Lucky
- Salve -
Andrea deglutì, accennando un sorriso:
- Salve – rispose – Ha dei bellissimi occhi,
lo sa? -
La ragazza sorrise a sua volta, le ciglia scure che si
piegavano all’ingiù con fare timido:
- Oh, che galante – ridacchiò, nascondendo dietro il
palmo della mano due morbide labbra rosse – Posso fare qualcosa per lei?
– domandò poi, sciogliendosi i capelli.
Andrea osservò i lunghissimi capelli neri caderle sulla
schiena, come una cascata.
- Sì – biascicò, la gola asciutta
– Sì, vorrei vedere Salvatore. E’ in casa? -
- Certo – confermò lei, facendosi da parte per
lasciarlo entrare – L’ho lasciato sul divano –
- Grazie – sorrise ancora Andrea, affrettandosi
verso il salone senza girarsi indietro.
Percorse rapidamente i corridoi conosciuti, la mano destra
affondata nella tasca della giacca e quella sinistra abbandonata lungo il
fianco. Guardava fisso davanti a sé, i pensieri che gli si affollavano nella
mente.
Giunse nel salone senza neanche rendersene conto: fu
l’audio del televisore a riportarlo alla realtà, cogliendolo impreparato;
sollevò lo sguardo sullo schermo che occupava quasi interamente la parete e
riconobbe la scena finale del film Frankenstein Junior . Scosse impercettibilmente il
capo, crollando a sedere sul divano:
- Mi ha aperto una ragazza tutta nuda, Sasà -
- Carina, eh? – annuì l’amico, passandogli una
lattina di birra senza distogliere lo sguardo dal film – Mi ricorda
Pocahontas. Lo sai che mi sono sempre piaciuti i cartoni della Disney –
- Vero – approvò Andrea, allungando le gambe sul
tappeto e togliendosi le scarpe.
- Che poi – cominciò Salvatore – mi ero
dimenticato di averla lasciata qui, stamattina –
- Ti ha aspettato? –
- Oh, sì. L’ho trovata ancora nel letto –
Andrea sorseggiò la birra, una risatina che gli sfuggiva
di bocca:
- Non ti sei ancora stancato di questo film? -
- Lo
rivedrei all’infinito – ribatté lui, scuotendo il capo –
Questo e A qualcuno piace caldo –
- Che ti
è preso prima, Sasà? –
Salvatore
assottiglio lo sguardo, le dita che rafforzavano la presa attorno alla lattina:
- Niente
-
- Ancora non capisco perché la gente si ostina a dire niente
quando intende tutto. Te ne sei andato nel bel mezzo del discorso, non
lo fai mai e lo sappiamo entrambi: a te piace avere l’ultima parola. E te
la sei presa con Marco, non capisco perché. Che ti ha fatto? –
- Niente – sussurrò Salvatore, posando la birra e
passandosi le mani sul viso con fare stanco – Davvero, non so cosa mi è
preso. Ero nervoso, tutto qui. E me la sono presa con voi: con te, con Marco,
persino con Federica. Mi dispiace, davvero. Ho ignorato lei e ho tartassato te
–
- Questo lo so. Volevo sapere come mai –
- Non lo so! – sbottò lui – Non lo so perché
ero nervoso. C’è che tu stai uscendo con quel ragazzino, ecco! –
- E allora? Non è la prima volta che esco con qualcuno, lo
sai, vero? –
Quando Salvatore non rispose, Andrea rincarò la dose:
- Non sono più nemmeno vergine – sussurrò a
mo’ di confessione.
- La smetti di fare il cretino? –
- Hai cominciato tu –
- La fai sembrare una cosa seria –
- Cosa? – domandò Andrea, l’impressione di
aver perso un passaggio – La… conversazione? –
- La tua relazione! –
- Ma quale relazione?! Non ho
nessuna relazione! –
- Marco! – sibilò Salvatore – Ci
dev’essere una qualche relazione se tutte le volte che vi siete visti
siete stati sul punto di farlo! –
- Non è una relazione! –
- E’ comunque qualcosa di più serio del normale!
–
- Va tutto bene? – intervenne una voce femminile,
pacatamente.
Si voltarono entrambi verso la giovane Pocahontas: esibiva
ancora un magnifico nudo integrale e un candido sorriso. Li fissava, attendendo
una risposta:
- Ho sentito delle urla e… - provò allora, un
leggero rossore che le colorava le guance.
