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Autore: Shark Attack    21/10/2012    4 recensioni
I miei capelli perdono la piega che Venia aveva tanto efficacemente impresso loro e scivolano su una spalla, pendendo verso il viso serio e rassicurante di Peeta, a pochissimi centimetri da loro.-Riprendiamocelo, Katniss- sussurra mentre si solleva su un gomito. -Riprendiamoci il nostro tempo, le nostre libertà. Loro non devono spogliarci di tutto, non deve per forza finire così. Restiamo vivi.
[3° classificata al contest "Tutto ha una fine" di Giacopinzia17 indetto sul forum di EFP]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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[Questa ff è arrivata 3° al contest "Tutto ha una fine" di Giacopinzia17 ^^ ]


NdA: È da quando ho letto La Ragazza di Fuoco che sognavo di scrivere questa scena e sono contenta che il contest mi abbia dato l'occasione di farlo. Chi non si è chiesto perché in quella dannata notte prima dell'Edizione della Memoria, strettistretti nel letto di Katniss, non hanno fatto “altro” che stare in silenzio attendendo con ansia il giorno dopo? >.<
Per questa fic ho cercato di riprodurre il più possibile lo stile narrativo della Collins e spero che anche i personaggi siano rimasti IC. Alla fine Peeta fa una domanda rovente a Katniss e lei, come sempre nei libri, glissa: spero che non ci siano lettori che sostengono che lei lo ha amato da sempre, perché per me -dopo due letture dei tre libri- continua ad innamorarsi solo nel Canto della Rivolta.
All'inizio ho messo uno stralcio di una canzone dei Linkin Park che ho ascoltato a ripetizione continua mentre elaboravo le scene e quando ho scoperto che il testo c'entrava bene... beh, non potevo non inserirla! ^^
La prima frase è parte di una del libro e mi è servita come trampolino per inserire il mio missing moment, spero non dispiaccia.
Nel bando c'era scritto: “Quel che voglio chiedervi di fare, in questo contest, è di scrivere una storia che mi faccia stringere il cuore o sorridere con amarezza.”
Spero vivamente che la mia shot riesca in questo proposito!




***






We say Yeah!
With fists flying up in the air,
Like we're holding onto something
That's invisible there,
Cuz we're living at the mercy of
The pain and the fear
Until we dead it, forget it,
Let it all dissapear.

[Waiting fot the end – Linkin Park]


La bomba esplode e fa schizzare in ogni direzione accuse di ingiustizia, barbarie e crudeltà.
In pochi secondi la mia preoccupazione per Cinna, l'abito nero piumato che mi ingombra i movimenti e gli imminenti giochi vengono spazzati da quelle poche parole che Peeta ha sganciato in meno di un istante, distruggendo ogni atmosfera precedente, per quanto poco serene fossero a priori.
Alzo gli occhi, mi vedo gettata sugli schermi e non riesco nemmeno a nascondere il mio viso tra le piume, sperando di poter scappare da questa situazione decisamente incredibile senza dovermi nascondere nella gonna.
L'intera Capitol City adesso sa che sono incinta: questa confusione è tutta per me, teoricamente una futura mamma, e per il bambino che morirà in questi Hunger Games, Edizione della Memoria passata che negherà molti altri futuri.
Nessuno se li dimenticherà mai, questi giochi.
La folla è in piedi, urla a pieni polmoni, increspando i visi immersi nel trucco e nella bambagia, stringendo pugni che non hanno mai afferrato nulla più di una posata, urla, urla, urla.
Caesar non riesce più a calmarla, l'inno nazionale inonda le orecchie di tutti i presenti e Peeta torna da me, tranquillo come un anno fa, come se avesse solamente raccontato una barzelletta e parlato delle docce profumate di rosa.
Lui lo sa perché io non voglio mai avere figli, sa di avere ferito anche me con questa freccia scoccata al presidente?
