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Autore: Luds18    19/10/2012    1 recensioni
«It’s not me, it’s not you there’s the reason; I’ve just trying to read the signals I’m reciving.. It’s like a stone on fire, can u feel it, I don’t know about you girl, but I’m leaving». Tutto inizia con una canzione, in questa storia. Un'intensa storia tra amore e giri per il mondo, tra avventure e sogni, persi e trovati. Come protagonisti ritroviamo un personaggio mia invenzione, Elizabeth Phill, e i seguenti personaggi reali: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan e Zayn Malik. Una storia per tutte le directioner e non solo, che spero possa piacere. Buona lettura. :)
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Aprii lentamente gli occhi, alzando lo sguardo al cielo. Mi stropicciai gli occhi, che come ogni mattina si mostravano lucidi e grandi, facendomi vedere doppio. Quando la mia vista fu tornata alla normalità, corsi fuori dalla mia stanza.
«Freddie!» urlai, cercando per la casa il mio “manager”, che altro non era che mio fratello. Quasi inciampai dalle scale, dalla foga con cui procedevo all’interno della nostra umile casa. «Fredrick! Dove sei?». Mi precipitai in cucina, udendo il rumore delle stoviglie sfregarsi tra loro, forse nel tentativo di tagliare invano un pezzo di pancetta.
«Buongiorno Lizzie», salutò il fedifrago, masticando rumorosamente la sua colazione. Sicuramente si era dimenticato che giorno fosse, cosa che scatenò il mio nervosismo; Per non citare il panico.
«Hai idea di che ora sia?». Mi guardai attorno cercando disperatamente qualcosa che segnasse l’ora, circondata da una strana e malsana adrenalina, che mi scatenava un’ansia a dir poco abominevole.
Alzò il polso verso i suoi occhi, rimuginando sulle lancette che vedeva sull’orologio da polso.
«Sette e un quarto, davvero presto». Lo fulminai con lo sguardo, e apparentemente capì ciò che volevo dire. Si alzò frettoloso, guardandosi attorno come per cercare l’indispensabile. «Mi ero scordato, diavolo… Il tuo provino!», esordì, raddrizzando la schiena. Tanto per peggiorare le cose mia madre si intromise in cucina, aumentando il pessimismo.
«Elizabeth, tesoro, ci saranno già milioni di persone, i posti saranno quasi finiti ormai», sussurrò dolcemente mentre si versava il caffè in una tazza gialla con orripilanti pois rossi. «A questo punto ti consiglio di riprovare l’anno prossimo». Lanciai a Freddie uno sguardo maligno, trasmettendogli i miei pensieri. Non so quali pensieri avesse intercettato in quel momento, ma di sicuro non erano i miei, troppo volgari per scriverli, ma pensieri intelligenti; escluso quindi che i pensieri a lui arrivati fossero persino i suoi.
«Facciamo così», bofonchiò, rifugiandosi all’ingresso e infilandosi il cappotto. «Prendo l’auto e vado agli studi, do  i dati e ti prendo il numero». Infilò la mano nel cassetto del tavolino d’ingresso, estraendone le chiavi della sua Audi. «Tu preparati e raggiungimi in pullman tra mezz’ora». Uscì veloce, mentre io ancora annuivo. Volai nella mia stanza a prepararmi, mentre mia madre alzava gli occhi al cielo, scuotendo la testa da una parte all’altra.
 
***
«Freddie! Sono qui, dove ti trovi?». I miei occhi scorrevano da un volto all’altro, c’erano sicuramente più di tremila persone all’esterno degli studi ad aspettare.
«Sono all’entrata.. Quanto cavolo ci hai messo? Sono le otto e tre quarti!». Tentai di alzarmi sulle punte dei piedi per estendere il mio campo visivo, camminando verso un grande portone.
