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Autore: BLestrange    19/10/2012    5 recensioni
Ok, non sono brava con le trame e con i riassunti, ve lo assicuro. Come già annunciato dal titolo, la storia parla della nuova generazione del Seattle Grace Mercy West. Non parlo dei nuovi medici, no, parlo dei figli dei chirurghi più famosi della TV. Tra intrecci e tresche, battute e stralci di vita in famiglia, vi presento come, nella mia testa, è andata avanti la storia. Particolarmente incentrata sulla famiglia Robbins-Torres, la storia mette in evidenza le difficolà e le gioie dell'avere figli a carico e, viceversa, come si vive circondati da medici e simili.
Logicamente, non è morto nessuno, sono tutti vivi e vegeti.
Il rating è giallo perchè in futuro potrebbero esserci dettagli non necessariamente verdi.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione, Nel futuro
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Questa incursione postuma sarà brevissima, giuro. Miss Fayriteil mi ha fatto giustamente notare che i nomi sono troppi e a volte si potrebbe far fatica a ricollegare i nomi dei ragazzi con i genitori. Spero di facilitare il compito a chiunque legga, postando all'inizio di ogni capitolo, i nomi di tutti i ragazzi che vengono citati e dei rispettivi genitori. 
Grazie ancora a Miss Fayriteil per avermi fatto notare la cosa :3

Sofia Robbin Sloan - Torres: figlia di Mark Sloan e Callie Torres
America Lutetia Robbins - Torres: figlia di Arizona Robbins e Callie Torres
Kaylee Joyce Robbins - Torres: figlia di Arizona Robbins e Callie Torres
Samuel Junoir Bennett: figlio di Sam Bennett e Addison Montgomery (nominato come Sam)
Seattle è casa.

Seattle sorrideva. Stava arrivando l’autunno eppure Seattle sembrava sorridere, le foglie degli alberi si tingevano di tinte calde, le barche sembravano adagiarsi sull’acqua calma con una tranquillità quasi statica, le strade erano caotiche, come sempre, ma tutto infondeva a Sofia una sensazione di pacata gioia. La strada fino all’aeroporto era punteggiata di negozi e persone che badavano ai propri affari, eppure la giovane si sentiva in armonia con tutto ciò che la circondava. Era felice, sì.
Parcheggiò la Mustang che aveva ereditato da sua madre e pagò il ticket del parcheggio indossando un sorriso radioso, contagioso. Sofia adorava alla follia quell’auto, era uno dei regali che aveva apprezzato di più da parte di sua madre. La venerava, quasi, la teneva sempre perfettamente pulita e splendente. Anche perché se fosse accaduto il contrario sua madre l’avrebbe uccisa con le sue mani, lo sapeva. Ogni tanto la vedeva, dalla finestra della cucina, andare in garage e sedersi dietro al volante, passare le mani sullo sterzo e sul cruscotto. Faceva sempre finta di niente, però.
Si scosse dai suoi pensieri con un sorriso ancora più grande ed entrò nell’aeroporto affollato, trovò il giusto gate e si sedette su una sedia. Aprì il libro che aveva con se e si preparò a trascorrere un’ora d’attesa.

