dalla cosa.
Il cavallo pestò con fare nervoso la sabbia, lasciando alcuni solchi sulla spiaggia. Prima di rendersene conto, Crystal aveva allungato il braccio verso il collo dell'animale sfiorandogli timorosa la criniera. Con la coda dell'occhio, vide che William la stava osservando con attenzione e non poté evitare di arrossire.
"È-È molto... bello." farfugliò imbarazzata.
Il pirata annuì, ma sembrava distratto. Crystal lo trovò quasi... arrendevole.
"Volete salire?" Lei inclinò la testa di lato, guardando dubbiosa prima lui e poi il cavallo. "Dove l'avete preso?" replicò.
"Dovete sempre sapere ogni cosa? Possibile che non sappiate godervi l'attimo senza dover aprir bocca?" lo disse in tono irritato, sistemando meglio la sella di cuoio.
Crystal lo guardò scioccata, colpita nel profondo. Chissà perché, si era illusa che per una volta William volesse fare qualcosa di carino.
Amareggiata gli diede le spalle e riprese a camminare verso la grotta. Rimanendo con Richard non si era resa conto di essersi spinta così lontana.
"Aspettate!" tuonò la voce di William, che era rimontato a cavallo e, ora, la affiancava. Lei strinse i pugni, combattuta tra la voglia di guardare il suo volto e quella di lasciarlo a marcire nel suo brodo. Lo sentì fare un profondo respiro e sussurrare un "Mi dispiace" soffocato. Fu così sconvolta da quelle parole che si fermò di botto.
"Vi state scusando? Con me?" aveva alzato la voce, talmente incredula che cercò i suoi occhi per ottenere una conferma. Fece schioccare la lingua sul palato, e presa all'improvviso da un'ondata di rabbia, sibilò: "Richard dice che mi avete salvato la vita, rapendomi dalla Black Rose."
William tirò bruscamente le redini del cavallo che colto alla sprovvista dal movimento del padrone si alzò, ergendosi sulle zampe posteriori, minacciando di far cadere il pirata. Lei fece rapida dei passi all'indietro, per evitare di finire travolta dall'animale.
Tuttavia, William prese nuovamente il controllo e diede delle leggere pacche affettuose allo stallone.
"Richard non sa mai quando è tempo di tenere la bocca chiusa." disse lui, serrando la mascella. "Se..." non concluse la frase, e rimase immobile contemplando qualcosa che a lei era preclusa. In un certo senso, però, Crystal notò che William era quasi grato del fatto che Richard avesse parlato.
"È vero?" voleva, doveva, essere sicura.
"Avete paura di me?" controbatté lui, con un urgenza che la lasciò quasi senza fiato.
Crystal si prese il suo tempo per rispondere. Che razza di domanda era? E perché aveva cambiato argomento così bruscamente?
Da quando l'aveva portata con sé sul Poseidon non aveva fatto altro che trattarla con sufficienza, avvilendola in continuazione. L'aveva derisa della sua vita in Inghilterra, dei
suoi ideali, e l'aveva scaraventata in una realtà sanguinaria e all'insegna del pericolo. Per causa sua aveva ucciso un uomo, salvato un ragazzino smarrito ed incontrato Eylin, Alejandro e Richard. William stesso, l'aveva aiutata e salvata così tante volte che aveva perso il conto di...

