It's
the moment of truth and the moment to lie
The moment to live and the moment to die
Era
il
primo anno di guerra quando lei gli era apparsa diversa.
Dopo
che
avevano condiviso una vita giocando insieme e lei era stata sempre
iperattiva,
decisa e forte, si vergognava anche a pensarlo e non poteva dirlo,
forse anche
più di lui, vederla camminare in silenzio al fianco di suo padre quasi
in un
atteggiamento sottomesso lo aveva in qualche modo stupito. Gohan non
era
riuscito a distogliere lo sguardo da lei neppure per un attimo e
l’aveva
fissata in modo sbalordito e talmente manifesto che sua madre aveva
dovuto
dargli una gomitata per fargli abbassare lo sguardo. Non era cortese
continuare
a fissare i due ospiti con quell’espressione sul volto, specialmente
perché
erano in casa loro, e aveva dovuto obbedire. Anche Videl aveva tenuto
sempre
gli occhi bassi, in modo così dissimile dal solito, e non lo aveva
guardato
mai. I loro occhi si erano incontrati soltanto una volta, per pochi
secondi, e
lei gli era parsa come sofferente, arrabbiata, ma non aveva avuto tempo
per
pensarci, perché il signor Satan, il padre di Videl, l’aveva richiamato
alla
conversazione. Per un ragazzo della sua età che ormai si avviava alla
vita
adulta si confaceva partecipare alle conversazioni con gli ospiti per
intrattenerli e lui, per somma gioia di sua madre, ci riusciva anche
abbastanza
bene. La conversazione, però, era virata quasi subito su un argomento
che non
ancora conosceva: era giunta notizia dalla città che l’esercito, dopo
aver
sconfitto in modo schiacciante la flotta americana, stesse continuando
ad
ottenere vittorie su vittorie e l’uomo lo raccontò con orgoglio. Gohan
sentì lo
stesso sentimento sorgere dentro di lui: presto il Giappone sarebbe
stato alla
stregua delle altre potenze mondiali, anzi, forse molto al di sopra di
loro.
Alla
scuola del tempio erano giunti due ufficiali dell’esercito che avevano
tenuto
un discorso sull’importanza della guerra per elevarsi su tutte le altre
nazioni, sul supporto dovuto all’esercito, sulla sacralità di quella
missione.
Moltissimi ragazzi più grandi di lui si erano alzati in piedi e li
avevano
seguiti senza battere ciglio per poter mostrare agli infidi nemici
d’oltremare
il loro coraggio e il loro onore*. Gohan aveva solo quindici anni, ma
li aveva
ammirati con tutto se stesso mentre, con sguardo fermo e impassibili,
avevano
giurato davanti a tutti di servire l’esercito giapponese fino alla
morte. In
quel momento aveva subito pensato che quello doveva essere anche il suo
futuro,
combattere contro quei nemici che stavano cercando di ostacolare la
loro
nazione con mezzi indegni. Non appena fosse arrivato l’ultimo anno di
scuola,
gli avevano detto, anche lui avrebbe potuto dimostrare il suo coraggio
giurando
davanti a tutti e onorando il nome della sua famiglia.
Sono solo
parole
The
moment to fight, the moment to fight
To fight, to fight, to fight!
Tre
anni
erano trascorsi velocemente, mentre veniva bombardato di notizie buone
e
cattive e la sua vita lentamente cambiava. L’esercito aveva prima
conquistato
ogni territorio, poi l’aveva perso e continuava a soffrire l’ingente
peso di
quello americano. Qualcuno diceva che gli americani si stavano
avvicinando e
che presto li avrebbero visti scorazzare nei loro campi, ma Gohan
credeva fermamente
nella prodezza dei soldati giapponesi e desiderava con tutto il cuore
essere al
loro fianco. Tuttavia, era più solo che mai: Videl non gli si era più
avvicinata o rivolto la parola. Ogniqualvolta lo vedeva da lontano gli
lanciava
uno sguardo infuocato e si ritirava in casa. Forse era arrabbiata con
lui, ma
Gohan non riusciva a capire perché, non ricordava di averle fatto alcun
torto,
ma forse era stato soltanto tutto il tempo che avevano trascorso
lontani a
farglielo dimenticare. Tutto ciò lo intristiva.
