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Autore: OttoNoveTre    20/10/2012    4 recensioni
Ok, calma e sangue freddo, come nello spot della Powerup: sei una gheparda, una bellissima e letale gheparda che si aggira per la giungla.
Porca puttana si avvicina proprio Snow.
Va bene Clara, respira profondamente. La gheparda non ha predatori, è lei la predatrice.
- Clara Whyte!
- Presidente Snow.
Sei la gheparda con la voce più simile a un maledetto pigolio che io abbia mai sentito, Clara.
Genere: Azione, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cinna, Johanna Mason, Plutarch Heavensbee, Presidente Snow
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Operazione Snow-Whyte



Prima parte: l'Edizione della Memoria


La foresta.
Vergine.
Due mani che battono sopra un tamburo di pelle.
Tu-tump, tu-tump.
Si vedono gli occhi di un ghepardo, accucciato nell’erba.
Stacco.
Una donna corre nella boscaglia.
Tu-tump, tu-tump.
Il tamburo cresce di intensità, sono i battiti del cuore del predatore o della donna che corre?
Tu-tum…
La donna si ferma, fissa il ghepardo negli occhi. Attorno a loro solo il fruscio delle piante.
La donna, pianissimo, prende dalla cintura una bottiglia e svita il tappo.
Fsssssss
Scattano assieme, ghepardo e donna.
Tu-tump, tu-tump.
Termina la corsa ma il cuore batte: sopra un albero, il ghepardo riposa, la donna guarda l’orizzonte e beve un sorso dalla bottiglia.

Powerup: predator’s feeling

- Eeeee STOP! Un applauso alle nostre due gheparde!
I cameraman interruppero la registrazione e scattò un battimani generale, diretto verso Clara Whyte e la femmina di ghepardo sua compagna di set.
- Ti prego, ti prego Flavius dimmi che questa era buona, sento che starò in bagno per un mese con tutti i beveroni energetici che ho buttato giù oggi.
Flavius zampettò verso Clara, evitando di inciampare nella coda del ghepardo, e le diede due bacini sulle guance.
- Sei stata stupenda, non ti preoccupare. E la tua idea di girare qui nei Sette! Ha reso il tutto molto più naturale, genuino. Ah, mi sento già meglio con quest’aria balsamica, comincio a capire come mai passi tanto tempo qui. – si allontanò verso il camper della troupe.
Clara diede un’ultima carezza alla miciona prima che gli addestratori la riportassero nella gabbia. Cinzia le passò un pacco di salviette umide e lei si strofinò via il trucco felino dagli occhi.
- Un ghepardo? Per sul serio, Clara?
La voce strafottente che le arrivò alle orecchie era inconfondibile.
- Sicurezza! Una cittadina non autorizzata del Distretto Sette mi importuna. Pare che sia armata d’ascia e pericolosa.
- Scatenami addosso la tua belva fuori contesto! – Johanna Mason rise e le tirò addosso una mela gialla, che Clara prese al volo.
 - E’ che adesso c’è tutta questa moda del ghepardo, da quando è comparso come animale da compagnia di Dorothy in “Vento focoso”. Cavalchiamo l’onda finché dura.
- Robe da Capitol, e io tento ancora di starti a sentire quando me le spieghi. Senti, vai a pisciare tutta quella schifezza che ti sei ingurgitata, ti faccio assaggiare com’è venuto il sidro quest’anno. La cosa migliore è arrivare all’annuncio di Snow sull’Edizione della Memoria il meno coscienti possibili.
Clara appoggiò la mela su un tavolo e si diresse verso i bagni chimici che avevano montato vicino al set. Si sistemò sulla tavoletta ed emise un sospiro di sollievo.
Fuori dai bagni, sentì i passi di due persone che si avvicinavano.
- Certo che fare la guardia al set di Clara Whyte è una pacchia, rispetto al cacciare bracconieri.
Riconobbe la voce di Virgil Tennenbaum, il capo dei pacificatori del distretto 7.
- Ancora non ho capito perché abbiano voluto qui così tanti uomini, comandante.
- Ordini speciali e segreti dalla capitale. Ma ho sentito alcune voci di corridoio: pare che il sorvegliato speciale non sia tanto il set televisivo, quanto Clara Whyte in persona.
Cosa?
- Oh, ma dice sul serio, comandante? Cosa ha fatto Whyte per meritare così tanta attenzione da parte del governo?
- E’ da un po’ che la tengono d’occhio, in realtà. Pare che sia sospettata di simpatizzare con la ribellione. La prima soffiata è giunta da una delle sue colleghe. Poi, tutto il tempo che passa nel distretto 7… Imparare a fare lo strudel, andiamo!
- O la sua amicizia con Johanna Mason.
- Esatto. Pare che anche la sua roulotte sia controllata da microspie 24 ore su 24. Se metteranno assieme abbastanza materiale contro di lei, rischia grosso dopo questa edizione degli Hunger Games.
- Quindi temono una sua fuga.
- Precisamente. Ormai anche a Capitol gli appartenenti alla ribellione crescono di giorno in giorno, e pare organizzino le fughe dei loro alleati troppo compromessi col governo. Ho sentito che alcune fughe sono state architettate da Plutarch Heavensbee in persona. Se Clara Whyte lo scoprisse, potrebbe riuscire a sfuggire alla sua punizione.
- Per fortuna che non lo sa allora.
- Esatto. Per fortuna non ha assolutamente ascoltato questa conversazione, altrimenti ci ritroveremmo in imbarazzo, per esserci lasciati sfuggire così tante informazioni importanti. E ora sarà meglio tornare verso il set, tanto qui non c’è proprio nessuno.
I passi (calcati in modo particolarmente pesante) si allontanarono dal semicerchio dei bagni chimici.
Clara guardò la plastica azzurra della porta davanti a lei. Respirò a fondo qualche volta, nella sua testa frullavano un milione di pensieri alla volta.
Sorvegliata speciale, Plutarch Heavensbee stratega di fughe, microspie nel camper…microspie anche in casa, a Capitol? Virgil Tennenbaum santo subito.
Uscì dal bagno quando sentì solamente i rumori della foresta. Johanna la aspettava nella roulotte, con la tv già accesa e una bottigia stappata davanti.
- Però. Sicura di stare commerciando una bibita energetica e non un lassativo?
- Mi ero fermata ad ascoltare i rumori del bosco…
- Ah, beh allora. Dai, zitta e bevi – le versò un bicchiere di sidro dalla bottiglia e alzò il volume: sullo schermo era apparso il presidente Snow.
- E ora onoriamo la nostra terza Edizione della Memoria – il presidente prese una busta ingiallita da una scatola che un ragazzino in bianco gli reggeva accanto. – Nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita.
A Clara risuonò in testa un urlo disumano. Credeva si trattasse di Johanna, finché non sentì due schiaffi e capì che l’urlo proveniva dalla sua gola. Johanna era in piedi davanti alla sua sedia. Le tirò un terzo schiaffo e rimase ansimante a guardarla. Si girò di scatto e tirò il bicchiere verso il televisore: lo schermo si ruppe e il sidro versato sui cavi provocò scintille e sbuffi di fumo. La faccia del presidente Snow si deformò assieme alla sua voce, poi scomparve.
- Quella busta! E’ tutta opera di Snow, lui sa che…
Clara si riscosse dall’istupidimento e si ricordò di una delle informazioni di Virgil. Si gettò addosso a Johanna e le tappò la bocca.
- Sei sconvolta, ti capisco. Vieni, andiamo a prendere una boccata d’aria.
Johanna si divincolò, ma Clara strinse la presa e sillabò solo con le labbra “microspie”, poi disse ad alta voce: - Un giro nel bosco non potrà che farti bene.
Camminarono fino a non sentire più le gambe: Johanna era avanti di qualche passo e non si voltò mai, ma Clara la seguì come un’ombra silenziosa fino alla casa nel distretto dei vincitori. E lì, a tarda notte, arrivò una chiamata dal distretto 4.