Un giorno verranno presi dai giochi e dovrò soffrire nell'accompagnarli alla mietitura, soffrire quando Effie o una sua collega futura girerà le dita esili e innocenti in quelle maledette urne piene di fogliettini bianchi, casti come i ragazzi che corrispondono ad essi; soffrire quando li sceglieranno, quando li imbelletteranno a dovere per compiacere masse di ipocriti incoscienti, quando entreranno in questo studio televisivo, quando entreranno nell'arena, quando moriranno sotto gli occhi incessanti di una città che bramerà subito il successivo tributo.
E quello dopo. E quello dopo ancora.
Mi alzo in piedi e sento la pelle di Peeta sfiorare la mia. Sposto lo sguardo sul suo viso e vedo che nemmeno lui è uscito indenne dalla bomba che ha lanciato. Vedo lacrime che scendono luminose lungo le sue guance. Saranno vere o solo e ancora per il pubblico? Per le telecamere o per noi e per il futuro che realmente non avremo, per il bambino che non solo non è nel mio ventre ora ma che non ci sarà mai?
Istintivamente penso a mia madre, al dolore che probabilmente starà pervadendo anche lei, lei che ha già sofferto una volta vedendo la mietitura di Prim, poi la mia, poi il mio ritorno vittoriosa e infine una mia seconda mietitura. Io non sarei in grado di sopportare tanto; forse, parte di me è contenta che non avrò nemmeno l'opportunità di farlo.
Ma sarebbe potuto accadere. Avrei potuto diventare madre anch'io, chi lo sa. Con Peeta? Il piano del presidente Snow di farci sposare a tutti i costi e di rimanere per sempre la coppietta felice e perfetta che incantava e sprizzava amore puro in tutti i Distretti non suona più tanto male.
Ormai, però, non è rimasta molta scelta.
Le piume del vestito nero da ghiandaia imitatrice sembrano volermi pungere sotto le braccia come a ricordarmi che non sono più ricoperta di tessuti setosi e bianchissimi ma di cenere e fumo, non c'è più profumo di fiori ma di guerra e morte.

Tornati al dodicesimo piano, nei corridoi tra le varie stanze, gli addii sono la cosa più spiacevole. Molto probabilmente non rivedremo mai più Effie e da una parte è una cosa positiva perché non avrei retto altre lacrime, ma non riesco a non dispiacermene. Haymitch ci saluta col suo “Restate vivi”, ormai più una battuta che un vero consiglio. Io non voglio restare viva, se non per il tempo necessario a consegnare Peeta nelle braccia della vittoria e sentirmi finalmente in pace con me stessa, finalmente pari con questo ragazzo fin troppo buono.
Mi domando se loro due sanno che le rivelazioni dell'intervista di Peeta sono finte o se hanno almeno un ragionevole dubbio al riguardo. Vorrei aprire la bocca e chiederlo ma mi rispondo da sola: Effie potrebbe anche crederci, conoscendo il suo lato romantico e probabilmente, se non fosse rimasta bloccata nel traffico verso il dodicesimo piano, ora sarebbe qui ad inondarci tutti di lacrime; Haymitch invece... no, lui non può dubitare che sia tutto un bluff. L'anno scorso quella che era una tattica iniziale si era poi rivelata essere verità, ma stasera la situazione è decisamente diversa. E forse renderebbe questa bugia fin troppo ragionevole.
Ma Haymitch lo saprebbe, lui che ha vissuto alla porta accanto alle nostre per tutto quest'anno.
Con la coda dell'occhio vedo Peeta muovere un passo verso la sua stanza ma lo blocco e lo costringo a rimanere con me, stanotte. Non rivedrò più come Haymitch ed Effie, domani nell'arena saremo assieme e nessuna strategia ci dividerà come l'anno scorso, ma non voglio perdere neanche un attimo degli ultimi che ci rimangono da qui a qualunque inferno che gli Strateghi hanno deciso per noi.
Mi rifiuto di lasciargli la mano ed andiamo entrambi in camera mia.
