Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Nana Kudo    19/10/2012    9 recensioni
Un sogno. È cominciato tutto così: come un sogno.
Ma poi qualcosa è cambiata, gli ingranaggi di quel orologio chiamato destino hanno deciso di andare avanti a muoversi lo stesso senza prendere minimamente in considerazione l'idea di ritornare indietro all'ora esatta. No. Hanno deciso di non farlo.
Ed ora l'unica cosa che posso fare io invece, per far sì che quel filo rosso che mi lega ancora a tutto ciò che non voglio assolutamente perdere, Ran, e ciò che ancora voglio ottenere, non si spezzi, è cercare in tutti i modi un raggio di luce in questo buio che vuole sembrare perenne, cercare in tutti i modi i Corvi e riuscire finalmente a liberare il cielo dalle loro piume scure e tetre.
-----------------------------------------------------------------------------------------
OAV 9. The stranger of ten years afters.
Abbiamo creduto tutti che fosse solo un sogno. Ma in realtà ci sbagliavamo.
Perché? Per saperlo non vi rimane altro che leggere.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kogoro Mori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                             Capitolo dieci
                                         La seconda condizione (Terza parte)
           ---------------------------------------------------------------------------------

 
 
 


…“Ciao… Ran”….
 
La saluto, dolcemente, come in vita mia non ho mai fatto. Mentre lei, ancora a bocca aperta, dilata le sue dolci e chiare pupille, shockata, lasciando che una piccola e amara lacrima solitaria le righi il perfetto e pallido viso; per poi, sorridermi, dolcemente, privando i lampadari appesi nel corridoio della loro luce, e rubando anche al sottoscritto un sorriso.
Il tempo intorno a noi sembra essersi fermato, dandoci la possibilità di vivere questi piccoli istanti al meglio; dandoci la possibilità di stare insieme più tempo possibile, estraniandoci dal mondo intero e pensare solo a noi. A Ran e a Shinichi.
Ma il tempo non può fermarsi, è in movimento costante. Non lo si può fermare, cambiare o modificare a nostro piacimento, né lo si può riavvolgere come il nastro nero di una pellicola, né lo si può mandare avanti e saltare quegli attimi che, del film che stiamo guardando, non ci piacciono. O almeno, così dicono.
Sì, dicono, perché ormai ho imparato –a mie spese- che a questo mondo nulla è impossibile. Nulla.
C’è chi crede che non si possa regredire, ma io, sono la prova del contrario.
C’è chi dice che non esistono farmaci o tossine miracolose che possono modificare a proprio piacimento il tuo aspetto, la tua età, la tua vita… ma io, posso provarne il contrario.
C’è chi ascoltando la mia storia, potrebbe ridere e rispondermi che tutto questo è irreale, che cose del genere succedono solo nei film, nelle serie tv, in televisione, in sintesi; quando in realtà, è tutto vero; io ho davvero rinunciato a tutto, alla mia vita, mutandola in odio e dolore, fino a renderla monotona, fino a capire che la vera felicità è il suo sorriso, la sua risata, la sua felicità… sapere che la donna che amo sta bene.
 Ma poi, c’è anche chi crede che la vita sia ingiusta, che il destino molto spesso sa essere infame, che nulla nella vita è mai come la vogliamo ma che comunque dobbiamo cercare di combattere, di ottenere ciò che vogliamo, di realizzare i nostri sogni, e di non soccombere di fronte alle difficoltà. Ed io, sono tra questi, in parte.
Io, credo che anche il grigio può colorarsi d’arcobaleno; come il buio può illuminarsi con la luce; come il nero può schiarirsi con il bianco… come io posso addolcirmi di fronte ai suoi occhi.
E come il mio cervello può andare in tilt soltanto guardandola. Come il mio cuore può pompare il sangue nelle mie vene più velocemente facendomi automaticamente surriscaldare ad un suo contatto.
Contatto…
Senza nemmeno rendermene conto, le mie gambe si avviano da sole verso di lei, verso la mia Ran, verso un contatto, verso la vita.
Sì, so che tutto ciò che sto facendo è sbagliato, ma se ormai mi ha visto, che senso ha nascondersi ancora?
Che senso ha continuare a farsi trasportare da questo vortice di menzogne, dolore e tristezza quando ho la possibilità di uscita?
Che senso ha torturarsi e farsi trasportare dai sensi di colpa e il dovere quando di fronte a te c’è tutto ciò che hai sempre desiderato, sognato e bramato? Nessuno, appunto.
Sono a poco più di due metri distante da lei, dalla mia felicità, quando l’atmosfera viene spezzata dal loro arrivo, il momento viene rovinato dalle loro urla e nell’aria, quel silenzio riempito dai nostri soli pensieri, si dilata.  Mi volto, e nel farlo, non posso che sbuffare: arriverà mai il nostro momento senza avere interruzioni?
“KUDOOO!” l’urlo di un uomo robusto, dai folti baffi, giubbotto e cappello di tonalità tra arancione e giallo, che dal corridoio alle mie spalle mi viene incontro con una mano alzata e due agenti dietro.
