Ce l’ho fatta! Una ola per
me! Non so ancora come ho fatto a copiare tutto questo mastodontico capitolo al
computer..ma ci sono riuscita! Spero che questa mia fatica (nel vero senso della
parola) sia di vostro gradimento… preparatevi al famigerato incontro fra Bruce
Wayne e il giovane Blake, ormai diciassettenne! Pronti, partenza..via!
Intuition.
“E’ una grande partita per i Gotham Rogues, gli spettatori sono letteralmente in delirio! E’ tutto un tripudio di striscioni gialli e neri per l’ultimo punto appena segnato da Hamilton! Che partita esplosiva, ragazzi!” la voce squillante dello speaker rimbombava per tutta la sala audiovisivi del St.Switin’s, esaltando i ragazzi intenti a guardare i progressi dei Gotham Rogues e infastidendo quelli che cercavano di leggere.
“Ehi coso, vuoi abbassare il volume?” si spazientì una ragazza bionda, posando con un gesto rabbioso il libro che stava leggendo “qui c’è gente che cerca di leggere!”
“Vattene in camera tua allora.” Le rispose in tono arrogante uno dei ragazzi incollati alla TV, degnandola appena di uno sguardo.
“John per favore, visto che a te danno retta, potresti dirgli di abbassare il volume?”
Il ragazzo spostò un ciuffo ribelle dei suoi lunghi capelli neri che gli era caduto sulla fronte mentre leggeva: “Li tengo buoni al massimo per 10 minuti Emily, poi torneranno a schiamazzare.”
“Ti prego, John!” lo implorò lei “è una questione di principio, non possono fare sempre come pare a loro!”
John sorrise divertito: Emily adorava che qualcuno prendesse le sue parti, specie se quel qualcuno era lui.
“Ok, ma non posso andare lì e dirgli di abbassare, non mi guarderanno neanche”
John girò la testa, esaminando rapidamente la stanza, finché qualcosa non catturò la sua attenzione, proprio dietro il televisore.
“A-ha..” mormorò John poggiando il libro sul tavolino davanti “aspettiamo ancora qualche minuto..”
Emily osservò attentamente John, cercando di capire quale idea gli frullasse in testa: di solito se ne usciva con delle trovate che lasciavano spiazzati gli altri e che lo facevano sempre uscire “pulito.”
I Rogues erano di nuovo in possesso di palla e la stella della squadra, un giocatore di nome O’Keegan, stava correndo a perdifiato verso la base, schivando l’offensiva avversaria.
John
si alzò e con fare noncurante si diresse verso il bidoncino distributore d’acqua
dietro la tv, poggiata su un mobiletto di acciaio.
“Ed ecco O’Kennegan che schiva Tennison! La base ora è vicina ma…oh no! Sembra che Bosley ce l’abbia proprio con lui! Si avvicina, sono vicinissimi alla base! Ed ecco che…”
Zzap! Con un ronzio sinistro, la televisione tacque e John rimase bloccato con un piede impigliato nel filo e una calcolatissima espressione dispiaciuta stampata in volto.
“Ops!” esclamò John, mantenendo la sua aria dispiaciuta “sembra proprio che sia inciampato.”
“Riattacca quel filo Blake, ci stai facendo perdere la partita!” lo implorò uno dei ragazzi più grossi.
“Tra un momento..” rispose John con tutta la tranquillità di questo mondo, chinandosi per afferrare l’estremità della spina che lasciò dondolare fra le dita.
“Blake, riattacca quell’accidenti di spina!” gli gridò un altro in tono quasi piagnucoloso.
John fece un sorrisetto sghembo: erano così stupidi che non si alzavano neanche per strappargli la spina dalle mani.
“Fra un momento, prima volevo chiedervi una cosa: dite un po’, ci tenete a guardare questa partita, eh?”
I
tizi annuirono all’unisono.
“Lo supponevo. “ continuò John in tono pacato “vedete, la vostra situazione assomiglia un po’ alla mia e quella di Emily. Noi ci teniamo a leggere e no, n on possiamo andare a leggerlo in camera nostra, perché credo che abbiamo il sacrosanto diritto di usufruire di questa sala..”