- Va tutto bene – rispose Salvatore, accennando un
sorriso alquanto tirato.
Lei annuì e scomparve rapidamente, una scia profumata
dietro di sé.
Andrea scoccò uno sguardo all’amico e strinse le
labbra:
- Non è una relazione! – sbottò subito dopo come se
non fossero stati interrotti.
- Sì, invece! Sei tu che ti ostini a negarlo anche a te
stesso –
- E se anche fosse? –
- Come? –
- Se anche fosse una qualche sottospecie di relazione, mi
dici dov’è il problema? –
- Stai dicendo che è così? –
- No – ringhiò il biondo – Ti sto chiedendo
cosa ci sarebbe di sbagliato –
- Tu –
Andrea arretrò impercettibilmente, momentaneamente a corto
di parole:
- Come, scusa? – domandò incerto – Io? -
- Perché… perché tu dovresti averla e io no? –
- La… la relazione? Stiamo ancora parlando di
quello? –
- Sì, Pinolo, sì! – eruppe Salvatore, frustrato
– Perché tu dovresti meritare una relazione decente e io no?! –
- Sasà… -
- Perché?! Perché se n’è
andata? –
Andrea scosse la testa, allargando le braccia con fare
impotente:
- Non lo so -
- Dov’è che ho sbagliato, eh? Me lo spieghi? –
soffiò Salvatore – Tu sei lo stronzo! Sei tu quello che combina un guaio
dopo l’altro, non io! Ho fatto il bravo, te lo ricordi? Le ho dato tutto
quello che potevo e… -
Si interruppe, afferrando la lattina di birra con uno
scatto nervoso e portandola alle labbra tremanti con un gesto disperato. Andrea
restò immobile, ignorando gli insulti dettati dalla rabbia.
Non sapeva assolutamente cosa dire. Non aveva neanche uno
straccio d’idea.
- Sto bene -
Salvatore si accomodò meglio sul divano, gli occhi lucidi
fissi sui titoli di coda: si leccò le labbra secche e aprì una nuova lattina di
birra. Lanciò un’occhiata all’amico ancora immobile e ripeté:
- Sto bene, davvero – la voce più ferma –
Scusa per lo sfogo -
- Sasà… -
- Scusa anche per lo stronzo, sai che non… -
- Un po’ stronzo lo sono, in fin dei conti –
lo interruppe Andrea con un lieve sorriso.
- Anche questo è vero –
- Non lo so perché ti ha lasciato –
Osservò la schiena dell’amico irrigidirsi e quasi
rimpianse di aver pronunciato quelle parole.
- Ho sbagliato qualcosa? – chiese dopo un po’
Salvatore, sempre senza guardarlo.
- No – rispose sicuro Andrea – Assolutamente
no –
Lui annuì, cambiando svogliatamente canale:
- Cosa ti va di vedere? -
- Grey’s Anatomy –
- Ancora? – roteò gli occhi Salvatore,
accontentandolo comunque.
- Il dottor Bollore mi attizza che non ti dico –
- Dici che avremmo dovuto studiare? -
Marco sollevò uno sguardo a metà fra il sorpreso e
l’ilare:
- Parli seriamente? -
- No. Sì. Oddio, forse – borbottò Amedeo,
l’espressione concentrata – Tu che dici? –
- Che se anche avessimo fatto finta di aprire un libro non
ci avremmo comunque ricavato niente –
- Vero, eh? –
- E poi è la serata della maratona –
Amedeo annuì come se quella frase mettesse definitivamente
fine a tutti i suoi dubbi. Tornò a sdraiarsi ai piedi del divano e afferrò una
manciata di patatine:
- Sono finiti i popcorn? -
Marco gli passò la ciotola e scivolò al suo fianco, la
bocca piena di biscotti:
- Tua madre mi mette all’ingrasso quando vengo qui – biascicò, la nutella che colava all’angolo
delle labbra.
- E’ convinta che tu non mangi abbastanza –
- Perché? –
Amedeo si strinse nelle spalle, lanciandogli la panna
spray: Marco la afferrò al volo e ne ingurgitò una dose più che abbondante
prima di passarla nuovamente all’amico.
- E dopo che lo hai preso? – domandò Amedeo,
abbassando leggermente il volume del televisore.
