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Autore: Glory Of Selene    18/10/2012    1 recensioni
*Attenzione! Questa storia è basata su una da me precedentemente scritta, Il Sottile Confine tra Realtà e Illusione. Non è necessario leggere quest’ultima per capire la trama, ma è consigliato se non si vuole perdersi il colpo di scena finale della prima.*
C’è un fantasma nei sogni di Tuomas. Un fantasma di cui lui è pazzamente innamorato, un fantasma che stringe in mano il filo di ogni suo sentimento. Un fantasma che sarà lì con lui nel momento della sua morte.
Ma quali sono state le emozioni del suo fantasmino dai capelli rossi? Era veramente solo una figura inumana che si divertiva a scomparire ed apparire a piacimento? Che cosa c’era veramente dietro quel sorriso dalla sconcertante dolcezza?
…Quale sarebbe la versione della storia, se fosse Aurora a raccontarla?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tuomas Holopainen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era un coro intorno a me. E io ero felice.
Non che fosse una cosa fuori dall’ordinario; io ero sempre felice, da quando avevo memoria.
Però, quanto cantavo lo ero sul serio, e la gioia che provavo era profonda, era diversa da quella sensazione soffusa che mi si propagava intorno in ogni singolo istante della mia esistenza.
Preferivo pochissimi momenti a quelli in cui cantavo con i miei fratelli. Uno di questi, erano le mie chiacchierate con lui.
Lui era un uomo; e questo era davvero strano.
Tutti sapevamo che non avrebbe dovuto esserci un uomo lì, non lì da noi, non nel suo corpo. Eppure, era proprio un uomo: tutto in lui era materiale e terreno.
Nessuno gli aveva mai chiesto nulla a riguardo; e dire che parlava con tutti.
Forse perché i momenti in cui si stava con lui erano i più naturali, i più veri di tutta la nostra eterna esistenza. I più belli.
Io, personalmente, li adoravo.
Con lui parlavo di tutto. Parlavo del mio presente, parlavo dei miei fratelli, parlavo di quegli esserini chiamati umani che sentivo così tanto lontani, pur amandoli – ma sapevo che li amavo solo perché amare era nella mia natura.
Mi ricordo quel giorno, perché fu l’unico giorno che brillò davvero in un luogo in cui nella luce ero immersa.
Mi ricordo anche che quel giorno mi stupii, perché lui quando alzò lo sguardo aveva gli occhi lucidi, e io non l’avevo mai visto esprimere altra emozione se non quella pacifica serenità che traspariva da ogni suo gesto paziente e misurato.
«Che cosa c’è che non va?» gli chiesi.
Nessuno sapeva come chiamarlo, nessuno gliel’aveva mai domandato, forse perché non interessava a nessuno in realtà. Noi non ci chiamavamo mai per nome. Solo lui si ostinava a darcene, ed era una cosa singolare, dato che invece lui non ne aveva.
Mi aveva osservato a lungo prima di rispondere, poi aveva sorriso e si era asciugato le lacrime con una mano.
Io ero incuriosita. Nel posto dove vivevo, nessuno piangeva mai; però mi avevano detto che gli uomini lo facevano piuttosto spesso.
Esitò prima di parlare, poi si sedette, e guardò altrove mentre prendeva fiato.
«Aurora, tu… sai perché voi siete stati creati?» esordì.
Quell’unica domanda mi mise in difficoltà, perché non me l’ero mai posta prima.
Lo guardai, confusa.
Per che cosa eravamo stati creati? Che cosa avevamo mai fatto, oltre che cantare?
Sorrise, e mi osservò con tenerezza.
«Voi siete stati creati perché gli uomini avessero una guida nel buio, e perché dentro di esso si sentissero meno soli.»
Capii in un istante.
L’istante in cui un unico suono sovrastò qualunque altra cosa, fece miliardi di chilometri in un attimo, e andò a colpire il mio cuore, e il mio cuore soltanto.