Dobbiamo lavarci via il trucco e la finzione dello show e decidiamo di fare la doccia a turni. Lui insiste perché vada io per prima ma non riesco a far altro che sedermi sul letto, impolverandolo con la cenere rimasta impigliata tra le piume, e lui prende posto accanto a me, improvvisamente conscio che anche lui è stremato.
-Bell'idea- gli dico dopo un po', quando il silenzio si fa più pesante dell'abito che indosso. -Incinta. Credo che non sarei mai riuscita a pensarci.
-Per fortuna che i tributi sono due, allora?- ridacchia amaramente.
Non in questo caso, no.
-Dovresti andare a lavarti- gli dico invece. Le lacrime che gli sono scivolate lungo le guance in studio hanno rovinato in parte il bel trucco che gli avevano fatto i suoi truccatori e l'abito sembra stare stretto anche a lui, a giudicare dalla cravatta che si è allentato con movimenti nervosi.
Guardando la sua espressione vacua e al tempo stesso pensierosa, però, sembra che la doccia la sua ultima preoccupazione al mondo.
-Sarebbe potuto essere vero- sussurra tra sé e sé, forse ignaro che le sue labbra hanno liberato un pensiero che sarebbe dovuto rimanere nella sua mente.
I suoi occhi saettano verso di me e una sensazione strana mi coglie di sorpresa. Non l'ho mai visto con quell'espressione, ma mi ricorda terribilmente lo sguardo che aveva quando il veleno degli aghi inseguitori mi stava facendo perdere tempo ed energie e lui aveva lasciato il gruppo dei vincitori, la sua maschera, la sua tattica, i suoi piani solo per venire ad aiutarmi, a non lasciarmi soccombere miseramente come un'avventata che si ferisce con il suo stesso coltello.
-Che intendi dire?- domando. Mi allontano da lui di qualche centimetro, questo genere di discorsi a quest'ora e dopo la bufera che ci ha appena investiti mi inquieta.
Peeta sospira e si toglie la giacca bianca dello smoking, poi la lancia su una sedia dall'altra parte della stanza e si lascia cadere sdraiato sul letto, sfinito.
-Nulla- ribatte in ritardo con pesantezza, gli occhi lasciati a vagare altrove.
Il nostro pic-nic sul tetto, i giochi e le risate che hanno caratterizzato la nostra ultima giornata da persone libere e felici sembrano lontani mille miglia da questa camera da letto che sembra fin troppo affollata. Siamo solo in due, ma il mondo al di fuori di quella semplice porta preme e fa forza da ogni lato per poterci schiacciare ancora e spremerci finché il pubblico non è contento.
Questo pensiero mi fa mancare l'aria nei polmoni. Mi alzo in piedi con uno scatto, come se Peeta mi avesse dato un pizzicotto sulla schiena, e mi arrotolo su me stessa alla ricerca della zip del vestito nero.
Le mie dita tremano mentre si allungano disperatamente verso il gancetto che sembra fin troppo lontano ma poi sussultano quando sentono pelle calda invece del freddo metallo.
-Ferma o rischi di slogarti una spalla - mi dice Peeta con voce tranquilla – Domani potrebbe servirti.
Annuisco e mi sforzo di tenere lo sguardo ostinatamente fisso contro la parete decorata di fronte a me, cercando di non pensare al calore che emana il ragazzo del pane alle mie spalle, al tempo che sembra dilatarsi in questi due istanti che gli servono per tirare giù la zip, al suo respiro che improvvisamente sento sul collo... l'agitazione mi fa contorcere lo stomaco e rende le ginocchia liquide, mi sento cadere, la mente è offuscata, mi sembra di impazzire.
All'esterno, però, le mie corazze riescono a mascherare tutto e per fortuna sono ancora di spalle quando la zip arriva a destinazione con un rumore soffuso e le mani di Peeta si avvicinano pericolosamente ai lembi del corpetto.
-Ce la faccio da sola, grazie- dico rapidamente stringendo il busto con le braccia per non far cadere il vestito a terra.
Lui mugugna qualcosa e annuisce, ma non si allontana di un centimetro. Le sue mani sono ancora lì.