- L’ho accompagnato al pronto soccorso –
- Hai guidato tu? –
Marco annuì, aprendo una bottiglia di birra e passandone
un’altra ad Amedeo.
- E se vi avesse fermati la polizia? -
- Non è successo – si strinse nelle spalle lui,
guardandolo di sbieco – A proposito di sabato sera, poi… -
Amedeo fece finta di niente, aprendo a sua volta la birra.
- Mi ha portato alle corse clandestine -
E non poté più far finta di niente.
- Co… come? –
- Partecipa spesso, a quanto pare – spiegò
tranquillo Marco – Mi ha fatto anche provare, lo sai? –
- Dove? –
- Poco fuori città –
- E…? –
- E niente. Sono uscito di strada per colpa di un procione-non-procione, l’ho sdraiato sul sedile
posteriore e sul più bello il suo amico spilungone ci ha interrotti –
- Certo che come riassumi tu, nessuno – sogghignò
Amedeo, sinceramente divertito.
- Tocca a te –
Marco sfregò le mani l’una contro l’altra e
fissò l’amico con sguardo acceso:
- Perché non ci provi con Becca? -
- Te l’ho già detto – sbuffò il rosso –
Credevo di averti convinto –
- No – scosse il capo Marco – Mi inizia a
piacere davvero l’idea di voi due assieme –
- Non ti capisco proprio! Cioè tu, in qualità di fratello,
non dovresti essere protettivo e cose del genere? –
- Lo sono. Per questo preferirei vederla fra le tue
braccia e non fra quelle di… -
- Sta con qualcuno? – saltò su immediatamente
Amedeo.
Il sogghigno di Marco fu una risposta più che sufficiente.
- Ti odio quando sorridi a quel modo – borbottò il
rosso – Mi ricordi lo Stregatto, il che è alquanto inquietante, sappilo -
- Sei terribilmente cotto –
- Non sono affaracci tuoi –
- Non lo stai negando –
- Sarebbe inutile –
- Perché è vero –
Amedeo si passò le mani sul viso, indugiando sugli occhi:
discutere con Marco era sempre estenuante.
- Mercoledì, quindi, la eviterai? -
- Come? –
- Ho deciso per una festicciola a casa mia – lo
informò placidamente Marco, stringendosi nelle spalle – Niente di
esagerato, comunque, cercheremo di non superare il centinaio –
- Pochi intimi, allora – ridacchiò Amedeo, ignorando
la domanda precedente.
- Infatti –
- E tua madre? –
- Va a dormire da un’amica –
- Silvia? –
- Non ho ancora deciso – mugugnò Marco,
l’espressione assorta – Dici che sarebbe pericoloso farla restare?
–
Amedeo finse di pensarci, un sorriso a stento trattenuto:
- Tu prova a immaginare la festa – rispose
cautamente – Cosa vedi? -
- Oh –
- Quindi Silvia? –
- Maggiore è il numero di chilometri fra noi e lei, meglio
è –
- Saggia decisione –
Un rumorio di passi attirò la loro attenzione,
sorprendendoli: si voltarono, incontrando il sorriso smagliante della madre di
Amedeo; lei inclinò il capo, osservando divertita il tappeto ricoperto di
dolciumi e cibi vari:
- State rischiando l’indigestione? – domandò, incrociando
le braccia al petto.
- Come al solito, signora Clara – rispose Marco a
bocca piena, annuendo soddisfatto.
- Stai uscendo, mamma? –
- Sì – rispose lei, facendo tintinnare le chiavi fra
due dita – Tuo padre mi ha proposto di cenare fuori: dice che anche solo
guardarvi mentre vi ingozzate non fa bene al suo diabete –
- Ha ragione, temo – approvò Marco, spruzzandosi una
nuova dose di panna in gola.
- Divertitevi – ridacchiò Amedeo – E non fate
le ore piccole, mi raccomando –
Lei scosse il capo, allontanandosi con un sorriso
esilarato.
- Hai visto il mio cellulare?– bofonchiò qualche
minuto dopo Marco, frugandosi inutilmente nelle tasche vuote. Continuò a
cercare anche nella giacca, quindi sul divano:
- Dove diavolo è finito?! –
sbottò – Non è che l’ho lasciato a casa? –
Amedeo ignorò quasi interamente la pantomima, limitandosi
ad afferrare il telefonino che era placidamente scivolato sul tappeto:
- Chi devi chiamare? - domandò, cominciando a trafficare
con i piccoli pulsanti grigi.