I tre lo guardarono con aria stolida e John sospirò:
“Io vi riattacco la spina, ma voi abbassate quell’accidenti di volume, intesi?”
I tre annuirono di nuovo, senza protestare; se a fare quel discorso ci fosse stato chiunque altro, non sarebbe neanche riuscito a finire la frase perché lo avrebbero letteralmente spalmato sul muro senza pensarci troppo.
Ma quel Blake era diverso: era un tipo solitario che non cercava guai, ma il fatto che l’anno passato avesse mandato al tappeto con un colpo solo, ma ben assestato, un tizio grosso circa il doppio di lui, che lo aveva infastidito solo per il gusto di farlo per una mattinata, combinato al fatto che sembrava un tipo così diverso dagli altri, era un fattore determinante.
John, prendendosi il suo tempo, riattaccò la spina e dopo qualche lieve disturbo di frequenza, lo stadio tornò ad essere visibile.
“Non avete neanche perso nulla di importante..” commentò John lanciando una rapida occhiata allo schermo “Non è O’Keegan quello che piagnucola in un angolo?”
E
detto questo tornò a sedersi sul divanetto e si immerse di nuovo nella
lettura.
John Blake aveva quasi 18 anni e si trovava al St.Switin’s da quando ne aveva 10.
Appena
era arrivato aveva avuto un’incredibile fama, dovuta a quello che gli era
successo. I
bambini lo assillavano continuamente chiedendogli particolari sulla sua
rocambolesca fuga, ma lui non aveva mai detto niente al riguardo.Col
passare del tempo, anche i suoi
“ammiratori” più incalliti si erano stufati e lo avevano lasciato perdere, con suo
sommo sollievo.
John
si era distinto da subito per la sua propensione alla solitudine (anche se aveva
stretto amicizia con due ragazzi, Emily e Dennis) e per la sua mente sveglia e
attenta.
Da
bambino aveva brillato nei voti, ma un po’ meno per quanto riguardava la
condotta, poiché era soggetto ad improvvisi scoppi d’ira ed era spesso
scontroso.Tuttavia
col tempo il suo carattere si era addolcito (se così si poteva
dire).
A
diciassette anni era diventato un ragazzo abbastanza alto e meno mingherlino di
quanto fosse stato da piccolo. Si era lasciato crescere i capelli, che erano
lunghi fino al collo e neri, ma per quanto fosse cambiato fisicamente (non si
sarebbe detto che quel ragazzo alto e dritto, dallo sguardo penetrante, fosse
stato un bambino dall’aria così tenera e indifesa) alcuni rimasugli del suo
carattere di quando aveva messo piede nell’orfanotrofio non erano
mutati.
Era
rimasto un tipo essenzialmente solitario (eccezion fatta per i due amici di
sempre) ed era diventato estremamente brillante in tutte le
discipline.
La
rabbia che aveva covato dentro di sé anni prima, era stata in parte domata e
convogliata in altri atteggiamenti.
John,
crescendo, aveva dimostrato di avere quel tipo di intelligenza mista ad un
pizzico di quella che i professori chiamavano erroneamente arroganza, mentre in
realtà era solo senso di ribellione, frutto di quella rabbia che era riuscito ad
elaborare nel corso degli anni.
Cosa
gli passasse per la testa nessuno lo sapeva ma, nonostante i voti e la condotta
ineccepibile, i professori avvertivano la presenza di qualcosa di strano in quel
ragazzo taciturno.“Testa
calda” era l’appellativo che gli veniva rivolto più spesso, ma non c’erano mai
state punizioni o cose del genere, visto che non era possibile punire un allievo
basandosi solo su una vaga
sensazione.
