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Autore: BlackKay97    16/10/2012    2 recensioni
(Song-fic mai postata per il contest, dunque me la sono pubblicata io! ;D)
Duschka ha quattro anni quando viene abbandonato da sua madre davanti all'uscita da scuola.
Duschka è un semidio cosciente di esserlo, anche se non sa ancora chi sia suo padre.
Il tempo scorre, la gente ride, ma lui sa che quella è la fine.
Non rivedrà più sua madre e si chiede che cosa può lui aver fatto di sbagliato.
Canzone: Le tasche piene di sassi - Jovanotti
Scritta da: Kay
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo del menestrello
Madame... e messeri...prima di leggere questa storia cantata ho qualche piccolo favore da chiedervi.
Dimenticate chi è Duschka, rammentate solo che è figlio di Hermes, e quindi un semidio.
Dimenticate il suo futuro e concentratevi solo sul presente che vi vado a cantare.
Dimenticate di poter ridere, cominciate a piangere.
Dimenticate la forza che ci spinge a reagire, questo bimbo non ce l’ha.
Ricordate cosa vuol dire provare pietà.
Ricordate com’è guardare il mondo a quattro anni.
Ricordate? La meraviglia del mondo e l’affetto dei genitori.
Riuscite a fare questo sforzo?
Bene.
Aprite il vostro cuore per comprendere i sentimenti provati da una fiducia spezzata. Una fiducia che si potrebbe quasi chiamare “patto di sangue” tra madre e figlio.
E dopo questa breve introduzione.... si apra il sipario... e che lo spettacolo... cominci.
*inchino*



Volano le libellule, 
sopra gli stagni e le pozzanghere in città, 
sembra che se ne freghino, 
della ricchezza che ora viene e dopo va, 
prendimi non mi concedere, 
nessuna replica alle tue fatalità, 
eccomi son tutto un fremito, ehi. 


La maestra appoggiò la sua giacca sulle sue spalle e si strinse nel maglione. Rimase ferma alcuni istanti mentre il bimbo osservava il proprio respiro che condensava nel freddo dell’inverno. Che ci poteva fare se era un semidio? Non era stata colpa sua. Era colpa di sua madre, semmai, ma non mi importava. Faceva lo stesso. Tremò di freddo e la maestra gli si sedette di fianco:- Non è ancora arrivata a prenderti la mamma? -.
Scosse la testa mentre si stringeva di più nella giacca.
Dalla scalinata in cortile osservava il mondo di fuori. Qualche anziano che girava in bicicletta, qualche adulto che portava a spasso il cane e qualche ragazzo ben più grande di lui che si baciava con la fidanzata. E lui ero lì a tremare di freddo. È colpa tua se sono un semidio, ma a me non interessa e non te ne faccio una colpa.


Passano alcune musiche, 
ma quando passano la terra tremerà, 
sembrano esplosioni inutili, 
ma in certi cuori qualche cosa resterà, 
non si sa come si creano, 
costellazioni di galassie e di energia, 
giocano a dadi gli uomini, 
resta sul tavolo un avanzo di magia. 


L’insegnante gli diede un abbraccio:- Adesso arriverà, vedrai. Avrà avuto un contrattempo sul lavoro, o magari c’è traffico in strada. - lo baciò sulla guancia gelata e si allontanò lasciandogli la giacca. Ma Duschka sapeva bene come stavano le cose. Glielo aveva detto sua madre quando, dopo l’assalto di ogni mostro, ammetteva di non riuscire a reggere lo stress.
Duschka canticchiava. Canticchiava la propria tristezza, ma soprattutto la propria sorpresa: la sua mamma non sarebbe venuta a prenderlo. La persona in cui aveva riposto la massima fiducia che un bimbo innocente può riporre in qualcuno lo stava lasciando solo.
Mamma, è successo. Ti sei innamorata di un dio e non potevi prevedere che sarei nato così. Non è altro che una casualità. Solo per questo gioco del destino hai intenzione di lasciarmi?
Volse lo sguardo al cielo che già si era oscurato. Osservava meravigliato le stelle. Anch’esse, lo sapeva, nate per caso. Nate per caso come lui. Era strano che ci fosse una somiglianza così forte tra le spettacolari e straordinarie stelle dell’universo, e lui. Nient’altro che un gioco basato sulla casualità... non era altro che quello.

Sono solo stasera senza di te, 
mi hai lasciato da solo davanti al cielo 
e non so leggere, vienimi a prendere 
mi riconosci ho le tasche piene di sassi. 


Volse lo sguardo al cielo stellato.
Avrebbe voluto conoscere la strada di casa, ma aveva vissuto in talmente tanti posti che non se lo ricordava. Avrebbe voluto sapere dove chiedere aiuto, ma a quattro anni  non sapeva leggere. Mamma, vieni a prendermi pensava tra sé e sé. Si strinse di più nelle spalle: sentiva il peso della colpa di essere nato. Era dispiaciuto di dare quelle preoccupazioni a sua madre.
Attese.

