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Autore: Phenex    21/10/2012    0 recensioni
Dahlia è una ragazza che non ha mai smesso di credere nei propri sogni e nella bontà del prossimo, affronta la vita con determinazione, senza mai perdersi d'animo. Sabrina invece è fredda, alterata da tutto ciò che la circonda, isolata in una realtà di cui lei ed i suoi desideri sono il centro assoluto ed indiscusso. Nel futuro della prima sta per abbattersi una forte tempesta di incontri e sorprese. Mentre nel passato della seconda si cela un orribile segreto.
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il Dott. Gabriel, aspetto ispirato da un amico. Disegnato da una certa persona molto importante:


 

~ Phoenix - Arizona.

 

L'ennesima donna uscì piangendo da quella stanza sterile e raccapricciante. Era la terza vedova del giorno che veniva a riconoscere il corpo del marito fatto a pezzi, sventrato, graffiato e ferito dal mistero della notte precedente che aveva avuto luogo all'ospedale centrale di Phoenix.

Le testimonianze delle infermiere ben di poco aiuto erano state alle forze dell'ordine che continuavano a brancolare nel buio. Tutte continuavano a ripetere che un paziente era stato ricoverato quella notte, poco prima del tragico evento. Il nome del paziente era Batista Costela, un brasiliano con la passione per i pesci, o meglio per gli squali. Questi ultimi erano stati la causa del suo improvviso ricovero: Batista stava lavorando sullo studio degli squali, li aveva sempre apprezzati, ma quel giorno all'acquario qualcosa era andato terribilmente storto e lui si era procurato una enorme ferita alla pancia, una di quelle che non ti consentono di sparire all'improvviso da un ospedale, cosa che lui invece era riuscito a fare poco dopo la morte dei dottori nella sua stanza.

Vedendo di essere l'unico rimasto Zodiac, un americano magro e piuttosto alto con lunghi capelli neri legati con una coda di cavallo, aprì la porta dell'obitorio e, nonostante fosse pienamente cosciente della situazione, rimase piuttosto interdetto nel vedere che i corpi nascosti dai teli bianchi stavano invadendo quasi tutto lo spazio della stanza. A peggiorare la situazione, già abbastanza macabra, si aggiunse l'immagine del dottore che si stava dedicando al suo pranzo, a base di tonno in scatola e pane, senza essersi neppure lavato le mani dal sangue che le tingevano di rosso.

< Salve. >

Esordì Zodiac, incrociando lo sguardo annoiato degli occhi color nocciola del medico. Quest'ultimo sbuffò, lasciando il panino che si era appena preparato sulla gelida superficie in metallo del tavolino, poi si alzò svogliatamente ed assunse un'espressione che altro non intendeva se non : "Quindi, cosa cazzo vuole? ".

< Buon pomeriggio dottore, mi chiamo Brandon Jhonson. >

Mentì Zodiac, analizzando l'aspetto dell'interlocutore e realizzando che doveva trattarsi di un ragazzo che da fin troppo poco aveva iniziato a lavorare in quel posto che puzzava di morte e, in quel momento, anche di tonno in scatola. Era un tipo non molto alto, con un lieve accenno di barba sul mento e con corti capelli riccioli che lo facevano sembrare sin troppo innocente ed allegro per trovarsi in mezzo a tutti quei cadaveri. Per fortuna, a dare una buona impressione di lui, c'era il fatto che si era mezzo a fare uno spuntino in mezzo ad una decina di corpi terribilmente mutilati, da quello si poteva solo dedurre una fortissima desensibilizzazione alla morte ed al dolore, oppure un fin troppo elevato livello di follia.

< Dottor Gabriel. >

Rispose, allungando la mano sporca di sangue ed olio in cerca di una stretta che Zodiac prontamente riuscì ad evitare portando l'attenzione sui corpi senza vita. Erano passati quasi due anni da quando aveva parlato l'ultima volta con Batista o, come lo conosceva lui, con Megalodon. In passato loro due erano stati veramente dei buoni amici, ma il tempo, le emozioni e molto altro ancora li avevano portati a prendere due strade diverse. Zodiac aveva sempre pensato che la scelta dell'amico fosse stata dettata dal terrore, perciò lo aveva odiato per questo, ma a consolarlo c'era sempre il fatto che Megalodon non sarebbe mai riuscito a scappare da quella realtà e che ben presto sarebbe tornato a prendere le decisioni giuste. In quel momento tuttavia, Zodiac avrebbe preferito aver sbagliato, solo per non leggere sul giornale quella notizia talmente gelida che gli aveva fatto congelare il cuore.