John,
dal canto suo, teneva un profilo basso: non esternava quasi mai i suoi pensieri
più intimi, ma quella calma, mista a quel pizzico di ribellione era il risultato
di anni di ragionamenti e considerazioni. Alla fine John aveva trovato il modo
di “voltare pagina” come gli era stato intimato più e più volte e nel farlo
aveva anche capito quale sarebbe stata la soluzione per placare tutta la rabbia
che lo aveva tormentato per anni.
Gli
ci era voluto il ricordo di una notte fredda e di un bambino che era andato a
sbattere contro la figura alta di un poliziotto, un tutore della legge forte e coraggioso.
Doveva
solo aspettare qualche altro mese.
La
classe lavorava in silenzio sui compiti da svolgere, era una mite giornata di
primavera e gli allievi del St.Switin’s erano visibilmente più allegri e
vivaci.Quella
classe di adolescenti era quasi vuota, visto che buona parte di loro aveva
preferito dedicarsi ad attività all’aria aperta.
“Psst…John?” bisbigliò un ragazzo biondo
dando una leggera gomitata al suo compagno di banco, intento a svolgere un
problema di algebra.
Riportato
bruscamente alla realtà, John si girò verso il suo amico Dennis
.
“Che
c’è, Den?”
“L’hai
visto il giornale di oggi?” gli bisbigliò di rimando Dennis, sventolandogli
davanti una copia del Gotham Globe.
“Non
ancora, credevo non lo avessero ancora recapitato.” Che dice di interessante?”
si animò John, lasciando il suo amico distendere la copia del Gotham Globe di
Venerdì sul tavolo.
John
lesse in fretta l’intestazione della pagina e sillabò un :”U-A-O.”
La
prima pagina era interamente occupata da un mega articolo sull’argomento che
andava per la maggiore di quei tempi, ovvero del vigilante mascherato,
conosciuto come “Batman”.
“Che
roba, eh?” lo incalzò Dennis, mentre John leggeva l’articolo sottostante, che in
realtà non diceva nulla più delle solite ovvietà.
La
cosa interessante dell’articolo era la foto che troneggiava in prima pagina:
qualche temerario, non era dato sapere come, aveva scattato una fotografia a
Batman da una distanza piuttosto ravvicinata, mentre il Batman era in piedi con
lo sguardo rivolto da qualche parte nelle vicinanze del
fotografo.
“E’
o non è una gran figata? Erano mesi che volevo un’immagine come si deve di
questo Batman!”
Il
fenomeno di questo giustiziere mascherato era esploso non molto tempo prima, quando Batman
aveva assicurato alla giustizia il noto boss Carmine Falcone, legato come un
salame su una specie di riflettore.
Ovviamente
la polizia si era subito messa sulle tracce di quel pazzo furioso in costume
nero che si ostinava a voler fare il loro lavoro, ma dopo il drammatico episodio
dell’allucinogeno nebulizzato in città e di come quel “pazzo furioso” fosse
riuscito a sventare una vera e propria apocalisse, era stato sancito una sorta
di tacito (ma neanche troppo) patto fra le forze dell’ordine e il cavaliere
oscuro. D’altronde, tutta la città poteva vedere il segnale luminoso a forma di
pipistrello, installato sul tetto del commissariato di
Gotham.
John
in realtà non si era interessato subito a Batman, anche perché i giornali erano
stati costretti a tacere la verità su come Carmine Falcone fosse stato beccato
da un tizio qualunque, e non dai tutori della legge (senza contare il fatto che
buona parte di essi erano stati corrotti dallo stesso
Falcone).
Solo
poco prima dell’episodio dell’esplosione delle tubature e la dispersione del gas
allucinogeno nell’aria tersa e fumosa di Gotahm, qualche giornale si era
lasciato sfuggire la verità e, da allora, John aveva letto avidamente tutto
quello che era riuscito a trovare riguardo a quel Batman che si era fatto carico
di quel compito che sarebbe spettato alla polizia.
“Questi
tizio o è un genio oppure è
completamente partito” aveva commentato Dennis, lisciando il giornale e
contemplando la foto con aria rapita.
“Forse
è entrambe le cose..” commentò John in tono leggero, dando a sua volta un’altra
occhiata alla foto “però una cosa è certa: deve avere un senso della giustizia
impeccabile..”
