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Autore: hex alby    17/10/2012    0 recensioni
Di tutto quello che è successo ritengo necessario lasciarne una traccia, che commemori non me, ma cosa la mia esistenza e vita abbiano comportato per la galassia.
Questa sarà la mia ultima registrazione.
Genere: Malinconico, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di tutto quello che è successo ritengo necessario lasciarne una traccia, che commemori non me, ma cosa la mia esistenza e vita abbiano comportato per la galassia.

Questa sarà la mia ultima registrazione.

La galassia è in fermento, sull'orlo di un grande cambiamento. Per permettere di capire se quello che succederà sarà l'ennesimo sbaglio di una civiltà morente o il suo regalo d'addio alla galassia, lascio ai posteri le mie registrazioni personali, da quando mi risvegliai a quando compii ciò per cui ero stato creato.

Perdonatemi se dovrò raccontare avvenimenti che in prima analisi poco hanno a che fare con lo scopo di questo racconto, ma sono necessari per comprendere il percorso che mi portò a cambiare la galassia per salvare la mia specie.

È difficile per me ricordare i primi momenti, furono di grande confusione e potrebbero risultare incompleti o parziali, ma cercherò di presentarli nel modo più completo possibile.

Tutto cominciò tre anni fa, a bordo della nave che mi aveva ospitato e dolcemente protetto per quattromila anni.

 

 

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Freddo.

Dolore. Freddo

Stanchezza. Dolore. Freddo.

Sonno. Mi stavo svegliando, lentamente, un neurone alla volta.

Sonno. Stanchezza. Dolore. Freddo.

Poi anche il corpo si svegliò, piano, adagio, finché non fui in grado di muovere la mano, poi il braccio, poi riuscii a sollevarmi e ad osservare.

Mi svegliai così. Non avevo memoria di chi fossi né di come fossi arrivato nella stanza dove mi trovavo.

Rimasi del tempo ad osservare il vuoto, nel tentativo di riordinare i pensieri, poi mi misi a esplorare la stanza in cui mi trovavo.

Ero in una piccola stanzetta metallica di qualche metro di grandezza, di un bianco quasi accecante. Sulle pareti, bianche, c'erano diversi scompartimenti, sigillati, provai a tirarne alcuni per vedere se riuscivo ad aprirli, ma non ci fu niente da fare; non erano visibili neanche porte, sebbene alcuni degli scompartimenti ne ricordassero la forma. Al centro c'era la piattaforma dove avevo riposato, bianca anch'essa: nonostante l'aspetto duro e solido era morbida al tatto e sprofondava per un paio di centimetri sotto il mio peso; quando lo osservai meglio notai che non era un letto, ma un tavolo per le operazioni chirurgiche, sotto erano ripiegate varie braccia meccaniche, spente al momento.

Ma che diamine ci facevo lì, a dormire su un lettino da ospedale? Perché ero in quella stanza? Perché era così maledettamente bianca e perché era sigillata?

D'un tratto la stanchezza mi assali e mi accasciai alla parete più vicina per qualche istante. Cosa mi era successo? perché quell'attacco di stanchezza?

La mia mente era assillata da domande e il mal di testa si stava facendo insopportabile, riuscivo a fatica a pensare e non fu facile riprendersi.

Mentre mi rialzavo notai un palmare appeso ad uno dei lati della piattaforma centrale, lo presi e aspettai che il computer si configurasse con i miei schemi cerebrali, in modo che potessi interfacciarmi direttamente con il computer all'interno del dispositivo.

Stranamente non riuscii a stabilire un contatto, il computer sembrava come congelato; nonostante ciò però il palmare era acceso e mostrava quello che sembrava un rapporto:

 

 

"Servizi segreti speciali, progetto [è richiesta un'autorizzazione superiore]

Documento top secret, richiesta autorizzazione livello argento.