Sbuffo. Di nuovo.
Avrei preferito non essere interrotto. Ma mi volto lo stesso e vado a salutare l’individuo che si avvicina sempre di più a me con un leggero movimento della mano, è un finto sorriso stampato sul volto.
“Megure!” urlo, fingendomi felice di averlo rivisto dopo tempi immemori, quando in realtà, l’ho visto appena settimana scorsa nei panni di Conan durante un caso.
Ma lui non sembra nemmeno captare il mio quasi tono scocciato e, in pochi secondi, mi ritrovo vittima di un abbraccio collettivo, di un ispettore che mi scompiglia i capelli e di un sopracciglio inarcato a coronare la mia fronte.
Semplicemente perfetta, come situazione. Imbarazzante e straziante al tempo stesso.
“Quanto tempo! Sono passati cinque anni dall’ultima volta che ti sei fatto vedere! Che fine avevi fatto?!” Continua a ripetermi l’ispettore, senza mai togliere la mano dalla mia testa, dai miei capelli; mentre gli altri poliziotti sciolgono l’abbraccio.
Mi guardo un po’ attorno intontito e spaesato dalle molteplici domande ed esclamazioni di tutti gli agenti che riempiono questi pochi metri quadrati del corridoio mi pongono. Alcuni li riconosco pure. Ci sono Sato e Takagi di fronte a me, mano nella mano, felicemente sposati, mentre lui continua ad arrossire ogni volta che la moglie lo sfiora soltanto. Chiba qui alla mia destra, con la pancia grande quanto sette giorni fa e un sorriso a trentasei carati stampato sulle labbra. Poi alla mia sinistra agenti che non ho mai visto in vita mia, e più in fondo, posso riconoscere Shiratori, Yamato, Uehara e Yamamura che corre verso di noi e perde l’equilibrio, cadendo miserabilmente a terra, tanto per cambiare.
Tutti intorno a me scoppiano in una fragorosa risata, per poi tornare ad assalirmi di domande, di cui molte non le ho nemmeno capite, visto che parlano uno sopra l’altro e sembra stiano facendo a gara per chi urla più forte.
È una tortura. Sul serio. Soprattutto perché a me, sinceramente, i loro pensieri non interessano, gli unici ad avere questo privilegio sono i suoi, sono i nostri.
Repentinamente, volto il capo per guardare negli occhi la donna che poco fa stavo andando a raggiungere e che è sempre presente in ogni mio sogno, in ogni mia fantasia, e le sorrido amaramente, dispiaciuto, come se stessi andando a chiederle scusa per l’interruzione degli agenti; e lei il motivo della mia espressione l’ha captato subito, a quanto pare, perché con leggero movimento del capo mi fa intendere un “non fa niente”, e poi sorride, contagiando anche me.
Sì, quando sorride, è bellissima. Quando le sue labbra prendono ad incurvare gli angoli all’insù, ha la capacità di mutare una pessima giornata in quella più bella della mia vita.
Ha la capacità di farmi sciogliere come un gelato al sole.
“Continuiamo dopo” le dico, muovendo semplicemente le labbra senza emanare alcun suono.
“Ok” mi risponde, nel mio stesso modo, senza mai smettere di sorridere e permettere, a turno, che una lacrima le solchi il viso, mentre con il dorso della mano, cerca continuamente di asciugarle.
La guardo per qualche secondo ancora, per poi tornare a donare tutta la mia attenzione agli agenti, detective e poliziotti attorno a me. Uno in particolare però, se la prende tutta per sé.
Pelle olivastra, occhi color smeraldo che, come una furia, si avvicina sempre di più al sottoscritto, con uno sguardo che non promette niente di buono e le mani serrate in pugni: Hattori.
Mi osserva un po’ spaesato, sicuramente non si sarebbe mai immaginato che sta sera avrebbe visto Kudo Shinichi e non il piccolo Conan; per poi guardarmi in faccia e sbuffare.
“Potevi dirmelo, no?” mormora, con sguardo scocciato e con il suo tipico accento del Kansai. Sì, forse almeno a lui avrei potuto dirlo; in fondo, è il mio migliore amico.
Per tutta risposta, mi limito a ridere nervosamente, allungando un braccio dietro la testa, come sono solito a fare.
Lo vedo sospirare, rassegnato, ma lo stesso con un’espressione scocciata dipinta sul suo volto; per poi avvicinarsi al mio orecchio e coprirlo con una mano.
“Dopo, quando loro non ci sono” mi bisbiglia, andando poi ad indicare con il capo tutti gli agenti intorno a noi, Ran e Kazuha. “voglio delle spiegazioni, chiaro?”
Con uno sguardo ormai più serio che seccato, si scansa un po’ dal mio orecchio in modo da guardarmi in faccia mentre gli rispondo, ed io, mi limito ad annuire, assumendo la sua stessa espressione, per poi tornare entrambi a far parte della specie di ritrovo o bentornato che la polizia mi sta dedicando.
E alla vista tutto ciò, nonostante esteticamente ho incurvato le labbra in una smorfia annoiata, non posso che sentirmi felice. Ho di nuovo tutto; anzi, forse tutto sta ritornando come prima, a prescindere dai dieci anni che sono passati; a prescindere dai cinque anni in cui non mi sono più fatto sentire né vedere; loro mi ricordano ancora.
Sorrido.
Sì, bentornato a casa, Shinichi.
 