- Chi vuoi tu – si strinse nelle spalle Marco
– L’importante è che avverta qualcuno, per Silvia sai. In casa mia
se non avverti con almeno un giorno di preavviso puoi andare direttamente a
farti fottere –
Amedeo annuì e premette il tasto di avvio alla chiamata.
Quindi passò il telefono a Marco.
- Mi passi un altro cuscino? -
Andrea si sporse verso la poltrona più vicina e agguantò
un cuscino bordeaux: lo lanciò a Salvatore, colpendolo sul naso; lui non fece
una piega, sistemandoselo dietro la testa e sgranchendosi la schiena.
- Ha avuto una semi crisi
isterica , lo sai? -
Lui si voltò lentamente,
l’espressione distante:
- Stavamo parlando? – domandò fissando Andrea
– Oddio, devo essermi perso un passaggio -
- Federica – spiegò il biondo, scuotendo la testa
– Quando te ne sei andato –
Salvatore inarcò le sopracciglia e abbassò il volume del
televisore:
- Quante volte te l’ho detto,
Pinolo? – borbottò, redarguendolo – Quando cominci una
conversazione devi per prima cosa stabilire un qualche contatto con
l’altra persona; e poi, per l’amor di Dio, ordina la frase:
soggetto, verbo, complemento oggetto. Roba da elementari, hai presente? -
Andrea sbuffò, limitandosi a bere l’ultimo sorso
della sua birra e a riportare lo sguardo sul dottor Bollore.
- Federica, dici? – mormorò esasperato Salvatore
– Un crollo nervoso? -
- Mi piace di più definirla semi crisi isterica –
- Cioè? –
- Si è messa a piangere – fece spallucce Andrea
– Così, di colpo. Ha cominciato a singhiozzare –
- Non mi dire – s’impressionò Salvatore
– E io mi sono perso la scena? –
- Non fare lo stronzo –
- Era solo una costatazione –
- Cattiva –
- Tu non fare il maestrino – gli puntò il dito
contro l’amico – Perché, poi, ha aperto le dighe? –
- Non sono affari tuoi – sibilò Andrea.
- Hai cominciato tu a parlarne! – eruppe incredulo
l’altro.
- Era solo per testare le tue reazioni –
Salvatore assottigliò lo sguardo, l’espressione
concentrata mentre osservava attentamente il biondo:
- Sei già ubriaco, non è vero? -
- Volevo sapere se tu sapevi –
- Sapevo cosa? –
- Quello che a quanto pare non sai – rispose con
fare ovvio Andrea.
- Cos’è che non so? – domandò ancora
Salvatore, scandendo piano le parole.
Andrea si piegò verso di lui, le labbra arricciate:
- Non parlarmi come se fossi ubriaco -
- Io so che lo sei e lo sai anche tu – sorrise
l’amico – Ora dimmi cos’è che non so –
- Il motivo per cui Federica si è messa a piangere –
Salvatore inclinò il capo di lato, pensieroso:
- Perché mai dovrei saperlo? -
- Non fate altro che spettegolare, voi due! –
esclamò Andrea – Credevo davvero che lo sapessi! –
- Quand’anche spettegoliamo – sospirò
l’altro – sei tu l’oggetto della conversazione. Non parliamo
d’altro, ti giuro. Scherziamo su di te, prendiamo in giro te…
nient’altro –
Andrea assunse un’espressione incredula, sgranando
gli occhi e balbettando:
- Io… credevo… ero convinto che foste amici! -
- Non proprio – si strinse nelle spalle Salvatore
– Abbiamo un amico in comune, piuttosto –
- E questo non vi rende amici? –
Salvatore nemmeno rispose: con un sogghigno divertito si
girò di nuovo verso lo schermo e i dottori in camice bianco. Doveva ammettere
che la dottoressa bionda non era poi tanto male.
- Dovresti provarci – borbottò Andrea dopo un
po’.
- Mmm? –
- A essere suo amico –
Salvatore scosse la testa.
