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Autore: T a n u k i    20/10/2012    8 recensioni
"Taruto sospirò e si nascose tra le lenzuola chiare. I suoi pensieri non facevano che andare ad una piccola bambina, dagli occhi innocenti e dai sorrisi spensierati.
Purin, la sua scimmietta, quella odiosa peste gli aveva fatto dimenticare chi era realmente. Erano passati molti mesi da quando l'aveva vista l'ultima volta, da quando con gli occhi pieni di lacrime gli aveva regalato delle caramelle.
Lui le aveva finite quelle maledette caramelle!"
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Purin Fon/Paddy, Taruto Ikisatashi/Tart
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Campanule e caramelle Campanule e caramelle

    

    «Taruto, l'hai fatto di nuovo!»

    L'urlo di Pai risuonò nella casa, costringendo Kisshu a coprirsi le orecchie con le mani. «Pai, perché urli?»
    Il maggiore degli Ikisatashi agitò un pezzo di carta davanti agli occhi di Kisshu. «Quel moccioso ha saltato un'altra lezione dell'Accademia! Questa volta non la passa liscia, però!»
    Kisshu prese il foglio tra le dita affusolate, lesse con attenzione e, infine, emise un fischio divertito. «Cavoli, ha fatto più assenze lui che io alla sua età! Ha superato il record di famiglia e sono fiero di lui», esclamò, allegro.
    Pai gli rivolse un'occhiataccia. «Lo stai condizionando, Kisshu! Ti dichiaro il responsabile della crescita immorale del marmocchio!»
    Kisshu scrollò le spalle. «Beh, significa che da grande avrà parecchie ragazze»
    «Lui diventerà un generale», ringhiò.
    Kisshu allacciò le mani dietro la nuca. «Un generale con parecchie ragazze»
    «Kisshu, ti sembra il caso di scherzare?», lo rimproverò l'altro.
    L'alieno sbuffò. «Pai, non credo che Taruto voglia intraprendere la carriera militare»
    «Beh, invece, lo deve volere»
    «Che senso ha? Oramai, la nostra missione è finta. Possiamo condurre una vita normale, no?»
    «Taruto non è un bambino qualunque»
    E Taruto non lo era davvero, un bambino normale. Non era stato mandato sul Pianeta Blu per puro caso, ma perché era uno dei migliori guerrieri di cui disponevano. La sua abilità nel manovrare le piante lo aveva reso speciale sin da piccolissimo, quando era riuscito a far crescere un fiore nei Sotterranei. Era solo un fiore, ma un miracolo per chi, come loro, non ne avevano mai visto uno.
    Una campanula gialla, che bastò ad infondere la speranza nel popolo di Gea.
    Kisshu voltò le spalle al fratello maggiore. «Ci vado a parlare io»


