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Autore: Chandy    25/10/2012    0 recensioni
Una vita passata a credere di essere qualcuno che non è, di poter vivere come la gente comune, di non poter controllare le proprie scelte. Un padre scienziato che nella ricerca di fama, svolge esperimenti innocui, almeno all’apparenza, per mettere a punto un videogioco che connetterebbe gruppi di persone, anche se privi di internet. Una madre protettiva che conosce la verità e avrà l’arduo obbligo e compito di svelarla. La protagonista è una ragazza che cerca di evadere da ciò che è costretta a essere. Scoprirà quanto sia migliore la realtà, ma non quella che conosce nella vita di tutti i giorni. Un racconto che non narra semplicemente le vicende, ma si concentra anche sull’introspezione della protagonista. In difficoltà con il comportamento del padre, cercherà di sovvertire il potere che lui ha su di lei. Troverà un videogioco da lui creato, che le cambierà la visione della vita, in qualche modo, e che la porterà a una scelta importante. Lei non ha molti ricordi e capirà, a un certo punto, che a contare davvero sono solo la madre e questo videogioco. Riuscirà a entrare virtualmente in contatto con abitanti di un pianeta apparentemente lontano, dovrà recuperare qualcosa di prezioso su
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un tonfo sordo e mi alzai, convinta che fosse già mattina. Tentai di aprire gli occhi per capire che ore fossero e con mio stupore lessi il numero tre, seguito da due punti e da un quindici.
Mi alzai a fatica, per approfittarne e prendere un bicchiere d’acqua, oltre a controllare chi avesse deciso di svegliare tutta la casa.
Come sospettavo era il boss, come lo definisco io, che stava rovistando nel frigorifero, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
“Papà, dai lo sai che è tardi e sei già abbastanza stressato così, per favore smetti di lavorare e vai a riposare. Domani sarai più lucido per capire cosa fare e come risolvere qualunque problema tu abbia”.
“Tesoro” - rispose lui - “come sei premurosa, ma ormai dovresti sapere che il tuo paparino fa le ore piccole per sistemare varie cose da poter svelare al mondo…magari un giorno!”
“Sì certo come no” dissi con sguardo poco convinto delle sue prodezze.
Tornai sommessamente nel letto, tirando le lenzuola fino a coprire i miei occhi blu, spostando un po’ i capelli neri e lunghi, per lasciare libera la mente e pensare quanto fosse scorretto nei confronti miei e della mamma, che papà, a casa, si comportasse come un despota cui noi dovevamo fare buon viso a cattivo gioco.
Alcuni lo definivano scienziato pazzo, capace di qualsiasi cosa, ma non conoscevano la realtà domestica con cui dovevamo scontrarci quotidianamente.
In ogni caso, decisi di dormirci su, vista la giornata impegnativa che mi attendeva all’università: non solo l’esame di chimica, ma anche un’intensa sessione di biologia, con relativa pratica di vivisezione.
La mattina seguente, un chiarore impressionante invase la mia stanza, e una voce suadente cercava insistentemente di buttarmi giù dal letto.
“Oh, mamma. Lo sai che intuisco quando le smancerie indicano sottilmente un obbligo. E’ inutile che lo fai, anzi, sarebbe meglio che mi scaraventassi giù dal letto, in modo che possa svegliarmi e rendermi conto ancora di più di quanto sia noiosa questa realtà.”
“Sì, certo piccola mia, so che è difficile lo è sempre stato; non preoccuparti, si sistemerà tutto e  non ci penserai più.”
“Tutto si sistema? E cosa dovrebbe sistemarsi? Sì, okay anche per te è mattina.”
“Nulla di particolare” – disse lei sorridendo – “solo che, qualunque problema tu abbia, potrai sicuramente risolverlo, per poi non rimuginarci più.”
Presi la mia spazzola dalla cassettiera, guardandomi allo specchio, e racchiusi i miei capelli in un elastico che s’intonasse almeno un po’ al resto dell’abbigliamento.
Mentre spazzolavo con vigore, il mio sguardo cadde su una fotografia, incorniciata d’argento, di un momento in cui io ero sorridente, vestita di tutto punto, a una cerimonia, forse un matrimonio o una consacrazione cui tiene tanto mia madre.
Il punto è che l’avevo intuito, ma non me lo ricordavo, era come se avessi un vuoto mentale, come se cercassi di ricordare quel giorno, solo apparentemente lontano, senza riuscirci.
Sì, era un mistero, e quando la mamma spuntò di nuovo dalla porta della mia camera, per dirmi che la colazione era pronta, le porsi la fatidica domanda.
“Mamma, in questa fotografia, dov’ero? Che cosa stavo facendo esattamente? Non ricordo quel giorno, perché? Ho ventidue anni, quella risalirà a una decina di anni fa, com’è possibile che non riesca a collegare ciò che ho fatto, provato e visto?”
“Eri comunque piccola, tesoro” - cercò di giustificarsi lei - “è normale che tu non riesca a ricordare; e poi eri così emozionata e bella, magari alcuni avvenimenti della tua vita sono stati più importanti e involontariamente hai rimosso quel particolare.”
Non mi convinceva del tutto la sua versione dei fatti, ma l’orologio iniziava a rintoccare le otto, quindi mi avviai verso l’università.
   
 
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