La sua mente stava divagando. Aveva paura? Di William? Lui le aveva mai fatto qualcosa per cui dovesse avere timore?
"Perché lo domandate?" obiettò lei, cercando il modo di sviare il discorso.
"Rispondetemi." la invitò a proseguire, mentre il cavallo scuoteva la testa avanti e indietro.
Il labbro inferiore ebbe un tremito e ancora una volta lei gli diede le spalle, per impedirgli di vedere il suo turbamento. Se qualcuno le avesse chiesto se si fidasse di William la risposta sarebbe stato un no, secco e preciso, ma non era quella la domanda. Il capitano nascondeva troppi segreti e lei-che sembrava proprio uno di quelli- non riusciva a sopportarlo. L'atmosfera che avvolgeva William e il Poseidon era così densa di sentimenti contrastanti che lei stessa ne era caduta vittima. Non poteva negare di provare una sorta di attrazione morbosa per tutti quei misteri, ma al tempo stessa ne era terrorizzata. Ciò nonostante non era William la persona di cui aveva paura.
...No, se fosse stato tanto semplice sarebbe riuscita ad accettare meglio l'intera situazione invece, suo malgrado, si ritrovava ad aver sviluppato una sorta di sentimento d'affetto per le vicende dell'intera ciurma. La parte razionale del suo cervello le diceva che era una pazzia, contemplare una simile ipotesi, l'altra le suggeriva di dar retta al suo istinto e di lasciare che le cose proseguissero come avevano fatto fin ora.
Lasciare che il destino facesse il suo corso... Godersi l'attimo, come suggeriva William. Una pazzia, e forse pazza lo stava diventando davvero.
Aveva paura di se stessa, dei sentimenti che provava e di ciò che era diventata: un'assassina. Il pensiero del padre di Jack, (si era adeguata perfettamente al nuovo nome che Alejandro aveva fornito a Jake) la tormentava a momenti alterni, quando la sua mente era libera di galoppare senza alcun freno che potesse fermarla.
Per non parlare del chiodo fisso che aveva di William.
Schiuse le labbra, con la gola che le bruciava, quasi non avesse bevuto da giorni. Cercò di assumere un tono sbarazzino, quasi ironico, per mascherare i suoi veri sentimenti, ma la voce si incrinò pericolosamente, rendendola vulnerabile a una possibile replica tagliente del capitano.
"Non è di voi che ho paura." mormorò.
Il cavallo nitrì. "Di cosa allora?" insistette William.
Ma Crystal non rispose e prima che lui si avvicinasse nuovamente, raccolse le gonne e scappò verso la grotta che era diventata il riparo del Poseidon. 
 

***

 