    Aveva sentito un urlo -di Pai, forse-, ma non gli importava. Perso nei suoi pensieri, Taruto Ikisatashi non aveva proprio voglia di andare a controllare perché i due fratelli maggiori stessero litigando. Tornò ad osservare il soffitto della sua nuova casa, ammirando le rifiniture raffinate. Non si era ancora abituato a tutto quel lusso e dubitava di poterlo fare. Aveva sempre vissuto in una catapecchia ed avere una camera tutta per lui, bellissima e spaziosa, gli risultava ancora impossibile.
    Taruto sospirò e si nascose tra le lenzuola chiare. I suoi pensieri non facevano che andare ad una piccola bambina, dagli occhi innocenti e dai sorrisi spensierati.
    Purin, la sua scimmietta, quella odiosa peste gli aveva fatto dimenticare chi era realmente. Erano passati molti mesi da quando l'aveva vista l'ultima volta, da quando con gli occhi pieni di lacrime gli aveva regalato delle caramelle.
    Lui le aveva finite quelle maledette caramelle!
    Avrebbe voluto conservarle tutte, ma quel cretino di Kisshu le aveva mangiate!
    E adesso, eccolo lì, mentre stringeva tra le manine delle carte colorate. Avrebbe voluto picchiare Kisshu, mentre i sensi di colpa aumentavano. Le aveva promesso che sarebbe tornato quando avrebbe finito le caramelle. Le aveva promesso un suo ritorno, invece, era bloccato lì, obbligato a frequentare quella stupida Accademia.
    Captò dei passi provenire dal corridoio e si preparò all'ennesima ramanzina di Pai. Sbuffando, andò ad aprire la porta, ma trovò Kisshu.
    «Che ci fai qui?»
    «Hai ancora voglia di tenermi il broncio, Taruto?»
    Le guance del bambino si gonfiarono in uno sbuffo. «Sì!»
    «Insomma, erano solo delle caramelle umane!»
    Il bambino gli diede le spalle, fingendo di prendere alcuni libri dell'Accademia. «Non erano solo delle caramelle umane, Kisshu!»
    «Cosa avevano di tanto speciale?», chiese il fratellastro, incuriosito.
    Le guance del bambino si colorarono di rosso. «Non sono affari tuoi!», rispose, sbattendo i libri sulla scrivania.
    Taruto non arrossiva spesso, ma quando lo faceva era merito di Purin. «Stai pensando alla scimmietta?», azzardò.
    «No! Quella non la sopporto, è irritante», disse. Il rossore sulle guance, però, svelò la sua piccola bugia.
    Kisshu trattenne un sorriso. Guerriero o no, Taruto era pur sempre un bambino. «Oh, certo»
    Kisshu lo osservò mentre si sedeva e sfogliava distrattamente le pagine del libro, fingendosi interessato allo studio. Lui sapeva che Taruto aveva la testa altrove, sulla Terra ad essere precisi.Anche a Kisshu mancava la Terra, il suo caldo asfissiante e la sua micetta. I tre alieni avevano lasciato una parte di loro sul Pianeta Blu.
    Il piccoletto continuò a scarabocchiare sul libro ma improvvisamente la sua mano si fermò, tremante. «Kisshu, ma passa?»
    «Cosa?»
    «La nostalgia»
    «Non lo so», rispose, sinceramente.
    Taruto abbassò lo sguardo, deluso dalla risposta. Si aspettava un "il tempo risolve tutto", invece il fratello non gli aveva detto nulla di tutto ciò. Il tempo non guarisce le ferite, ma fa in modo che non sanguinino. Al primo ricordo, però, le cicatrici si aprono e fanno sempre male, troppo male.
    «Ti manca Ichigo?»
    Le labbra di Kisshu si distesero in un sorriso triste. «Sì. Mi manca persino il suono di quel maledettissimo campanellino o il modo in cui miagolava»
    «Anche a me manca Purin», ammise.
    «Ti ha donato Purin quelle caramelle?»
    Il bambino annuì, stringendo l'involucro rumoroso dei dolcetti. «Le avevo promesso che sarei tornato»
    Un'idea nacque nella mente di Kisshu, abile a costruire piani su piani. Considerò velocemente la situazione e sorrise. «Le promesse vanno mantenute, Taruto»
    «Ma come posso fare? Non ho...»
    Kisshu lo interruppe. «Sai guidare una navicella?»
    «Sì. Me l'ha insegnato Pai»
    "Finalmente la fortuna gira dalla mia parte!", pensò Kisshu.
    Lanciò delle chiavi al bambino che le afferrò al volo. «Chiavi?», chiese Taruto.
    «Sono le chiavi della cabina di controllo»
    «E cosa ci devo fare?»
    Aprì la porta per uscire. «Fa' ciò che vuoi, Taruto»
    Kisshu fece per chiudere la porta, ma si bloccò. «Ah, dimenticavo. Non ti piace l'Accademia, vero?»
    «La odio»
    «Vuoi sapere un segreto?»
    Taruto non rispose a quella domanda retorica.
    «Io non sono mai andato all'Accademia»
    Il più piccolo degli Ikisatashi sgranò gli occhi. «Ma come è possibile?»
    «Esistono anche i chimeri-cloni», disse, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
    Taruto sorrise. In fondo, ma molto in fondo, Kisshu non era male.