< Sono qui per vedere i corpi. >

Dichiarò, sperando che il dottore, nauseato dalle continue lacrime di parenti e vedove, gli lasciasse campo libero, cosa che però non accadde. Egli infatti afferrò un blocchetto che si trovava sopra il lavandino sterilizzato alle sue spalle e cominciò a scorrere lo sguardo sui vari nomi delle vittime e su chi era stato identificato o meno.

< Signor Brandon, non mi risulta che lei abbia il permesso di farlo. >

Disse poi, lanciando il blocchetto come se fosse una lattina vuota e sfoggiando un sorriso calmo e rilassato. Zodiac sospirò, pensando rapidamente a come trovare una scappatoia.

< Posso almeno sapere cosa li ha uccisi? Sono un caro amico di Batista Costela ... >

Replicò, cercando di assumere un tono autoritario, ma anche rispettoso nei confronti del dottore che, in fin dei conti, stava solo facendo il suo lavoro.

< Facciamo finta che io sia andato a pranzare fuori, le va? >

Esordì improvvisamente il dottor Gabriel, superando Zodiac che, rimasto interdetto, non riuscì a pensare neanche ad una risposta stupita o confusa.

< Immagini di essere sul punto di perdere un paziente. Sta facendo di tutto per salvarlo ok? Poi improvvisamente... >

Cominciò ad esporre il medico, facendo scivolare a terra un primo lenzuolo che rivelò il corpo di un uomo con un enorme foro proprio all'altezza del cuore. La pelle del cadavere era pallida, gli occhi chiusi lasciavano un debole spiraglio per poter ammirare quelle pupille ora mai prive di anima, mentre la ferita era incorniciata da una ingente quantità di sangue coagulato.

< ... Qualcuno le fa passare una lancia da dietro la schiena fino al petto! Aiha che dolore! >

Continuò Gabriel, avanzando in mezzo ai numerosi cadaveri e scoprendoli uno ad uno. Ogni morto era in condizioni peggiori del precedente, ma tutti avevano in comune il tipo di ferita: erano stati trafitti, anche più di una volta, da qualcosa di tremendamente grosso ed acuminato.

< E' soddisfatto? >

Lo schernì il medico, tornando a mangiare il suo panino senza neppure curarsi di coprire quelle carcasse piene di fori sanguinolenti e macabri. La calma di quell'uomo stava quasi turbando Zodiac che invece era stato costretto a portarsi una mano sulla bocca ed a distogliere lo sguardo.

< Oppure devo aprire la bocca della paziente numero quattro? >

Aggiunse, dando un morso al panino.

< Così magari potrà vedere il mondo attraverso il buco nella sua nuca. >

Zodiac non emise un fiato, si limitò a fare cenno con la mano aperta che quello che aveva visto e saputo era più che sufficiente e che non c'era bisogno di approfondire.

< La ringrazio. >

Riuscì finalmente a dire, uscendo dalla stanza per evitare di sentirsi male.

< Non c'è di che. >

Rispose Gabriel, azzannando il panino.

 

 

 

 

~ Milano - Italia

 

 

Il panorama dalla finestra della scuola era sempre stato lo stesso per cinque lunghi anni. Forse solo qualche piccolo dettaglio era cambiato, il professore di storia aveva cambiato macchina, mentre l'edificio poco distante era stato riverniciato, ma erano dettagli poco emozionanti, quasi impercettibili per chi nella vita ha sempre avuto grandi desideri.

Sabrina Taylor aveva vissuto in America sino all'età di dodici anni, poi la madre aveva deciso di trasferirsi in Italia. Ella diceva che in quel paese così grande e movimentato non c'era niente per loro, in realtà lo aveva fatto per soddisfare il suo nuovo compagno che aveva conosciuto durante una delle sue monotone gite per turisti.

La madre di Sabrina non era, al contrario di lei, una donna forte. Era ingenua, si affidava agli altri sino a sfinirli, tant'è che alla morte del marito era caduta in una depressione epocale. Tuttavia, come diceva lei, "ritrovando l'amore" era riuscita anche a risollevare la sua vita ed a dargli una nuova spinta. Per Sabrina invece le cose erano andate di male in peggio, come se la morte del padre non fosse bastata, adesso si ritrovava in un paese che non le piaceva neanche un po, senza nessun amico e per giunta costretta a convivere con un uomo che riusciva solo ad arrabbiarsi con lei perché non si comportava in modo adeguato. Così passava le intere mattinate a scrutare l'esterno, mentre il pomeriggio e la notte erano dedicati alla lettura di romanzi, i suoi unici mezzi per uscire dalla realtà per riuscire ad immaginarsi in un mondo più adatto a lei, dove non era presa di mira dai scherzi dei compagni di classe e dove non c'era nessun orco arrabbiato ad aspettarla a casa.