America diede di gomito alla ragazza seduta accanto a lei per svegliarla. Kaylee si addormentava sempre in aereo e toccava sempre a lei svegliarla. Le due erano inseparabili e non era solo una condizione di nascita, anche se quella aiutava. I gemelli hanno un contatto psicologico e mentale che va al di là di qualsiasi altro rapporto di parentela o amicizia. Non che a prima vista le due ragazze sembrassero gemelle.
Erano alte entrambe, sì, gambe lunghe e affusolate che sostenevano fisici tonici e sodi, tuttavia avevano i colori delle loro madri. America aveva la carnagione perennemente abbronzata, due gemme scure sotto fitte ciglia, una cascata di capelli color ebano e un sorriso perfettamente modellato sotto alle labbra carnose. Kaylee, invece, era rosea, i capelli d’oro spesso intrecciati in lunghe trecce, gli occhi azzurri screziati di grigio e le fossette, che apparivano continuamente a incorniciare il suo sorriso bianchissimo. Erano due poli della stessa  pila. Sembrava non esistere pensiero per America che Kaylee immediatamente non sapesse e viceversa. Vivevano in una situazione di simbiosi pazzesca, anche se ai momenti idillici si alternavano furiose litigate, durante le quali, solo l’intervento paziente delle loro mamme, calmava le acque.
L’aereo iniziò a scendere e America, dopo aver allacciato la sua cintura, fece lo stesso con quella della sorella che si stava svegliando.
“Key, svegliati! Non mi spiego come fai ogni volta ad addormentarti” disse America, guardando fuori dal finestrino “Il volo da Los Angeles a Seattle non dura neanche un’ora!”
“Gli aerei mi mettono sonnolenza” fu il commento stringato della gemella bionda, che appena sveglia non era sicuramente la più loquace delle persone.
Quando l’aereo finalmente si fermò le due recuperarono le loro borse e si avviarono verso l’uscita. Non si aspettavano di vedere Sofia, in piedi, che si sbracciava per attirare la loro attenzione. America sorrise d’istinto alla sorella maggiore e Kaylee sventolò una mano in segno di saluto.
La mora mollò la valigia e corse ad abbracciare sua sorella, Kaylee prese i bagagli e la raggiunse, più controllata nell’esternare le emozioni rispetto alla sorella.
“Com’è andata la gara Key?” chiese Sofia subito dopo averla abbracciata. Kaylee sorrise e alzò le braccia al cielo, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa America parlò per lei:
“Ha vinto!”
Sofia scoppiò a ridere e iniziò a camminare verso l’uscita.
Il tempo stava cambiando, le nuvole si facevano sempre più scure e il vento iniziava a spazzare i viali. Sofia storse la bocca e accelerò il passo verso l’auto, non voleva restare intrappolata nel traffico con un temporale in arrivo.
America rabbrividì sentendo il cambio di temperatura e si infilò una felpa.
“Questo non mi è mancato per niente” sussurrò mesta Kaylee.
Le gemelle erano state fuori città per poco più di una settimana, per la gara di danza di Kaylee, e ne avevano approfittato per passare un po’ di tempo con la zia Addison, lo zio Sam e i ragazzi. Era stata una settimana piacevole e rilassante, ma soprattutto assolata e calda.
“La cara, vecchia Seattle” commentò Sofia, stipando i bagagli delle sorelle nel retro. Salirono tutte e tre in macchina e Sofia aspettò ancora qualche minuto prima di rivolgere alle sorelle la domanda che le ronzava in testa da ore. America controllò il cellulare e rispose ad un sms di Linda, una delle sue migliori amiche. Passò il telefono a Kaylee e tornò a guardare la strada.
“Come sta Sam?” chiese Sofia, fingendo noncuranza.
“Benone” rispose Kaylee, ripassando il telefono alla gemella che nel frattempo studiava la reazione di Sofia “Ci ha portate ad un concerto lo scorso weekend!”
Sofia sorrise e poi, impercettibilmente, arrossì. America notò il rossore e disse:
“Perché non lo chiami?”
“Perché probabilmente starà pensando a tutto meno che a me”
“Se lo dici tu” borbottò Kaylee, contrariata dalla testardaggine della sorella maggiore. Sofia le lanciò un’occhiataccia tramite il retrovisore e si limitò a dire:
“Non dite niente alla mamma”
Entrambe le gemelle annuirono passandosi uno sguardo complice.
L’auto proseguì veloce per le strade ancora non troppo congestionate di Seattle. Sofia raggiunse l’ospedale in poco meno di mezz’ora, prendendo numerose scorciatoie per evitare il traffico. Conosceva quella città come le sue tasche, ci era nata, cresciuta, sapeva dove passare e cosa evitare. Sofia fermò l’auto in un parcheggio riservato al personale e scese, seguita dalle due sorelle.