Era il vagito di un bambino.
Per la prima volta, io vacillai, e la mia gioia s’arresto, soffocata dalla grandezza del mio stupore. Sbarrai gli occhi e mi portai le mani al petto, sentii le gambe cedere, e un momento dopo ero a terra, sconvolta ed ansimante.
Mi voltai di scatto verso di lui, per cercare un appiglio nella sua perenne tranquillità, ed incontrai il profondo affetto celato nei suoi occhi castani.
«Che… che cos’è?»
«Si chiama Tuomas.»
Sentii qualcosa afferrarmi lo stomaco in una morsa gelida, e quando me ne accorsi la stretta si fece più forte, perché non avevo mai provato nulla di simile. Ci misi qualche secondo prima di realizzare di avere paura.
Avrei voluto porre mille e mille domande, eppure dentro di me sapevo di conoscere una ad una le loro risposte, e sapevo che era una cosa talmente semplice da non poter essere spiegata.
C’era una parte di me, una parte indefinita, che aveva sempre saputo di essere stata creata per lui, e per lui soltanto. Per amare lui, per proteggere lui, per prenderlo per mano e condurlo attraverso il buio.
Avevo paura, perché sapevo di amarlo come non avevo mai amato nient’altro, nonostante di lui avessi sentito solo il primo vagito, ed era una paura così forte da rischiare di annientarmi, perché non potevo essere sicura di essere all’altezza di tutto quell’amore.
«Vuoi vederlo?»
La morsa si fece più stretta, ma tentai di ignorarla per quanto possibile, perché era più forte il profondo desiderio che in un attimo aveva afferrato il mio cuore. Dovevo vederlo, a tutti i costi.
«Sì, ti prego»
Lui mi prese dolcemente per mano, e ci ritrovammo a discendere lenti, mentre sentivo il cuore scoppiarmi in petto, contrapposto al gelo del mio stomaco torturato.
Non m’accorsi subito di essere arrivata, perché tutto era bianco, esattamente come il posto da cui provenivo.
Poi, però, mi accorsi che il bianco scendeva dal cielo, un cielo nero e cupo, ma che riusciva a brillare dietro ai volteggi dei candidi fiocchi di neve.
La cittadina, intorno a me, era imbiancata di un sottile strato di neve, sembrava appena uscita da un sogno, nera nella notte eppure splendente, come lo ero io in quell’istante.
Quando vidi la casa, la paura si fece più intensa, e il mio stomaco si accartocciò su sé stesso, lasciando dietro di sé un freddo senso di vuoto.
Non ero all’altezza del mio compito. Sapevo di non esserlo. Sapevo di non essere all’altezza della vita che mi aspettava oltre quelle mura.
Lui mi aveva accompagnato fin lì, ma quando ci accostammo alla finestra della camera il suo braccio scivolò giù dalla mia spalla, e io lo guardai sempre più terrorizzata mentre si allontanava lasciandomi sola con l’unica responsabilità che avessi, la più grande, quella che probabilmente mi avrebbe schiacciata.
«Ma come potrò farlo… Io… Ti prego, dammi una mano!» cercai di raggiungerlo, ma lui mi fermò con le sue braccia salde, che presto si trasformarono in un abbraccio.
Mi aggrappai a lui, gli occhi chiusi. Desideravo ardentemente vedere che cosa ci fosse oltre quella finestra, ma ne ero spaventata.
«Dovrai solo amare, Aurora. Solo amare. Nulla di più e nulla di meno di tutto ciò che hai fatto finora.» mi disse, con la sua voce calma e rassicurante.
Il suo abbraccio si interruppe proprio quando ne avevo più bisogno, e per la prima volta, un senso di disagio mi pervase l’anima, che già si stava sporcando di emozioni che non erano più quella gioia pura che avevo sempre provato fino ad allora.