                                                                                              ***
 
“Fujio Yamamoto, ventotto anni” annuncia l’agente Takagi, davanti al cadavere in mezzo al corridoio, con un piccolo taccuino tra le mani.
“Causa della morte?” gli chiede Megure, mentre intorno a sé alcuni poliziotti della scientifica scattano delle foto al cadavere, e cercano più indizi possibili che ci possano portare magari alla soluzione del caso.
“Sparo” rispondo io al posto dell’agente; piegato accanto al corpo esanime della vittima, con dei guanti in lattice aderenti alle mie mani e lo sguardo rivolto verso la piccola cavità nella parte alta e sinistra del suo petto; ed Hattori di fronte che annuisce alla mia affermazione. “Deve essere morto da poco, poiché il sangue fuoriuscente dal suo petto e ancora liquido e caldo, deduco”
“Mm” si limita a sibilare l’ispettore, per poi voltare lo sguardo verso i tre sospettati: Chita Yamada, ventinove anni, amica della vittima ed aspirante scrittrice; Haruki Ayashi, ventotto anni, il suo migliore amico nonché collega di lavoro; infine Maki Maeda, ventisette anni, ex fidanzata e truccatrice esperta. Tutti e tre, compresa la vittima, sono di Tottori, venuti a Tokyo per una gita tra amici e alberganti in questo stesso hotel per una settimana ancora. “Chi di voi l’ha trovato per primo e ha urlato?” domanda poi, con sguardo serio, rivolgendosi ai tre. Si scambiano sguardi preoccupati e terrorizzati, come se avessero paura di rispondere e di dire la verità; ma poi, una di loro, Yamada, si volta finalmente verso di noi e alza l’indice mormorando un quasi incomprensibile “io”.
Il più anziano –Megure-, mi rivolge uno sguardo come per cercare conferma dal sottoscritto, il primo tra di noi ad aver raggiunto il luogo del delitto; ed io, annuisco.
“Sì e vero” aggiungo, alzandomi e avvicinandomi a loro. “Quando sono arrivato qui c’era lei di fronte al cadavere che urlava, gli altri sono appena arrivati” rispondo, ripescando intanto gli eventi dalla cronologia della mia mente.
Ricordo che stavo controllando i corridoi e avendo sentito un urlo provenire da uno parallelo al mio mi sono precipitato sul posto per vedere cosa fosse successo. Arrivato, la prima cosa o persona che ho visto è stato il cadavere steso al pavimento di Yamamoto; accanto a lui invece, in piedi e con un’aria terrorizzata dipinta sul suo volto, c’era Yamada, solo Yamada. Gli altri sono arrivati durante i festeggiamenti della polizia per il mio ritorno e, una volta ricordatoci del cadavere, ci siamo ricomposti tutti quanti e abbiamo cominciato ad indagare.
Sposto il mio sguardo da un viso all’altro. Sono sicuro che il colpevole sia uno di loro tre, ma chi di preciso non ci sono ancora arrivato.
Entrambi avrebbero un motivo valido per uccidere Yamamoto: Maeda, essendo la sua ex, potrebbe averlo ucciso per vendetta, visto che da quel che ho capito, è stato lui a lasciarla; Ayashi invece, essendo colleghi di lavoro, potrebbe essere che uno dei due è stato declassato e l’altro ha preso il suo posto, andando così a crearsi dell’astio tra loro; oppure Yamada, potrebbe averlo ucciso lei magari perché rifiutata o magari per altro.
Con le dita vado a strofinarmi il mento, mentre comincio a far lavorare i meccanismi del mio cervello continuando ad ipotizzare teorie sulla morte della vittima.
Non abbiamo molti indizi purtroppo, ed è proprio per questo che il caso m’intriga, mi emoziona, mi appassiona. Perché in fondo, si sa, il bello delle investigazioni e dei casi è proprio questo.
Perché si sa, i fili scarlatti del delitto si aggrovigliano nella matassa incolore della vita, ed è nostro dovere dipanarli, isolarli e scoprirli ad uno ad uno.
A questo pensiero, decido così di allontanarmi un attimo e tornare al mio posto: vicino al cadavere.
Vedo Hattori ancora intento a cercare qualcosa tra gli abiti o le tasche della vittima, e mi piego accanto a lui per poter vedere se ha scoperto qualcosa, magari.
“Allora? Scoperto qualcosa di nuovo?” gli chiedo, mentre lui, con le mani coperte da guanti in lattice bianchi, va a curiosare tra le tasche della giacca indossate dal cadavere.
“No, niente purtroppo” mi risponde dopo qualche secondo, con tono amareggiato e deluso, andando poi a scrutare per l’ennesima volta il corpo della vittima centimetro per centimetro, e a ricontrollare il piccolo foro con un proiettile conficcatoci dentro.
Fortuna che Ran e Kazuha hanno ascoltato il nostro consiglio e sono tornate alla festa, non credo ce l’avrebbero fatta a rimanere lucide o non perdere i sensi di fronte ad una visione del genere.
Già, Ran…
Sorrido al solo pensiero che dopo potrò essere finalmente con lei, da soli, come Shinichi, e potrò finalmente parlarle, consolarla o anche solo sfiorarla come Shinichi.