“Chi è di turno stasera?” chiese America, riavviandosi i capelli.
“Mami, mamma è a casa a cucinare” Sofia si fermò e guardò la gemella mora “siamo qui solo per un saluto, domani avrai mami tutta per te, capito Ami?”
America parve intristirsi ma sorrise lo stesso, quando l’ombra di dispiacere se ne fu andata, soprattutto per la distinzione che dovevano fare ogni volta per distinguere le due donne che le avevano messe al mondo e cresciute. Il fatto non era che America non volesse bene alla sua mamma bionda, l’adorava per la verità, c’erano cose che riusciva a dire solo a lei, cose che riusciva a fare solo con lei; il fatto era che non riusciva a respirare senza la sua mamma mora. Avevano un rapporto quasi morboso, America non riusciva a non sentire la voce di sua mamma almeno una volta al giorno e sua madre non le facilitava il distacco, dato che la chiamava ogni sera, puntuale se la ragazza era lontana. America non riusciva ad accettare il pensiero di starle lontana per troppo tempo, si sentiva soffocare.
America si staccò dal gruppo e corse quasi fino all’ufficio di sua madre, bussò e quasi le si fermò il cuore quando la voce calda di sua madre disse:
“Avanti”
America aprì la porta, sua madre era seduta dietro alla scrivania, sommersa da fogli e scartoffie. I capelli color ebano erano sciolti sulle spalle, gli occhi color cioccolato sorrisero insieme alla bocca piena, le labbra rosse distese su una schiera di denti perfetti. Indossava il solito camice blu scuro, con le penne nel taschino, largo ma comunque capace di evidenziare la perfezione delle forme della donna. Una volta le aveva raccontato che America non riusciva a stare lontana dalle penne nel taschino della mamma e le succhiava tutte, una ad una, mentre la mamma la teneva in braccio durante le pause. America ancora moriva dal ridere ogni volta che sentiva quella storia. Il camice bianco, stirato e pulito, stava buttato sul divano che occupava una parete dell’ufficio.  Sua madre era un chirurgo ortopedico, si chiamava Calliope Torres, aveva 49 anni (portati meravigliosamente) ed era una Dea pazzesca.
“Mi amor! (amore mio)” esclamò Callie alzandosi dalla sedia, fece il giro della scrivania e abbracciò sua figlia. La fotocopia miniaturizzata di se stessa. Stessa forma, stesso sorriso, stessi occhi e stessi capelli. C’era anche la sua spinta passionale lì dentro, c’era lei.
“Fue una semana muy larga sin ti, mami (è stata una settimana molto lunga senza di te, mami)” sussurrò America, respirando il profumo familiare di sua mamma, prendendo a pieni polmoni la certezza che era tornata a casa, da lei.
Uno dei numerosissimi vantaggi di essere cresciuti con due mamme, di cui una di origini spagnole, era che tutti e sei i ragazzi di casa Robbins-Torres parlavano perfettamente lo spagnolo.
“Oh, mi amor!” Callie depositò un bacio sul naso di sua figlia. Restarono strette in quell’abbraccio pacifico e calmo fino a che Kaylee non bussò educatamente alla porta.
Callie sciolse l’abbraccio con America e aprì la porta, abbracciando forte Kaylee.
“Kay, mi amor! Com’è andata la gara?”
“Ho vinto, mami” disse Kaylee, sorridendo. Callie spalancò la bocca e baciò sua figlia.
“Ma è meraviglioso, piccola” scoccò uno sguardo e un sorriso a Sofia e continuò “non ho operazioni stasera, magari riesco a convincere il capo a lasciarmi andare prima. Non dire niente alla mamma però”
Tutte e tre annuirono e Sofia diede un bacio alla madre, approfittando del momentaneo vuoto tra le sue braccia. Le braccia di sua madre non erano mai vuote per tanto tempo.
Il cercapersone di Callie suonò e lei controllandolo sbuffò, diede un bacio sulla fronte a tutte e tre le sue figlie e con la mano sulla maniglia disse:
“Ci vediamo a casa, mis hijas (figlie mie)” 
  
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