Era
ormai primavera quando poté vedere di nuovo Videl da vicino, durante
una delle
solite visite con cui suo padre portava gli omaggi alla sua famiglia.
Quando
furono seduti ancora intorno al tavolino Gohan la guardò di sottecchi
per non
farsi notare: manifestarle apertamente attenzione avrebbe significato
culminare
in qualcosa di più grande che non si sentiva proprio in grado
di poter
sostenere. La ragazza si accorse del suo sguardo e lo ricambiò, come al
solito
aspramente. Poi chiese a Chichi con voce stranamente gentile: “Potrei
utilizzare il vostro bagno?” e, ottenuto il permesso, sparì dietro ai
pannelli
che dividevano la stanza dal corridoio. Non poté dire come ci fosse
arrivato,
ma Gohan capì che quello era il momento giusto. Accampò una scusa poco
plausibile cercando di essere convincente e seguì Videl: la trovò
seduta sulla
verandina posteriore della casa che dava sui campi già coltivati, le
gambe
penzoloni e l’espressione pensosa.
“Cosa
vuoi?” proruppe lei non appena sentì i suoi passi, voltandosi. Un po’
incerto,
Gohan disse soltanto: “Parlarti.” e le si sedette accanto. Con un certo
sollievo vide che si era allontanata da lui: anche se fingeva di essere
diversa, in realtà era sempre la solita ragazzina coraggiosa e un po’
prepotente con cui era cresciuto. Le rivolse finalmente la domanda che
gli
rimbombava in testa ormai da qualche anno.
“Perché
mi eviti?”
La
ragazza lo fissò, penetrante, poi scoppiò in una risata per niente
allegra.
“Davvero
non lo capisci? E’ per via di mio padre. Lui dice che ad una ragazza
della mia
età non si addicono più certi comportamenti!”
“Capisco.”
assentì lui guardando intensamente davanti a sé. In un certo modo,
allora, era
anche colpa sua: moltissime volte sua madre lo aveva redarguito di fare
attenzione con Videl, altrimenti avrebbe potuto cacciarsi in situazioni
poco
raccomandabili, ma non aveva avuto neppure il tempo di pensarci, perché
era
stata lei ad allontanarsi da lui. Restò in silenzio, dispiaciuto per
quella
situazione, pensando che, se fossero restati bambini, non sarebbe
accaduto
nulla tra di loro e niente sarebbe cambiato…
Videl,
però, non smetteva di fissarlo, piena di voglia di parlargli.
“Allora,
non dici più niente?” esclamò, incredula. “Volevi sapere solo questo?”
“Mi
dispiace.” replicò lui senza sapere cosa dire. Una strana idea aveva
cominciato
a tornargli in testa e in quei giorni gli capitava parecchio spesso, ma
era
talmente particolare che non osava neppure pensarci. “Un modo per
risolvere
questa situazione… ci sarebbe.” balbettò senza avere il coraggio di
guardarla.
Sapeva che ormai era completamente rosso in viso. “Una propo… una
proposta di
matrimo-”
“Allora
fammela.” lo interruppe lei con le guance rosse. Il suo tono di voce
era alto
come al solito, ma sembrava in qualche modo più debole, femminile.
“Non
posso.” dissentì Gohan, impacciato, scuotendo la testa. “Non sono
pronto.”
Videl
inspirò con forza e lo guardò, arrabbiata: i suoi occhi scintillavano.