«Mi sono cambiata cento volte, prima di sentirmi a mio agio e carina», mugugnai, quasi correndo tra la sfilza di persone che mi trovavo appresso. Riuscivo a vedere l’entrata da me; poi scorsi Fredrick e mi fiondai addosso a lui.
«Il tuo caro fratellino», rimuginò, sorridendo «Si è fatto strada tra centinaia di aspiranti cantanti, lo sai?». Mi appiccicò sulla giaccia il cartellino, recante il numero 1018. Sorrisi, mentre con far fiero mi strofinava una mano sulla nuca, manco fossi il suo fedele cane.
«Sei fantastico, quindi entriamo col terzo gruppo ad aspettare, vero?». Mi sedetti sugli scalini che portavano al portone, senza smettere di fissarlo. Annuì sorridendo, sedendosi al mio fianco.
«Abbiamo quattro ore e mezza circa da aspettare, dovresti iniziare ad esercitarti» appuntò, solleticandosi il mento con la punta delle sue dita. Distorsi il naso, mentre il mio sguardo scorreva da un volto all’altro che superava la soglia dell’edificio.
«Non voglio tu mi senta cantare prima del provino», borbottai, nascondendo le mie mani nel giaccone con far freddoloso.
«Oh, andiamo!», m’incitò «Tra poche ore sarai lì dentro. Vuoi davvero esibirti senza riscaldarti?». Sospirai, riconoscendo la ragione. 
«Ho scelto My heart will go on di Celine Dion e Another world, dei One Direction».
«Ancora con questi 1D?», si lamentò. «Ma non ti stanchi mai di sentirli?». Risi di gusto, guardandolo con occhi a mo di fessura.
«Invidioso del successo, eh?». Fece una smorfia, come per protestare.  Mi alzai e feci un paio di giravolte su me stessa, stiracchiandomi gli arti. «Farò un giro qui intorno per un po’, prenderò da mangiare», bofonchiai. «Vuoi qualcosa?» Tirò fuori il suo Iphone, infilandosi le cuffie.
«Don’t worry. Io sono a posto così», sorrise «Ti chiamo un’ora prima che tu debba entrare».
«A dopo Freddie». Gli strizzai l’occhio e mi inoltrai tra la gente, perdendomi tra le migliaia di persone che alle nove e un quarto del mattino erano lì con la mia stessa speranza: diventare qualcuno.
 
***
Tremavo; Sì, tremavo. Avevo paura. Non riuscivo a stare ferma; L’adrenalina si impossessava di me, il timore mi invadeva il cuore. Freddie, da parte sua, mi stringeva la mano come se stessi aspettando di partorire.
«Andrà tutto bene», mugugnò, sorridendo. Lo guardai male, quasi mi avesse insultata.
«Certo che andrà bene! Pensi il contrario? Non devi dire certe cose solo per farmi calmare! Sono calmissima, io!», sbraitai, mentre le mie ginocchia non facevano che muoversi. Alzò un sopracciglio e rise, quindi mi resi conto del mio stato d’animo. «Non dire niente», lo ammonì. Una testa fuoriuscì dal portone che portava al palco; si chinò su un foglio di carta e lesse ad alta voce un nome, il mio nome.
«Elizabeth Phill». Irrigidii la schiena, strabuzzai gli occhi: era ora. Quello per cui mi ero preparata per tre lunghi anni era finalmente arrivato; ora mi si prostrava davanti come una questione di sopravvivenza o meno, causandomi un rimbombamento nel cuore.
«In bocca al lupo», mi strinse l’occhio Freddie. Cercai di sorridere, seguendo l’uomo all’interno dell’aula. Era fredda, o così mi sembrava.
«Il tuo posto è lì, sul palco», bofonchiò continuando a leggere sulla cartellina che aveva tra le mani. «Devi andare al centro, davanti a te ci sono i giudici. Quando vuoi iniziare fa un cenno, ok?». Annuii con far disorientato e seguii la direzione che il suo dito mi aveva indicato. Voltai piano il viso verso i posti riservati al pubblico; Davanti a me, maestosi, erano seduti tre giudici su un bancone che recava l’insegna “X Factor”.