Soggetto: capitano Adam Powell, truppe pesanti scelte PDF, codice di identificazione: 251533934/M3/12/HTO-PDF-79.13

(Nds: numero di matricola/mese di nascita/giorno di nascita/grado-forza di appartenenza-pianeta di permanenza . tipologia di incarico)

Il soggetto è stato ritenuto idoneo alla sperimentazione sul campo del progetto [è richiesta un'autorizzazione superiore], ha quindi subito un intervento di [è richiesta un autorizzazione superiore] che ha avuto successo senza danni collaterali alla sua struttura psicofisica; è richiesto comunque un periodo di riposo e di adattamento alla nuova forma.

Il soggetto verrà quindi trasferito sulla Rising Star, dove verrà tenuto in ibernazione fino a nuovo orÔ´¿ïÕ¼j##³¦½ò#%GÛ#„úÖ®YmÕEÃóx_>dî#IVTSïu;H"¢H#s'GSšªÍ‡š»ºÞeÙ·®Ãõhî»» ʧ6|tçïÓIVT·®¢H#s'Gu;H"ºÞe‡š» ÃõSïÙhî [...] Il file è corrotto, impossibile recuperare.

 

Ci misi qualche istante per rendermi conto di quello che avevo appena letto: non avevo ricordi di me stesso, di chi fossi se non qualche vaga ombra. Mi ero semplicemente risvegliato in questa stanza, in compagnia di questo rapporto che mi diceva che un certo capitano Adam Powell, ufficiale delle truppe pesanti della PDF (cosa significasse non ne avevo idea), aveva subito una qualche operazione top secret.

Era ovvio che io fossi stato operato, visto la stanza dove mi trovavo e le attrezzature presenti, ma per qualche motivo non potevo accettare la semplice conseguenza logica di questo ragionamento. Non potevo accettare così su due piedi di essere qualcuno solo perché logicamente dovevo esserlo: Chi era veramente questo capitano Powell? Cosa gli era stato fatto? E se il palmare fosse stato lasciato apposta per depistarmi? Per ingannarmi? E per quale motivo se non ricordo niente?

Mi accorsi per caso che il vetro che rivestiva lo schermo del palmare rifletteva la mia immagine, dapprima non ne feci caso, ma poi osservando meglio notai che la parte sinistra della mia testa era completamente ricoperta da uno strato metallico, che andava a congiungersi con delle strane striature metalliche, che percorrevano la guancia destra, dietro la nuca, confondendosi con i capelli.

Il mio cervello ci mise alcuni lunghissimi istanti per capire ciò che gli occhi gli suggerivano.

Lasciai cadere il palmare, che si ruppe. Cominciai a tastarmi il viso cercando di capire cosa fossero quelle componenti metalliche, scoprii così che risaltavano sulla pelle, ma che erano in qualche modo completamente fuse con essa, non c'era infatti nessuna fessura, ferita o cicatrice che suggerisse la loro estraneità al mio viso.

Cominciai così ad osservare il resto del corpo, strappandomi la tunica bianca di dosso, scoprii così che erano visibili delle striature metalliche simili a quelle del viso anche all'altezza della cassa toracica, in corrispondenza delle costole; la gamba destra era interamente ricoperta di metallo, ad eccezione di alcune sottili strisce di pelle lungi i polpacci e circa metà del piede, mentre la gamba sinistra era quasi priva, sebbene ci fossero quelle strane striature che correvano lungo i muscoli per terminare nel tallone. Le braccia erano in gran parte libere, a a parte alcune striature, mentre una delle due spalle, la destra, era completamente ricoperta.

Osservai meglio le componenti metalliche: non sembrava propriamente metallo, ma più fibre organiche composte da una qualche sostanza in tutto e per tutto somigliante all'argento, alcune striature, più rare, erano più simili al rame e altre ancora all'oro, tutte perfettamente integrate nella pelle, come le grandi placche che coprivano la spalla, la gamba e il viso.