Si
sollevò dal tatami e corse dentro la casa. Pochi minuti dopo si
sarebbero
guardati di nuovo negli occhi per un attimo e Gohan si sarebbe sentito
terribilmente in colpa per averla illusa, ma era meglio così, a breve
sarebbe
dovuto partire. Gli stessi ufficiali dell’esercito che avevano visitato
la
scuola del tempio tre anni prima, erano ritornati, più anziani e
preoccupati, a
raccontare le gesta dell’esercito. Avevano detto che era in difficoltà
e che
quello era il momento giusto per aiutarlo a servire la nazione e
portare a
termine la missione. Avevano creato una nuova unità di attacco speciale
ed
erano certi che i giovani avrebbero potuto onorarla. Finalmente anche
Gohan
aveva potuto alzarsi in piedi e prestare giuramento sotto gli occhi
pieni di
orgoglio dei suoi compagni. Non aveva ancora detto nulla alla sua
famiglia, ma
non vedeva l’ora che quel momento arrivasse: voleva vedere l’orgoglio
anche
negli occhi di suo padre.
“In
città dicono che i nemici abbiano preso una delle nostre basi militari”
disse
il signor Satan con un po’ di timore nella voce “e pare che in questo
modo
possano tenerci tutti sotto tiro!”
“L’ho
sentito anch’io.” replicò Goku con una strana serietà “Pare che abbiano
conquistato anche le Filippine. Quei cani senza onore vogliono
schiacciarci, ma
non hanno capito che sarà impossibile, l’orgoglio del Giappone non può affondare così!”
L’uomo
lanciò uno sguardo duro al tavolino: avrebbe voluto essere sul campo di
battaglia a combattere, ma non poteva. Aveva dovuto congedarsi a forza
dall’esercito perché era rimasto gravemente ferito ad una gamba durante
la
campagna espansionistica del Giappone nel continente prima dello
scoppio della
guerra. Gohan gli lanciò uno sguardo
dispiaciuto e, finalmente, sentì che avrebbe potuto dirglielo. Inspirò
tutta
l’aria possibile e annunciò con aria formale: “Hai ragione, padre.
L’orgoglio
giapponese non cadrà per qualche misera sconfitta. Anch’io farò tutto
il
possibile per sconfiggere i nemici!”
Gli
occhi di Goku si allargarono per la gioia mentre recepiva quella
notizia e,
pieni di orgoglio, non smisero più di guardarlo.
“Sono
fiero di te.” disse l’uomo con forza e
la conversazione riprese con più vigore di prima. Il
signor Satan gli chiese in quale reparto
volesse arruolarsi e Gohan gli parlò della nuova unità speciale appena
formatasi nell’esercito: sembrava che si trattasse di un’unità di aria
indispensabile per le battaglie future e lui aveva deciso di entrarne a
far
parte. Suo padre continuò a lodarlo e il ragazzo si esternò dalla
conversazione, un po’ in imbarazzo per via della fierezza con cui
continuava ad
essere lodato: il suo sguardo cadde su Videl, che lo fissava piena di
rabbia,
una lacrima sottilissima, invisibile, a rigarle il viso, il tradimento
negli
occhi. Rattristato, scostò lo sguardo: doveva pensare prima alla
nazione,
poi a sé. In quel momento il Giappone
aveva bisogno di lui più di chiunque altro.
To
the soldier, the civilian
The martyr, the victim
This is war
Ormai
vivevano di bombardamenti: gli americani non si fermavano mai, neppure
di
notte. Ogniqualvolta si sentiva un boato e non erano tutti insieme,
Chichi
pregava di nascosto che la bomba fosse stata sganciata lontano dalle
loro case
e che i suoi cari fossero vivi. Non potevano nascondersi, Goku lo
considerava
codardia, avrebbero dovuto affrontare a testa alta i nemici, le bombe e
la
morte, se fosse sopraggiunta. L’eco della gloria e dell’onore della
loro
famiglia avrebbe dovuto sopravvivere anche dopo la loro vita. Gohan
ormai non
era quasi mai in casa: al tempio avevano cominciato ad insegnare i
rudimenti
del combattimento a tutti coloro che l’esercito aveva reclutato, in
attesa
della loro chiamata che sarebbe arrivata a breve, dato che la
situazione era
tragica. Dovunque c’erano carcasse di bombe, case crollate, buche
immense e
fumi irrespirabili; persino uscire di casa era rischioso. Chichi ormai
non
riceveva più visite, per il villaggio non si vedeva più nessuno.
