Chapter
16
Spiriti Gemelli
Per
Rowena non c’era stato neppure il tempo di pentirsi di quel che aveva detto.
Jack si era fatto avanti, e senza neppure conoscere il perché delle proprie
azioni, aveva afferrato quel dannato flauto d’argento e l’aveva scagliato in
mare, più distante che poteva. Rowena avrebbe voluto dire qualcosa, ma era rimasta senza parole, come muta, e così pure Sonia.
Nessuno più aveva voglia di parlare.
Era stato
come un miracolo: niente più nebbia, niente più fiamme, niente più
personificazioni sataniche che affioravano dal pelo dell’acqua. E ovviamente, Jhonathan Livingstone non era mai risorto né
sarebbe tornato in vita mai più.
Era tutto
finito. Sonia e rowena finalmente sciolte da quel diabolico
patto, con un demone in più che camminava sulla Terra in forma umana.
Satana
era scomparso.
Lentamente
tutti ripresero a parlare. Ma lo stupore e il terrore
erano ancora grandi e oppressivi per consentire tanti discorsi. Ora Rowena
stava dinanzi a Sonia, entrambe in piedi, ma con espressioni diverse. La Balia sembrava stesse per sputare fuoco. Era furente, furente come
una tigre appena messa in gabbia.
- Tu hai
sempre saputo che questo poteva succedere? - domandò a Sonia, ostentando calma
quando non ne possedeva in corpo neanche un po’.
- Ho
tentato di fermarti, - cercò di giustificarsi Sonia.
- Ma quando ti è convenuto non ci hai messo molto
a stringere i tuoi patti! Dunque chi
è la parte malvagia tra di noi? Avresti barattato la
mia vita e quella di altri cento bambini per riavere
nostro padre? -
- Anche tu lo avresti fatto, - ribatté Sonia, - Tu lo hai
fatto e ne hai provato un piacere perverso! Io mi sarei fermata se avessi
potuto! -
- Ma ora stai soffrendo! - gridò Rowena, - E non perché il
sangue di quella gente è stato versato in vano! -
- Tuttavia mi sento in dovere di confermare, - disse Jack a voce bassa ma con la sua
consueta spavalderia, che ormai gli era impossibile abbandonare, - che la
ragazza ha provato a farmi rompere l’accordo con te perché tu non evocassi il
Diavolo. -
- Ma si è pentita troppo tardi, - sussurrò Rowena al culmine
della disperazione. Sì, era stato troppo tardi. E ora Rowena sapeva che la sua vita non aveva nessun senso.
Era sempre stata il riflesso di qualcun altro, e a dare scopo alla sua vita
c’era la missione che doveva portare a termine per adempiere
al patto con Satana.
Ma
adesso tutto questo era scomparso. E sulla solitudine
degli oceani restava soltanto la sua anima ormai futile, consapevole che il suo
corpo derivava dal corpo di Sonia, che la sua anima era filtrata da quella di
Sonia, che i suoi pensieri avrebbe potuto formularli anche Sonia, sebbene
nell’intimo della sua mente.
Non aveva
ragione d’essere. La pirateria? Che cosa aveva
significato per lei? Soltanto una nave utile e veloce, con la
quale terrorizzare la gente e ottenere dai porti razziati il numero di vittime
necessario. L’unica cosa che per lei aveva mai avuto un qualche significato era quella sua missione che in qualche modo la
risvegliava e la faceva sentire viva, quando sentiva di non esserlo affatto.
Non
poteva rifugiarsi nel suo passato o nelle speranze per il futuro, come gli
umani facevano: il suo passato non era affatto il suo, quindi non ne aveva uno… mentre il suo futuro non era altro che il
futuro di un corpo senz’anima propria.
Non aveva
mai odiato Sonia fino a quel punto. Ciò significava… che non aveva mai odiato
sé stessa fino a quel punto.
Di colpo
la vanità della sua esistenza astratta le fu chiara. Era come se lei fosse stata soltanto un sogno, e nient’altro di più. Nulla
di concreto. Non poteva parlare di “spiriti gemelli” come un tempo aveva fatto:
Sonia non aveva gemelli. Rowena non era niente per lei, soltanto una scoria,
una scaglia di quel che Sonia era in realtà.
No: lei
non valeva niente.
Cadde a
terra e iniziò a piangere.