Il salotto della casa sicura di Plutarch Heavensbee era eccessivo anche per gli standard di Capitol. Lo stratega le versò un bicchiere di vino e si accomodò accanto a lei sul divano zebrato. La televisione trasmetteva la sintesi delle mietiture.
- ...e funzionerà?
- Abbattere gli Hunger Games dall’interno, sarà il più grosso smacco che potremo mai combinare a Snow. Abbiamo l’appoggio dei distretti 3, 4, 6, 7, 8 e 11.
- Ma saranno comunque in un’arena!
- Di cui io sarò a capo, Whyte. I tributi creeranno la prima alleanza nella storia degli Hunger Games che non si romperà alla fine del gioco. Certo che lei invece si è voluta procurare un biglietto di sola andata per le prigioni governative, eh?
La Clara che si vedeva in TV nella sintesi delle mietiture frugò nella boccia di vetro, come se i movimenti delle sue mani potessero moltiplicare l’unico bigliettino che conteneva. Alla fine lo afferrò e sembrava che le scottasse le mani. Si rivide aprirlo con una lentezza esasperante, guardare il contenuto e avvicinarsi al microfono. Ma non pronunciò il nome dell’unico tributo femmina ancora in vita.
- Devo andare ancora avanti con questa pagliacciata? – e la Clara nello schermo si voltò per lasciare il palco.
Allora la telecamera riprese il movimento che lei, alla mietitura, non aveva visto: Johanna che si faceva largo tra la folla e saliva sul palco, le strappava di mano il bigliettino e urlava nel microfono - Johanna Mason! – prima che Clara la abbracciasse.
- Come, non hanno tagliato la scena?
- Tagliarla? E’ doppiamente utile! Per i cuori teneri, che piangeranno della sconvolgente amicizia tra un tributo e la sua accompagnatrice; per il presidente, che al processo non farà altro che mostrare questa, prima di mandarla alla forca. Tutte cose di cui, per inciso, non dovrà assolutamente preoccuparsi: il piano per la sua fuga è solido tanto quanto quello per far tornare a casa sana e salva la sua amica Johanna Mason.
- Perché non prova a spiegarmelo?
- Oh, c’entreranno una festa, una borsa, un treno e uno sviamento di pacificatori.
- Così non è molto chiaro.
- Meglio, così non lo sarà nemmeno per i suoi inseguitori! Ma perché non ci godiamo assieme l'intervista a Odair?




Seconda parte: in fuga


- Cioè mi stai dicendo che devo cambiare tutto di nuovo? A una settimana dall’inizio? No, senti, stammi a sentire, quelle scatole maledette ormai me le sogno di notte. Abbiamo scavato gli alberi, abbiamo comprato le felci che mi avevi detto e adesso li dovrei mettere quasi in vista? Senti… no stammi a sentire ti dico, tra poco me li metto in culo quegli affari! … Io parlo come mi pare, adesso non fare l’offesa! … Ma sì, tanto lo sai che li cambio. Cosa vuoi che sia non dormire? Il sonno è una cosa sopravvalutata… Sì, adesso chiamo la squadra e do la direttiva nuova, non preoccuparti. Che c’è, vuoi che lo faccia con te in linea? Fidati almeno una volta! … Sì, lo so che avrai ragione tu anche stavolta. Sì, anche io ti voglio bene, ma mi fai disperare… Sì, non mi dimentico. E’ qui vicino, ti saluta anche lei. Dai, ci vediamo domani. Ciao mamma.
Oreste chiuse la chiamata e mandò un sospiro lungo da Capitol al distretto Tredici. Elettra trattenne a stento una risata.
- Problemi?
- Io non so come facesse la squadra sotto di lei. Yoga? Droghe? Morfamina? Senti, devo fare un salto nel comando strategico e dare ordine di cambiare quelle maledette scatole ancora una volta.
- “Maledette scatole”? Suppongo non siano quelle che la mamma ti ha rotto fino a un attimo fa.
Oreste sospirò.
- Quest’anno il campo magnetico che di solito avvolge tutta l’arena sarà parte integrante del gioco. Fino a due giorni fa le scatole in vista, ma distorte, erano un pugno nell’occhio. Indovina come le vuole la mamma, adesso che le abbiamo nascoste tutte dentro tronchi o dietro le piante?
- Insomma, un premio all’astuzia di chi sa guardare, un po’ come l’anno di Abernathy.
- Sì, e indovina chi starà alzato tutta la notte a dare istruzioni?
Elettra accompagnò suo fratello al guardaroba e lo aiutò a indossare il cappotto. Infilò nella tasca del cappotto alcuni salatini avvolti in un tovagliolo e diede a Oreste un bacio sulla guancia.
- Non fare tardi, domani. Quanto ci metterai?
- Non così tanto da perdere il treno, per fortuna. Dai, ci vediamo domani sera in stazione. Divertiti, non bere troppo e domani chiama la mamma, che sennò si lamenta che sua figlia si dimentica di lei. Ehi, che succede?
Elettra si strinse un po’ di più contro il suo cappotto. Oreste la stritolò in un abbraccio.
- Andrà tutto bene.
Elettra annuì e si sciolse dall’abbraccio. Accompagnò il fratello fino al taxi, poi tornò verso il salone.
Forse perché li aveva tanto sbarrati lei, ma quella sera alla festa c’erano tanti occhi che vagavano irrequieti, sopra i sorrisi di rappresentanza. Per esempio Clara Whyte, che pareva trovare molto interessante una ciotola di zuppa, da come era ferma a guardare il cameriere che la versava nei bicchierini. I loro occhi si incrociarono, ed entrambe cacciarono via la preoccupazione e si sorrisero.
- Ehi, bella sfilata quella dei Tributi, anche se si vedeva che mancava il tuo tocco, Elettra. Beh, tanto io me la potrei solo sognare una collaborazione con te.
- Se Johanna Mason riuscisse a spuntarla, magari l’anno prossimo…
Clara annuì, ma come chi non è per niente certo che esisterà, un anno prossimo.
- Certo, esatto. Liberiamoci di questa Edizione della Memoria in fretta, giusto? In realtà valeva la pena vedere la sfilata anche solo per i vestiti stupendi di Cinna… Che effetto!
- Troppo gentile, Clara.
La voce. Quella voce incrinò il sorriso di Elettra, e quando si girò verso lo stilista avrebbe tanto voluto avere davanti di nuovo il cappotto di suo fratello in cui tuffarsi.
- Beh, io vi lascio. Complimenti ancora, Cinna. Spero… spero che anche il Sette possa avere persone come te... come voi.
- Oh, ma le ha, Clara. Ti auguro un’ottima serata.
Il caschetto viola scomparve, malfermo sulle gambe, in mezzo al resto della gente.
- Credevo fossi già partita, Elettra. Se avessi saputo che eri ancora in città, sarei passato a salutarti. - Cinna aveva il suo solito tono pacato e cordiale.
- Ho caldo, accompagnami un attimo sul terrazzo.
Con l’aria fresca della sera, Elettra sentì che la sua mente ritornava lucida. Guardò le luci della città, sotto di loro.
- Questa volta i vestiti dei ragazzini erano un po’ troppo teatrali. Non ti è riuscita del tutto la transizione dal concetto dell’elemento all’abito.
- Stavolta ho deciso di tenere il pezzo forte per l’intervista con Flickerman.
- Vuoi sul serio portare fino in fondo quella burletta del matrimonio?
- Voglio portare fino in fondo un’altra cosa. Anzi, posso mostrarti il vestito che ho preparato?