Soltanto Gohan
camminava per strada come se non stesse accadendo nulla per andare al
tempio.
Videl lo osservava ogni mattina dalla
finestra di casa più vicina all’abitazione di Gohan pregando per la sua
incolumità e soltanto quando lo vedeva rientrare sul calare del sole
riusciva a
pensare lucidamente. Poi calava la notte e ricominciava l’inferno, luci
folgoranti, rumori assordanti, urla strozzate, mentre tutti attendevano
eroicamente
di poter vedere di nuovo il sole sorgere il giorno successivo.
A
casa
di Videl era giunto un uomo dalla città con notizie funeste per suo
padre: gli
americani avevano dato il via a bombardamenti su più larga scala, senza
risparmiare nessun territorio. L’esercito stava continuando a
combattere nel
Pacifico, ma sulla terra non poteva fare molto, perciò aveva assegnato
alla
nuova unità speciale tokubetsu kogeki tai l’incarico di
occuparsi della
questione. Sembrava che ai tokkotai, gli aviatori che facevano
parte del
corpo speciale, spettasse il compito di abbattere gli aerei americani
prima che
sganciassero le bombe sulle loro teste. Era sicuramente un ruolo molto
delicato: si diceva che parecchie centinaia di uomini fossero già morti
in
missione. Mentre la ragazza origliava quella conversazione nascosta
dietro il
pannello che divideva la stanza dal corridoio, il suo pensiero andò
immediatamente a Gohan: lui aveva detto di volersi arruolare proprio
nella
nuova unità speciale. Sarebbe andato a morire con le sue stesse gambe.
Terrorizzata,
si allontanò nel corridoio cercando di non fare rumore e si fermò dove
nessuno
avrebbe potuto vederla, stringendosi forte le mani. Non poteva lasciare
che lui
partisse per andare a morire, erano ancora così giovani, anche se la
guerra
continuava a germogliare come una pianta malata intorno a loro… Loro
erano il
futuro, e se la guerra fosse continuata non ci sarebbe stato più
futuro.
Sul
calare del sole, approfittando del fatto che suo padre e il suo ospite
continuavano a discutere troppo animatamente per pensare a lei, con il
cuore in
gola lasciò casa sua. Fece ben attenzione che nessuno la notasse mentre
camminava verso il tempio; incontrò quasi subito Gohan, che stava
rientrando
con una strana espressione sul viso, e lo trascinò dietro ad un
cespuglio tutto
secco costringendolo ad inginocchiarsi. Lei fece lo stesso. Allarmata
da una
strana sensazione allo stomaco, esclamò: “Cosa è successo?”
Lui
le
sorrise con fierezza e replicò: “Domani parto. Mi hanno convocato.”,
poi si
stupì quando la vide sferrare un pugno alla terra invece di
congratularsi con
lui.
“Stanotte
voglio incontrarti.” disse lei rialzando gli occhi e puntandoli sui
suoi,
battagliera “Aspettiamo che i nostri genitori si siano addormentati e
vediamoci
a quell’albero vicino a cui giocavamo sempre da piccoli. Ti ricordi?”
Gohan
assentì: non avrebbe potuto dimenticare quel periodo, l’unico in cui
erano
potuti stare vicino senza preoccuparsi degli altri per nulla al mondo.
