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Autore: Meggie    23/10/2012    8 recensioni
Quando torna a casa, prenota freneticamente un biglietto aereo per New York, piange, si rende conto che è finita. Tutto in quell’ordine. [Post 4x04]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: I spell confusion with a K
Fandom: Glee
Pairing/Personaggi: Blaine Anderson, Kurt/Blaine
Rating: R
Genere: Angst, introspettivo.
Warning: Slash, Spoiler fino a 4x04
Disclaimer: No, chiaramente Glee non è mio e non ci guadagno nulla (purtroppo).
Riassunto: Quando torna a casa, prenota freneticamente un biglietto aereo per New York, piange, si rende conto che è finita. Tutto in quell’ordine. [Post 4x04]



I SPELL CONFUSION WITH A K

Si ricorda di quando è stata l’ultima volta che è rimasto a fissare il soffitto per tutto quello tempo. Se lo ricorda. Non era in camera sua, e aveva un braccio ingessato e-
Non ha voglia di ripercorrere tutto quello.
Non c’è nessun dolore visibile, questa volta, solo… un dolore diffuso in tutto il corpo. Una malattia trasparente. Blaine se la sente nelle vene, mentre sparge il proprio veleno attraverso le sue braccia e il petto e le gambe, ovunque. È stato infettato e non sa quando è successo, ma è così.
Forse è da quando è andato a casa di Eli e-
Chiude gli occhi ed è come se tutto sfumasse. Non ha importanza, non ha importanza. Tutto è buio, ed è freddo, e vorrebbe allungare una mano e incontrare i capelli di Kurt, vorrebbe stringerlo a sé e baciarlo, vorrebbe solo sentirsi parte di qualcosa e meno solo, vorrebbe sentirsi meno solo.
I capelli tra le sue dita non sono quelli di Kurt e neppure ad occhi chiusi riesce a convincersene. L’odore non è il suo. Niente è come con Kurt e non si sente meno solo. Si sente ancora più abbandonato, in un angolo, ed è buio.
E non ha importanza. Perché quando riapre gli occhi è come se fosse stato solo un brutto sogno e-
Non è vero non è vero non è vero.
Non è successo. No?
Che cazzata. Dovrebbe tornare indietro. Riavvolgere il tutto e-
Quando apre gli occhi, l’immagine di un altro ragazzo, di un altro volto, che non appartiene a Kurt, non appartiene a nessuno perché non ha importanza, si chiama Eli, ma potrebbe essere chiunque, chiunque là fuori perché non ha nessuna importanza per di lui, quando apre gli occhi quell’immagine è la prima cosa che vede.
Riavvolgi.
Torna indietro, torna indietro, torna indietro.

Blaine lo guarda negli occhi e pensa “Chi sei?”.
Lo guarda negli occhi e non vede niente. Perché può essere Eli o chiunque ed è comunque qualcuno senza volto e senza importanza, sono tutti senza volto e senza importanza, a quanto pare.
L’unica cosa importante, l’unica cosa, l’unica, è a New York. E Blaine l’ha appena presa e calpestata, distrutta, per qualcosa che non ha importanza e non ce l’avrà mai, perché chi è, chi è questa persona che ha davanti agli occhi?
Blaine inspira, e la vista gli si appanna, e sembra che tutto stia crollando ed è quello che voleva, no? Essere con qualcuno che lo ascoltasse – e non ha fatto altro che balbettare un paio di risposte sottovoce.
Essere meno solo.
Blaine chiude gli occhi e torna di nuovo tutto scuro.
E se chiude gli occhi forse-
Riavvolgi.
Questo non è il problema. Questa è la punta dell’iceberg. Questa è la cazzata, l’enorme cazzata, ma-
Questo non il problema. Il problema è più a fondo e Blaine lo sa. È per quello che ne ha paura. Gli scorre nelle vene e l’ha intossicato, non è questo il problema, questo è ciò che si vede, questo è ciò di cui si accorgono tutti, ma…
Torna indietro. No, non alla telefonata. Ancora più indietro, ancora di più e-
Stop.
Riparti.