Mentre analizzavo il mio corpo provai più volte orrore misto a disgusto o più semplicemente puro terrore. Cominciai ben presto a perdere la lucidità mentale e corsi come un pazzo per la piccola stanza, sfogando la mia rabbia. Sbattei più volte contro il tavolo centrale. Mi misi poi a picchiare le pareti con tutta la forza che avevo fino a che la stanchezza non ebbe il sopravvento e il mal di testa non si rese insopportabile. Mi accasciai di nuovo ad una parete ed entrai in uno stato di dormiveglia confuso e dolorante.

 

Non so quanto rimasi a terra. Ore? Giorni? Potevano essere anche settimane, il mio corpo si rifiutava di ubbidire e la testa era in rivolta.

Quando mi risvegliai ero ancora in preda alla paura, ma almeno la mente era di nuovo lucida, o quasi. Cercai di rialzarmi. Ogni movimento mi procurava dolore e riuscivo a muovermi a costo di una notevole fatica.

Ricominciai ad esplorare la stanza. Trovai il segno dei miei pugni lasciati sulle pareti, non avrei mai pensato di essere in grado di lasciare solchi così profondi in quelle pareti di acciaio senza ferirmi.

Notai ad un certo punto che un mio pugno aveva fatto piegare un pannello nascosto, quasi invisibile prima. Riuscii a rimuovere il pannello e vidi che c'era una serie di piccoli pulsanti.

Provai a premerne uno e improvvisamente le braccia meccaniche sotto il tavolo si animarono, portandosi all'altezza del tavolo e sfoderando lame dall'aspetto inquietante. Una voce sintetizzata al computer ruppe il silenzio:

"Medibot pronto, in attesa di ordini".

Premetti rapidamente di nuovo il pulsante in preda alla paura e le braccia meccaniche ritornarono silenti.

Provai altri pulsanti, con più cautela. Trovai così il contatto della luce e i pulsanti di attivazione di macchinari a me del tutto sconosciuti, che mi affrettai a spegnere, temendo che si rivelassero pericolosi.

Premetti infine un pulsante che avevo prima ignorato e una grossa sezione di una parete scomparve, aprendo così finalmente una via di uscita da quella stanza, mi gettai subito nel corridoio che si apriva davanti a me.

Ero finalmente riuscito a trovare la via di uscita! La speranza di scoprire cosa era successo si era riaccesa.

Uscii con cautela e esplorai con lo sguardo l'oscuro corridoio che si snodava davanti a me, bucherellato da varie porte. Un allarme suonava lontano e ovattato. Provai ad esplorarne alcune: la maggior parte erano vuote, altre erano pressoché identiche a quella dove mi ero risvegliato. Non trovai anima viva né indicazioni sulla mia posizione, sentivo la flebile speranza nata poco prima spegnersi, quando trovai su una parete una schematica mappa del luogo dove mi trovavo. scoprii così di essere su una nave, più precisamente su un incrociatore da battaglia, la Rising Star.

Studiai la mappa e decisi che sarei passato prima all'armeria e poi mi sarei diretto all'hangar. Mi dovevo armare nel caso la nave si fosse rivelata ostile; me ne dovevo anche andare via al più presto da lì, non credevo che avrei retto ancora a lungo in quel luogo.

Mi ritrovai così a percorrere molti interminabili corridoi, in quella nave che sembrava deserta.

Non c'erano luci, non c'erano persone, non c'era vita; sembrava il relitto di una nave, un cadavere, ma non lo poteva essere visto che era ancora perfettamente funzionante, qualcuno doveva averla mantenuta operativa!

Vagai così spinto da una misteriosa forza che mi guidava sulla via giusta, era come una reminiscenza del passato, un ricordo che mi guidava dalla tenebra del mio inconscio.

Trovai così l'armeria, sigillata, rimasi deluso vedendo la robusta porta chiusa, anche se in realtà me l'aspettavo. Notai poi un pannello a fianco alla porta con un tastierino numerico, ancora una volta quello strano ricordo assopito corse in mio aiuto suggerendomi il codice di accesso; entrai così nell'armeria.