«Bu.. Buongiorno», balbettai, intimidita. Scossi la testa; ero lì per far vedere che sapevo fare, non per mostrare debolezza. Dovevo andare contro la mia stessa corrente se volevo farcela, ed era la cosa che più desideravo al mondo. «Mi chiamo Lizzie Phill, ho sedici anni e.. Vorrei.. Cantarvi My heart will go on». Vidi sul viso d’un giudice una smorfia, probabilmente l’aveva sentita da parecchi aspiranti.
«Per favore» esordì quest’ultimo «Risparmiami altre sofferenze, non voglio rompermi i timpani per altre note stonate».
«Christoper!», lo rimproverò la giudice sulla sinistra, piccola e con un caschetto nero. «Dovremmo almeno sentire che sa fare per dare certi giudizi, ti prego, abbi pazienza». La terza giudice, una donna che pareva alta anche se da seduta, con una lunga chioma biondo platino, alzò un sopracciglio, con aria seria.
«Elizabeth» mugugnò, leggendo i miei dati sul foglio che portava davanti al mento. «Sono spiacente, ma se non hai altro in programma da cantarci dovremmo passare al prossimo; Di brutte copie di Celine Dion per oggi ne abbiamo abbastanza».
Ma come? Era già tutto finito? Non mi volevano neanche far tentare?. Vedevo già addetti dietro le quinte che mi facevano segno di abbandonare il palco. Strinsi i pugni. Non era giusto, per niente.
«Veramente», borbottai prendendo coraggio «Ho un’alternativa. Another world, de One Direction».
«Intressante», dissero in coro i giudici. «Tenta ragazza; ma non tollero errori», ribadì l’uomo.
Irrigidii la schiena, alzai lo sguardo verso il pubblico che, da dietro i giudici, mi fissava curioso e cortese. Mi avvicinai al microfono che si prostrava davanti a me. Era la mia ora.
«It’s not me, it’s not you there’s the reason; I’ve just trying to read the signals I’m reciving.. It’s like a stone on fire, can u feel it, I don’t know about you girl, but I’m leaving». Tentavo di concentrarmi mentre cantavo. Le parole mi fluttuavano nella mente con leggerezza, mi uscivano dalle labbra sinuose e musicali. Proseguii la canzone fino alla fine, con mille pensieri in testa. Paura, eccitazione, felicità. L’adrenalina mi pulsava nelle vene; quel palco non era più estraneo, ora era una parte di me.
«Può bastare», mugugnò l’uomo, con un cenno della mano. Immediatamente, richiusi la bocca, nel silenzio. I giudici mi guardavano tutti severi, ma con negli occhi una strana luce.
«A mio giudizio» continuò, «Non hai dato il massimo». Sentivo le gambe ricominciare a tremare, avevo paura che fosse già finito. Non ero pronta per i sogni infranti.
«Per me sei stata bravissima», seguì la giudice con i capelli scuri. «Sarei davvero felice di rivederti qui; Quindi, per me il responso è positivo». Sorrisi, trattenendo comunque un senso d’angoscia.
«Non mi hai lasciato finire!», borbottò l’uomo. «Stavo dicendo. Non hai dato il massimo, ma voglio darti una chance», sorrise. «Ci vediamo alla prima puntata». Dentro di me stavo saltando. Però volevo sapere cosa pensava anche la donna bionda; volevo capire il mio livello. Spostai il mio sguardo al suo viso, con espressione incuriosita.
«Cosa posso aggiungere ancora?», esordì quest’ultima. «Non vedo l’ora di sentirti ancora cantare».
Iniziai a ridere, piegandomi a terra dalla felicità. Stavo per piangere. Forse ero tragica, forse sembravo impazzita. Ma avevo toccato con un dito la felicità, non mi sembrava vero.
  
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