È da quando ha salutato Kurt, solo un paio di ore prima, che Blaine non fa altro che pensarci. Hanno deciso entrambi di fare tutto a casa e non in aeroporto. Un primo abbraccio e poi un secondo e un terzo, intervallati da troppi baci dal punto di vista di Burt, a poca distanza da loro, e Blaine si è quasi imbarazzato. Quasi, perché poi ha ripensato al fatto che non potrà più farlo per almeno due mesi e mezzo e ha deciso di concedersi un’ultima volta.
Il sapore delle labbra di Kurt è ciò che vorrebbe ricordare. Ma sono due ore che l’ha salutato e l’unica cosa a cui riesce a pensare è quanto gli manca, quanto lo vorrebbe lì.
È un pensiero tutto sommato normale, no? Sono solo due ore, sì, ma sono le prime due ore e all’inizio è sempre più difficile, ma poi si abituerà e andrà meglio. Andrà meglio anche per Kurt, perché New York sarà tutto ciò che ha sempre sognato.
E anche di più.
Forse è in quel momento, nel momento in cui ha chiuso gli occhi e non ha più sentito il sapore di Kurt, che è iniziato tutto.
Ma è solo l’inizio e l’inizio è sempre difficile, no?

È Brittany l’unica a capire. Il giorno dopo, è lei a dirgli “Mi manca toccare Santana,” e Blaine vorrebbe interromperla perché hanno già sfiorato quell’argomento e non vuole farlo di nuovo, ma- “il computer è freddo e Lord Tubbington ha troppo pelo. Mi manca la sua mano.”
E forse non stanno più parlando del sesso, e Kurt è solo un giorno che è partito e comunque Blaine può capire tutto quello.
Non dice nulla, però. È solo un giorno, può resistere, no? È solo un giorno e ok, non ha fatto altro che pensarci da quando si è svegliato, ma è solo un dannatissimo giorno.
Mancano due mesi e mezzo a quando potrà rivederlo.
Blaine annuisce a Brittany e torna a scrivere sul libro.

Quando vede Brittany letteralmente crollare e ritrovarsi sul fondo, l’unica cosa a cui riesce a pensare è a come aiutarla.
La seconda cosa è che ha paura paura paura paura. Non vuole diventare così.
La terza cosa è che nessuno gli ha chiesto come sta. Le uniche domande che riceve riguardano Kurt. “Ho sentito che abita con Rachel”, “Cosa vuole fare?”, “Come se la passa in mezzo a tutti quei ragazzi?”, “Non sei geloso?”.
Nessuno gli chiede come sta lui. Lo vedono tutti i giorni, non c’è bisogno e-
Comunque sta bene, grazie.
Sta bene fino a quando non riesce più a mentire e si ritrova a casa di qualcuno che non ha neppure mai visto e manda tutto a puttane e allora-
No.
Torna indietro. Respira.
Riparti.


Ha scoperto che il peso dell’assenza di Kurt non diminuisce col tempo. Ha anche scoperto che da quando Kurt lavora per Vogue.com l’assenza è ancora più pressante.
È qualcosa di continuo, che non cessa mai. E non è solo la sua presenza fisica a mancargli. Gli manca la sua voce, gli manca parlare con qualcuno e-
Gli manca qualcuno. E gli manca parlare. Gli manca tutto e basta, perché Kurt era tutto e adesso Kurt non è lì con lui e ok, poco meno di due mesi. Poco meno di due mesi e lo rivedrà, e nel frattempo può telefonargli e parlare con lui su Skype e non è come se non fosse più nella sua vita, solo che-
Non è come se non fosse più nella sua vita, perché Kurt è ancora prepotentemente ancorato a quella di Blaine. Non è come se non fosse più nella sua vita-
Però la sensazione è esattamente quella.
Ma poco meno di due mesi e-
Meno di due mesi.
Ok. Comunque sta bene. Anche se nessuno glielo chiede, è l’unica cosa che riesce a ripetersi nella testa. È l’unica risposta che si dà.