    Pai captò il rumore di passi e si voltò. Kisshu era appoggiato allo stipite della porta e sorrideva. A Pai quel sorriso non piacque. Kisshu stava tramando qualcosa, lo sentiva.
    «Hai parlato con Taruto?»
    «Sì»
    «Gli hai fatto una bella ramanzina?»
    «Certo. Gli ho detto che l'Accademia è importante, che deve studiare e tutte quelle scemenze che dici tu»
    «Bene»
    «Ah, sta piangendo»
    Pai strabuzzò gli occhi. «Come?»
    «Ci sono andato un po' pesante»
    Pai sbuffò e si alzò. «Vado a vedere come sta. Kisshu, non fai che guai»
    Kisshu contò i passi che permisero a Pai di raggiungere la camera di Taruto. Era arrivato a trentacinque, quando avvertì l'urlo di Pai in lontananza. «Kisshu!» 
    Sorrise. Il moccioso era partito.

    Taruto aveva affrontato un viaggio di quattro giorni, ma alla fine aveva raggiunto la Terra. Si moriva di caldo lì e si domandò come facessero gli umani a camminare con quei maglioni pesanti. Persino la neve sembrava bollente.
    Sopportò quel caldo e si mise alla ricerca di Purin. La incontrò al parco, dove era solita fare i suoi spettacoli. Sorrideva ai passanti, invitandoli ad assistere alle sue performance. Avrebbe voluto avvicinarsi e dirle qualcosa, qualsiasi cosa, ma non lo fece. Il cuore batteva troppo forte, intimorito. Così restò, seduto su un albero, ad ammirare i suoi adorati spettacoli.
    «Purin vi mostrerà la danza del ventre!», esordì la bambina.
    Taruto la osservò, divertito, mentre i suoi fianchi ondeggiavano al ritmo di una musica inesistente. Le guance erano dipinte di rosso per lo sforzo e per il freddo, ma restava carina. Gli ricordò una gitana, di quelle che si esibivano tra le strade, prevedevano il futuro, racimolavano soldi e sparivano dalla tua vita, lasciando un senso di vuoto.
    «Monetina, monetina, monetina!»
    La osservò l'intero pomeriggio, fin quando non la vide sedersi su una panchina, esausta. Le mani le tremavano per il freddo, ma lei continuò a trafficare con degli arnesi per il prossimo numero. Tirò fuori dal cilindro una campanula gialla. Era un fiore finto -in quel periodo non crescevano le campanule-, ma lei lo osservò sorridendo.
    A volte la invidiava. Gli sarebbe piaciuto saper sorridere anche nei momenti più tristi, ma lui non ne era capace. Non era così bravo a fingere allegria. Sì, perché quella di Purin era una finta allegria, Taruto ne era convinto ormai. Anche a Purin capitava di essere triste, solo che aveva imparato a fingere bene e a non farlo notare.
    Taruto sospirò. Forse era solo più debole di lui. Era semplice celare le lacrime dietro un sorriso.