Ok, calma e sangue freddo, come nello spot della Powerup: sei una gheparda, una bellissima e letale gheparda che si aggira per la giungla.
Porca puttana si avvicina proprio Snow.
Va bene Clara, respira profondamente. La gheparda non ha predatori, è lei la predatrice.
- Clara Whyte!
- Presidente Snow.
Sei la gheparda con la voce più simile a un cazzo di pigolio che io abbia mai sentito, Clara.
- Sono così contento che alla fine non abbia deciso di dare le dimissioni da accompagnatrice del Sette: la sua professionalità quando ha chiamato sul palco Johanna Mason sarebbe stata difficilmente eguagliabile.
- Gra-grazie…
Snow fermò con la mano destra un cameriere e si fece porgere un vassoio pieno di praline nero cupo.
- Deve assaggiare questi, signorina Whyte, – porse una pralina a Clara, che la prese in mano e la rigirò tra pollice e indice – li ho fatti chiamare “Morsi della Notte”, perché a ogni assaggio ne moriresti.
Clara strinse troppo forte la pralina fra le due dita: la superficie esterna si crepò e alcune gocce di un liquido rosso fuoriuscirono sul suo palmo.
- Oh, si è rotta. Lasci lasci – Snow le passò sulla mano un fazzoletto bianco che sapeva di rose – stia attenta, l’involucro di cioccolato è un po’ fragile. Ehi, – con uno schiocco di dita fece riavvicinare il cameriere col vassoio – la signorina Whyte ne vorrebbe un altro.
Clara prese con l’altra mano una pralina. Con la coda dell’occhio vide che anche altri invitati le stavano mangiando, e nessuno di loro veniva colto da spasmi improvvisi.
- Aspetta qualcuno, Whyte?
- No, cosa, io…
- Mangi, la prego.
Clara si ficcò la pralina in bocca e la schiacciò fra i denti. Aspettò qualsiasi effetto, dalla vista annebbiata a vomitare sangue fino a cadere morta.
Le si diffuse in bocca un sapore di cioccolato, ciliegie e liquore. Passò la lingua sui denti e sul palato, sempre più convinta di essere ancora viva. Si ricordò che Snow si aspettava una sua reazione e sorrise.
- Mmmh.
- Cosa le dicevo? Eccezionali! – Snow ne prese due e le masticò lentamente. Si lisciò la barba con sguardo assorto, sempre fissandola con i suoi occhi da serpente.
- Sa, ero venuto da lei perché ero convinto di doverle dire una cosa. E’ buffo, adesso invece non mi viene in mente proprio nulla…
Clara era sicura che la tintura dei suoi capelli le stesse colando in faccia. Si ficcò le unghie nelle cosce per non far cedere le gambe. I rumori della festa attorno a loro erano lontanissimi.
- Oh beh, prima o poi me lo ricorderò. Si goda la festa.
Clara annuì, mentre la macchia bianca profumata di rose si allontanava tra la folla. Quando qualcuno la urtò, cacciò un urlo.
 -Whyte, sono io, Plutarch.
Clara lo afferrò per la giacca, perché le sue gambe avevano ceduto definitivamente. Lui le mise un braccio attorno alla vita e la trascinò verso la pista da ballo.
- Stanno suonando un lento, appoggi la testa alla mia spalla e se ha qualcosa da dire me lo sussurri all’orecchio.
- Non ce la farò mai, Plutarch; sono terrorizzata e lui, il presidente, sa tutto – Clara bisbigliava e singhiozzava contro la stoffa. Sentì la mano di Plutarch che le sollevava il mento.
- E ci rassegniamo così? Voglio vedere la gheparda oggi. E sarà un “buona la prima”, me lo sento.
Anche perché non avrebbero avuto il lusso di un secondo ciack.
Plutarch le fece appoggiare di nuovo la testa sulla sua spalla e le sfiorò l’orecchio. Clara sentì qualcosa di freddo che le scendeva nel padiglione auricolare e sussultò.
- Calma, è un trasmettitore che si disattiverà di qui a ventiquattro ore. Stasera non dovrà fare altro che seguire le istruzioni che le darò.
- Perché ventiquattro ore?
- Sarà il tempo necessario perché lei possa arrivare nel luogo di raccolta.
- E se qualcosa andasse storto?
- Un po’ di fiducia, Whyte. Sono o non sono lo Stratega Supremo? Ora – e aumentò di colpo il tono di voce – Clara, sono desolato! La mia giacca ha combinato un po’ un pasticcio con la sua pettinatura. Se vuole nella toeletta per signore hanno un servizio parrucchiere-espresso.
Clara deglutì e, confortata che le gambe la sorreggessero, andò verso i bagni. Uscita dal salone principale, fu quasi soffocata dal silenzio del corridoio e dai suoi tacchi che rimbombavano sul marmo.
- Sta andando benissimo.
La voce che arrivò dall’orecchio la fece urtare contro un ficus beniamino. Si liberò dai rametti e fece di corsa il corridoio fino alla porta dei bagni. Allora si mise una mano a coppa sull’orecchio e sibilò: - Non faccia mai più una cosa del genere.
- Oh, invece sarò il suo fedele compagno per un po’ di tempo. Ci si abitui. Bene, si diriga verso il terzo gabinetto sulla sua sinistra e ci si chiuda dentro. Volume a 8, ruscelli di montagna.
Clara si chiuse nel gabbiotto e attivò l’altoparlante musicale. Per tutto l’ambiente si diffuse il fragore dell’acqua.
- Ora, vede le piastrelle blu sulla sinistra del wc?
- Sì.
- Le prenda a calci.
Il pannello di piastrelle finte cadde all’indietro, rivelando un vano: all’interno c’era una maxibag gonfia al limite della sopportazione.
- C’è la borsa.
- Perfetto, sa cosa fare.
Clara aprì la maxi bag e tirò fuori una parrucca argentata, un tubino di paillettes con scarpe abbinate e una scatola di trucchi. Si liberò del suo finto caschetto prugna, che nascondeva delle ciocche irregolari marroni, tolse vestiti e scarpe e le ficcò dentro il vano nel bagno, assieme alla parrucca. Poi ci ripensò e mise la parrucca nella borsa. Le sue dita urtarono un cilindro freddo di metallo: estrasse dal mucchio una bomboletta di tintura per pelle e se la spruzzò dappertutto, diventando di un bel celeste. “Dieci minuti di asciugatura per un effetto eccezionale!”, i dieci minuti più torturanti di tutta la sua vita.
Sentiva altre persone andare e venire per il corridoio dei bagni, e ogni ticchettio di tacchi almeno non era la suola chiodata di un Pacificatore.
Passati i dieci minuti infilò i vestiti nuovi, la parrucca e un paio di lenti a contatto gialle.
- Finito?
La voce di Plutarch la colse di nuovo di sorpresa. Clara chiuse la maxibag, rimise a posto il pannello e interruppe i ruscelletti artificiali.
- Ora sì.
- Bene, mi sento a disagio senza vedere tutto su uno schermo. Non l’ho ancora perdonata per avermi rifiutato di installarle addosso anche una telecamera nascosta.
- Per piacere. Allora, adesso?
- Adesso abbiamo da prendere un treno, signora Templeton. Il biglietto e la nuova carta identificativa sono nel portafoglio, tasca interna della maxibag. Tra un attimo invece la signorina Whyte tornerà a gironzolare per il salone da ballo.
Clara lanciò un’occhiata al suo nuovo aspetto nello specchio sopra i lavandini: era irriconoscibile, e questo fermò il tremolio alle gambe.
E’ come in un film, e hai il regista più affidabile che potesse capitarti.
Uscendo, urtò una ragazza che entrò nel terzo gabinetto sulla sinistra. Dopo qualche secondo si diffuse di nuovo il suono dei ruscelli, ma Clara riconobbe il suono secco del pannello che cadeva.
- E lei?
- Non si preoccupi, gestiremo anche la sicurezza della nuova signorina Whyte. Ora per favore si diriga all’uscita e prenda il taxi rosa che troverà parcheggiato di fronte al palazzo del ricevimento.