Tutti i club funzionano alla perfezione. Il suo tempo è così occupato che si ritrova con un milione di cose da fare.
Non gli interessano molto, ma non importa. È stata una buona idea.
Poi alla sera, davanti al computer, Kurt inizia a parlargli di questo articolo che deve scrivere e di cosa ne pensa della potenzialità delle righe sulle tasche dei pantaloni e Blaine non riesce neppure a dirgli che si è iscritto al settimo club, quel giorno.
Comunque ha avuto una buona idea. No, sul serio.

Quando Brittany gli si avvicina, il giorno dopo, con Sam al braccio, la prima cosa che registra è quel “Blaine Warbler” che le esce dalle labbra.
La sua prima reazione è stringere i denti impedendosi di ribattere, “non è il mio nome”.
La seconda è pensare “non più”.
E quando arriva alla terza, quando pensa “allora cosa sono?”, è troppo tardi, e la scaccia via come se non fosse importante. Un piccolo insetto all’interno della sua mente, un insetto che dev’essere ucciso sul nascere. Perché non è importante.
Ancora adesso, però, se lo chiede. Adesso che è passato del tempo e che gli sembra non avere più niente, perché non ha più nemmeno Kurt e Kurt era tutto, tutto quanto, si chiede “cosa sono?” e non trova la risposta.
L’unica che ha sempre avuto senso, da un anno a quella parte, è “il ragazzo di Kurt”.
Adesso che non è più nemmeno quello-
Non sei niente. Ovvio che fai cazzate, non sei più niente. Lo eri un tempo. E-
Non ha senso. Sei un mucchio di cose, puoi essere un mucchio di cose. Puoi essere in mille club, puoi essere il ruolo principale del musical scolastico quando sei ancora al terzo anno, puoi essere nei New Directions e vincere il titolo nazionale, puoi essere il nuovo leader del Glee Club, puoi essere presidente del consiglio studentesco.

Ha sempre voluto essere tutto per Kurt. Tutto, per mostrarsi luminoso anche solo la metà di lui. Kurt che non ha bisogno di nulla e riesce a brillare nella città delle luci, riesce a essere una stella a New York. E Blaine ha solo voluto essere abbastanza, abbastanza per lui, abbastanza brillante per essere all’altezza, un piccolo faro nella notte e-
Non diciamo cazzate. L’unico faro della tua vita ha ucciso la cosa più bella che hai mai avuto, quindi…
Non diciamo cazzate.


Non ha idea di come ha fatto a scambiare la luce di un faro con la stella di Kurt. Come ha fatto a sbagliarsi?

L’idea dei club è stata buona, sì, ma la realtà è che neppure lì trova qualcosa.
C’è qualcosa da fare, sì, ma qualcosa per lui…
Comunque è meglio di niente.
Nei momenti in cui Kurt gli chiede qualcosa, almeno, Blaine sente di potergli raccontare di cos’ha fatto quel pomeriggio.
Poi Kurt torna a parlargli di New York e Blaine si rende conto di non poter competere contro una città. New York è il sogno di Kurt e Blaine… Blaine è solo il ragazzo che va alle superiori. Non potrà mai brillare come New York, mai.

“Blaine, hey, come stai?”
Ti amo, lo sai?
Mi manchi.
Tantissimo.
Scusami, non dovrei dirtelo.
La campagna elettorale sta andando bene. Forse potrei vincere, Kurt.

“Oh no,” Kurt interrompe i suoi pensieri sul nascere e la sua risposta sulle labbra, “Isabelle vuole parlarmi. Mi dispiace, devo andare, ti chiamo dopo!”
Blaine rimane a fissare il telefono per un istante, prima di raggiungere il Glee Club.
Comunque sta bene, grazie.