< Sabrina? Una persona fuori dalla classe vorrebbe parlarti. >

La avvertì la capoclasse, sorprendendola e non di poco. Immaginò che si trattasse di uno scherzo per farla uscire dall'aula per poi farle cadere in testa chissà cosa, oppure semplicemente si trattava di un professore. Decise di non abbandonarsi più di tanto ai pensieri paranoici, in fine dei conti la capoclasse, benché fosse acida e scontrosa, non era tipo da collaborare a scherzi idioti, così si alzò ed uscì dall'aula. Ad attenderla, in mezzo alla confusione del via vai di alunni nei dieci minuti di intervallo, c'era un ragazzo di un'altra sezione. Sabrina sospirò, non era la prima volta che un ragazzo le chiedeva di parlarle e tutte le volte la discussione era sempre la stessa.

< Ciao Sabrina! >

Esordì il coetaneo, forzando un sorriso. Lei pensò che per lo meno stavolta il suo spasimante sapeva quale fosse il suo nome. Sabrina era di bell'aspetto, probabilmente tra le ragazze della sua classe era la più carina. Aveva gli occhi azzurri, lunghi capelli biondi mossi ed una pelle così chiara che, come diceva la sua professoressa di inglese, tempo addietro sarebbe potuta essere scambiata per una lady benestante, una di quelle che se ne vanno in giro con l'ombrello in piena estate per non scottarsi.

< Salve. >

Sbottò lei, appoggiando una spalla contro il muro ed incrociando le braccia, annoiata di fronte a quella battuta che continuava a ripetere dall'inizio delle scuole superiori. Involontariamente, ascoltando le chiacchiere delle compagne e vedendo il comportamento del compagno della madre ogni giorno, lei aveva iniziato a detestare gli uomini, ma quello era solo un pensiero in fase di crescita. Durante i cinque anni in cui aveva frequentato il liceo scientifico si era stufata delle ragazzine che continuavano a comportarsi come delle puttane, mentre la passività ed il vittimismo della madre le davano così tanto la nausea da averle fatto passare la voglia di chiamarla "mamma". Lentamente, si stava rendendo conto di provare un odio in continua evoluzione verso le persone che sembravano fare di tutto per deludere ogni sua più effimera speranza.

< Sono Giacomo, della sezione B. Volevo invitarti alla festa di fine anno, è solito farla prima degli esami sai... per distendere i nervi. >

Per lo meno, quella fu una proposta diversa, benché fosse un palese travestimento a "ti va di uscire con me?".

< Avresti potuto estendere l'invito a tutta la classe, perché solo a me? >

Gli fece notare lei, senza neppure degnarlo di uno sguardo. L'indifferenza era la sua arma migliore, se lei ignorava ciò che odiava allora non poteva provare tutta quella rabbia che invece, le prime volte, la invadeva completamente. Viveva nel suo piccolo regno, dove covava il sogno di diventare una scrittrice e dove nessuno la tartassava di inviti o di insulti. Il discorso di quel ragazzo le aveva fatto tornare però alla mente che presto, una volta finiti gli esami di maturità, sarebbe stata libera di seguire il suo sogno. Aveva diciotto anni, avrebbe racimolato un po di soldi e poi sarebbe tornata in America a vivere dalla zia, li magari avrebbe potuto sviluppare e coltivare le sue passioni.

< Sei l'unica che non ha un contatto E-mail, tutti gli altri sono già stati invitati. >

Si giustificò il ragazzo, stringendosi nelle spalle.

< Vedremo. >

Concluse Sabrina come suo solito, una risposta che non la faceva passare da maleducata e che aveva dato fin troppo spesso in quei lunghi anni.