Dennis
lo guardò con aria interrogativa “Parlare come mangi ti fa proprio schifo, eh?”
lo incalzò.
“Voglio
dire..” si corresse John sospirando ed allontanandosi i capelli dal viso “che
gli sta molto a cuore combattere…” osservò per un attimo Dennis e decise di
usare una parola più semplice “i cattivi.”
Dennis
si animò “Magari, che ne so..è un poliziotto scomunicato!”
“Si
dice sospeso Den.” Lo riprese John senza riuscire a trattenere un
sorriso.
“Si,
insomma, quelli li! Come nei film, John! Il poliziotto sospeso che fa vedere a
tutti di che pasta è fatto!.”
“Oppure
è un poliziotto che si è allontanato di sua spontanea volontà.:” commentò John
guardando il suo amico. “Forse la polizia non gli bastava più, forse per fare
quello che sta facendo aveva bisogno di..di agire così.”
Dennis
lo guardò con aria dubbiosa “Ma perché la maschera? Perché il
pipistrello?”
John
alzò le spalle e Dennis si morse un’unghia, con la solita aria pensierosa “E se
non fosse proprio un poliziotto? Chi mai potrebbe essere così fuori da
mascherarsi e andare a prendere a calci i cattivi? Cosa può spingere una persona
a fare questo?”
“Vorrei
poterti rispondere Den..” concluse John con un sospiro.
All’improvviso
l’altoparlante dell’istituto gracchiò, riferendo che gli studenti dovevano
recarsi nell’aula magna per una comunicazione importante riguardo al giorno
dopo.
“Comunque
sia..” disse Dennis prendendo il giornale “dev’essere fichissimo essere Batman!
Vorrei tanto sapere chi è per stringergli la mano!”
“Già..” convenne John prendendo il suo quaderno “anche io.”
“Hai
visto niente?” Dennis era impaziente come un bambino in attesa di aprire i
regali di Natale, mentre zampettava intorno ad Emily.
“Per
l’amor del cielo Dennis, è la terza volta in due minuti che me lo chiedi! No,
non è ancora arrivato!” sbottò Emily, dando comunque un’altra occhiata dal
terrazzo/cortile dove si trovavano.
“Comunque
lo sentiremmo arrivare, no?” intervenne John sporgendosi a sua volta “non credo
che Bruce Wayne verrà qui in taxi.”
Il
giorno prima, i piccoli occupanti dell’orfanotrofio erano stati radunati
nell’aula magna per una comunicazione importante: il giorno dopo il grande Bruce Wayne, generoso donatore di
fondi per l’orfanotrofio (che era stato fondato anni addietro da Thomas Wayne)
avrebbe visitato la struttura e scambiato quattro chiacchiere con insegnanti e
ospiti dell’orfanotrofio, come se fosse un simpatico fratello maggiore
sinceramente interessato a loro e non un miliardario pseudo-filantropo, sciocco
e vanesio, che di sicuro avrebbe preferito trovarsi ad un cocktail party di
celebrità, piuttosto che in un sudicio orfanotrofio del
centro.
“Ho
sentito un rombo!” strillò Dennis iniziando a saltellare sul posto e indicando
il terrazzo e i tre si affacciarono
nello stesso istante, rischiando di battere la testa l’una contro
l’altra.
Dennis
cacciò uno sgrilletto, indicando in maniera convulsa la strada sotto di loro
“E-è lei! Lamborghini Murciélago
LPS40, grigio-metallizzata da 640 cavalli!” declamò Dennis in tono rapito, quasi
con le lacrime agli occhi.
Emily
roteò gli occhi con aria scocciata “Ma santo cielo Den, possibile che tu debba
fare tutte le volte questa scena quando vedi una bella macchina? E poi che razza
di nome è Murciélago?”
Dennis
la guardò come se avesse appena detto una bestemmia “Lamborghini Murciélago LP640, Emily!” E
comunque sia significa pipistrello, l’ho letto su una rivista! Ma non è questo
il punto…” e si gettò in una carrellata di dettagli tecnici che fecero di nuovo
sbottare Emily.