Il suo
pianto non differiva particolarmente dalla sua risata: era così angelico e così
demoniaco insieme che faceva rabbrividire. E durò a
lungo, molto a lungo. Se mai delle lacrime erano
cadute dagli occhi di Rowena, lo avevano fatto in silenzio. Adesso però il suo
dolore era esplicito, esposto al vento dei Caraibi. Rowena era a pezzi.
- Mi
dispiace, Rowena… - iniziò Sonia, incerta su cosa fosse più giusto dire.
Mosse
qualche passo in direzione del Capitano della Coleridge -se aveva ancora senso
definirla così- e le tese la mano tremante. Tutti erano in
attesa, come se stessero aspettando un verdetto di vitale importanza.
Rowena
alzò la testa.
- Non
avrebbe dovuto finire così… - proseguì Sonia. Non sapeva che cosa fare, non si
era mai sentita così empia come quel giorno. Rowena scosse il capo. - Noi…
possiamo vivere, Rowena… - Rowena ebbe un fremito. Quelle parole erano decisamente fuori luogo: possiamo vivere. Dopo tutto ciò che era successo? E che
senso avrebbe mai potuto avere? - Co… Come… come due sorelle. -
Rowena
non si era mai sentita accettata da nessuno.
…E neanche in quel momento si sentì tale.
Tuttavia
accettò l’aiuto di Sonia. Afferrò la sua mano esile che l’aiuto ad alzarsi
nuovamente in piedi, sotto gli sguardi un po’ ansiosi e un po’ incerti di Jack
e degli equipaggi delle due navi pirata.
- Due
sorelle? - disse Rowena. Sembrava speranzosa.
Sonia
annuì energicamente con un sorriso affabile stampato in faccia. Rowena le si avvicinò, ancheggiando con grazia, fin quando non
furono ad un millimetro l’una dall’altra. Tutti aspettavano con il fiato
sospeso. Sonia prese le mani di Rowena e le sollevò: interpretò quel silenzio
come un “permesso” da parte di Rowena a considerare la sua proposta come
possibile.
- Sai,
Sonia… - disse Rowena in un sussurro lento e poco percettibile, - Ti ho sempre amata. In ogni secondo della mia vita. - Sonia la fissò; non
sapeva che cosa rispondere. - Ed in ognuno di questi
attimi mi rendevo conto che il mio amore non era affatto amore, ma smisurato narcisismo! Come credi che io mi sia
sentita, allora? Dove credi che trovassi la voglia di vivere? -
Sonia era
atterrita.
- Rowena,
noi possiamo rifarci una vita… possiamo ripartire da
capo… -
Rowena
abbassò la testa, liberandosi dalla stretta delicata della
mani di Sonia. Si avvicinò ancora di più, abbracciandola. - … Da capo… -
ripeté, morbosamente. - Sì… da capo… -
Da capo.
Non era possibile.
La lama
della spada di Rowena si conficcò nello stomaco di Sonia, e lì fu rigirata
inesorabilmente, due, tre, dieci volte, fin quando un fiume di sangue colorò i
suoi abiti.
*
Il corpo
di Sonia non era mai apparso così esile come in quel momento mentre, supina,
fissava il cielo sopra di sé con occhi vacui. Sembrava non vedere la figura di
Jack inginocchiato alla sua destra, da poco dopo che Rowena aveva lasciato
andare la scimitarra e aveva lasciato che Sonia cadesse sul ponte come uno
straccio smunto riempito di sassi.
Era
pallida in volto. Il rossore causato dal sole nei giorni precedenti aveva
lasciato il posto ad una colorazione grigiastra, a causa del sangue che
defluiva da lei come l’acqua dal tubo di una grondaia. La spada era ancora
conficcata nel suo ventre.
- Ci ho
provato… - rantolava, - ci ho provato… -
- Non potevi
fare altro, - disse Jack, senza sapere perché pronunciava quelle parole.
Neanche lui ne coglieva bene il senso, ma non voleva dirle niente che potesse
scoraggiarla, non nel momento in cui stava per morire.
- Dio…
Dio non mi perdonerà mai… andrò all’Inferno… -
- Sarà
senz’altro più interessante del Paradiso, - rispose Jack.
Sonia
sorrise. Un sorriso largo, un vero sorriso, come glie ne erano
capitati pochi nella vita.
-
Perdonala… Perdonatela tutti… Ti prego… -
Gli prese
la mano, e la strinse, come se volesse farsi promettere di perdonarla a tutti i
corsi. E poi si spense. Il sangue era scorso via del
tutto e il cuore si era fermato. Così, semplicemente, era morta.