Clara Whyte, anzi, la signora Meissa Templeton uscì sulla strada e individuò subito il caramelloso taxi rosa. Entrò e si chiuse la portiera alle spalle.
- Dove la porto, signora?
- Alla stazione centrale, grazie.
Il tassista accese la radio e i primi minuti del viaggio trascorsero col sottofondo di un rilassante quartetto d’archi.
- Whyte!
- Non ora, Plutarch, sono all’allegretto.
- Stia seria per un momento. Dove diavolo ha ficcato la parrucca viola?
- Adesso non mi faccia storie se una ragazza si porta via un vecchio ricordino sentimentale. Sono dieci anni che il pubblico mi riconosce per quella pettinatura.
- E mi vuole spiegare come faccio io a fingere che alla festa ci sia una sua sostituta se la parrucca simbolo di Clara Whyte è nel suo taxi? – la voce di Plutarch trasudava la voglia di strozzarla.
- Non è lo stratega supremo? Improvvisi! Ne compri un’altra uguale.
- Brutta, stupida, incompetente OCA! Non è un gioco, qui stiamo parlando della sua vita e lei la mette in pericolo per salvare una parrucca!
- Detto da uno che organizza un reality dove in gioco ce ne sono ventiquattro, di vite, è molto divertente.
- Io spedisco il suo taxi diritto alla residenza di Snow, se non la smette! Allora, intanto ho mandato a cercare una parrucca simile.
- Visto? Non era difficile.
- Lo dica ai Pacificatori che la stanno cercando qui alla festa, dato che il presidente Snow è così preoccupato di non vederla più in giro. Ci sono… sette soldati in borghese, direi, trasudano militarismo e pessimi abbinamenti da tutti i pori. – dall’auricolare arrivò un brusio soffocato - Perfetto, mi sa che hanno trovato il nostro piccolo nascondiglio nel bagno.
Il taxi fece una brusca frenata. Il tassista si girò verso di lei con aria preoccupata, e cambiò la radio su un’altra stazione.
- Brutte notizie, stratega, un posto di blocco.
- Signori, un piano perfetto va a puttane per colpa di una parrucca viola. – la voce di Plutarch amplificata per tutto l’abitacolo suonava ancora più sarcastica che nell’orecchio.
- Una parrucca prugna. E se Bebe Linda le sentisse dire una cosa del genere, commenterebbe “allora non era un piano perfetto, era un perfetto fallimento”.
- Smetta di seppellire il suo senso di colpa dietro battute acide e scenda dal taxi. – si poteva percepire il cervello di Plutarch che girava - Farà gli ultimi chilometri a piedi fino alla stazione. Se qualcuno la ferma, lei abita da queste parti ed è troppo ubriaca o idiota per trovare la strada di casa. Dovrebbe riuscirle bene come interpretazione.
- Senta, mi dispiace, va bene? Insultarmi non porterà indietro il tempo.
- Mi perdoni signora.
Un Pacificatore si era avvicinato mentre bisticciavano via etere e le aveva strappato la parrucca.
Clara lo guardò e guardò la fondina con la pistola: scappare? Consegnarsi? Bear sapeva stordire una persona in venti modi diversi, chissà se uno era implorare pietà o infermità mentale…
Il pacificatore guardò per qualche secondo le ciocche marroni, poi le restituì la matassa argentata.
- Falso allarme! Mi scusi, questioni di sicurezza nazionale.
Falso…
Solo allora Clara si rese conto che altri quattro Pacificatori avevano le pistole spianate contro di lei. Deglutì, cercando di fare una faccia scocciata, e trascinò le gambe lungo il viale che la separava dalla stazione. Proprio in quel momento, una squadra arrivò al taxi rosa: un Pacificatore strattonò il tassista fuori dall’abitacolo e lo sbatté sul cofano, gli altri aprirono il bagagliaio e cominciarono a spargere sulla strada sacchetti e scatoline. Squarciarono anche la pelle dei sedili, l’imbottitura volò a terra assieme ai sacchetti. Ammanettarono il tassista e lo trascinarono verso la macchina di pattuglia. Clara si chiese se Plutarch aveva un modo di tirare fuori dai guai anche lui, oltre che la ragazza dei bagni. Di nuovo l’unico rumore che riusciva a percepire erano i propri tacchi sul selciato del marciapiede, tic e tac, tic e tac.
Accelerò il passo e accolse con sollievo l’apparire della stazione, una massiccia costruzione di acciaio e vetro, all’orizzonte.
Tic e tac, tic e tac.
Aveva voglia di sentire una voce, anche solamente degli insulti: portò di nuovo una mano a coppa sopra l’orecchio.
- Pare che non aver trovato nessuna parrucca viola nel bagno li abbia portati a credere che io abbia ancora i capelli di quel colore, Plutarch.
- Lei è solo schifosamente fortunata, Whyte. Intanto hanno cominciato a volare anche qui, le parrucche, devo ammettere che è una scena abbastanza comica, la userò in qualche programma…
Le porte a scorrimento si aprirono al passaggio di Clara, assorbendola in una folla frettolosa.
- Bene, sono nell’atrio della stazione.
Le luminarie si riflettevano sui pannelli di vetro, mentre un enorme tabellone annunciava i treni in partenza e quelli in arrivo. Vicino a molte destinazioni lampeggiava in un rosso minaccioso la scritta “cancellato”.
- Il suo treno è al binario nove. Ci vada. Sul suo biglietto c’è il numero della sua cabina. E’ un espresso super rapido, quelli verdi e argentati. Bene, testa alta e borsa stretta, non fissi i Pacificatori che trova lungo il percorso. Se proprio non può farne a meno, almeno sorrida.
Ora dovrebbe essere al treno, giusto? Bene, porga il biglietto al controllore, un bel sorriso anche a lui, perfetto! Adesso in cabina, la sua bella cabina di prima classe. Posi la borsa sul letto e lasci fuori il portafoglio. Si tolga la parrucca. Apra la borsa, ci troverà dentro uno zaino: se lo metta in spalla. Ora apra la finestra, scavalchi il vetro e si butti nel treno di fronte.
- Che cosa?
Clara squadrò la cabina tappezzata di velluto del treno dove era salita, guardò di nuovo fuori dalla finestra e rivide quello che aveva visto un attimo prima.
- E’ un treno merci!
- La reazione dei suoi inseguitori sarà esattamente la stessa, si spera. Avanti, lasci qui la sua roba e vada nell’altro treno.
Clara brontolò e si infilò lo zainetto verde militare in spalla, come le aveva detto Plutarch. Come unico gesto anarchico ci ficcò dentro la parrucca della discordia, poi si issò a cavalcioni sul vetro: il salto non era lungo, in un attimo atterrò nel vagone merci di fronte, circondata da bidoni alti quasi quanto lei. E questo le fece passare un brivido lungo la schiena. Plutarch confermò i suoi sospetti:
- Nello zaino ci sono un respiratore e delle pillole di sonnifero. Ovviamente, se preferisce fare l’intero viaggio cosciente è una sua scelta. Il suo bidone è quello col numero 8. Lo apra e ci si infili entro i prossimi cinque minuti, poi passeranno a sigillarli.
- Passeranno a cosa? – Clara aveva aperto il bidone e fissava il liquame marrone che lo riempiva: emanava un odore chimico che le fece venire mal di testa.
- Nello zaino c’è anche una piccola fiamma ossidrica. Quando l’effetto del sonnifero finirà, apra il bidone con la fiamma ossidrica. Sarà arrivata in un posto sicuro.
- Non sarà corrosiva sta roba? – Clara aveva immerso un dito nel liquame – Bleah, sembra bava!
- Non avrei perso molta della mia pazienza odierna per poi ucciderla a un passo dal successo, anche se devo dire che sarei molto tentato. Tutto pronto?
- Sì.- Clara era immersa fino alle spalle nel liquame. Ingoiò le pillole e sistemò il respiratore in bocca. Le ultime parole di Plutarch le arrivarono ovattate.
- Buonanotte, Whyte.