“Certo,
ma qualche giorno fa lì vicino è scoppiata una bomba e se tuo padre-“
“Non
mi
interessa. Ti prego, dobbiamo incontrarci.” lo interruppe lei, le voce
vibrante. I suoi occhi lo stavano pungendo con mille aghi. “Voglio
parlarti.”
Imbarazzato
da quella vicinanza che tra di loro era mancata così a lungo, Gohan
annuì lentamente
con la testa. Mentre lei si allontanava in silenzio sollevando il
kimono con le
punte delle dita per non lasciare tracce sul terreno, provò
all’improvviso
paura che una bomba potesse cadere dal nulla e ucciderla. Avrebbe
voluto
accompagnarla a casa per accertarsi che vi fosse giunta salva, ma in
quel modo
l’avrebbe legata a sé e lui non voleva farlo: il giorno successivo
sarebbe
partito per onorare la sua patria, non voleva renderla infelice.
Una
pallida luna illuminava la strada mentre si recavano al luogo convenuto
durante
la notte. Quando Gohan vi giunse, notò che la ragazza era già lì,
seduta con la
schiena contro il tronco dell’albero. La imitò, sentendosi più vicino a
lei che
mai. La buca che aveva causato lo scoppio della bomba, qualche giorno
prima,
era invisibile nel buio della notte. Non erano
coperti, soltanto un albero faceva da schermo alle loro schiene, ma era
abbastanza per far sentire Videl al sicuro da ogni cosa. Guardò Gohan
come non
lo aveva mai guardato prima, e lui se ne accorse.
“Cosa…
Cosa volevi dirmi?” le
chiese sommessamente, cercando di mettere da parte l’impaccio: era
passato
parecchio tempo da quando erano stati così vicini, talmente tanto che i
loro
nasi si sarebbero potuti sfiorare, qualche lungo anno in cui aveva
potuto
vederla soltanto da lontano quando, insieme a suo padre, si fermava a
salutare
e porgere gli omaggi alla sua famiglia.
“Lo
sai.” ribatté lei con urgenza.
I suoi occhi continuavano a virare in tutte le direzioni, incapaci di
fermarsi.
“Sai cosa ho sentito dire da un ospite di mio padre? Che chi appartiene
all’unità speciale non torna più indietro!”
“Cosa
intendi dire?”
“Davvero
non capisci?!” Videl lo
guardò, infuocata, sporgendosi di scatto verso di lui facendo leva con
le mani
sulla terra “Andrai ad ammazzarti con le tue stesse mani!”
Gohan,
immobile di fronte al suo
viso, le rivolse uno sguardo serio.
“Non
è importante.” La sua voce non
mostrava un minimo segno di esitazione o di paura. “Devo farlo. Per la
nostra
nazione, per le nostre famiglie. Il nostro onore non può essere
schiacciato
dagli americani. Dobbiamo vincere questa guerra per dimostralo.”
“Per
dimostrare cosa?” esclamò la ragazza, infuriata “Credi
davvero che una guerra si possa dimostrare qualcosa? Non c’è onore o
coraggio
che tenga, la guerra distrugge ogni cosa! Hai sentito quanti soldati
sono
morti? E quanti civili? Se vai lì, morirai anche tu!”
Gohan
la guardò, stupito: da tutto
il tempo che la conosceva, non l’aveva mai vista parlare così a lungo.
Ma era
vano: lui aveva già deciso.
“Non
è importante.” ripeté piano
“La mia vita non conta.”
“Invece
sì.” sibilò Videl tra le
labbra. “Per me. Non voglio che tu muoia.”
Quelle
parole tirate, dette
controvoglia, gli spalancarono gli occhi e Gohan cercò il suo viso
nella
penombra.
“Videl,
tu…?”
Era
la sua dichiarazione. La
ragazza assentì con la testa e, quando parlò di
nuovo, la sua voce continuava a cambiare tono per l’imbarazzo: “Ho
sperato con
tutta me stessa che tu fossi serio su quella proposta che mi hai fatto
a casa
tua. Io… la desideravo davvero.”
