Untitled
Osservo le persone che sono sull’autobus. Molte, troppe
signore anziane, dal mio punto di vista.
Appoggio la mia sacca sul pavimento
del mezzo per tirare fuori un libro. Il compito di fisica è domani. Forse
sarebbe stato meglio studiare prima, ma poco male. Vada come vada. Non sarà un
sei a salvarmi.
Sto per immergermi tra le formule quando la noto. Scorrendo
distrattamente le facce delle persone, incrocio il suo sguardo. I suoi occhi
sono smeraldini. Non trovo altro aggettivo per definirli. Verdi come non ne ho
mai visti.
Forse mi sono soffermato troppo a fissarla. Mi nota. Mi sorride.
Ricambio il sorriso. La vedo alzarsi dal posto dove è seduta. Si sta avvicinando
a me. Richiudo il libro e lo rimetto nello zaino. Qualcuno cantò: “La
matematica non sarà mai il mio mestiere”. Beh… neanche il mio.
L’autobus comincia a rallentare. Capolinea. Scendiamo dalla stessa porta
senza niente di più che un fugace sguardo. Quando la vedo avvicinarsi nuovamente
a me, non nascondo la mia sorpresa. Non c’è nessun altro intorno. Eccola, ritta
di fronte a me.
- Giovanni!- esordisce. Il suo tono non è per niente felice.
Ma non mi stupisco di ciò. D’altronde, io non mi chiamo Giovanni.
- Come,
prego?- rispondo. Non aggiunge altro. La sua mano fulmineamente arriva sulla mia
guancia. Uno schiaffo. Non ci vuole molto perché anche il secondo arrivi. Io non
reagisco. Resto lì, immobile, a fissare le sue iridi color della speranza e i
suoi capelli crespi, di un colore biondo sporco. Come i miei, del resto.
Dopo il terzo schiaffo mi insulta. Mi chiede perché me ne sto lì senza far
nulla. Alza la mano per percuotere ancora il mio viso. La blocco, stavolta.
Le chiedo perché mi stesse schiaffeggiando. Mi risponde che dovrei saperlo.
Lascio andare il suo polso e le dico di non chiamarmi Giovanni.
Ammutolisce.
Non mi crede. Resta immobile a fissarmi, come me poco prima. Si scusa. Mi dice
di avermi scambiato per un altro. China il capo. Le dico che non è nulla,
nonostante su entrambe le mie gote si notino le tracce di quegli schiaffi. Mi
ringrazia e si scusa nuovamente.
- Grazie di cosa?- le domando.
Mi
ringrazia d’averla lasciata sfogare. Resto interdetto. Aggiunge che chiunque
l’avrebbe fermata. Mi chiedo perché non l’ho fatto anche io. Chiedo la sua
opinione. Non sa rispondermi. Ride però. Ride…
Mentre ascolto la sua risata
cristallina, sorrido a mia volta. Mi chiede una sigaretta e l’ora. Osservo
velocemente l’orologio mentre estraggo il pacchetto. Impreca, esclamando che è
tardi. Accetta velocemente la sigaretta che le porgo e si volta. Fa un paio di
passi e torna indietro.
Mi abbraccia per alcuni secondi. Poi si allontana
salutandomi semplicemente dicendo che ci si vedrà in giro.
Mi abbandono
sulla panca dietro di me. Sarebbe il momento giusto per studiare, poiché la
misteriosa ragazza mi ha fatto perdere la coincidenza. Uno di questi giorni
chiamo la società dei trasporti e gliene dico quattro… fanno degli orari
decisamente pessimi. Sorrido. Seduto sulla panca, continuo a sorridere.
Probabilmente non la rivedrò. Non so neanche il suo nome. Ma cosa importa? Lei
non sa il mio.
In quel momento una ragazza rossa, dagli occhi cerulei,
si avvicina.
- Giovanni?-.
Senza neanche dire una parola mi alzo. Mentre
arriva il primo ceffone della seconda serie di quel giorno, mi riprometto che,
se mai avessi incontrato Giovanni, glieli avrei fatti pervenire tutti.
La storia non ha nulla d'autobiografico. Non so se per fortuna o per sfortuna.
Se volete sapere come va avanti, leggete "Without Inspiration", di cui questa storia è prologo.