Jack si
rialzò lentamente. Ancora una volta dava le spalle a Rowena, e ancora una volta
era decisamente felice di questo. Sentiva dietro di sé
la pura malvagità di Rowena. Era certo di poterla percepire. Sentiva quando fosse soddisfatta di quando era successo, captava con quanto
piacere aveva affondato e rigirato la lama nella stessa carne che l’aveva
generata.
- Hai
ucciso l’unica persona che abbia mia avuto pietà della
tua miserevole vita, - disse Jack, implacabile. Stranamente si sentiva
arrabbiato. O forse non era mai stato disgustato così
tanto da una persona, come in quel momento era disgustato da Rowena. Tutta la
pena che le aveva fatto quando aveva pianto era
scomparsa. Era rimasta soltanto una coltre di disprezzo. E
Rowena non aveva particolare interesse per questo.
Dalla
ciurma - non importava da quale - si levarono le medesime affermazioni. Era
come se tutti avessero partecipato a quella vicenda dall’inizio con ardore, e
avessero preso le loro parti come in uno spettacolo
teatrale. Ma non si trattava di una messa in scena.
Rowena si
avvicinò a Jack Sparrow come si era avvicinata a Sonia, prima. Come un cobra che attende di uccidere la sua vittima designata.
Ma stavolta non aveva intenzione di seminare altra
morte, la disgustava abbastanza tutto il sangue che era fluito dal corpo di
Sonia, e Jack lo sapeva.
- Sei più esperto di me nella carriera di un pirata, Jack, -
disse in tono sprezzante, prendendo il viso del Capitano fra le mani calde di
sudore, - Sembri il principe allocco di una fiaba. E
in mare nessuno si preoccupa mai di questo, non è così? -
Ripeteva
quelle stesse parole che un tempo lui aveva detto a
Sonia. E le ripeteva con la stessa goduria che avrebbe
sicuramente provato se avesse gettato in mare qualche altra botte di sangue
umano.
- No,
direi di no, - rispose, guardandola negli occhi. Apparentemente era come
sempre: come se Sonia Livingstone non fosse mai morta, come se non fossero
passate che due ore da quando era stato evocato il Diavolo, proprio davanti ai
suoi occhi.
- Dunque che cosa c’è da preoccuparsi? E’ come ha detto lei…
posso rifarmi una vita. Forse e ora che tu parta per
dedicarti nuovamente alla tua. -
- Certo… -
Rowena
non notò l’espressione di Jack.
La ciurma
aveva iniziato ad agitarsi, tanto quella della Coleridge quanto quella della
Perla Nera. La strana tranquillità, priva di fretta e di agitazione,
che ispirava quella scena, contribuiva ancora di più a creare tensione fra
tutti gli astanti.
Almeno
fino al momento della detonazione.
Sul volto
di Jack e nei suoi occhi era impressa la stessa espressione di quando aveva
inferto un colpo di pistola a Barbossa, in giorno in cui la maledizione era
stata spezzata sull’Isla de Muerta. E ora che cosa era
variato? Una maledizione era stata comunque spezzata,
e chi meritava una punizione l’aveva ottenuta. Forse.
La
maschera veneziana di Rowena fissava Jack con la stessa immutabile espressione,
scudo perfetto del volto che nascondeva. Almeno fin quando
dall’orlo che ne delimitava il mento aveva cominciato a colare un rivolo di
sangue, trasformato poi in una piccola cascata rossa.
La
pistola di Jack era puntata al ventre di Rowena, sommersa nei pizzi consunti
del vestito strappato dal mare, nello stesso punto in cui la lama era penetrata
nella carne di Sonia. Jack si scansò. Rowena era morta, ed era morta in piedi:
e quando aveva toccato il ponte con un tonfo sordo come il battito di un
tamburo sulla piazza d’esecuzione, ormai il suo cuore aveva smesso di battere
da pochi secondi.
Cadde
addosso a Sonia; la maschera la scivolò dal viso ormai insanguinato a causa del
fiotto che era esploso dalle sue labbra, e la testa di Rowena affondò nel
ventre piatto dell’altra. I due spiriti gemelli erano ormai uniti per sempre,
sulla nave pirata semi carbonizzata che beccheggiava sui flutti placidi lambiti
da un nuovo sole gentile.
E
così anche Rowena era caduta. Protetta dall’inferno, e dall’inferno stesso
tradita.