Dimenticando
ad un tratto il
proposito di non renderla infelice, Gohan afferrò le sue mani,
imbarazzato
quanto lei, e inspirò senza fare rumore.
“Io
ero serio. Ma non posso. Non
ritornerò.” mormorò cominciando a
provare un poco di paura. Le mani di Videl si irrigidirono tra le sue.
“Cosa
stai dicendo?”
“L’ospite
di tuo padre aveva
ragione. Chi fa parte dell’unità speciale non torna più indietro. Noi tokkotai abbiamo il compito di farci
esplodere vicino agli aerei nemici per distruggerli.”
Videl
gli lasciò bruscamente le sue
mani, con rabbia, e lo fissò sconvolta.
“Non sei costretto a farlo!” strillò, dimenticandosi tutto
ad un
tratto che era notte e che stavano condividendo quel momento di
nascosto: ormai
non riusciva a pensare più a niente. Vedere che Gohan era tranquillo e
che
aveva proferito quelle parole con certezza le faceva male
terribilmente, come se
avessero sganciato quelle bombe da cui lui voleva proteggerla proprio
sopra di
lei.
“Ti
prego, non urlare!” la supplicò
lui in un sussurro, prendendole di nuovo le mani e tirandola verso di
sé. I
loro visi erano di nuovo talmente vicini da potersi sfiorare quando lui
prese a
spiegarle: “Devo aiutare la mia patria, la nostra terra madre. E’
l’essere
giapponese che mi obbliga, e io sono fiero di esserlo. Dobbiamo
mostrare a chi
ci attacca il nostro coraggio e il nostro onore, non dobbiamo
soccombere. Fino
alla fine.”
Quelle
parole recitate con tanta
convinzione parvero a Videl una litania ben congeniata dall’esercito
per
attrarre a sé più vittime possibili, con la speranza di trasformali in
santi
agli occhi dei giapponesi. Lei, però, ormai, riusciva a sentirsi
soltanto un
essere umano tutto ripiegato intorno a se stesso, incapace di pensare
al bene
superiore che l’esercito voleva portare con la guerra. Riusciva a
scorgere
davanti a sé solo Gohan ancora vivo, l’unica certezza prima della fine
della
notte. Lentamente, con la mano più ferma di quanto avesse potuto
immaginare, lasciò
quella di Gohan e, sotto il suo sguardo carico di attesa, sciolse le
spille che
le tenevano raccolti sulla testa i capelli, che le scivolarono sulla
schiena, e
allargò la stoffa del kimono che le fasciava petto. Il ragazzo
inghiottì saliva
senza osare dire nulla, quando vide quel minuscolo pezzo di pelle
scoperta
illuminata dalla luna.
“Ho
sempre desiderato che questo
momento arrivasse presto, ma mi sbagliavo.” disse lei, inespressiva,
avvicinandosi ancora di più a lui. Girò il viso verso quello di Gohan,
incredulo, e cercò le sue labbra. Si stava compromettendo, ma ormai non
le
importava più. Quella notte, a pochi metri da quella buca di bomba
invisibile
per il buio, ma sempre presente nelle loro teste, fecero l’amore senza
averlo
premeditato, scandendo in silenzio ogni minuto di quel tempo che
restava da
vivere.
“Non
sei costretto a farlo.” fu
l’unica cosa che Videl gli disse. Nessun’altra parola, nessun
sentimento,
soltanto il pensiero della guerra a unirli e a dividerli per l’ultima
volta.