-Davvero non ci hai mai pensato?- dice con voce malinconica, come se stesse cercando di convincermi di qualcosa che ritengo impossibile.
-A cosa?- domando stupidamente. Lo so benissimo a cosa non ho mai pensato. A cosa non ho mai voluto pensare.
Lui sospira e io rabbrividisco sentendo il suo respiro sulle spalle. Profuma dannatamente di casa, non più di Capitol City.
-A niente, certo. Sono solo io lo stupido che perde tempo su queste cose.
Il modo in cui ha tagliato il discorso rievoca nella mia mente il suono di un piatto rotto e la cosa stride così tanto con le sensazioni che ho provato in questi ultimi istanti da rendermi n parte avida di continuare a provarle, egoisticamente, anche se non le voglio.
Mi volto, il vestito ancora stretto al busto, e lo vedo ad un paio di passi da me, le mani in tasca, un ginocchio appoggiato sul letto e lo sguardo perso nell'enorme vetrata che mostra tutti i panorami dei distretti.
-Peeta...
-La vedi quella bambina?
Per un istante penso che abbia visto qualcuno oltre il vetro, ma non appena lui riapre la bocca capisco che non è altro che un ricordo. Le parole che pronuncia riempiono l'aria nello stesso istante in cui riempiono anche la mia mente e deglutisco. -Avrei dovuto sposare sua madre- prosegue malinconico. -Ma lei si innamorò di un altro, e io l'ho persa.
Ricordo bene queste frasi. Non potrei mai scordarle, neanche se per qualche miracolo dovessi vivere ancora per anni e anni.
I suoi occhi vagano lentamente per la stanza, poi si posano sui miei e mi sento mancare l'aria nei polmoni.
-Quante possibilità ci sono che vinciamo di nuovo entrambi?
La voce con cui pronuncia quella che sembra solo una sentenza di morte è così piena di vita che mi sento vagamente disorientata.
-Saremo fortunati se tornerà a casa uno di noi.
-Peeta, io...
Lui alza una mano e mi blocca. -Questa è la nostra ultima notte, Katniss.
Le mie braccia si stringono ancora più saldamente al corpetto del vestito e abbasso lo sguardo al pavimento. Non mi piace questo discorso.
-Katniss- ripete. -Non voglio donare ogni respiro che mi rimane, ogni attimo, ogni... cosa all'occhio incessantemente avido di Capitol City. E non lo vuoi neanche tu.
Non trovo nessuna cosa adatta per rispondergli, così rimango zitta e spero che anche lui si senta improvvisamente stanco come mi sento io in questo momento. Stanco dei doveri, degli obblighi, delle regole, della morte che continua a volerci stare a tre metri di distanza. Sono stanca di tutto questo, di questa vita esasperante, voglio tornare a quella di prima, quella in cui l'unico pericolo era non riuscire a cacciare abbastanza scoiattoli.
Ma la mia speranza è vana.
I suoi piedi entrano nel mio campo visivo e due dita mi sollevano delicatamente il viso, portandomi a guardare un trucco rovinato, capelli spettinati ma, soprattutto, due occhi profondi e decisi.
-Non ti sto chiedendo di avere dei figli, di sposarci o di...
-Non lo eravamo già?- ribatto ironica.
Lui sospira ma non si perde d'animo. -Dobbiamo essere egoisti. Nell'arena dovremo pensare solo a noi stessi, e dovremmo fare lo stesso anche ora. Prima che torniamo proprietà di Capitol City.
Istintivamente gli porto una mano alla bocca. È sempre stato più bravo di me con le parole e non si può negare che sia davvero un oratore convincente. Non voglio che convinca anche me, voglio che la questione rimanga sempre chiusa.
Lui non è d'accordo. Mi afferra la mano e, con l'altra ancora impegnata a reggere il vestito, mi ritrovo disarmata.
Il bacio che segue è inizialmente uguale a quelli che abbiamo dovuto regalare agli sponsor, poi però si tinge di colori e sapori e sensazioni nuove e vecchie.