- Perché no? –
- Ho già un amico e sono troppo vecchio per provare a
farmene altri –
Sperò di aver chiuso la conversazione, ma la voce di
Andrea lo riscosse ancora, ostinata:
- Federica è più grande di te -
- Davvero? – si sorprese Salvatore, sinceramente
stupito – Quanti anni ha? –
- Ventotto – fece Andrea – Un anno più di te,
eppure è diventata mia amica –
- Le donne sono sempre più vitali degli uomini –
fece spallucce lui.
- E’ simpatica –
- Questo lo so: ti prende sempre per i fondelli –
- E’ dolce –
Salvatore roteò gli occhi, allargando le
braccia esasperato:
- Cosa vuoi che ti dica, Pinolo?
-
- Che proverai a essere suo amico –
- Ma perché? Non ne ho bisogno! Tu cosa ne ricaveresti,
poi? –
Andrea mise su il broncio, cercando nel frattempo di
trovare una risposta a quella domanda: sentì i vaghi e confusissimi pensieri
scontrarsi ripetutamente con la sua calotta cranica, la sensazione che uno
sciame di api avesse infestato il suo emisfero destro. Ebbe anche
l’impressione che qualcosa avesse starnutito, lì dentro.
- Per stasera basta con la birra – borbottò alla
fine, chiudendo gli occhi.
Poi gli vibrarono i pantaloni.
- Pronto? -
Marco socchiuse gli occhi quando la voce strascicata gli
penetrò nell’orecchio. Scoccò un’occhiata ad Amedeo e gli sembrò
decisamente troppo interessato al telefilm. Strinse i denti e imprecò a bassa
voce.
- Pronto? – ripeté Andrea distrattamente,
studiandosi con espressione critica il polso fasciato.
- Chi è? – gli chiese Salvatore, guardandolo di
sbieco.
Andrea si strinse nelle spalle e accennò con il capo al
proprio polso:
- Comincia a pulsarmi – mormorò all’amico,
dimentico del telefonino nell’altra mano – Dici che dovrei preoccuparmi?
E’ un brutto segno? -
- Come? Cos’è che pulsa? – rispose Marco nel
telefono, non capendoci più niente.
- Il polso! – esclamò Andrea improvvisamente confuso
– Ma con chi sto parlando? –
- Sei ubriaco, Drew? –
- Marco? –
- No, il principe Carlo! –
- Oddio, fosse stato il principe William non mi sarei
neanche lamentato –
- Sei ubriaco! – rise Marco
– Completamente! –
- Non è vero – cominciò Andrea, arricciando le
labbra – Solo un pochino, forse – aggiunse, ricordandosi del
neurone che starnutiva. Sollevò lo sguardo e incontrò quello attento e
divertito di Salvatore: fece spallucce e si concentrò nuovamente sulla
telefonata, se così si poteva definirla.
- Perché hai chiamato? – domandò, sinceramente
curioso.
- Io non… - borbottò il ragazzino, fulminando con lo
sguardo i ricci rossi di Amedeo - … ho sbagliato numero, scusa –
concluse, sospirando frustrato.
- Oh –
- Già. Allora ciao –
Andrea sollevò di scatto il capo, spalancando gli occhi:
- No, no, no! – esclamò – Aspetta -
Tornò cautamente a poggiare la testa sul divano:
- Chiacchieriamo un po’, no? Cioè… già che ci
siamo. Hai chiamato, no? -
- Perché invece non vai a letto e smaltisci la sbronza?
–
- Quale sbronza? – sorrise il biondo – E poi
non sono a casa mia –
- Ah, no? –
- No – ridacchiò Andrea, divertito dal tono teso
dell’altro – Sono sul divano di Salvatore –
- Allora è meglio che resti lì a smaltire –
- Concordo. Anche perché non credo di avere la forza di
alzarmi –
- E il polso? –
- Come? –
- Prima ne stavi parlando –
- Davvero? – si stupì Andrea, aggrottando le
sopracciglia e lanciando un’occhiata all’amico – Parlavo del
mio polso? – gli chiese a bassa voce.
Salvatore annuì, aprendo una confezione di biscotti:
- Dicevi che ti pulsava – rispose senza perdersi una
sillaba della conversazione.
- Oh, infatti – si ricordò il biondo – Mi
pulsa –
Marco sorrise, assestando un pugno all’amico non
appena vide un ghigno farsi strada sul suo volto:
- Credi che vada amputato? -
- Oddio, no! – inorridì Andrea – Fingi che non
abbia detto niente. Del resto mi pulsa anche la testa, ma non credo sia il caso
di decapitarmi –
- Per la testa temo sia colpa della sbronza –
- Potrebbe essere, sì –
- Come mai sei a casa di Salvatore? – domandò Marco,
la lingua più veloce del cervello.