Ma poi mi ricordo delle circostanze in cui mi trovo e che non è il momento più idoneo a certi pensieri, e così torno ad investigare insieme al mio amico e a cercare qualche indizio sulla vittima stessa.
Sembra normale, se togliamo il proiettile nel petto. Non ha segni di aggressione, il suo corpo ha cominciato ad irrigidirsi da poco, dato che quando l’avevo visto all’inizio –più o meno mezz’ora o quarantacinque minuti fa- era ancora caldo, o almeno, tiepido, per così dire.
Provo a spostare la mano in più posti, magari per trovare qualche anomalia bisogna ricorrere al semplice tatto; e nel farlo, noto un piccolissimo e quasi invisibile foro sul dorso della mano sinistra. Lo guardo meglio: sembra esser stato fatto ore fa.
“Kudo, trovato qualcosa?” mi chiede Hattori, con il suo solito accento marcato, notando il mio sguardo serio mentre alzo di più il braccio del cadavere per poterlo osservare più accuratamente, e notarne anche l’insolito odore di menta proprio in quella zona.
“C’è un foro”
“Che?”
“Un foro, un foro! Sul polso, qui” rispondo, facendo ruotare di poco il punto interessato in modo da fargli comprendere il concetto, per poi sbuffare e tornare ad osservarlo da me.
“Che centra un foro adesso? Potrebbe esserselo fatto per sbaglio, magari con una spilla o-”
“Un ago…” sussurro, sotto lo sguardo ancora più spaesato di prima di Hattori.
Automaticamente, provo a ricordare la posizione iniziale del cadavere, prima che gli agenti e il detective accanto a me lo toccassero, e sì, le braccia non erano dritte e parallele, attaccate al corpo, ma intorno alla gola.
Il foro sul braccio e l’appena notabile odore di menta mi fanno pensare che gli sia stata somministrata una dose di tetrodotossina, minima, però. 
Provo a toccare quella piccola imperfezione sulla sua pelle e sembra già sul procinto di ricongiungersi e richiudersi; simbolo che è stato applicato un paio di ore fa.
Ed ecco che una nuova ipotesi, più credibile delle altre, inizia ad espandersi nei miei neuroni, impossessandosi del mio cervello e dominando sugli altri pensieri.
Mi alzo di scatto, avvicinandomi di nuovo agli agenti, Megure e i tre sospettati, di cui uno o meglio, una, sta litigando proprio con loro.
“Vi ho detto che non sono io la colpevole!” sbraita, con gli occhi colmi di lacrime.
“E allora che ci facevi accanto al cadavere a quell’ora e in quel corridoio?” insiste l’ispettore, mentre l’altra continua a piangere e a cercare di far cessare qualsiasi sospetto da se stessa.
“Avevamo un appuntamento per quell’ora.. ero semplicemente andata da lui come prestabilito..”
“Quindi non era con voi?” m’intrometto, comprandomi l’attenzione di chiunque si trovasse in quei pochi metri quadrati.
“No. L’ultima volta che l’abbiamo visto era questo pomeriggio, a pranzo” mi risponde, mentre l’amica si avvicina a lei e cerca di calmarla in qualche modo, rassicurandola con parole dolci e passandole un fazzoletto con cui potersi asciugare le lacrime.
Li guardo un po’ spaesato, in cerca di spiegazioni, e così mi risponde Maeda, lasciando un attimo l’amica e cercando di elencare gli eventi delle ore precedenti nell’ordine di cronologia esatta.
“Sì, stavamo pranzando quando ad un certo punto una donna sulla trentina non si è avvicinata a noi e se ne sono andati”
“Una donna sulla trentina?” domando, incerto e confuso. La donna si limita ad annuire.
“Dovevano discutere su qualcosa d’importante, credo. Ma prima di andare via ha detto di ritrovarci tutti qui durante la festa per i poliziotti, ecco perché avete trovato qui Chita-chan, appena arrivati” mi risponde, con tutta calma, per poi tornare a consolare l’amica.
Una trentenne.. che si sarebbero dovuti dire quei due? Perché tutte queste ore?
“Ehm.. sa per caso che dovevano dirsi o il nome di quella donna?” le chiedo, di nuovo, mentre la vedo alzare lo sguardo, cercando di ripescare qualcosa dalla sua mente, per poi battere un pugno sulla mano soddisfatta dopo qualche secondo.
“Di cosa dovevano parlare non lo so, però la chiamata con il nome di un liquore italiano, non ricordo bene il nome del liquore stesso ma credo fosse italiano” mi confida, sorridendo ingenuamente.
Spalanco gli occhi, permettendo anche alle mie pupille di dilatarsi e al terrore d’infondersi nuovamente nel mio corpo, colorandolo di grigio, di nero.
È lei, ne sono certo.
Tutto intorno a me cambia, inizia a girare, inizia a sfumarsi, rendendomi la vista assai debole, impossibilitandomi da qualsiasi pensiero o emozione che non sia il terrore.
Aveva ragione, c’era davvero qualcosa di strano a questa festa, ed ora i tasselli del puzzle stanno infatti cominciando a ricongiungersi ad uno ad uno, come fossero calamite, andando ad oscurare pian piano il sole che sovrano veglia e risplende su di noi, andando ad irrigidire e privare di vita tutti quei piccoli particolari che colorano il mondo. Andando a spegnere quella flebile e debole fiamma che teneva ancora acceso il mio animo.*
 