- Perché mi hai fatto vedere questa cosa? Potrei denunciarti a Snow anche stanotte.
- Allora voglio vederti correre verso il palazzo presidenziale così, come sei adesso. Se fai lo stesso effetto che fai a me, avrò il tempo di scappare dai pacificatori imbambolati.
Elettra raccolse da terra il suo abito da sera e si coprì solamente i seni, senza indossarlo di nuovo. Cinna aveva già rimesso i pantaloni e stava trafficando attorno al pesante abito da sposa.
- Volevo che la mia ultima creazione potesse dirsi approvata da te.
- Ultima creazione… di questi Hunger Games.
Cinna non le rispose: appuntò altre perle al vestito. Elettra abbandonò il suo vestito a terra, si chinò e cominciò ad aiutarlo. Dopo una fila di perle, prese un respiro e lo guardò negli occhi:
- Questa Edizione ha smesso di essere solo un reality show da molti mesi, ormai. Per l’incoscienza della tua ragazzina rischiamo di andarci di mezzo anche noi, anche se stiamo facendo soltanto il nostro lavoro. Credo che sia saggio per me, e per te, cambiare aria per un po’. Ho qui questo – prese la sua borsetta e ne estrasse un biglietto dorato – è per domani sera, un treno di cui mi hanno garantito la partenza. E’ ora di prendere un po’ d’aria lontano da Capitol.
- Elettra – Cinna coprì con le sue la mano che stringeva il biglietto – ti ho detto che devi smettere di imitare tua madre.
Cinna lo disse con uno sguardo buono e triste. E bastò questo a farla arrabbiare.
- Vuoi che mi umili? Che cosa vuoi? Vuoi che mi metta in ginocchio e ti supplichi di scappare con me?
- Elettra…
- Va bene, fai il tuo show di protesta! Lascia che la tua ultima creazione imbarazzi il governo e getti scompiglio in tutta Capitol, ma guarda queste reazioni da un posto sicuro. Rideremo della stupidità di Snow, guarderemo l’incendio da lontano.
- Elettra, tu sei incredibile e forte. Lei, la ragazzina, ha ancora bisogno di me, qui. Non la posso abbandonare. Mi capisci?
- Adesso sei tu che menti. Tu non lo stai facendo per lei, ma per te.
- Anche tu.
Elettra si alzò in piedi, lasciò il biglietto dorato sul tavolo dell’atelier e si infilò in fretta e furia il vestito.
- Domani alle nove, in stazione.
 E si chiuse la porta alle spalle.