Subito dopo aver oltrepassato la soglia sentii dei rumori provenire dal fondo del corridoio da dove ero venuto, mi girai a guardare e ciò che vidi mi paralizzò dalla terrore.

In fondo al corridoio si scorgevano le enormi sagome di due giganteschi mostri: ricordavano nella forma degli scorpioni, ma erano privi delle chele. Le zampe, sei in tutto, erano sottili e sembravano fatte di lame. Il pungiglione era lungo e minaccioso, l'estremità ricordava la punta di una lancia.

Il colore era di un marrone chiaro striato di verde scuro, come un deserto macchiato da vegetazioni aliene. Gli occhi erano due grandi fessure nere poste in verticale al lati della bocca, due abissi senza vita.

Il corpo era tutto ricoperto di una spessa corazza che aveva l'aria di essere estremamente resistente. Le dimensione erano incredibili: erano grandi più o meno come un grosso cavallo e riuscivano appena a stare uno di fianco all'altro nel corridoio. Si scorgevano due piccole zampette ripiegate su se stesse e aderenti al ventre sotto la testa.

D'un tratto uno si girò e aprì la bocca.

Fu semplicemente una visione spaventosa: la bocca occupava quasi tutto la parte anteriore dell'insetto ed era una voragine senza fondo; di forma ovale e posizionata in verticale, era tutta ricoperta di file e file di sottili e affilatissimi denti. La sola visione di tale mostruosità mi gelò il sangue nelle vene. A peggiorare ancora il mio stato fu suono che la creatura emise: simile al grido disperato di una donna, orribilmente distorto e come raschiante; ero paralizzato dal terrore.

I due insetti cominciarono ad avanzare verso di me, molto velocemente, troppo.

Non riuscivo a muovermi, il corpo non rispondeva, era come paralizzato. I due mostri erano sempre più vicini e sentii la mia fine vicina.

La mia sola possibilità era di sigillare di nuovo l'armeria con me dentro, ma solo l'idea mi provocò ribrezzo. raccolsi tutte le mie forze e imposi al mio corpo di obbedire, riuscii così a richiudere la porta solo pochi istanti prima che le bocche di quei mostri potessero divorarmi. Sentii i corpi massicci cozzare contro la porta metallica e le loro grida di sfida e delusione per la fuga della preda.

Mi ritrovai così rinchiuso in un'altra stanza, in compagnia del silenzio e degli stridii delle due creature.

Superato lo shock iniziale ero pronto ad affrontare la prossima tappa della mia fuga, nella mia mente c'era poco spazio per il ragionamento e l'adrenalina mi diede la carica necessaria a continuare la fuga prima che crollassi a terra per il dolore e la disperazione.

Non persi tempo: cominciai a cercare delle armi, ma non ne trovai, la stanza era completamente vuota, perché? Chi aveva preso le armi?

L'unica cosa che adornava la stanza era un'armatura malconcia appesa al muro; era un armatura studiata per resistere ai proiettili e a colpi di oggetti contundenti, non una grande difesa contro i morsi o il pungiglione di quelle due creature la fuori, ma era pur sempre meglio che quella leggera tunica che avevo avuto sinora, sicuramente più comoda per muoversi.

Trovai un'altra uscita dall'altra parte della stanza, prima di uscire aspettai che i rumori provenienti dall'altra stanza cessassero. Una volta che ci fu silenzio aprii lentamente, con circospezione, e uscii senza far rumore, con la massima cautela possibile.

Avanzai lungo i corridoi, cercando di raggiungere l'hangar. Non incontrai anima viva, ma percepii più di una di quelle creature. Cercai di ricordare la vaga mappa che avevo visto, ma dovetti più volte affidarmi all'istinto e a quell'etereo ricordo che pareva guidarmi sulla giusta direzione.