                                                                                           ***
 
Dannato. Maledetto. Incosciente. Sfortunato. Illuso.
Solo a me possono succedere cose del genere.
Solo io so essere tanto sciocco da farmi illudere dal destino, da lasciargli tutta la mia vita tra le mani con un sorriso da ebete stampato in faccia e lasciarmi abbindolare dai miei stupidi pensieri come un emerite cretino.
Io, io solo.
Appoggio i miei gomiti alla parete color arancione pallido, andandomi intanto ad auto maledirmi mentalmente.  Di nuovo.
“Stupido..” impreco verso me stesso, a bassa voce.
Se lei è qui, vuol dire che assieme ci sono anche tutti gli altri, tutti i corvi.
No, non è lei a farmi paura, io sono silver bullet, Ran è la sua Angel, non ci farebbe mai niente; ma gli altri invece, loro sì che sono pericolosi, loro sì che possono riconoscere me e Ran, soprattutto dopo l’episodio del Beika Center Building **. Anche se, che mi vedano come Shinichi o come Conan, il sottoscritto è lo stesso ricercato da quei criminali; uno perché è il sopravvissuto alla loro tossina, l’altro perché, seppur per errore, stava per essere ucciso proprio da Gin, e si sa, pur di tapparti la bocca, i criminali ricorrono a questo: omicidio.
Perché in fondo, loro sono esseri immuni a qualsiasi tipo di sentimento, sono sadici, amanti del dolore, egoisti, senza nemmeno un briciolo di buon senso o di compassione verso le loro vittime.
Esseri privi di anima, si potrebbero definire; o dal cuore di ghiaccio, volendo.
Sbatto un pugno sulla parete, di nuovo.
Avrei dovuto ascoltarla, sin dall’inizio. Ora sono in pericolo tutti, se solo uno di loro mi ha sorpreso con qualcuno, quel qualcuno potrebbe essere la loro prossima preda, potrebbe essere la prossima formica da schiacciare facilmente con una scarpa, potrebbe essere la povera gazzella preda del maestoso leone… e così via con metafore e contrari naturali e normalissimi del nostro mondo.
Continuo a maledirmi mentalmente, fino a quando qualcosa di caldo e familiare non si appoggia sulla mia spalla.
Al tocco, sussulto, per poi voltarmi di scatto in modo da poter scorgere la provenienza di quel calore, di quel piccolo raggio di luce che riesce comunque a penetrare nel solido e gelido cubetto di ghiaccio.
“Ah, sei tu..” sospiro, intravedendo la figura di Hattori con un sorriso dolce ed insolito da parte sua, a colorargli il viso.
“Sì, sono io. Perché, chi ti aspettavi? Ran per caso?” ironizza, provando ad allietare la tensione che io stesso ho creato. Sbuffo. Hattori e le sue battute cretine. Ma decido lo stesso di voltarmi verso di lui, appena azzarda un’espressione preoccupata e ansiosa, accasciandomi con la schiena alla stessa parete che poco fa si è sorbita il mio sfogo. Beh, a quanto pare un po’ tutte le pareti, ultimamente, se lo subiscono, comunque.
“Sempre meglio di te” improvviso, cercando di mutare la nostra ansia in ironia, vera.
“Kudo… che sta succedendo?” mi chiede, senza nemmeno abbozzare un sorriso alla mia quasi battuta, in cerca di risposta dal sottoscritto.
Sospiro. Per poi incrociare le braccia al petto e spiegargli almeno perché me ne sono andato via, così, da quel corridoio sotto gli sguardi stupiti di tutti.
“Non possiamo svelare il nome del colpevole” mi limito a rispondergli, rimanendo sul vago. Perché in fondo, so che lui l’ha capito che dietro tutta questa storia ci sono loro, si capisce dalla sua espressione. “Heh.. aveva ragione Haibara, a quanto pare” aggiungo dopo, con una punta di amarezza nelle mie parole.
“Haibara? Che centra lei con tutto questo? Perché aveva ragione? Kudo, mi spieghi che sta succedendo per una buona volta?” mi domanda a raffica, dandomi il tempo di rispondergli solo dopo aver finito le sue molteplici domande.
Gli rivolgo uno sguardo che sa un po’ di tutto, di tristezza, rassegnazione, speranza, vuoto, e chi più ne ha più ne metta. Sì, ha ragione, me ne rendo conto, anzi, lo so e l'ho sempre saputo: dovrei parlargli di più, confidargli di più, perché in fondo, è il mio migliore amico, e gli amici servono a questo, no?
“Il dottor Agasa ha ritirato due giorni fa l’invito a questa festa e Haibara, venendo a sapere di una festa per i poliziotti, così, senza un motivo ben preciso, ha iniziato ad insospettirsi” inizio a spiegargli, mentre intorno a noi regna il silenzio totale, rotto di tanto in tanto solo da qualche risata proveniente dalla festa che si svolge in vicinanza. “Mi ha chiesto così di accompagnarla e di controllare che non ci fosseroloro dietro tutta questa storia, almeno per tranquillizzarsi; ma a quanto pare, loro centrano qualcosa purtroppo” termino, lasciandomi sfuggire un sorriso amaro.
Siamo tutti in pericolo, per colpa mia, di nuovo.
Se avessi ascoltato le parole di Haibara forse almeno Ran non lo sarebbe. Forse non sarei dovuto andare al Beika Center Building con lei, non avrei dovuto assecondare le condizioni di un pazzo, e poi non rispettare quelle della mia migliore amica.
Mi aveva semplicemente chiesto di non espormi troppo almeno fino a quando non avessimo avuto prove concrete che l’organizzazione centrava qualcosa con questa festa, ed io, invece, grazie ad un caso, mi sono fatto vedere da mezza Tokyo, fingendo di dover andare un attimo a vedere una cosa e lasciarla da sola in un edificio pieno di uomini che la vogliono morta.
Che idiota che sono.
Ma tutto sommato,a pensarci bene, se non avessi fatto tutto ciò non sarei io.
Se avessi rispettato la seconda condizione datami da quella ragazza –ormai donna-, non sarei stato io.
Se non fossi andato al Beika Center Building, con Ran o meno, non sarei stato io.
E infondo, non avrei vissuto tutto questo, non avrei ritrovato un piccolo raggio di luce a risplendere nell’oscurità che si era iniziata ad infittire all’interno del mio cuore, del mio cervello, dei miei organi e di ogni mia piccola e singola cellula.
No, non sarebbe stato da me, punto.
I miei pensieri però, vengono nuovamente destati dalla stessa persona di prima, Hattori, che mi obbliga così ad abbandonare questo mio momento di riflessione e tornare a seguire lui.
“Kudo, non ho capito bene, se loro sono qui, tu allora perché sei venuto alla festa come Kudo Shinichi?”