Distesa
sul terreno umido di rugiada completamente nuda, Videl sentì che
qualche lacrima
stava cominciando a sfuggire al controllo della sua volontà. Gohan, a
torso
scoperto, disteso accanto a lei su un fianco, continuava ad
accarezzarle i
capelli come se potesse fare solo quello guardando lontano, e presto se
ne
sarebbe accorto. La ragazza si portò una mano al volto e lo strofinò
con tutta
la forza che aveva per cancellare ogni traccia. Il suo kimono giaceva
da
qualche parte, lontano: non aveva il coraggio di rivestirsi dopo che
era stata
completamente sua. Continuavano a
starsene in silenzio così come avevano fatto mentre facevano l’amore,
perché
nessuno dei due aveva saputo cosa dire. Forse quel momento era arrivato
troppo
presto e avevano rovinato tutto. Videl si sentiva tremendamente e
triste. Forse
era per quello che non ce la faceva più a trattenere le lacrime.
Finalmente le
lasciò scorrere, benedicendo il fatto che fossero poche, ma il ragazzo
se ne
accorse comunque e la fissò con pena.
“Mi
dispiace.” sussurrò senza smettere di accarezzarle i capelli “Non
volevo
ferirti.”
Videl
comprese subito che lui non intendeva soltanto fisicamente e replicò
con un
mormorio atono: “Non mi importa.”
“Non
volevo disonorarti.”
“Non
mi importa.”
“È
colpa mia.” ripeté Gohan lentamente, come se stesse prendendo
coscienza
soltanto in quel momento di quello che avevano fatto “ Cosa accadrà se
qualcuno
ne verrà a conoscenza? E se tu-“
“Non mi importa.” lo
interruppe Videl
trovando finalmente il coraggio di sottrarsi al suo sguardo. Si sollevò
bruscamente e recuperò il suo kimono coprendosi dal petto alle
ginocchia. Cosa
importava ormai pensare al futuro? Cosa importava se suo padre avesse
scoperto
più in là che aspettava un figlio da Gohan senza che, apparentemente,
loro si
fossero più parlati? Avrebbe trascorso le pene dell’inferno, ma lei
soltanto,
perché Gohan sarebbe rifulso di gloria per l’eternità. Non le
importava, ogni
cosa perdeva di significato di fronte a quello che sarebbe accaduto il
giorno
successivo.
Si
sentiva una stupida nel pensare che gli si era offerta così facilmente,
di sua
spontanea volontà, dopo che lui l’aveva tradita in quel modo e non
sapeva fare
altro che scusarsi. Avrebbe voluto sentire un altro genere di parole da
lui.
“Anche io.” azzardò
improvvisamente il
ragazzo raccogliendo tutto il coraggio che gli restava per guardarla,
lei,
completamente in balia della notte, seminuda, con i capelli
scarmigliati
“Anch’io avrei voluto trascorrere tutte le notti con te in questo modo,
poterti
guardare senza la vergogna che provo adesso. Forse è destino che ciò
non
accada.”
La
afferrò una mano impacciato, ma stringendola con tutto se stesso.
Avrebbe
voluto dirle mille altre cose, ma era certa che, alle orecchie di
Videl,
sarebbe sembrata l’apologia di quel tradimento che si stava consumando
proprio
davanti a lei, quindi si limitò a guardarla come non aveva mai fatto
prima.
In
quel momento che l’aveva conosciuta nella sua interezza, per la prima
volta
cominciava a pensare al futuro che non avrebbe mai visto, alla vita che
avrebbero potuto vivere, alla casa e ai figli che avrebbero potuto
avere, a chi
avrebbero potuto somigliare. Quei pensieri riuscivano a farlo
sorridere,
nonostante tutto. Trascinò la ragazza verso di sé lentamente,
stringendola
soltanto per un attimo, cercando di infonderle tutti quei pensieri
gradevoli,
poi si allontanò con un sospiro vedendo che l’espressione dei suoi
occhi non
era affatto cambiata.