Girando ancora una volta in un corridoio vidi finalmente in fondo ad esso la scritta "hangar", la mia salvezza.

Cominciai a correre, felice di aver trovato una via di uscita.

Troppo tardi vidi la creatura insettoide uscire da un corridoio laterale e troppo tardi cercai di schivare il terribile fendente che mi scaraventò addosso alla parete. Il colpo fu violentissimo e per poco non persi i sensi. l'armatura leggera si macchiò di sangue e così vidi lo squarcio provocato dal pungiglione che era penetrato nel ventre.

La creatura intanto mi sovrastava. Ero in balia delle sua volontà, ma esitò un istante di troppo, un istante che bastò a salvarmi.

Non capii cosa successe in quel momento se non molto tempo dopo: era come se non fossi padrone del mio corpo, come se quel ricordo evanescente nella mia mente si fosse improvvisamente ridestato e guidasse ora con decisione le mie membra.

Vidi la scena come in terza persona: una lama fuoriuscì dal mio polso destro, una lama blu elettrico di più o meno 60 centimetri, che sembrava eterea, non materiale. Il mio stupore fu pari a quello del mio avversario.

Con un grido selvaggio mi avventai sulla creatura e gli penetrai la corazza esterna in più punti, rendendo inutilizzabili un occhio e alcune zampe, la creatura gridò di dolore e si buttò contro di me per fermarmi, riuscii a fermarlo appena in tempo bloccandolo con la lama. La terrificante bocca ora era a pochi centimetri dalla mia testa.

Come in risposta a ciò il mio braccio sinistro si trasformò, diventando un'arma da fuoco sconosciuta, aliena, che si illuminò fino a diventare doloroso per gli occhi guardarla e sparò un proiettile talmente luminoso che sembrava fatto di pura luce. Il globo attraversò il corpo della creatura disintegrandola completamente in pochi brevissimi istanti, lasciando poco più che cenere e pezzi di carne bruciacchiata ai miei piedi.

Un istante dopo, con la stessa rapidità con cui erano comparsi sia l'arma sia la lama scomparvero e io crollai sulle ginocchia, dolorante, stupito e sfinito.

 

Mi trascinai lentamente fino in fondo al corridoio, percependo in qualche modo che i compagni di quella creatura erano fin troppo vicini.

Arrivai alla porta e riuscii sforzandomi non poco ad aprirla.

Vidi varie navi di forma strana, che sembravano in qualche modo di origine organica, probabilmente le navi di quegli insettoidi. Guardai con più attenzione e in fondo scorsi la sagoma in qualche modo familiare di alcuni caccia allineati. Li riconobbi subito, pur non ricordando di averli mai visti.

Con le ultime forze mi avvicinai il più in fretta possibile ad essi; sentii degli stridii e voltandomi vidi quattro o cinque di quelle creature radunate davanti alla porta che avevo appena attraversato.

Con la pura forza di volontà costrinsi le mie gambe a correre e riuscii a raggiungere un caccia senza svenire. Entrai in fretta, mentre gli insettoidi correvano verso di me. Fu una lotta contro il tempo.

Non avevo idea di come far volare quell'aggeggio, ma fortunatamente qualcosa in me scattò e riuscii a trovare il modo di accenderlo.

Chiusi l'abitacolo appena in tempo, le creature mi avevano ormai raggiunto e un pungiglione saettò verso di me cozzando contro l'armatura esterna del velivolo che si stava richiudendo su di me. Trovai i comandi delle armi e con un missile riuscii ad aprire una breccia nella paratia che separava l'hangar dallo spazio, l'immediata decompressione fece volare fuori alcuni degli insetti e mi diede preziosi secondi di tregua in cui riuscii a sfruttare la falla per uscire, poco prima che venisse richiusa automaticamente grazie alle barriere energetiche.