- Bella domanda – mormorò il biondo, cercando di
riordinare le idee – Perché sono venuto qui,
Sasà? –
Salvatore non rispose, limitandosi a sorridere con una
faccia da schiaffi da manuale.
- Mah, davvero al momento non me lo ricordo –
ridacchiò Andrea – Tu, invece, che fai di bello? -
- Guardo Scrubs con Amedeo –
- Cosa guardi con chi? –
- Scrubs – ripeté Marco, scandendo le parole –
Con Amedeo –
- Scrubs? Amedeo? –
- Oh, Signore! Sei proprio fuori dai binari, lo sai?
– rise il ragazzino – Mai sentito parlare di Scrubs? Telefilm sui
medici, con JD, il dottor Cox, Carla, l’inserviente… -
- Oh! Ho capito! – esclamò Andrea, illuminandosi di
colpo – Non avrò visto più di un paio di puntate, però. Preferisco Grey’s
Anatomy, ti dirò –
- Ti prego, no! – rabbrividì Marco – Hai idea
di che capolavoro ti sei perso? –
- Mah – borbottò l’altro – Tu hai idea
di che dottori ti stai perdendo? –
- Sembri una ragazzina arrapata –
- Con il dottor Bollore davanti lo sembreresti anche tu
–
- Questione di gusti –
Andrea sorrise, l’impressione di aver dimenticato
qualcosa. Cos’è che aveva detto?
- Ah! -
- Cosa? Stai prendendo in considerazione la decapitazione?
–
- Amedeo –
- Che c’entra Amedeo? –
- Chi è Amedeo? –
Marco sogghignò, ignorando l’espressione
interrogativa dell’amico.
- Perché mi sento chiamato in causa? – sibilò
Amedeo, fissandolo stralunato.
- Un amico – rispose Marco.
- Amico amico o solo amico? –
- Non ti seguo, ti ho perso al primo amico –
- E’ il genere di amico cui accennava tua madre o il
genere di amico alla Sasà? –
- Non mi mettete in mezzo – soffiò Salvatore,
guardandolo di sbieco.
- Genere Sasà – ridacchiò Marco, chiudendo gli occhi
e reclinando il capo all’indietro.
- Allora perché non vieni qui?
–
- Come? –
- No, scusa – ritrattò subito Andrea –
E’ l’alcol a parlare –
- Devo chiudere, Drew –
- Di già? –
- Tu devi smaltire –
- Non c’è fretta –
Marco sospirò, scuotendo pigramente la testa:
- ‘notte, Drew -
- Domani che fai? –
- Non saprei – mormorò il ragazzino – Tu che
fai? –
- Siamo a fine gennaio: ho una specie di incontro
genitori-insegnanti, nel pomeriggio –
- Dev’essere interessante –
- Lo sarà se vieni a salutarmi –
- E’ sempre l’alcol a parlare? –
s’informò Marco, cautamente.
- In parte – ridacchiò Andrea – Per il resto è
tutto merito mio, non temere –
- Forse –
- Forse cosa? –
- Forse passo. Solo per un saluto, però –
- Perché c’è quel forse? Non ti va? –
La risata di Marco eruppe improvvisa, riscaldando l’orecchio
di Andrea:
- Parli un sacco quando sei brillo, lo sai? -
- Me lo dicono spesso –
- ‘notte, Drew –
- ‘notte –
E chiusero la chiamata.
- Brutto stronzo! -
Amedeo spalancò gli occhi con fare innocente, un candido
sorriso che gli piegava le labbra:
- Io? -
- Perché… perché diavolo lo hai fatto?! –
- Ti ho chiesto chi dovessi chiamare e tu mi hai risposto chi
vuoi tu, parole testuali –
Marco inarcò un sopracciglio, osservandolo con fare
blandamente interessato:
- Stai cacciando un lato bastardo, lo sai,
Deo? -
- Sei tu che tiri fuori il meglio di me – si strinse
nelle spalle il rosso, continuando a guardarlo con occhi accesi.