Non sono nel fango sotto la pioggia battente, ma mi sembra ancora che lui mi stia lanciando un pezzo di vita, briciole di energie che da sola non sono in grado di ottenere. Non sta piovendo, ma i brividi che provo sulla pelle richiamano luoghi e vite lontane, e non posso che sentire nostalgia per quella miseria che in fondo non odiavamo tanto quanto questa ricchezza che ci consuma anche di più.
Le sue labbra si staccano dalle mie e improvvisamente mi sento bisognosa di quel pane.
Dobbiamo essere egoisti.
Mi allungo verso di lui e lo bacio a mia volta. Rivedo i boschi e sono caldi, assolati come le ore di evasione che ci siamo goduti oggi; rivedo i boschi e sono profumati come pane fragrante.
Peeta afferra il mio viso con entrambe le mani e il suo bacio è così pieno di passione che mi sento travolgere da un tornado e ho l'impressione che potrei cadere come una bambola se mi lasciasse adesso. Sento il calore di cui non sapevo essere tanto bisognosa, lo sento sulla pelle e lo sento anche dentro, nel petto.
Una mano scende dalla nuca alla schiena e non so più cosa provare, se non sicurezza: stretta così tra le sue braccia, per la prima volta mi rendo conto che il ragazzo del pane non è affatto un bambino.
Anche se io a casa non sono mai riuscita a vederlo.
Il nostro bacio si scioglie e mi sorprende scoprirmene assetata. Mi abbraccia con delicata forza e mi solleva, poi con piccoli passi arretra nella stanza e mi porta con sé dolcemente, adagiandomi sopra di lui nello svolazzare delle piume nere che si liberano nella stanza come se fosse esploso un cuscino. I miei capelli perdono la piega che Venia aveva tanto efficacemente impresso loro e scivolano su una spalla, pendendo verso il viso serio e rassicurante di Peeta, a pochissimi centimetri da loro.
-Riprendiamocelo, Katniss- sussurra mentre si solleva su un gomito. -Riprendiamoci il nostro tempo, le nostre libertà. Loro non devono spogliarci di tutto, non deve per forza finire così. Restiamo vivi.
Mi accarezza sulla guancia e sento che il trucco si sta togliendo. Se ne accorge anche lui e si pulisce la mano sul copriletto con un sorriso sghembo così naturale che mi fa venir voglia di dargli retta.
Capitol City, Snow, Caesar, gli Strateghi, i Vincitori, l'arena... no, non devono avere tutto di noi.
“Restate vivi.”
Non è una battuta, un vecchio ritornello e nemmeno un modo di dire. È davvero un consiglio. Haymitch l'ha sempre saputo.
Mi metto a sedere in ginocchio su di lui e mi strofino la faccia con l'avambraccio, tingendolo con i residui di matita, fondotinta, rossetto rosso, ombretto e qualsiasi altra cosa i miei preparatori mi abbiano gettato in faccia. Poi mi chino su di lui e inizio a togliere anche il suo trucco, buttandolo sul copriletto come se fosse polvere, fango, sporco, veleno.
-Questa è la nostra ultima notte.
-Non dire così.
Peeta ridacchia sotto le mie dita impegnate. -Hai ragione, ne abbiamo ancora... chissà quante. Ma mai come questa.
Sento il suo tocco sulla schiena nuda e sui fianchi, infiltrato sotto al corpetto.
Qualcosa di molto simile ad una scarica elettrica mi pervade dalla punta dei capelli fino alle dita dei piedi e non riesco più a trovare scuse accettabili per oppormi a quello che sta per diventare il nostro sfogo contro il sistema.
La grande vetrata non trasmette nessuna immagine di boschi o praterie ma per me è come se non ci fossero là fuori tutte quelle luci e quei palazzi pacchiani. Il calore della sua pelle mi ricorda i sorrisi di Prim e ogni gioia vissuta assieme, i giorni di sole, i compleanni, i regali. Il profumo dei suoi capelli mi riporta ai brividi della caccia e passo le dita tra i fili biondi come se li volessi tenere per me per sempre, senza mai lasciarli andare, sono la mia preda e non mi sfuggirà, non voglio che lo faccia. Quando apre gli occhi rivedo il distretto, i visi della mia infanzia, le vie che ho solcato tante volte, le case, il Forno.