Rimasi ad osservare i fiocchi scendere lievi dalla notte verso di me, mi presi anche più tempo di quanto avrei dovuto, poi decisi che ero già stata abbastanza vigliacca.
Con un respiro profondo, mi girai e mi avviai verso la finestra.
L’interno della stanza era caldo e rassicurante. Le pareti erano dipinte di un azzurro tenue, che formava un contrasto accogliente con il legno ramato del parquet, dei mobili e delle mensole, straripanti di buffi pupazzi di peluche. La culla era piccola, e traboccava baldacchini e lenzuoli bianchi e azzurri.
Di nuovo quel gemito, di nuovo quel suono che mi colpiva dritta al cuore.
Come ipnotizzata, avanzai di un passo ed entrai nella stanza.
Le mie mani si poggiarono tremanti sul bordo della culla, e con un tumulto confuso nel petto mi ritrovai ad osservare un piccolo fagotto azzurro dal quale spuntava una testina rosa e paffuta, che ricambiava il mio sguardo con un paio di occhioni spalancati e consapevoli.
Consapevoli.
Tra le tante cose, quella che mi stupì di più fu la profonda consapevolezza che trovai negli occhi di quel bambino appena nato. Quei suoi occhi vivi e intelligenti, del colore grigio blu di un mare in tempesta.
L’amore mi scoppiò nell’anima, spazzando via paura ed incertezza, era qualcosa di incontrollabile, era qualcosa di diverso rispetto a tutto ciò che avevo provato sino ad allora, e allora capii che non avevo mai amato fino in fondo.
«…Tuomas.» riuscì a dire la mia voce, flebile. Ora, il suo nome aveva assunto un significato dolcissimo.
Il bimbo sorrise, ed emise un verso molto simile ad una risata soddisfatta, prima di protendere le braccine paffute verso di me in una richiesta che nessuno avrebbe avuto cuore di rifiutare.
Sorrisi anch’io, di riflesso, avvolsi quella piccola meraviglia tra le mie braccia e cominciai a cullarla piano piano.
Era un bambino così piccolo…
«Tuomas.» ripetei, in un sussurro. «Sì, è proprio un bel nome.»
Rimasi a guardarlo mentre lentamente si assopiva tra le mie braccia, la testolina da cui cominciavano già a spuntare i primi capelli fulvi reclinata contro il mio petto.
«Lo sai, Tuomas? Adesso non dovrai più preoccuparti di nulla.» aggiunsi. La mia voce era poco più di un mormorio sommesso. «Adesso ci sono io a proteggerti.»





Ciò che dice l’Autore
Questa volta ho purtroppo un sacco di cose da dire, che vorrei ardentemente non dovessero essere dette.
Dopo settimane e settimane di arrovellamento disperato su una long che ho ancora in corso in questo fandom, ho capito – dopo aver stressato varie persone che ringrazio per non aver ceduto alla tentazione di darmi fuoco con una fiamma ossidrica – che il problema non era l’ispirazione, ma la storia.
Insomma, l’allontanamento di Anette mi ha colpita come un fulmine a ciel sereno e mi ha lasciata a dir poco scioccata. Ho cercato di rimettermi in carreggiata, e portare avanti una storia di fratellanza ormai irrimediabilmente danneggiate, ma le acque – almeno per me – sono ancora troppo agitate perché possano essere ignorate.
Ho deciso così di staccare un po’, in attesa di riacquistare la serenità necessaria per portare a compimento la mia long, e vissero tutti felici e contenti ^^.
Che dire di questa storia? L’ho scelta perché mi sta molto a cuore, perché è calda e romantica come piacciono a me. Aspettavo da tanto di scriverla e pubblicarla, perché i sentimenti di Aurora sono sempre stati parte di me e mi sarebbe dispiaciuto non renderli protagonisti come invece avrebbero meritato. Spero che questo primo capitolo piaccia anche a voi!
Un bacio grande :D Glory






  
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