John
guardò la macchina, svariati piani sotto i loro piedi, vide la portiera aprirsi
dal lato del passeggero, dove scese quella che gli sembrò una top-model dai
lunghi capelli rossi, fasciata in un sobrio abito grigio, mentre dall’altro lato
scese una figura che venne subito fagocitata dall’orda di giornalisti appostati
all’ingresso e venne resa invisibile dai mille flash
impazziti.
John,
allontanandosi dal balcone, sospirò: “d’altronde è solo qui per la sua immagine,
cosa me ne importa di stare a guardarlo come un pesce lesso? Ha i soldi, ha
tutte le donne che vuole e sarà pure stupido. Ci vedo solo un gran vuoto..”
constatò, mettendosi le mani in tasca e riassumendo la sua tipica faccia
seria.
“Oh,
beh a me sembra una cosa carina da fare!” ribatté Emily raggiungendo John, “d’altra parte
anche lui è un orfano, magari gli sta davvero a cuore la
cosa..”
John
trasalì un attimo: si era quasi completamente dimenticato di quel fatto. Il modo
in cui era venuto a sapere del passato di Bruce Wayne apparteneva ad un passato
che aveva chiuso in un cassetto della sua memoria.
“Non vorrai creare un altro piccolo Bruce
Wayne?” una voce dal passato si insinuò prepotentemente nel suo cervello, ma
John la scacciò prontamente.
“Che
hai John?” gli chiese Emily in tono apprensivo, vedendo che l’amico era come
rabbrividito.
“Mhh,
niente Em stavo pensando a una cosa. Lascia stare..”
E
detto questo, John tornò dentro l’edificio, lasciando i due amici sul
terrazzo.
Il
pomeriggio passò molto lentamente: Bruce Wayne era impegnato in un appassionante
tour turistico delle stanze dell’orfanotrofio, mentre frotte di bambini gli
sciamavano intorno cercando di catturare la sua attenzione, porgendogli disegni
e dolcetti. Bruce Wayne, d’altro canto, era conosciutissimo dai bambini
dell’orfanotrofio.
“Il miliardario orfano”, così veniva
chiamato dai bambini dell’istituto, che riuscivano in qualche modo a proiettare
sé stessi in quella figura che aveva del leggendario. Aveva soldi e tutto, ma
non era molto diverso da loro, era una persona nella quale potevano riconoscersi
e potevano condividere con lui una parte del peso che si portavano sulle spalle:
la consapevolezza di essere soli al mondo.
John
era da solo nella biblioteca dell’istituto, la stanza senza dubbio più bella e
meno caotica dell’edificio: era la stanza tenuta un po’ meglio, senza crepe nei
muri, anche se le luci erano piuttosto basse, cosa che costringeva chi leggeva a
trasferirsi in un’altra stanza, spesso la sala audiovisivi che era tutta
finestre.
John
era seduto con altre poche persone su una delle poltroncine della sala, immerso
come di consueto, nella lettura. Non gli interessava più di tanto correre a
“fare la corte” a Bruce Wayne, poiché la cosa gli era quasi del tutto
indifferente. Quasi del tutto: era
quella prima parola che lo impensieriva.
In
realtà John stava solo fingendo di leggere, aveva infatti lasciato la sua mente
andare a briglia sciolta e nella sua mente c’era un turbinio di sensazioni e
ricordi che aveva ricacciato da qualche parte dentro di sé e non riusciva a
spiegarsi come mai, proprio in quel giorno, avessero deciso di fargli visita
tutti assieme.
Sospirando,
John poggiò il libro che teneva davanti al naso sulle ginocchia, allungandosi
per stiracchiare le gambe: l’idea che gli frullava in testa era una in
particolare.
“Perché
l’idea di Bruce Wayne mi fa pensare
ad una persona che ho già incontrato da qualche parte? Come se fosse una vecchia
conoscenza, come se avessimo qualcosa in comune..”