E quando il contatto tra i nostri corpi non è più interferito dai vestiti, quando siamo solo noi, noi, noi e nessun altro... non sembra più che il mondo stia premendo sulle pareti e sulla porta, non sembra più che ci siano intrusi nella stanza e siamo solo noi, Distretto 12, Tributi che non sacrificheranno anche queste ultime ore alla mano di ferro che li ha strappati dalla vita anche dopo avergliela restituita.
-Tosterei il pane con te mille volte e altre mille- dice in un sussurro strozzato dallo sforzo.
Chiudo gli occhi e mi sento così tanto svuotata che le lacrime sfuggono al mio controllo e me ne accorgo solo quando cadono sulle lenzuola con un suono lieve.
Prima avevamo un corpo in cui vivere, ora abbiamo un'immagine da rispettare.
Prima avevamo una vita, ora abbiamo un fato inevitabile.
Prima eravamo soli, ora siamo insieme.
E non è per le telecamere.

Appoggiata sul suo petto, sento il battito del suo cuore rallentare e rimaniamo così, fermi in questa posizione per minuti, ore, come due pezzetti di un puzzle che hanno capito come incastrarsi bene ormai da tanto tempo.
I miei occhi si perdono nel buio oltre la finestra e sapere ciò che succederà quando la luce prenderà il suo posto mi intristisce.
-Vorrei che non fosse mai successo nulla di tutto questo.
Lui si volta verso di me e la sua espressione ferita mi sbatte in faccia la consapevolezza di aver scelto le parole peggiori per dire ciò che stavo pensando. -Non in quel senso!- mi precipito a riparare il danno. -Intendevo dire che vorrei che non ci fosse mai stata quella maledetta mietitura. Vorrei che tutto tornasse alla normalità.
Il suo viso sembra rilassarsi, rassicurato a dovere.
-Io no- dice dopo un po'.
-Sei contento di essere finito nell'arena?
-Sono contento di aver potuto vivere tanto assieme a te.
Tutto ad un tratto mi sento come se fossimo tornati ad un anno fa, in quella piccola grotta che ci riparava dalla pioggia che gli Strateghi non volevano proprio far smettere, spingendoci a raccontare smancerie per compiacere il pubblico. Improvvisamente ho nostalgia anche di quei momenti, sapendo che poi saremmo riusciti a scappare entrambi dalla morsa della morte. Ho nostalgia del futuro che avremmo avuto, che sapevamo di avere. Cosa ci assicura che ci sarà ancora?
-Mi manca la vita di prima- prosegue e afferra una ciocca dei miei capelli per giocarci distrattamente, come ha fatto oggi poco prima del tramonto. -Ma non sarei mai riuscito a farmi vedere da te.
-Questo non puoi saperlo con certezza.
Peeta ride e il suo petto viene scosso come in un terremoto sotto alla mia guancia. -Non mentire- dice con voce affabile e ancora divertita. Poi torna serio. -Adesso che non c'è nessuna telecamera a controllarci... posso farti una domanda?
Mi inumidisco le labbra e non so se voglio rispondere.
-Mi ami?- domanda comunque.
Dalla mia bocca non esce alcun suono. Ha detto di non mentire e non intendo farlo. Davanti al pubblico so esattamente cosa rispondere ma adesso, tra noi due, dopo l'intimità che si è venuta a creare... Dubito che potrei dire qualcosa di più sensato di un rantolo.
Lui intuisce che non ho una risposta e il mio silenzio probabilmente è esattamente quanto si aspettasse.
-Allora... grazie- dice.
Quelle due parole mi risvegliano dal torpore e batto le palpebre più volte. -Per cosa?
-Per avermi fatto tornare a casa almeno per una notte prima che tutto finisca.


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