Sta bene fino a quando non riesce più a fingere neppure con se stesso, non riesce a guardarsi allo specchio e a dirsi che può farcela, che possono farcela, che ha il Glee Club, le elezioni, e tutte le altre attività extracurricolari.
È circondato da cose. È circondato da persone. E non ne conosce veramente neppure una. Si guarda attorno e si rende conto che probabilmente non c’è nessuno, attorno a lui, che allungherebbe una mano nel momento del bisogno.
Non c’è nessuno, attorno a lui, che si è accorto che ha bisogno di quella mano.
Comunque sta-
Diciamo che sta.

Sta anche su un letto che non riconosce, in una stanza che non riconosce, con qualcuno che non riconosce. È il suo punto più basso, da lì può veramente scendere ancora?
Blaine spera di no.
E pensa solo che magari così può-
È ancora presto.
Fermati.
Riavvolgi.


È diventato il presidente del consiglio studentesco. Wow. In realtà si sente come ieri e-
No, in realtà si sente peggio. Ieri non aveva ancora vinto, era ancora in attesa e, in un modo o nell’altro, l’unica cosa di cui aveva voglia era chiamare Kurt e fargli sapere il risultato. Vincente o perdente, Kurt avrebbe saputo cosa dire.
Ha vinto, ha chiamato Kurt e Blaine si è ritrovato con una manciata di chiamate senza risposta, una festa organizzata in suo onore e un gruppo di persone a cui non appartiene. Perché Kurt non è lì e-
Si ritrova a mentire ad Artie, ma davanti a Sam sputa fuori la verità come se fosse una condanna. Tutto sommato Sam non è male. Ma non è Kurt e non è abbastanza. La verità, quella che ha nascosto in un cassetto remoto della sua mente perché se non ci pensa, non esiste, giusto? Ecco, la verità è che nulla è abbastanza, senza Kurt. Che tutto quello, tutto quello che lo circonda, aveva senso solo perché c’era lui e adesso-

Guardati intorno, che cosa c’è?

Blaine non riuscirebbe neppure a trovare una risposta. Sa solo quello che non c’è, ed è abbastanza.

Dove sei? Dove cazzo sei Kurt?

Non con lui.
E comunque non sta più bene, grazie.

Solo quando è ormai a casa, sotto le coperte, solo quando ormai ha rinunciato a chiamarlo, Kurt gli risponde.
Blaine sente vibrare il telefono dal comodino, e per un attimo pensa di non rispondere, spinto da un’improvvisa cattiveria che muore poco dopo.
Averlo per poco è pur sempre meglio che non averlo, no?
“Hey,”
“Blaine! Scusami, stavo… scusami, mi dispiace, mi dispiace sul serio, ma ero a lavoro e-“
“Non importa.”
Ed è vero. Kurt ha ragione, alla fine. Stava lavorando e Blaine dovrebbe piantarla di cercare di essere al centro della sua vita. Non gli è più possibile.
Già.
Non importa.
“Sei sicuro? Mi hai chiamato un sacco di volte, non-“
“Ho vinto.” Lo interrompe.
“Hai… oh! Le elezioni! Oddio, scusami, avevo dimentica- ma oddio, hai vinto! Blaine, è fantastico! Lo sapevo che tu e Sam ce l’avreste fatta. Scommetto che sei stato bravissimo.”
Blaine sorride, prima di mettersi a raccontare brevemente cos’è successo quel giorno.
Quando chiude la conversazione, si rende conto che Kurt non gli ha mai detto di essere orgoglioso di lui per la vittoria. D’altra parte, Kurt vive a New York e lavora a Vogue.com, perché avrebbe dovuto dirgli “sono orgoglioso di te” per delle stupide elezioni al liceo?
Blaine mette di nuovo il telefono sul comodino e pensa che forse quelle quattro parole avrebbero potuto dare un significato a ciò che sta facendo, perché non riesce proprio a trovarlo da solo.