Alfred era in giardino, impegnato nello scortare il dottore al calesse, quando una voce familiare lo costrinse a voltarsi verso la siepe che occupava il lato ovest della tenuta. Ebbe un attimo di esitazione mentre i suoi occhi cercavano di mettere a fuoco il nuovo arrivato. La vista era peggiorata sensibilmente in quell'ultimo mese, ma era stato abile nel mascherare a William quella debolezza.
"Signorino Richard!" esclamò, congedandosi frettolosamente dal medico. Per poco non inciampò in una radice.
"Alfred, ti trovo in ottima forma!" dichiarò l'ultimogenito della famiglia Henstone, abbracciandolo con fare impacciato. Alfred si limitò a stringergli la mano e ad invitarlo in casa per del tè.
"Anche voi, signorino. William dice che avete stretto un insolito legame con la sua... ospite." disse, soppesando ogni parola.
Lo vide inarcare il sopracciglio destro, prima che si piegasse su se stesso e scoppiasse in una risata roca e stridula. Sbatté una mano sul tavolo, incapace di porre freno a quell'attacco di isteria.
"Voi due parlate di me?" chiese, trovando la cosa particolarmente divertente.
"Deduco che non siate ancora riuscito a perdonare il signorino William." commentò il maggiordomo, sedutosi di fronte a Richard. Alfred si assicurò di non aggiungere altro sull'argomento. Era una questione troppo delicata e preferiva non essere tirato in mezzo dai due. La cosa, tuttavia, lo intristiva. Aveva visto crescere entrambi, li aveva vegliati nelle notti più buie, e sapere dell'ostilità che si era sviluppata tra loro lo metteva a disagio. Dopotutto, ciò che era accaduto non poteva essere imputato a William.
"Lui è qui?" domandò, guardandosi cautamente intorno.
"Non lo avete incrociato per pochi minuti." gli riferì, assaporando il suo tè.
"Meglio così." sentenziò, poggiando la sua tazza sul piattino. "La casa è deserta." disse, contrariato all'idea.
"Giovedì pomeriggio è il giorno libero del personale." spiegò. Erano osservazioni sterili, notò Alfred. Gli sembrava di tenere una conversazione con un qualsiasi sconosciuto. "Avete fatto crescere i capelli." tentò, con un commento che sapeva a Richard sarebbe interessato.
Lui si sfiorò la punta di un ricciolo con fare quasi distaccato, come se si accorgesse della cosa per la prima volta. Alfred, invece, strizzò gli occhi. Era inusuale quel comportamento da parte di Richard. Appariva distratto da altri problemi e doveva essere grave se lo faceva trascurare il suo aspetto fisico.
"Davvero? Io non... non ci ho fatto caso." sembrava stupito delle sue stesse parole. Quel fatto turbò ulteriormente Alfred, che si alzò per spostare una tenda che oscurava la stanza.
"Siete stanco." annunciò con fare paterno. "Dovreste tornare a Londra. L'aria di città vi tirerebbe su di morale." Non gli disse che sospettava che la vicinanza di William fosse un veleno, e allo stesso tempo un antidoto, per entrambi. In ogni caso, erano sufficientemente cresciuti per tenere a bada l'astio che aveva distrutto la loro amicizia. "Mi è giunta notizia che vostra sorella Elizabeth si sia fidanzata."
Quella novità sembrò riscuotere Richard dai suoi pensieri. "Elizabeth si è fidanzata?" gridò incredulo, balzando in piedi e facendo precipitare la sedia all'indietro. "Quando?Con chi?"
Alfred sospirò, pregandolo di tornare a sedersi. Sapeva perfettamente del profondo legame che univa Richard alla sorella e la sua reazione non lo colpì più di tanto. Così, si decise a riferirgli quanto aveva appreso.
"Ma è terribile!" sibilò Richard alla fine, apparendo più esausto di quando era entrato alla villa. "E io non ne sapevo niente!" si afflosciò sulla sedia, con un sorrisino ebete dipinto in faccia. "Questa cos'è?" disse, afferrando una busta indirizzata a William. La aprì, leggendo rapido il contenuto della lettera. "E pensa di andarci?" chiese, aspettandosi una risposta.
Alfred si limitò ad annuire.
"Interessante." commentò Richard, massaggiandosi pensieroso il mento. "Credo che gli farò una piccola sorpresa." concluse, balzando in piedi e salutandolo frettolosamente con un gesto del capo.
Il maggiordomo attese che se ne andasse prima di finire la sua bevanda. Si riempì un bicchiere con dell'acqua e vi lasciò sciogliere la polverina bianca che il medico gli aveva consigliato di prendere nei momenti in cui il dolore alla testa diventava insopportabile. Lo levò in aria e prima di ripensarci ingoiò il contenuto amaro.
"Alla salute." bisbigliò, pregando che Richard non compisse alcuna pazzia. Speranza, che sfortunatamente, sapeva essere vana.

 

 

 

 

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Note: E eccomi, qui! :D Stranamente rapida XD Spero abbiate gradito la sorpresa! ;)
Finalmente si iniziano a vedere i primi raggi di luce(?) sul passato di William e i segreti che ruotano attorno al Poseidon!
LOL, se qualcuno si chiedesse la scelta del nome Alfred per il maggiordomo, la risposta è semplice: Ho sempre avuto un debole per Batman ù_ù
La musica per chi interessasse è stata usata come colonna sonora nell'anime FullMetal Alchemist. L'ho sempre adorata! *__*
Piccola nota: non credo che il prossimo aggiornamento sarà così rapido, mi spiace.
Grazie per tutte le persone che continuano ad appoggiarmi con la storia, i vostri commenti sono graditissimi in questo periodo-per me un po' infelice! :D
Ovviamente i ringraziamenti sono estesi a tutti i lettori-seguiti-preferiti-ricordate! :)
By Cleo^.^

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Romatico

Pirates-L'ombra del tradimento

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Contratto di Sangue-La Guerra Celeste

Storie concluse:
Vampiri

Contratto di sangue-L'ombra del principio 

 

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