Terza parte: la gheparda


Il primo respiro cosciente le fece ingoiare un sorso di liquame. Il secondo tossì fuori quella schifezza e le ricordò dove si trovava. Nel buio totale cercò l’apertura dello zaino, arrivò a tastoni al cannello ossidrico e lo attivò. Lo squarcio incandescente che cominciò ad aprirsi sulla parete del bidone fece scorrere via la melma. Quando ebbe completato la circonferenza, Clara spinse via il pezzo di metallo e si strappò il respiratore dalla faccia. I suoi primi passi incespicanti inclinarono la parte inferiore del bidone, così si ritrovò a rotolare per un prato. Il contatto con l’erba pulita non era spiacevole. Si passò le mani sulla faccia per liberarsi dei resti del liquame, poi le strusciò a terra. Il liquame aveva sciolto il blu artificiale della pelle, lasciando solo macchie irregolari qua e là.
Clara si sfilò lo zaino alla schiena.
- Dai, Plutarch, dimmi che hai messo qualcosa come una bomboletta autopulente, delle salviettine, qualsiasi cosa!
Nello zaino c’era un cambio di vestiti, una torcia elettrica, una bussola, un pacchetto di barrette energetiche, una cartina e, più sgargiante che mai in mezzo a quei colori mimetici, la sua parrucca. Clara si ricordò della trasmittente.
- Plutarch, sono – si guardò attorno per la prima volta – sono al limitare di un bosco. E’ questo il punto dove dovevo trovarmi?
Non le arrivò nemmeno una risposta dall’orecchio. Provò a darsi dei colpetti sulla tempia e sul padiglione auricolare. Dal silenzio di tomba, la trasmittente passò a mandare un ronzio basso e continuo. Clara scosse la testa, la inclinò, si battè su entrambe le orecchie, ma scoprì solo che il ronzio aumentava di intensità se inclinava la testa verso sinistra.
- Plutarch, puzzo come una fogna, sono in un posto sconosciuto e la tua cazzo di ricetrasmittente sembra una zanzara infilata nel mio orecchio! Stratega Supremo dei miei coglioni… Ok, calma. – Clara si guardò di nuovo attorno, ma i pini non le diedero nessuna indicazione su dove si trovava, era un luogo che non aveva mai visto. Guardò le cose davanti a sé e si diede una pacca sulla testa ricordandosi della cartina (il ronzio aumentò di intensità); la spiegò e trovò una X rossa segnata vicino a un confine tra due zone contrassegnate come 6 e 7, mentre un cerchio simile a un mirino stava a nord della X, dentro i confini del 7. Fece un altro tentativo con la trasmittente:
- Plutarch, quello è il mio punto di raccolta?
Con la mano a coppa, il ronzio sembrava quello di un moscone, ma della voce di Plutarch nessun segno.
- Ok, è come sul set di Survivors con Bear. Ce la posso fare. – continuò a parlare per ignorare il più possibile il ronzio nell’orecchio - Ipotesi, Bear in questo momento vaglierebbe tutte le ipotesi. Uno: la trasmittente si è rotta durante il viaggio, ma sono nel posto giusto. Due: ho dormito troppo, la ricetrasmittente si è disattivata ma sono comunque nel posto giusto. Tre: ho dormito troppo e sono pure nel posto sbagliato, quindi con la cartina mi ci posso pulire il culo. Quattro, sovrapponibile alle altre: la ricetrasmittente non si è rotta, è Plutarch che è stato preso e ucciso, e tra poco rintracceranno me. Ma finché non mi arriva una pallottola in testa, rimaniamo positivi. Ora, indizi – tornò vicino al bidone tagliato in due e recuperò il respiratore: il livello dell’aria era quasi a zero e la carica prometteva “dieci ore d’aria”, quindi era ancora abbondantemente nelle 24 ore. La trasmittente era rotta, almeno da Capitol verso di lei, ma le tempistiche erano quelle previste da Plutarch.
- Bene, con un certo margine di sicurezza sono al punto della X rossa. – prese la bussola, controllò dove fosse il nord e cominciò ad incamminarsi. Secondo la cartina, sopra di lei scorreva un fiume. Raggiungerlo significava confermare che almeno si trovava nel punto giusto.
Dopo un’ora di marcia, condita col ronzio incessante della ricetrasmittente danneggiata, sentì forte e chiaro un rumore d’acqua corrente. Corse per superare una collinetta coperta di cespugli e si trovò davanti a un fiume, con il letto largo e basso e l’acqua limpida. Clara ci entrò vestita e rimase sott’acqua fino a quando tutto il liquame, lo spray blu e l’erba del prato se ne andarono. Allora si liberò anche del vestito di paillettes e della parrucca, e guardò la corrente che li trascinava a valle.
I vestiti di ricambio consistevano in una divisa militare scosciatissima corredata da un paio di anfibi al ginocchio, con dentro un bigliettino ripiegato:
“Per la tua arena personale, Gallia”.
A Clara salirono assieme in gola una risata e un groppo di commozione per la sua stilista senza speranze.
Mise di nuovo lo zaino in spalla e guadò il fiume, che le arrivò al massimo alla cintola.
Dopo una giornata di cammino incessante nel bosco, le sembrava di avere la testa dentro a un nido di aghi inseguitori. Si prese a pugni, ma il rumore continuava.
- Almeno taci, smettila, esci da questo corpo!
All’ennesimo pugno, le parve di sentire delle voci, ma arrivata a quel punto non era più sicura che fosse un buon segno. Si fermò in ascolto, e distinse voci di bambini, quella profonda di un uomo che dava ordini, un motore che veniva acceso. L’uomo parlò di nuovo, più forte per coprire il rombo del motore.
- Controllate che non ci sia più nessuno e fate crollare l’ingresso!
Clara capì che le voci provenivano dal mondo reale e non dalla sua testa ronzante, si acquattò e, carponi, arrivò fino al bordo di una strada sterrata: due pacificatori stavano facendo salire dei bambini a bordo di una jeep, mentre il terzo gettò una cosa tonda dentro l’imboccatura di un bunker, che crollò su se stesso. Uno dei bambini singhiozzava, gli altri erano terrorizzati e si limitavano a guardarsi attorno confusi.
Ok, calma, non devono vedermi. Tra poco se ne andranno. Basta non fare nulla.
- Ordini signore?
- Alla fabbrica 47, Distretto 6.
Basta. Non. Fare. Nulla.
Una bambina bionda più grandicella strinse il bambino in lacrime, che continuava a sgolarsi, e cercò di scappare nel bosco mentre le guardie non guardavano. Il suo tentativo finì quasi subito, con il braccio di un soldato che li bloccò contro un albero.
Tu sei pazza, Clara Whyte.