“Ti amo.”
Silenzio silenzio silenzio silenzio silenzio.
Dove sei? Adesso che sono qui, che sono qui per te, dove sei?

Mi viene da vomitare.
Apre gli occhi, e non riconosce la stanza.
Mi viene da vomitare.
Apre gli occhi, non riconosce la stanza, e neppure il profumo che ha addosso.
Mi viene da vomitare.
Stop.
Torna indietro.

Non è così semplice. Non è mai così semplice.

Riparti.

Elijah è un ragazzo che conosce solo di vista. Andava alla Dalton, ed era gay. Era stato abbastanza per sapere chi fosse, quando ancora frequentava quella scuola.
Non gli aveva mai parlato. Diversi amici, diverse classi, diversi club.
Non gli ha mai parlato, ma mentre fa scorrere la bacheca di Facebook dal cellulare vede che ha risposto ad una foto pubblicata da Nick.
E pensa-
No. Non pensa. E quando inizia a pensare, si è alzato dalla sedia e sta già uscendo dalla porta.

È chiaro che Kurt ha altro da fare adesso, altro a cui pensare, altro di cui preoccuparsi. Ha un’altra vita, un altro lavoro, altri interessi.
Presto avrà anche un altro ragazzo, e Blaine è ancorato lì.
E pensa-

È come un flash. Ma è abbastanza per decidere di mettersi in macchina e andare da lui.

Pensa: “forse non siamo destinati a stare insieme per sempre. Forse era solo una storia come tante che ce ne sono al liceo. Forse fa male adesso, ma poi passerà e-“

Quello che pensa dopo, quando è seduto su un letto che non conosce e la nausea gli fa girare la testa, è: “Non passerà mai. Kurt non passerà mai. Non sarebbe mai passato. E tu l’hai ucciso, hai ucciso tutto, hai rovinato tutto. Kurt non sarebbe mai passato.”

Quando torna a casa, prenota freneticamente un biglietto aereo per New York, piange, si rende conto che è finita. Tutto in quell’ordine.

Il viaggio in aereo è un disastro. Nel sedile davanti a lui, un bambino ha deciso di sentirsi male, col risultato che la puzza di vomito ha iniziato a impregnare tutta la zona. Blaine è stato a tanto così dal seguirlo a ruota, la testa che è da quel pomeriggio che gira senza sosta, e lo stomaco sottosopra.
Ma non dice nulla, chiude gli occhi, e spera che passi presto.
Non passerà, comunque, perché non è l’aereo a farlo star male. E neppure quel bambino o l’odore di vomito. È l’odore di marcio che viene da dentro di lui e quello non lo può curare.
Non pensa a Kurt, perché non sa a cosa pensare. Non pensa neppure ad Elijah, perché la sola idea gli provoca un dolore al petto, lì, nel posto in cui è contenuto Kurt.
Non pensa a nulla, continua ad ascoltare il bambino piangere e a guardare il sedile davanti a lui, seguendone le linee fino a ridisegnarlo mentalmente nella sua testa per poi ricominciare da capo una volta che ha concluso.
La signora accanto a lui cerca di iniziare a far conversazione e in qualsiasi altro momento Blaine non avrebbe avuto problemi ad ascoltarla raccontare di come stia andando a trovare il figlio che lavora a New York ormai da una decina d’anni e di come lui e la sua ragazza si siano recentemente sposati e di come quest’ultima sia incinta e-
Blaine annuisce, sorride e finge di ascoltare. Intanto continua a tracciare linee immaginarie sul sedile di fronte a lui.