Si carezzò il mento, sgranchendosi la schiena:
- Eravate proprio due piccioncini – commentò poco
dopo, il sorriso che diventava un ghigno.
- Stronzo –
- Carini, pucciosi e coccolosi –
- Sempre stronzo –
- Cos’è, hai perso le parole? – ridacchiò
ilare – Se vuoi te lo richiamo –
- Devo andare in bagno – lo informò Marco,
ignorandolo e alzandosi in piedi – Per quando torno spero che il livello
di stronzaggine in questa stanza sia sceso parecchio, ne va della tua
incolumità –
- Non prometto niente –
Marco s’incamminò per il corridoio con la risata di
Amedeo che ancora gli rimbombava nelle orecchie. Espirò, aprendo la porta del
bagno con una mano e la patta dei pantaloni con l’altra. Sollevò la
tavoletta e si rilassò.
Fu solo dopo un po’ che se ne accorse: uno
scrosciare d’acqua. Trasalì, voltandosi in direzione della doccia:
- Che cos… - balbettò, vedendo l’ombra di
qualcuno dietro la tendina chiara.
Alle sue parole l’acqua si spense di colpo, la
tendina che veniva scostata con un gesto secco:
- Chi cazzo…? – sbottò Nicola, scuro in viso
– Quante volte ti ho detto di non entrare senza bussare, Deo?! Lo sai che la serratura non fun… -
E poi incontrò lo sguardo di Marco.
Marco con i pantaloni aperti e gli occhi spalancati.
- Santissima tromba! – tuonò – Che cazzo ci
fai anche nel mio bagno, adesso?! Che razza di pazzo
furioso sei, si può sapere?! E che cazzo stai
guardando, brutto… -
E poi si ricordò di aver aperto la tendina.
E di essere nudo, davanti a Marco.
- La miseriaccia nera! – sbottò, afferrando l’asciugamani appeso lì vicino e avvolgendoselo
attorno alla vita.
Con un balzo si fermò di fronte a un Marco tutto intento a
chiudersi la zip dei pantaloni.
- Io chiamo la polizia, hai capito? – sibilò,
dandogli un pugnetto sulla spalla e bagnandogli la maglia – Sai
cos’è un’ingiunzione restrittiva? Ti faccio sbattere in galera e ti
ci faccio rimanere! -
- Solo perché ti ho visto il batuffolo? –
Nicola restò con il dito puntato sul petto di Marco, la
bocca aperta. Senza parole.
- Il batuffolo? – rantolò, la mano che si chiudeva a
pugno.
- Non è così grave, credimi – annuì Marco –
Meno di dieci secondi fa anche tu hai visto il mio, no? Siamo pari in un
qualche qual modo. Certo non era nei programmi della serata, ma non bisogna mai
lamentarsi –
Amedeo comparve in quel momento sull’uscio della
porta, trafelato.
Alternò lo sguardo dall’uno all’altro, le
ultime parole di Marco che gli rimbombavano nelle orecchie:
- Ditemi che ho capito male – gemette.
- E’ entrato senza bussare e io credevo fossi tu!
– gridò Nicola, rosso di rabbia.
- Non sapevo fosse sotto la doccia, ha fatto tutto lui!
– strillò contemporaneamente Marco, alzando le mani.
Amedeo li squadrò, scuotendo piano la testa: aspettò che
scendesse il silenzio poi aprì bocca, cauto.
- Non ti abbiamo sentito rientrare, Nico, davvero –
provò a spiegare – E Marco non sa che la serratura è rotta, ti giuro. Non
ti arrabbiare, dai, è stato tutto involontario -
Nicola ansimò, grondando acqua sul pavimento chiaro e
carezzandosi con la destra i cortissimi capelli:
- Che ci fa qui? – grugnì alla fine, allontanandosi
di qualche passo e aggiustandosi l’asciugamani.
- Te ne avevo parlato – spiegò ancora Amedeo –
Guardavamo Scrubs in salotto mangiando schifezze… te l’ho detto
ieri, ricordi? Ti ho anche invitato a partecipare –
Nicola annuì, l’espressione che improvvisamente si faceva
stanca:
- Scusa – mugugnò appena – Me ne sono
dimenticato -
Uscì dal bagno, gocciolando un po’ ovunque, e si
infilò nella camera più vicina. Marco sgranò gli occhi e si posò una mano sul
cuore, calmandosi: sgranò gli occhi in direzione di Amedeo e mormorò delle
scuse.