Il colonnello Davon cominciò a pensare a come avrebbe potuto descrivere la scena nel rapporto ufficiale: “Gli agenti Vixen, Groove ed io avevamo appena terminato lo smantellamento di un rifugio ribelle, quando dalla boscaglia è sbucata una specie di pornostar in divisa mimetica, con un caschetto di capelli viola. Si potrà scrivere pornostar o è meglio ragazza discinta?”
Quando la ragazza discinta fu abbastanza vicina alla Jeep, riconobbe l’accompagnatrice del distretto 7 che gli sorrideva come se avesse visto la cosa più bella del mondo.
- Oh meno male, delle facce amichevoli! Non voglio raccontarvi cosa mi è successo, cosa è sucesso alla mia troupe! – sentì che le si incrinava la voce dal pianto. – Sono riuscita a divincolarmi e scappare fino a qui, non so quante ore ho corso, ma sento sempre come se mi inseguissero. Oh, signor Pacificatore! – e senza alcun freno si mise a singhiozzare sulla sua divisa.
- Ehm, signorina… - Davon guardò i due compagni per ottenere un aiuto, ma guardando la jeep si ricordò del perché erano in mezzo a quel bosco. Si tolse di dosso la ragazza e riprese un tono professionale. – Non ci avevano informato di programmi televisivi girati su questo confine.
- E a me quando ho firmato il contratto non mi avevano avvisato che c’era il rischio di imboscate! Io dovevo solo fare la gheparda, ma mi dice come si può essere professionali se ti sparano contro?
Davon aveva già mal di testa per il tono di voce acuto e isterico della ragazza. Quella intanto era passata dallo sbotto a una specie di lagna cantilenante: - Ho i piedi bagnati, i vestiti bagnati, non vedo una doccia da tre giorni, i miei capelli fanno schifo, oh perché non c’è nemmeno un estetista in questo postaccio infame!
Vixen e Groove erano ancora impassibili accanto alla jeep, ma facevano di tutto per evitare lo sguardo del loro comandante che chiedeva soccorso.
- Senta, la porteremo con noi fino alla caserma più vicina, lì si calmerà e ci spiegherà come è finita in questo posto.
Clara Whyte annuì e si asciugò le lacrime dalle guance. La accompagnò fino al sedile del passeggero, con lei che non la finiva più di mormorare: - Grazie, grazie…
- Lasci stare, dovere. Vixen, Groove – i suoi sottoposti si misero sull’attenti, interrompendo quella che aveva tutta l’aria di essere una risatina – Controllate che la strada non sia minata.
I due soldati presero un rilevatore e si piazzarono qualche metro davanti alla jeep, mentre un reticolato di luce verde scannerizzava la zona.
Davon notò solo allora che la radio di bordo aveva accesa la spia rossa.
- czzzzzzz…ati…….crrrrrrrr
In quel buco di posto non prendeva mai bene. Ora capiva tutti i racconti dei suoi colleghi sui contrabbandieri e su quanto fosse difficile cancellare la piaga dal 7. Davon ruotò la manopola fino a ottenere una qualità decente. La Whyte accanto a lui si era messa una mano sull’orecchio, come se le arrivasse da lì una fitta di dolore.
- ccczzzzzz…..unità….ccccccczzzzzzlara…..yte……ricercati. – oh finalmente – Ripeto, a tutte le unità sul confine, questo è l’elenco aggiornato dei ricercati per fuga da Capitol City: Adone Moore, Adelaide Sparrow, Clara Whyte…
Davon sollevò lo sguardo sulla sua passeggera. Clara Whyte aveva cancellato qualsiasi espressione languida dalla sua faccia quando lo spinse giù dalla jeep con un calcio piazzato sul naso e chiuse il portello.
- Grazie, coglione.

Bene, era lo stesso modello che aveva guidato in quella puntata del ponte sospeso e dei coccodrilli. Dietro di lei, nel cassone, i bambini avevano seguito sconcertati la scena. Clara fece tacere con un pugno la radio di bordo, che ripeteva monotona il suo nome e quello degli altri ricercati: il fischio che le risuonava nell’orecchio tornò a essere un sopportabile ronzio.
La bambina bionda si era issata a guardare attraverso la grata divisoria.
- Lei è una ricercata, signora di Capitol?
- Mettetevi la cintura, bambini, stiamo per andare molto forte.
- E lei, signora?
- IO ME LA SBATTO, LA CINTURA!
Clara mise in moto con una sgommata e tutti gli occupanti sobbalzarono, poi l’accelerazione li spiaccicò contro i sedili.
I due Pacificatori ancora sulla strada si scansarono un attimo prima che la jeep li travolgesse. Clara pigiò sull’acceleratore a tavoletta e conficcò le unghie nella gomma del volante; dai bambini dietro non proveniva nemmeno un bisbiglio: guardò nello specchietto e li vide seduti composti sulle panche, non più sconvolti di quando i Pacificatori li avevano caricati sulla jeep.
Sentì una scarica di mitra alle sue spalle, ma nessuna ruota che scoppiava.
- Feriti là dietro?
Dallo specchietto vide sempre la bambina, eletta portavoce del gruppo, che, togliendo le mani dalle orecchie del fratello, scuoteva la testa.
- Bene, non abbiamo tempo per essere feriti.
Un lampo bianco davanti a loro le tolse la vista per qualche istante: sbattè qualche volta le palpebre e, quando la strada fu di nuovo visibile, c’era qualcosa che bruciava di fronte a loro. Il bosco cominciò a diradarsi, la jeep procedeva in mezzo a un prato. Il fumo si faceva sempre più vicino, sembrava provenire dalle viscere stesse della terra. Poi la strada cominciò a degradare, apparve una gola di fronte a loro.
E il ponte sulla gola era squarciato da un’esplosione. Clara stava per pigiare sul freno, quando sentì i motori di un hovercraft in avvicinamento.
- Cazzo, cazzo cazzo cazzo cazzo!
Aspetta, ma se questo è il modello dei coccodrilli…
Clara tastò tutto il cruscotto, fino a quando la sua mano trovò la superficie liscia di una leva. Pigiò di nuovo fino in fondo il pedale dell’acceleratore. Una spia sul cruscotto si era illuminata a forma di teschio, con una distanza che diminuiva secondo dopo secondo.
Cento metri.
Quaranta.
Dieci.
Quando Clara sentì le ruote davanti staccarsi dal suolo, tirò la leva.
La fiammata verde che si sprigionò dallo scappatoio fece fare alla macchina un balzo in avanti a una velocità tale che Clara perse la presa sul volante.
Le ruote della jeep girarono a vuoto in aria per qualche secondo, poi l’impatto col terreno e una nuvola di polvere le fecero capire che erano atterrati dall’altra parte. Riprese in mano il volante e recuperò la strada con una sterzata.
- Bambini! Tutto bene?
Il fischio che le trapanò il cervello coprì qualsiasi risposta. Si portò la mano all’orecchio per strapparsi a unghiate la ricetrasmittente, ma un secondo fischio le fece scomparire tutto dagli occhi. Sentì il mondo ribaltarsi e il rumore delle ruote che di nuovo mangiavano l’aria al posto della terra.
- cccczzzzzzzzzzzzz….rrenditi, Clara Whyte, consegna…cczzzzzzzzzz
Prese a calci la radio finché non ne uscì più nemmeno un sibilo. Quando il fischio nella sua testa tacque, si rese conto che la jeep si era ribaltata su un fianco. Sopra di lei, il tettuccio era un pezzo di plexiglas già incrinato: ci fece forza con entrambe le braccia e riuscì a scardinarlo. Si trascinò fuori dall’apertura sul tetto e strisciò sull’erba. I frammenti dei finestrini costellavano il prato tutto attorno a lei. Il cassone era intero, anche se ribaltato come il resto della vettura.
Clara afferrò un pezzo di vetro e si trascinò verso il cassone; le sue gambe si erano riempite di graffi sanguinanti, ma reggevano ancora il suo peso. Strappò la copertura verde con il pezzo di vetro: dentro i bambini erano terrorizzati ma illesi. Benedette cinture di sicurezza.
- Signora!
- Uscite di...
Uno strappo al bavero la portò via dal cassone, dritta contro il terreno. L’erba le premeva contro la bocca, mentre una canna di fucile sulla nuca e uno scarpone sulla schiena la tenevano ferma al suolo.
- Non opponga ulteriore resistenza, Clara Whyte.
Dall’occhio non inchiodato a terra distinse la divisa di un pacificatore. L’adrenalina che l’aveva tenuta in piedi se ne stava andando: tutto in un colpo tornò il fischio nelle orecchie, mentre il corpo ruggiva di dolore.
Bene, sono morta. Almeno ci ho provato.
Oppure l’avrebbero riportata a Capitol. Ci sarebbe stata una esecuzione pubblica? Chissà se le avrebbero dato Gallia come stilista anche per l’abito dell’impiccagione… Come sarebbe stata una carcerata sexy?
- Pattuglia 16, abbiamo trovato e immobilizzato il soggetto.
Sentì la parrucca scompigliarsi per il vento sollevato dall’hovercraft in atterraggio. Nel terreno rimbombarono gli scarponi della pattuglia di Pacificatori.
Alcuni ordini, un urlo, una raffica di mitra. I bambini?
Bastardi…
Il calcio del fucile che le schiacciava la testa al suolo scomparve, e anche la pressione dello scarpone sulla schiena. Ancora una raffica.
- Bas…bastardi…
- Clara?
Sì, sono io, smettetela e portatemi via.
- Clara, riesci a sentirmi?
Qualcuno l’aveva girata sullo stomaco e le stava dando dei colpetti gentili sulle guance. Tra le macchie bianche comparve la faccia di un pacificatore, ma un pacificatore molto noto.
- Virgil? Bene, non ci ho messo molto a impazzire
- Clara, hai raggiunto il punto di raccolta. Ci siamo occupati noi della pattuglia.
- Il punto… il punto di raccolta! Il mirino della mappa…
Virgil le sollevò la testa, Clara si guardò attorno: il soldato che le aveva puntato contro il fucile era morto con un colpo in testa, così come i suoi compagni di pattuglia. Un’ala dell’hovercraft bruciava. Altri ribelli (riconobbe alcune facce del distretto 7) stavano aiutando i bambini a uscire dai resti della jeep. Il bimbo piccolo stava mimando una specie di razzo, e alla fine del racconto indicò lei. I ribelli la guardarono ammirati.
Sopra di lei, Virgil invece la osservava con una faccia preoccupata.
- Tutto a posto?
- Voglio solo morire. Ma finché ho questa sottospecie di ago inseguitore nel cervello…
Proprio allora, il fischio nell’orecchio finì e ricomparve una voce familiare.
- Whyte, in perfetto orario!
- Vaffanculo, Plutarch.