“Haibara aveva trovato un antidoto contro l’APTOX e così, ha voluto darmelo lo stesso, a patto che io non mi sporgessi troppo durante le nostre ricerche sta sera, ma per colpa di un caso a cui non so neanche che chiusura possiamo dargli, ho rovinato tutti i suoi piani”
“Giusto, a proposito del caso” prende parola, cambiando leggermente il tono di voce mutandolo in uno più calmo e sicuro di prima. “Il liquore italiano sarebbe il Vermouth, non è così?” mi chiede, azzardando un sorriso soddisfatto.
Sono sul procinto di rispondergli, quando qualcosa, o meglio, qualcuno, m’impossibilita dal farlo.
“Shinichi” mi chiama, con quella voce che riconoscerei tra mille, con quel suo solito sorriso disegnato divinamente sul suo viso. “Posso parlarti?” mi chiede, ricordandomi così ciò che le avevo detto poco prima.
La guardo, acconsentendo, ma poi guardo anche Hattori, il mio migliore amico, e gli rivolgo un sorriso dispiaciuto ma che sa al contempo di “Lasciaci soli”.
Lui ci guarda torvo, sì, purtroppo detesta essere interrotto e poi cacciato pure via; per poi accasciare pure lui la schiena a un muro lì vicino e guardarci con un ghigno divertito –o meglio definito come “sguardo da deficiente”- e buttare giù le prime cavolate che gli sono passate per la mente nel lasso di pochi secondi, ovvero, quelli da lui impiegati per fare questo semplice movimento.
“Andarmene? No, non ci penso proprio. Se avete qualcosa da dirvi, ditevelo davanti al sottoscritto, o avete qualcosa da nascondere per caso?” azzarda, mentre entrambi –io e Ran- lo guardiamo prima con stupore dalla cavolata appena detta, poi dopo, di sottecchi. Tsè, se qualcuno facesse una cosa del genere quando lui è con Toyama, apriti cielo, io con Ran.. avete qualcosa da nascondere per caso?... a volte mi chiedo se lui è davvero il mio migliore amico, o se la notte non dorme proprio perché la passa a pensare alle cavolate che il giorno dopo andrà a dire alla gente.
“Niente da dirvi? Bene, allora Ran grazie ma io e Kudo stavamo facendo un discorso in privato, a dopo” aggiunge dopo qualche minuto di silenzio, per poi beccarsi occhiataccie truci, torve.. sì, è proprio un cretino, e ora ne ho la conferma.
Ma poi, l’atmosfera viene magicamente spezzata da una donna dai capelli lunghi e corvini, che come una furia si scaraventa contro il povero –si fa per dire- Hattori.
“BAKA! Che vuoi che vogliano fare due persone che non si vedono da cinque anni? Giocare a sudoku?! BAKA!” gli urla contro, senza lasciargli nemmeno il tempo di replicare che prendendolo da un orecchio se lo trascina via, ignorando completamente le lamentele del suo futuro sposo, per poi bloccarsi accanto a Ran e mormorarle qualcosa all’orecchio, facendola arrossire visibilmente, e lasciare infine il corridoio affiancata dal detective dell’ovest.
Io e Ran, tornata di un colore più sul rosa che rosso, ci scambiamo uno sguardo scioccato e spaesato allo stesso tempo, per poi scoppiare entrambi a ridere.
Sì, quei due sembrano proprio una coppia di comici, neppure a ventisette anni sono cambiati, e non credo cambieranno mai, comunque.
Passiamo ancora qualche secondo tra le risate, per poi zittirci di colpo una volta incrociati i nostri sguardi, una volta che i nostri occhi si rivedano riflessi in quelli dell’altro, una volta che –senza nemmeno accorgermene- mi sono ritrovato ad una minima distanza da lei.
Entrambi, lasciamo che i nostri visi prendano inizialmente una sfumatura paonazza, rossa, per poi abbandonarci ad un sorriso dolce e reciproco. E poi, il silenzio.
Un silenzio che può apparire assoluto quando in realtà ci stiamo dicendo tutto. Perché noi due, in fondo, non abbiamo bisogno di parole per capirci. Non abbiamo bisogno di parlare per parlarci. Non abbiamo bisogno di fiatare per sentirci. Non abbiamo bisogno di niente, se non di noi due. E se qualcuno mi chiedesse come una cosa del genere possa essere possibile, io non riuscirei neanche a rispondere. Perché in fondo, non è facile esprimere l’inesprimibile. Lo dice sempre anche lui, te lo dico sempre anch’io.
Ma questo silenzio, però, potrebbe benissimo esser risparmiato per questa volta, e farsi riciclare quando davvero ne abbiamo bisogno. Non ora, non oggi, ma magari domani potrebbe servirci.
Continuo a guardarla, dritto nei suoi bellissimi occhi azzuro-lilla, per poi mormorarle quelle tre semplici parole che sicuramente vorrebbe sentire da me, in questo momento, dopo più di cinque anni d’assenza e tre in cui non mi sono fatto nemmeno sentire.
“Mi sei mancata”
Mi guarda prima perplessa, come se non riuscisse a trovare le parole adatte per rispondermi, ma dopo questo piccolo attimo di smarrimento, inizio ad intravedere una certa lucidità ricoprire le sue dolci iridi chiare, ed una piccola goccia cristallina andare a rigarle il volto, seguita poi da altre, che man mano formano un pianto dove però ad ogni lacrima l’amarezza cala, e la gioia cresce.
Ed io, colpito da questa visione, decido di dare vita a quel contatto tanto bramato, andando a cingerla in un abbraccio con cui coprirla dal male e proteggerla dal dolore… uno scudo, in pratica.
Si lascia andare a qualche lacrima ancora, per poi cominciare a contribuire al mio abbraccio e circondarmi con le sue esili braccia, affondando il capo nel mio petto, ed inebriandomi del suo profumo.
Fa passare ancora qualche minuto, per poi cessare del tutto il suo pianto o i singhiozzi, e rispondere a ciò che poco fa le ho confidato, nonostante la mia non fosse una domanda ma un’affermazione.
“Mi sei mancato anche tu” sussurra piano, chiudendo gli occhi nel momento in cui io comincio ad accarezzarle i capelli, per poi aggiungere altro: “Mi hai fatto preoccupare non chiamandomi più, lo sai sì?”
Assottiglio gli occhi, appoggiando il mento sul suo capo. A questa domanda potrei rispondere anche appena uscito da un coma; nessuno meglio di me può sapere che ha patito in questi ultimi anni per via delle mie chiamate che ormai non arrivavano più, per via di un ragazzo che l’ha lasciata per andare a risolvere casi in giro per il Giappone, per via di ogni cadavere che ultimamente inaugurava ogni sua giornata.
Sì, la risposta a questa domanda la so, e non posso che rivelargliela; perché almeno in questo, voglio che lei sappia la verità.
“Sì lo so, e non sai quanto mi fa male ricordarlo”
 