 

 

 

 

~ Seattle – Washington

 

< Vuoi dirmi che non hai mai sentito parlare del "Sommozzatore" ? E' una leggenda metropolitana. Si dice che un essere alto sui due metri, con l'aspetto di un Sub, si aggiri nella notte facendo svanire ogni fonte di luce col suo solo passaggio. A testimoniare ciò vi sono non solo le numerose fonti di luce artificiale danneggiate, ma anche alcune persone che dichiarano di averlo incontrato. >
< Oh... Che storia paurosa, immagino che ad averlo incontrato siano zitelle quarantenni frustrate oppure qualcuno che non sa riconoscere un albero spoglio nell'oscurità quando ne vede uno. >
< E' questo il bello invece! Hai letto dei numerosi suicidi che stanno recentemente invadendo il mondo degli adolescenti? Bene, gran parte dei ragazzi morti hanno dichiarato di aver visto il "Sommozzatore". Questa non è come la storiella del mostro nell'armadio, ne come i mitici avvistamenti dello Slenderman. Qui parliamo di qualcosa che sta lentamente prendendo piede. Qualcuno che vive nella notte, che esplora i traumi dell'emotività giovanile e che priva le persone di qualcosa, lasciando dentro di loro un buco talmente grande da costringerli ad uccidersi. >

 

 

 

Dahlia spense la TV con fare annoiato. Anche quel giorno il suo appuntamento con il sovrannaturale era terminato, quindi avrebbe dovuto rimettersi a studiare per gli esami universitari.

La notte era calata da un poco, anche se ancora si vedevano delle deboli luci giallastre all'orizzonte tingere lievemente le nuvole. In quel momento si chiese ancora una volta perché prestava così tanta attenzione alle leggende metropolitane ed ai fenomeni paranormali se poi le veniva così tanta paura da aver timore ad avvicinarsi ad una finestra durante la notte per chiuderla. Certo per una ragazza francese di venti anni come lei vivere da sola in una città americana era piuttosto inusuale, soprattutto se si trattava di un'universitaria. Tuttavia lei non aveva mai perso le speranze riguardo il suo futuro ed aveva sempre lottato per continuare a camminare dritto lungo la sua strada, nonostante le numerose difficoltà che aveva incontrato su di essa. Più però passava il tempo, più sentiva che sarebbe stato in grado di fare qualunque cosa se solo lo avesse voluto, poi però tornava alla realtà, non doveva certo dimenticarsi che anche lei era umana, un po come tutti, anche se la madre le aveva sempre detto che lei si distingueva dagli altri per la sua determinazione di credere nell'impossibile. Doveva ammettere che nella parole di quella donna c'era del vero, in fin dei conti stava lentamente raggiungendo il suo sogno di diventare una dottoressa, il che per una ragazza di quell'età era davvero qualcosa di enorme. Continuò a studiare per circa un paio di ore, fino a che l'oscurità non fu completa poi, stanca ed assonata, si diresse verso il bagno per sciacquarsi la faccia. I suoi lunghi capelli castani aveva in quel momento l'aspetto più disordinato che avesse mai visto, era una cosa che accadeva quando non riusciva a curarli per tempo, però non aveva mai preso minimamente in considerazione l'idea di tagliarli.

< Oh Dahlia, quando imparerai ad avere più cura di te? >

Si rimproverò, imitando la voce della madre. Non la vedeva da circa un anno e già le mancava così tanto che avrebbe venduto l'anima al diavolo pur di sentire una delle sue solite ramanzine sull'aspetto e sul comportamento. Una volta finito di asciugarsi il viso con l'asciugamano si accorse di qualcosa che la lasciò interdetta. Dalla finestra non si vedeva nulla, l'intero quartiere era al buio ed i lampioni non funzionavano. Il suo cervello decise di giocare con la sua paura, portandole alla mente la storia del "Sommozzatore" che aveva visto poco prima alla TV.

< Potrei distrarmi dalla paura calcolando quante possibilità sono che si tratti di un blackout o di un mostro in tuta da sub venuto ad uccidermi. >

Sdrammatizzò, cercando di rassicurarsi con il suono della sua stessa voce. Aveva sempre pensato che stare soli sarebbe stato bello da tutti i punti di vita, ma non aveva mai messo in conto il fatto che a volte la presenza di qualcuno che ti stia accanto possa valere più di qualsiasi forma di calma e quiete. La luce del bagno cominciò però improvvisamente ad andare ed a venire, fino a che non si spense del tutto, lasciandola nell'oscurità sino a che non mise mano sul cellulare ed utilizzò la luce del display per illuminare. Come se non bastasse un tonfo sordo, simile ad uno schianto, la fece sobbalzare ed urlare allo stesso tempo. Con le mani e le gambe che tremavano lentamente si portò avanti, fuori dal bagno, per entrare nel corridoio che dava dritto sulla porta di ingresso. Lì in fondo, con i piedi al di sopra della porta scardinata, vi era una imponente figura nera che respirava rumorosamente, quasi come se avesse difficoltà nel farlo.

< I squali hanno rotto la rete. Venus, ti amo... I squali sentono il sangue. >

Borbottò la figura, cominciando ad avanzare minacciosa verso Dahlia.

   
 
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