    "Adesso vado", pensò.
    Era calata la sera e Taruto aveva continuato a seguirla. Aveva appena messo a letto i fratellini e gli sembrò il momento migliore per avvicinarla.
    Si teletrasportò sull'uscio di casa e alzò il braccio, pronto a ticchettare sulla porta di legno. Il braccio, però, restò bloccato a mezz'aria, mentre il cuore tornava ad accelerare. Perché aveva così paura? Era solo la scimmietta!
    Eppure non riuscì a bussare. Maledetto cuore, che lo faceva sentire piccolissimo.
    Riprovò, però alla fine non bussò. Strinse i pugni e fece per andarsene, ma si fermò. Voleva lasciare almeno un regalo a Purin. Voleva farle capire che era comunque tornato, che aveva mantenuto la sua promessa.
    Tra dita si materializzò una piccola sfera luminosa, che Taruto lanciò sul giardino. Dopo pochi secondi il giardino era stato colorato di giallo. C'erano campanule gialle ovunque. Gli piaceva quel fiore perché gli ricordava Purin e i suoi sorrisi e lei non avrebbe più utilizzato un fiore finto per i suoi spettacoli, non dopo quel regalo.
    «Ciao Purin», sussurrò, prima di alzarsi in volo.
    Era arrivato alla fine del giardino, quando avvertì un tintinnio. Mosse le orecchie, cercando di capire la direzione del suono, e capì che proveniva dalla casa di Purin. Appese al portico, c'erano delle campane a vento. Amava tantissimo quel suono e ricordò di aver appeso tantissime campane a vento nella casa costruita sulla Terra. Troppo preso da quel suono, Taruto non si accorse di una esile figura che stava attraversando il giardino.
    «Taru-Taru!»
    L'alieno si voltò, rimanendo di stucco. Purin era lì, piccola, piccolissima tra tutti quei fiori gialli. Indossava solo un pigiamino giallo, su cui era stampata una scimmietta, e aveva i piedi scalzi.
    Il cuore tornò a rimbombare prepotentemente nelle orecchie, ma cercò di ignorarlo. Scese, posando i piedi a terra e ritrovandosi davanti Purin.
    "Dì qualcosa, stupido!", lo incitò la mente.
    Tirò fuori dalla tasca le carte delle caramelle. «Le ho finite», mormorò, incapace di dire altro.
    La vide tremare, forse per il freddo o per l'emozione. Poi, si guardò attorno, osservando le campanule che li circondavano.
    «Hai fatto crescere le campanelle per Purin?»
    Taruto annuì e sperò che la notte coprisse il rossore.
    «Come facevi a sapere che le campanelle sono i fiori preferiti di Purin?»
    «Non lo sapevo»
    Nel buio riuscì a intravedere il suo sorriso spensierato e una lacrima. Taruto strabuzzò gli occhi. "Una lacrima?"
    «Purin, stai piangendo?»
    Si asciugò gli occhi, strofinando il viso con le manine. «No, Purin non piange mai»
    «Stai piangendo», disse, trasformando la domanda in un'affermazione.
    La bambina lo abbracciò e prese a singhiozzare. «Hai vinto, Taru-Taru! Purin sta piangendo, come volevi! Sei contento? Ma adesso resta! A Purin sei mancato tanto, troppo!»
    Accarezzò i capelli biondi, che alla luce lunare parvero argentati.«Purin, io...»
    Purin alzò il volto, sfiorando le labbra dell'alieno con le sue. Taruto divenne bordeaux, ma non si scostò da lei. Lasciò che Purin indugiasse un po' sulle sue labbra. La sua pelle rabbrividì e, questa volta, Taruto seppe che non era per il freddo. Quando lei si allontanò, sentì il sapore salato delle lacrime.
    «Resta, Taru-Taru»
   «Resto», promise.

    Kisshu e Pai osservarono la scena da lontano. Kisshu sorrideva, soddisfatto. «Che scena romantica, non trovi?»
    «Kisshu, taci! E adesso come lo riportiamo su Gea?»
    «Non lo so, ma credo che non importi ora»
    Pai guardò il fratello. «Cosa vuoi dire?»
    «Ho ottenuto ciò che volevo, Pai. Siamo tornati sulla Terra e io posso andare dalla mia micetta»
    «Vuoi dire che hai organizzato tutto questo per rivedere Ichigo?»
    Kisshu sorrise. «Prenditi anche tu una pausa e va' a trovare il pesciolino!»
    «Pesciolino?»
    «Retasu»
    Si lanciò contro il fratellastro. «Ma io ti ammazzo!»
    Prima che Pai potesse raggiungerlo, Kisshu si smaterializzò. Pai digrignò i denti, innervosito.
    Andare a trovare Retasu, però, non era una cattiva idea.




   
Lo spazio dell'autrice:


Non l'ho controllata, potrebbero esserci diversi.errori. La controllo nei prossimi giorni.

Importante: Questa FF è stata pubblicata tempo fa su questo sito, quindi non venite a dirmi che l'ho rubata a qualcuno. E' mia, infatti la ragazza ha cancellato le FF che le avevo ceduto tempo fa.


                                                                                                                             
   
 
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