Poi, va tutto male. Va esattamente come si era immaginato, ma questa volta è reale, questa volta Kurt lo sta veramente guardando con gli occhi pieni di lacrime e l’unica cosa che Blaine riesce a pensare è “Non avrei mai voluto farti questo. Mi odio mi odio mi odio. Non mi odierai mai quanto mi odio io. Mai.”
Guarda Kurt allontanarsi e sente un groppo in gola che quasi non lo fa respirare.
E pensa “Ti hanno ferito in tanti. Ti hanno ferito in troppi. Eppure nessuno ti ha mai fatto così male. Non avrei mai voluto-“ I suoi pensieri, poi, si adeguano alla sensazione di vuoto e di confusione che prova ogni volta che tenta di parlare. E smette anche di pensare.

L’unica volta in cui vorrebbe realmente tornare indietro, non può farlo. Da qui, dal punto più basso, dal dolore più profondo afflitto alla persona più importante della sua vita, può solo risalire. Ma Blaine ipotizza che prima dovrebbe almeno riuscire a smettere di soffocare, e non ha idea di come si faccia.

Quando al mattino apre gli occhi, dopo essersi addormentato per più per sfinimento che altro, avverte subito che Kurt non è accanto a lui. E quando si gira lentamente, preoccupato di trovarselo comunque alle spalle, deve mordersi il labbro per non emettere nessun suono alla vista del letto sfatto, ma vuoto.
Si veste senza fare rumore. Tutta la casa è avvolta dal più profondo silenzio. Quasi non ci fosse nessuno. O fosse popolata da anime morte.
Blaine si sente di far parte di quel gruppo.
Quando è ormai arrivato alla cucina, si rende conto che Kurt è seduto a poca distanza da lui. Immobile e-
Mi dispiace. Mi dispiace così tanto.
- bellissimo. Anche con quegli occhi grandi e lucidi, anche con quell’espressione, come se fosse disgustato da lui, ma non avesse la forza per fare nulla.
Mi viene da vomitare.
“Kurt-“ mormora piano, quasi sottovoce, quasi per non farsi sentire e vedere e ascoltare. Quasi non esistesse.
Ma in una casa di anime morte basta un niente per riportarle in vita.
Kurt serra forte la mascella e Blaine non ha idea di cosa potrebbe succedere, se gli urlerà contro, se lo sbatterà fuori di casa, se-
“Vattene,” mormora Kurt, alla fine. Gli occhi ancora puntati addosso a lui, e il labbro inferiore stretto tra i denti. Kurt non è pronto ad urlargli contro, Blaine l’ha distrutto. L’ha rotto e-
Ti ho ridotto io così. Tu mi hai dato il potere di ridurti così. Tu ti sei fidato di me con tutto te stesso e io ti ho distrutto.
“Mi dispiace,” sussurra Blaine, prima di uscire dal loft, e fa in tempo solo a vedere Kurt girare la testa e chiudere gli occhi, mentre il viso si contrae nel tentativo di non piangere.

Quell’immagine di Kurt è l’unica cosa a cui riesce a pensare fino a quando non è di nuovo a Lima.
E anche allora non smette di tormentarlo.

A Lima, è tutto com’era prima. Così come al McKinley. Gente che parla, gente che cammina per i corridoi, gente che si allena, gente che va nelle classi, gente gente gente gente.
Blaine si guarda attorno e si sente ancora peggio. Due giorni prima almeno poteva avere l’illusione di avere ancora qualcosa, di avere ancora qualcuno, anche se a chilometri di distanza.
Finn è lì e Blaine pensa stupidamente che potrebbe provare a parlare con lui, che magari-
Sì, beh, in ogni caso era un’idea stupida.

Poi è tutto uguale. Gente gente gente e nulla che gli interessi veramente.
Nessuno che lo ascolti.
Non c’è più niente da mandare indietro. A quel punto è tutto uguale, tanto vale mandare avanti.

Fermati.