Rimaniamo così per qualche minuto.
Io inebriato dal suo profumo; e lei, con gli occhi ancora chiusi, che si lascia coccolare dalle mie carezze come fosse un cucciolo smarrito in cerca di un po’ d’affetto.
Solo grazie a lei, sono riuscito a dimenticare tutto ciò che ho combinato in queste ultime quarantasei ore; solo grazie a lei, sono riuscito finalmente a rivivere e potermi permettere di toccarla come Shinichi, senza il bisogno di dovermi nascondere o di preoccuparmi che una bottiglia di vetro vuota mi si spacchi in testa… o almeno, la seconda potrebbe andare nella categoria dei forse, nel caso esistesse, perché con oji-san, non si sa mai.
La sento stringersi sempre più a me minuto per minuto, come se avesse paura che io la lasciassi di nuovo sola, come se stesse cercando una prova che le dimostrasse che tutto ciò non è un sogno, che è tra le mie braccia adesso, è tra le braccia di Shinichi, del suo maniaco di misteri. Ed è proprio vero. Sono un maniaco dei misteri, li amo, m’intrigano e mi prendono sempre di più quando l’incontro, e una prova sei proprio tu Ran. Sì, tu. Il mistero più grande ma al contempo dolce che io abbia mai scontrato… il giallo più interessante ma al contempo pieno d’indizi nascosti e sparsi qua e la che io abbia mai letto… semplicemente, la mia Ran.
E a questo pensiero, il fabbisogno di un contatto diverso del semplice abbraccio, comincia ad espandersi pian piano nella mia mente, mentre con lo stesso ritmo comincio a scostare un po’ il capo dal suo mento, solo per poterla adulare in tutta la sua bellezza.
Mi soffermo sulle labbra rosee e sottili, deglutisco. Ed ecco che il pensiero di prima torna, torna ma ancora più potente di prima.
Dopo una manciata di secondi, decido finalmente di assecondarlo, cominciando ad alzarle il mento con le dita.
Ma ancora prima di fare qualsiasi cosa, ecco che una piccola complicazione bussa alla porta ed entra senza nemmeno aspettare di avere il mio permesso: una fitta.
È forte, violenta, e passa velocemente il mio cuore, facendomi quasi soffocare.
Poi un’altra, più violenta ancora e che mi obbliga a serrare le labbra con i miei stessi denti pur di non farmi sfuggire alcun gemito o urlo, almeno non di fronte a Ran.
Un’altra.
Ed ecco che qui la mia stretta su di lei si stringe, con il solo problema che la poveretta, non capendo il motivo nella mia improvvisa e ulteriore stretta, ne risponde con un’altra.
Ran..
Ecco, un’altra lama trapassa il mio cuore come un lampo, facendomi però sfuggire un gemito, purtroppo.
“Shinichi… qualcosa non va?” inizia a preoccuparsi la mia amica, sentendo anche il mio respiro affannarsi. Scioglie di poco la presa, mentre io, colpito da un’altra fitta, inizio a tenermi il cuore, ansimando rumorosamente, e con l’altra mano, a stringermi sempre di più a lei.
Lei che, vedendomi cadere a terra e lasciarsi andare insieme a me, continua ad urlare il mio nome.
Che vedendo il dolore rispecchiarsi nei miei occhi, comincia a preoccuparsi.
Ma io, ormai, non capisco quasi più niente, non sento quasi più niente, se non quel dolore lancinante che ad intermittenza mi taglia il cuore.
Sfrutto questi ultimi attimi di lucidità, la guardo e sorrido, seppur con fatica. Sarei voluto rimanere di più, avrei voluto dirle di più… non avrei voluto che lei vedesse questo.
E nuovamente, i miei pensieri vengono interrotti da un’altra fitta, sempre più potente di prima.
Mi stringo il cuore, e con quel poco ossigeno che mi rimane, le sussurro ciò che da anni voglio dirle ormai: “Scusami… Ran”