Amedeo negò con il capo, sussurrando:
- Fa niente. L’importante è che non ci è scappato il
morto -
- Sono solo terribilmente stanco – giunse in quel
momento la voce di Nicola – Il turno mi ha sfinito, davvero. Non riuscivo
neanche a camminare diritto e… ero sicuro di aver salutato, quando sono
entrato –
Passò davanti al bagno, lanciando agli altri due
un’occhiata svogliata e facendogli segno di seguirlo con il mento: si era
messo addosso un pantalone di tuta e una felpa scura;
avanzò a piedi scalzi fino al salotto e poi si lasciò cadere sul tappeto, le
dita che si stringevano attorno a una lattina di birra aperta.
- Scusatemi – biascicò un’ultima volta,
riempendosi quindi la bocca di patatine e alzando il volume della tv.
Marco era rimasto immobile, ancora timoroso, fermo sul
bordo del tappeto; Amedeo lo sospinse leggermente, costringendolo a sedersi al
fianco del fratello e infine scivolando giù anch’egli:
- E’ successo qualcosa di interessante? –
domandò a Nicola, mormorando poi nell’orecchio di Marco:
- Fa volontariato in ospedale –
- Mmm – mugugnò quello, la bocca piena – Ti racconto domani –
- Scherzi? – inarcò un sopracciglio Marco, incredulo
– Parliamo della stessa persona?! –
Amedeo ridacchiò, annuendo piano:
- Guarda che è carinissimo con il camice blu -
Marco sgranò gli occhi, voltandosi istintivamente verso
Nicola: lui non si accorse dello scambio di battute né dello sguardo sorpreso
del ragazzo. Guardava la televisione, l’espressione sfinita alterata solo
di tanto in tanto da un pallido sorriso divertito. Si sistemò meglio sul
tappeto, allungando le gambe e reclinando la testa:
- Non dovete stare in silenzio perché ci sono io, eh?
– borbottò poi, facendo sobbalzare gli altri due.
Amedeo ridacchiò alquanto istericamente, la paura di prima
che ancora aleggiava nell’aria:
- Sai com’è… - mormorò in risposta – Ho
temuto che uccidessi il mio ospite nel bagno -
- Bah – si strinse nelle spalle il fratello –
Ti avrei aiutato a ripulire prima del ritorno di mamma, nel caso –
Marco sbuffò, ignorando le risatine dei due e spintonando
entrambi:
- Prego, eh – grugnì – Fate anche come se io
non ci fossi -
- Oh, lo so – lo schernì Amedeo – Ti ho visto
parecchio teso, prima, o sbaglio? –
- E’ anche colpa tua se gli ho visto il batuffolo,
sappilo! –
Amedeo rise più forte di prima, piegato in due.
- Dovevi dirmi che qui bisogna sempre bussare, che
diavolo! -
- Non sapevo fosse rientrato, che te lo dicevo a fare? –
- Ho rischiato di per… -
Le parole gli si fermarono in gola non appena sentì la
spalla che gli si appesantiva: si voltò, basito, e vide che la testa di Nicola
gli era scivolata addosso. S’irrigidì, il fiato
corto, e chiamò Amedeo.
- E allora? – fece quello, stringendosi nelle spalle
– Lascialo stare -
- Come, lascialo stare? – squittì Marco, stralunato.
- Si è addormentato – sussurrò in risposta il rosso
– Che fastidio ti da? –
Marco rilassò appena la schiena, il capo di Nicola che gli
si adagiava meglio addosso.
- A me non da fastidio – mugugnò – Non vorrei,
però, che domattina decidesse di concludere quello che non ha portato a termine
poco fa -
Amedeo sorrise, negando appena:
- Non è così bastardo – ridacchiò, prendendo in
considerazione l’ipotesi di scattare una foto.
- Dici? – ringhiò Marco – Hai ragione,
forse… -
- Senti – lo bloccò l’altro – Ci sono io
come testimone, okay? E’ crollato lui. Tranquillo –
Marco chiuse gli occhi, frenando la rispostaccia già
pronta sulla punta della lingua. Avrebbe voluto spiegargli che no, non andava
bene. E che no, lui non era per niente tranquillo. Non disse niente, però.
Perché sapeva, in cuor suo, che sarebbero state solo
bugie.
§