Sono tre giorni che è tornato a Lima, e non si sente meglio proprio per un cazzo. Il tempo aiuta, dicono, ma a Blaine sembra che il tempo lo stia solo prendendo per il culo.
Sdraiato sul suo letto, osserva quel soffitto che riconosce, almeno quello, dato che ogni volta che si guarda allo specchio non riesce a capire chi è che gli sta ricambiando lo sguardo. Uno stronzo, di sicuro.
Lancia un’occhiata alla sveglia sul comodino. Le 11:11. E gli verrebbe da ridere, se non fosse totalmente incapace di farlo.
C’è solo una cosa che vorrebbe, ed è tornare indietro nel tempo, non solo con la mente, ma con tutto, tutto quanto. Ed è un desiderio che non si avvererà mai, quindi è inutile sperarci. Che illuso.

Vai avanti.
Ancora un po’.
Fermati.


Mentre osserva la sua camera, Blaine riesce solo a pensare al formicolio che si sta formando nelle sue dita. E alla voglia di potersi smuovere da quel momento. Avanti o indietro sarebbe indifferente, se solo succedesse qualcosa.
Non può far nulla, però. Se non rimanere lì, sdraiato sul letto, a pensare a quello che è stato e quello che non potrà (forse) essere mai più. La possibilità di una vita intera cancellata da una stronzata. Complimenti, Blaine, hai appena vinto il premio come il più grande coglione mai esistito. Poi però chiude gli occhi, e pensa a cinque, dieci, vent’anni dopo, e non è cambiato nulla, e si sforza, si sforza di adattare la sua mente con la realtà, con quello che è successo, ma non ci riesce. Kurt è ancora lì, immobile nel suo futuro. E a Blaine viene da piangere, perché dovrebbe controllare tutto quello, dovrebbe almeno controllare la sua testa, ma non sembra essere capace di uscire da quel pensiero.
Kurt era tutto, e lo è ancora e lui-
Nessuno ti ferirà così tanto come me. Nessuno.
Blaine tiene gli occhi chiusi e si rannicchia sotto le coperte, mentre il silenzio avvolge anche la casa. Stringe la mano al cuscino, e solo quando riesce a far andare via il formicolio, si concede di addormentarsi.
In ogni caso - non che qualcuno glielo chiederà il giorno dopo, ma... - non sta affatto bene.
Grazie, comunque.

FINE

Note: Ed è finita. Uhm, un paio di note veloci. Allora, se è un po’ confusa… lo è volutamente (d’altra parte il titolo è una grossa indicazione in questo senso XD). Se è troppo confusa, però, significa che ho toppato alla grande, quindi fatemelo sapere ;_;
Per quanto mi riguarda sono molto felice del risultato, perché è un metodo che non avevo mai provato e che ho ipotizzato andasse bene per ciò che volevo trasmettere. È dura creare qualcosa di confusionario senza creare un pastrocchio di dimensioni enormi, credetemi XD
Poi! Il titolo e molte parti della storia (…diciamo anche tutta, in effetti) si basano su “Konstantine” dei Something Corporate. Ascoltatela perché è una canzone splendida ed è grazie a lei se questa fic ha uno dei titolo più belli che potevo tirare fuori (posso dirlo senza sembrare pomposa e presuntuosa perché il titolo non l’ho inventato io, ah :D O/). Devo veramente ringraziare la canzone per avermi donato su un piatto d’argento una colonna sonora perfetta <3
E niente, questo era il mio tentativo di “entriamo nella testa di Blaine e dimostriamo come tutto possa essere spiegato”. Avrei preferito vedere un po’ di più di quello che ho scritto trasportato nel telefilm, ma insomma, quello è, prendiamone atto e andiamo avanti, dico io ;)
E nonostante la massiccia dose di angst e di elucubrazioni mentali di Blaine, spero vi sia piaciuta <3 Nella mia testa ci sarebbe anche un’altra storia, gemella a questa, dal pov di Kurt, un po’ più lunga, però… vediamo se si farà scrivere o no ;)
Alla prossima :*

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