Lo schermo della stazione inquadrò il superbo vestito da sposa divorato dalle fiamme. Man mano che i brandelli di stoffa bianca cadevano al suolo, il vestito di piume nere veniva alla luce. Katniss Everdeen rimase sul palco, a braccia alzate, a sfidare il ruggito del pubblico che nemmeno Caesar riusciva a controllare.
L’operatore inquadrò Cinna, ed Elettra vide la soddisfazione dipinta nei suoi occhi, anche se rimase impassibile.
- Gli studi televisivi non distano molto. Se corre ce la può fare.
Oreste, lì accanto, guardava anche lui la tv. Ora tutti i tributi si stavano tenendo per mano e nemmeno l’inno di Panem riuscì a coprire gli schiamazzi che si erano alzati nello studio televisivo.
- Entriamo, adesso parte. - Elettra chiuse la porta del vagone e andò a sedersi nel loro scompartimento.
- Elettra… - Oreste si era inginocchiato di fronte a lei e le aveva preso le mani nelle sue. Lei le liberò come se il contatto la scottasse. Guardò con insistenza fuori dal finestrino.
- Vai a vedere cosa servono nella cabina ristorante, l’ultima volta lo stufato di angus era terribile.
Oreste le sorrise debolmente e si chiuse la porta dello scompartimento alle spalle. Elettra continuò a guardare il marciapiede vuoto.
 
- Mamma, non è venuto.
- E allora, tesoro?
- Non mi ha voluta ascoltare.
- Peggio per lui. In fondo me lo sentivo, è uno di quegli uomini che ancora credono negli ideali. Ora non pensarci più, Elettra, prendi il tuo treno e torna a casa con tuo fratello. Elettra?
- ….
- Elettra, sono singhiozzi quelli che sento?
- Non mi ha voluto ascoltare, mamma
- Me lo hai già detto, tesoro.
- Perché non mi ha voluta ascoltare? – la voce arrivò in un grido stridulo.
- Credo che ciò che tu intendi dire sia “perché non ha ascoltato nemmeno me”.
Dall’altra parte della cornetta, arrivarono solamente una serie di singulti sommessi.
- Che bambina sciocca, era proprio da te innamorarti di una persona del genere.














La tana di Otto

L'idea iniziale di questa storia è stato il titolo: un'idea così balorda non poteva rimanere un'ipotesi, dunque ho disturbato ancora il personaggio di Clara Whyte (dopo averla tirata in ballo qui) e l'ho messa un po' nei guai.
Il secondo motivo per cui ho scritto la storia è l'assenza del racconto della liberazione di Peeta, nel terzo libro di Hunger Games. Quando ho letto di lui e Johanna tenuti prigionieri non vedevo l'ora di arrivare al punto in cui sarebbero andati a liberarli. Beh, chi ha letto il terzo libro può capire quanto sia rimasta delusa per come la Collins ha trattato la scena.
Note noticine:
- nella storia ci sono alcuni plag...omaggi a film sofisticatissimi, per chi li becca tutti in regalo una parrucca viola!
- Bear è Bear Grylls, che anche a Capitol conduce un seguito programma di sopravvivenza nella natura selvaggia
- Oreste ed Elettra sono i due figli di Bebe Linda, stratega (nel mio fanon) delle edizioni dei giochi che vanno dalla 25 alla 49. Oreste l'ho immaginato al lavoro come ingeniere e costruttore di arene, mentre Elettra è una stilista affermata, e ha vestito più volte i tributi dei distretti
- ho usato il treno come mezzo principale di spostamento, perché nei libri gli hovercraft sembrano più velivoli militari, e la Collins stessa a un certo punto dice che non si costruiscono più aerei. Poi il treno ha un certo non so che di retrò che mi piace
- il distretto 7 è quello della falegnameria, lo immagino boscoso e molto vasto. In un territorio del genere, i contrabbandieri hanno vita facile. Il distretto 7 ha tutta una epopea sui suoi contrabbandieri
- "Vento focoso e passionale sotto le magnolie" è una soap molto in voga a Capitol City, parla delle avventure dell'ingenua Dorothy e dei suoi due spasimanti.
- la telefonata dal distretto 4 che riceve Johanna è di Finnick. I due sono molto amici, immagino che sia stato lui a coinvolgerla nell'alleanza ribelle dentro l'arena dei Giochi della Memoria.
- per conoscere per chi Cinna è rimasto a Capitol, consiglio caldamente questa storia di Fila
Grazie alle mie splendide beta Vannagio e Dragana, che mi aiutano a decriptare lo stile asiutto prosiutto quando nemmeno io mi ricordo cosa volevo dire in una scena.
Alcune storie sono particolarmente divertenti da scrivere. Per me, sono le storie in cui esplode della roba.
Spero che sia stata altrettando divertente da leggere.
Grazie mille!



















   
 
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