*Nel capitolo 4 (la cena perfetta... o quasi), Shinichi paragona lui e Ran alla fiamma della candela del loro tavolo, ricordate? Ok, molto probabilmente no.
** Ran è anche lei in pericolo perchè nei capitoli 5 (quando il pericolo si concretizza) e 6 (il buio) Gin e Vodka l'hanno vista, insieme a Conan, e quindi rivedendola potrebbero ucciderla per assicurarsi che non vada a dire in giro che stava per sparare a Conan.

Nana's Corner:
Minna konnichiwa!!! :D
Muahahahahahaha! (?) Credavate che i due piccioncini sarebbero riusciti a stare insieme, a baciarsi, a vivere per sempre felici e contenti? Sbagliato! u.u
*vedo i pomodori arrivarmi addosso*
Gommen gommen! >.<
Ma purtroppo lo sapete come sono fatta, metto complicazioni ovunque xD
Ma prima di dire altro, vi spiegherò perchè sono in ritardo: il chap è davvero lungo, il più lungo che io abbia mai scritto in quasi quattro mesi da scrittrice xD 5694 parole e otto pagine piene di Word... e poi se calcoliamo anche alcuni problemi con: com'è morto quello? E le verifiche di biologia...
Va beh, ma ho aggiornato oggi, almeno ^^
Allooooooooora, com'è il chap? Piaciuto?? Noioso??? Il caso è banale???
Cmq, parlando del caso, so che non avete sicuramente capito perchè sparare ed avvelenare una persona allo stesso tempo, ma tranquilli, vi verrà spiegato, prima o poi xD
Ah e, per l'odore della tetrodotossina (il veleno dei pesci palla)... non so se è veramente la menta ^^" Ho chiesto un po' in giro e addirittura su yahoo answer xD Ma l'unica risposta che ho avuto è stata menta quindi che sia giusta o sbagliata chiudiamo un occhio per questa volta, ok? ^^"
Cmq, ora sappiamo che dietro questa festa c'è qualcuno, che Vermouth è l'omicida di Yamamoto e Hattori... com'è la parte in cui Hattori non vuole lasciare soli i due piccioncini??? xD
E la parte ShinxRan??? è sdolcinata??? L'ho scritta male??? Fa schifo???
PLEASEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!! Ditemelo!!! Non sapete come sono in ansia >.<
Ah, la seconda condizione.... avete capito qual'è, sì?

Ok, passiamo al Metantei Corner che è meglio xD
Primo: Che ci fa lì Vermouth?
Secondo: come farà il nostro Kudo adesso?
Terzo: Ran scoprirà la sua vera identità??

Bene! Ora passiamo ai ringraziamenti invece:
Grazie di cuore ad Hoshi Kudo, Shana17, Kaori_, _Vevi, Pan17, KeynBlack, aoko_90, shinichi e ran amore e 88roxina94 per aver recensito lo scorso chap; Arigatou per dedicare alla mia long sempre un po' del vostro tempo ç___ç
Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia nelle seguite, preferite e ricordate, arigatou!
Ed infine grazie anche a coloro che leggono solamente.
Grazie a tutti! Se non fosse per voi mi sarei già fermata al secondo chap :')

Beh, ora vi lascio. So benissimo che da sto corner non si capisce un cavolo, ma purtroppo sono di fretta ^^"
Cmq, grazie lo stesso per aver letto! Grazie grazie! :D
Alla prossima!!


XXX,
Nana Kudo.

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Nana Kudo