Si
morse il labbro inferiore quando, involontariamente, una vocina nel suo cervello
gi bisbigliò in tono dispettoso “Senti di avere qualcosa in comune con lui
perché siete orfani
“
John
scosse la testa, come se così facendo potesse allontanare quella vocina
fastidiosa: no, non era solo il fatto che fossero entrambi orfani. O meglio,
derivava tutto da quello, ma la cosa che li legava era che entrambi avevano
perso i genitori in modo tragico, proprio davanti ai loro occhi, senza un
perché. John rivide davanti ai suoi occhi una foto di una copia del Gotham
Globe, sepolta da qualche parte a prendere polvere nella biblioteca, la foto di
un bambino spaventato. La sua espressione non era molto diversa da quella che
aveva assunto lui quando si era svegliato in ospedale e si era guardato allo
specchio. Lo stesso vuoto, la stessa dura consapevolezza di dover imparare a
crescere in fretta in un mondo spietato.
“Se potessi cancellerei tutto il male da
questa città. Vorrei poter trovare un modo per poter portare la pace, per poter
creare un luogo dove queste violenze non esistono.Vorrei poter diventare un simbolo, un
simbolo di giustizia” Era quello il pensiero che lo aveva assillato per
anni, mentre la notte, rigirandosi fra le coperte cercava di dare una forma alla
propria rabbia e al proprio sgomento. John deglutì, mentre la forza dei suoi
pensieri lo investiva come un’onda anomala, cancellando tutto il
resto.
Ma
John non ebbe il tempo di dilungarsi oltre sui suoi pensieri: sentì la porta
della biblioteca scricchiolare ed il parlottio indistinto che seguì l’apertura
gli fece intuire che delle persone erano entrate nella
biblioteca.
Non
si stupì più di tanto quando vide Bruce Wayne, tenuto a braccetto dalla bella
ragazza dai capelli rossi fare il loro ingresso, scortati da padre Shannon ed
altri due insegnanti.
“E
questa è la biblioteca. E’molto fornita, fortunatamente abbiamo molte donazioni
da parte di famiglie o di ex-occupanti di questo istituto. A volte anche la
biblioteca ci passa delle copie un po’ più fruste di alcune vecchie edizioni di
libri, che non possono più tenere..” spiegò Mattatias Shannon indicando la
biblioteca.
Bruce
Wayne annuì, osservando con aria poco colpita la biblioteca “Le copie più
fruste, eh?” disse in tono ironico, osservando un’edizione senza copertina di un
libro.
Gli
insegnanti si guardarono, con aria imbarazzata, tentando di abbozzare dei
sorrisini di circostanza, mentre la ragazza a fianco di Wayne rideva
scioccamente.
John
nel frattempo aveva lasciato il libro e si stava dirigendo verso l’uscita con
fare discreto: non voleva interrompere i signori nella loro disquisizione dei
fantastici mezzi di cui l’istituto disponeva, preferiva raggiungere Emily e
Dennis, sempre sperando che non avessero definitivamente rinunciato a
capirlo.
Proprio
mentre John stava per raggiungere la porta, Bruce Wayne si voltò verso di lui,
sentendo il rumore dei suoi passi ed
i loro sguardi si incrociarono.
La
loro occhiata durò poco più di un secondo, poi Bruce distolse lo sguardo per
continuare a seguire i discorsi di padre Shannon che voleva far vedere agli
ospiti quanto fossero ben organizzati gli scaffali della
biblioteca.
John aprì silenziosamente la porta ed uscì.
“Ma
alla fine l’avete visto questo Wayne?” chiese Dennis mentre tornava al tavolo
col piatto ricolmo di pastasciutta.
“Io
si.” Disse Emily in tono fiero, mentre si versava
dell’acqua.
“E
tu John?” chiese Dennis a bocca piena “l’hai visto?”
“Mh mh..” fece John che stava ripassando
gli esercizi di algebra. Lunedì sarebbe stato interrogato e quel giorno aveva
perso fin troppo tempo.