Sono solo stasera senza di te, 
mi hai lasciato da solo davanti a scuola, 
mi vien da piangere, 
arriva subito, 
mi riconosci ho le scarpe piene di passi, 
la faccia piena di schiaffi, 
il cuore pieno di battiti 
e gli occhi pieni di te. 


Era solo.
Suamamma non sarebbe venuta a prenderlo.
Seduto sui gradoni della scuola sentì, per la prima volta, caldo. Caldo sulle guance. Le sue piccole lacrime che gli rigavano il volto pieno di lividi. Era gracile e vittima del bullismo. Mamma, senza di te non ce la farò mai... vienimi a prendere... Aveva visto molto nei suoi quattro anni. Si guardò le scarpe logore dal tanto camminare. Camminare per la sua vita. La sua vita che ora non aveva più senso. Non senza sua madre. Eppure, il piccolo Duschka aveva ancora voglia di vivere, vivere la sua vita con la sua amata mamma.

Sbocciano i fiori sbocciano, 
e danno tutto quel che hanno in libertà, 
donano non si interessano, 
di ricompense e tutto quello che verrà, 
mormora la gente mormora 
falla tacere praticando l'allegria, 
giocano a dadi gli uomini, 
resta sul tavolo un avanzo di magia. 


Il tempo passava. Glielo dicevano le piccole stelle alpine che crescevano in quel cortile. Erano così belle e perfette che il piccolo semidio non poté fare altro se non sognare di diventare un giorno speciale come loro. Aveva molto da dare, era allegro, dolce e sapeva amare chi aveva intorno. Voleva mostrare il meglio di sé. Aveva voglia di vivere.
Alcuni adulti fuori dal cancello lo guardavano con disprezzo o pietà e mormoravano tra loro.
Mamma, vieni a prendermi, voglio sentire il tuo sorriso che scaccia lo sparlare crudele su di me. Si chiedeva cos’è la mia vita? Un gioco basato sul caso.

Sono solo stasera senza di te, 
mi hai lasciato da solo davanti al cielo 
e non so leggere, vienimi a prendere 
mi riconosci ho un mantello fatto di stracci. 
[...]mi riconosci ho le scarpe piene di passi, 
la faccia piena di schiaffi, 
il cuore pieno di battiti 
e gli occhi pieni di te. 


Anche gli ultimi ritardatari si affrettarono a rientrare in casa.
Lui era lì. Da solo.
Abbassò la testa facendo ricadere in avanti le ciocche rosse.
Piangeva, di tristezza e per resistere al freddo.
Alzò lo sguardo sul cielo lasciando che i capelli gli attraversassero il volto carezzandogli le guance lentigginose e salate di lacrime.
Come ogni bambino, sognava di diventare l’orgoglio della madre... era un sogno infranto.
Tutto ciò che aveva visto, dai telegiornali e perfino dalle fiabe, non lo consolava.
Si passò una mano su un livido scoprendo di essere diventato insensibile per il freddo.
Gli occhi lucidi... Mamma...
La neve cominciò a scendere ed il piccolo si sdraiò sulla pietra. Avrebbe saputo dare tanto al mondo, avrebbe potuto fare del bene. Avrebbe voluto vedere un altro giorno sorgere... eppure era tutto troppo simile alla favola della “Piccola Fiammiferaia”... fu scosso da un brivido. Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire, un’ultima, calda, lacrima che, cadendo al suolo, congelò.
Il battito cardiaco del bimbo rallentò mentre la neve si posava su di lui.
Si addormentò con ancora il volto di sua madre impresso nella pupilla.
Un ultimo pensiero... Ci sono modi peggiori per morire...

Angolo di Kay
Ciao a tutti. Grazie di essere arrivati fin qui.
Canzone complessa da capire (piena di significati allegorici) motivo per cui, se avete dubbi sul significato, CHIEDETEMI!!! Mi dispiacerebbe se ignoraste le frasi che non comprendete e passaste oltre senza cercare di capire (anche tramite me).
Lo ammetto! Ho dovuto chiedere a mia mamma (che si è fatta 5 anni di filosofia, o forse più) per capire cosa intendeva dire Jovanotti. ^^”
Quindi non vergognatevi di chiedermi.
Anche perché sennò rovinate metà del mio scritto, dato che ci ho molto lavorato sulla trasposizione da “canzone” a “racconto su Duschka”.
Grazie dell’attenzione.
Sapete? Questa è la mia prima song-fic e sentirmi dire che ho fatto una cosa fatta bene (o per lo meno accettabile, dato che mi sono impegnata tanto) sarebbe stupendo.
Grazie a tutti,
                                                                          Kay

RECENSIONI (essendo in 2 nello stesso account non possiamo recensircele a vicenda... aggiungiamo qui.)
Black97:Che bella! Davvero molto triste e profonda! Complimenti davvero è bellissima! Che filosofa che sei! XD
   
 
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