Spinsi i motori e mi portai a qualche chilometro di distanza dalla nave. Fuori mi presi qualche secondo per osservarla: era enorme, assolutamente gigantesca, mi sentivo una formica al suo confronto. Era chiaramente una nave da guerra visto la forma compatta e le armi che ne costellavano la superficie.

Era di una forma vagamente ovale, sebbene i molti ponti secondari e le armi ne distorcessero l'aspetto. Si potevano distinguere numerose batterie di minacciosi cannoni cinetici e laser, protetti dai cannoni ASC (NDS: anti spacecrafts) e le strane forme a fungo dei generatori di scudi.

Era in qualche modo bella, senza essere esteticamente piacevole, suggeriva sicurezza e nello stesso tempo pericolo.

Notai che lo scafo era rovinato in più punti, la maggior parte sembrava il risultato dell'impatto di piccoli asteroidi, ma c'erano anche alcuni squarci chiaramente causati da dei cannoni laser e anche un paio di buchi lasciati dalle navi da abbordaggio; era malridotta, non c'era dubbio, pur rimanendo comunque piuttosto integra. Sembrava che avesse affrontato parecchie battaglie per raggiungere la sua attuale posizione, per quale motivo allora all'interno era vuota, escludendo quelle creature, chiaramente non i proprietari di quella nave?

La cosa però che mi lasciava più perplesso però era l'assenza di vita della nave: non c'erano luci, né navi in pattuglia o operai al lavoro per riparare la nave... sembrava abbandonata. Probabilmente le creature che mi avevano attaccato non avevano neanche dovuto combattere per entrare nella nave.

L'osservare la nave riportò nella mia mente le domande che finora mi avevano assillato: perché io ero li, abbandonato a me stesso e alle cure di quelle creature? Perché la nave era deserta? Perché l'armeria non aveva armi? Perché erano rimasti solo una manciata di caccia nell'hangar? Chi erano quella specie di insetti? Perché mi hanno attaccato?

Quest'ultimo pensiero mi strappò dai miei ragionamenti e riportò la mia mente su questione più immediate. La mia ferita stava ancora sanguinando e la sistemai il meglio possibile con l'aiuto del pacchetto di pronto soccorso del caccia; la ferita era profonda, ma apparentemente non aveva leso alcun organo e sembrava che il sangue si fosse fermato.

Ora non mi restava che decidere cosa fare.

Le circostanze lo fecero per me: le creature erano riuscite in qualche modo a riaprire l'hangar e alcune di quelle strane navi organiche erano dirette verso di me, assomigliavano a degli enormi scarafaggi, con le zampe ripiegate sul ventre, una sola di quelle navi era grande tre quattro volte il caccia biposto dov'ero.

Il caccia mi segnalò dei missili in arrivo; mi girai verso il punto dove erano partiti e vidi l-astronave base nemica: era grande quanto la nave umana ed era organica. L'astronave di quelle creature era anch'essa viva: assomigliava ad un verme corazzato. Ad un estremità della immensa creatura erano visibili due enormi mandibole, pronte a disintegrare qualsiasi cosa.

I missili in realtà erano piccoli insetti sparati contro di me, ci mancavano solo i kamikaze.

Non persi tempo: prima che le navi nemiche mi raggiungessero premetti il pulsante del salto automatico di emergenza.

Viaggiare nell'iperspazio non è mai piacevole: si ha la sensazione di essere strappati dalle proprie ossa e scaraventati di forza attraverso un buco troppo piccolo per poterci passare, la sensazione diveniva particolarmente sgradevole su un caccia, non progettato per viaggi lunghi e a cui la funzione salto di emergenza era stata aggiunta solo come ultima speranza per il pilota; inoltre non avevo idea di dove mi stesse portando la navetta e ciò aumentava notevolmente la sgradevolezza del viaggio.

Durante i pochi secondi di durata del viaggio iperspaziale soffrii più di tutto quello che avevo sofferto sinora.

  
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