“Sempre
loquace tu, eh?” lo rimbrottò Emily in tono amichevole, dandogli un colpetto
leggero sul braccio, al quale John non rispose.
“Ma
non vedi che Mr.Cervellone sta studiando? Non oserai interferire con i suoi
doveri di bravo studente?” scherzò Dennis.
“John
ma non mangi niente?” chiese Emily in tono preoccupato, osservando il piatto di
John, dal quale lui aveva piluccato solo qualche pezzetto di
carne.
“Non
ho molta fame..In realtà sono un po’ preso dal problema. Se non riesco a
risolverlo per l’interrogazione di lunedì sono nei casini..” disse John
scribacchiando formule sul quaderno “anzi, credo che me ne andrò in camera. Qui
c’è troppa confusione.”
I
due amici lo guardarono, mentre per la seconda volta in una giornata si
allontanava senza quasi dare spiegazioni.
“John
è strano.:” commentò Emily. Non avrebbe mai osato confessarlo, ma aveva una
cotta per lui, cotta che sarebbe rimasta inconfessata.
Dennis
alzò le spalle “E’ solo preoccupato per l’interrogazione Em. Probabilmente
lunedì, dopo l’interrogazione arriverà a pranzo tutto felice e dirà di voler
fare un festino per celebrare l’evento. E finalmente gli faremo prendere una
sbronza come si deve!”
Emily
sorrise, cercando di convincersene, mentre finiva la sua
cena.
Nella
sua cameretta, John si scervellava per finire il problema che rifiutava di farsi
risolvere: mentre andava in camera aveva afferrato per forza dell’abitudine,
l’edizione serale del Gotham Globe dove Bruce Wayne troneggiava in prima pagina,
tutti i dettagli sulla festa della quale sarebbe stato ospite quella sera e una
menzione della sua visita all’orfanotrofio quasi alla fine
dell’articolo.
John
aveva rinunciato a scrivere le formule sul quaderno, che era tutto pasticciato e
pieno di tratti rabbiosi di penna, ma con la mano destra continuava a
scribacchiare e disegnare distrattamente.
Alla
fine, con un sospiro, si arrese: per quella sera non c’era niente da fare. Forse
il giorno dopo avrebbe avuto la mente più sveglia e disposta a risolvere quel
dannato problema. Era ora di rilassarsi e di leggere il giornale, un impegno che
si prendeva tutte le sere.
Tuttavia
, afferrando la copia del Gotham Globe rimase interdetto: per quell’ora aveva
scribacchiato distrattamente o meno su quello che aveva accanto, ma non si era
accorto di aver fatto disegnini e ghirigori anche sul giornale. Con mani
tremanti prese la copia del giornale e la distese davanti a sé, come per
sincerarsi di quello che aveva visto: sulla prima pagina era stata stampata una
foto di Bruce Wayne, ritratto frontalmente e con espressione seria, rivolta da
qualche parte nelle vicinanze del fotografo, ma la penna di Blake aveva alterato
completamente al foto, disegnando sulla faccia di Wayne qualcosa che poteva
sembrare una maschera.
La
maschera di Batman.
Bene, siamo giunti anche alla fine del settimo capitolo. Mi duole dirlo
ma la storia volge ormai al termine L
Credo che continuerà ancora per due, massimo tre capitolo (anche se
propendo per due, considerando i temi che voglio trattare). Spero di essere
riuscita a spiegare in maniera sufficientemente fattibile come John abbia capito
da un solo, semplice sguardo, che Bruce Wayne, il
miliardario spacciato per un frivolo vanesio fosse in realtà il suo idolo,
quello che, nei profondi recessi del suo animo avrebbe voluto essere,
riconoscendo nelle analogie fra la sua vita e quella di Bruce, quel “fattore X”
che avrebbe spinto uno dei due a
voler diventare un simbolo. Due destini legati, in poche
parole.
Bene, ho finito con i chiarimenti. Aspetto fiduciosa le vostre recensioni
e ci vediamo al prossimo capitolo!! Baci!
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