“Andiamo
a casa.” disse a voce bassa, ma decisa e pazientemente attese che lei
si
rivestisse di tutto punto, che si riacconciasse i capelli, che
indossasse i
geta** di legno e la prese per mano, camminando al suo fianco, passo
dopo
passo, lentamente, per tutto il tragitto che, nella semioscurità che
andava
svanendo, li riconduceva a casa. Non osò
neppure sfiorarla per sbaglio, timoroso che qualcuno potesse vederli;
fu lei ad
aggrapparsi al suo braccio, mentre si trascinava sul terreno
stranamente in
silenzio. Parlare non era importante, era servito soltanto per
trascorrere
insieme l’ultima notte, perché avrebbe dovuto dirgli qualcosa?
Prima
l’aveva visto ridere. Le sue erano
soltanto parole. Lui non la amava.
La
giornata, quella mattina, era cominciata prestissimo ed era già tutta
in
funzione di Gohan. Il signor Satan si era svegliato prima del solito e
si era
recato in camera di sua figlia per farla preparare in tempo per poter
congedare
Gohan insieme lui, ma lei non aveva voluto muoversi dicendogli che non
si
sentiva molto bene.
Qualche
ora dopo, il signor Satan se ne stava immobile davanti all’ingresso
della casa
dei suoi vicini, scrutando Gohan con un timore riverenziale che gli
strisciava
nel petto: in quel momento, erto davanti a lui e pronto ad andare verso
al
morte, il ragazzo gli sembrava per la prima volta grande.
Lui guardò più volte al suo fianco, dove c’era quel posto
vuoto, ma non osò chiedergli dove fosse Videl.
Gohan
la immaginò rannicchiata su se stessa, il kimono strisciante sul
pavimento,
arrabbiata. Non era andata neppure a salutarlo. Forse, però, era a
causa sua:
quella notte l’aveva sentita urlare ferita,
disonorata…
Scacciò
quel pensiero pungente di colpevolezza sollevando lo sguardo verso suo
padre
che si stava trascinando a fatica, la gamba rigida, lungo gli scalini
al di
fuori della casa: dopo la sua benedizione sarebbe potuto finalmente
partire.
L’uomo
disse poche parole fiere e dopo avergli stretto una mano, per la prima
volta in
tutta la sua vita, lo abbracciò. Gohan strinse tra le braccia sua madre
in
silenzio, soffermandosi soltanto per un attimo sul suo viso contrito,
si piegò
in un inchino per ringraziare il signor Satan, immaginò che Videl fosse
come al
solito al suo fianco, in silenzio, ma con gli occhi furenti e la baciò
con la
mente. Non era partito, ma già la sentiva terribilmente lontana: era
come se,
la sera prima, qualcosa tra loro due si fosse spezzato.
To the leader, the pariah, the victim,
the messiah
This is war
“Sono
trascorsi sette giorni da
quando dividete la camerata, il cibo, gli addestramenti. Siete arrivati
in
questo luogo pieni di voglia di combattere per il vostro paese e
finalmente
potrete farlo: il vostro giorno è arrivato! Combattiamo per il
Giappone, la
nostra lucente patria! Indossiamo sulla fronte l’hachimaki*** con il simbolo della nostra
nazione,
afferriamo le bombe e voliamo nel cielo! Il nostro coraggio paralizzerà
il
nemico, la nostra azione li sconfiggerà, la nostra morte estenderà il
nostro
onore ai posteri. Non abbiamo paura di morire, perché è il Giappone che
lo
vuole! Non abbiate paura di morire, è il
Giappone che lo vuole!”
Un
urlo collettivo riempì il
cortile della base militare e tutti i soldati scattarono in piedi.
Gohan sentì
l’adrenalina e l’ansia cominciare a mescolarsi all’interno del suo
corpo: non
pensava affatto a cosa aveva lasciato, ma a cosa avrebbe trovato. Era
arrivato
il momento: un aeroplano pronto a condurlo alla morte lo attendeva,
immenso, di
fronte a lui, ma non provava paura. Un soldato coraggioso non doveva
provarne,
doveva solo lottare. Finalmente, il comandante diede il segno di salire
sugli
aeroplani.
Andava
a vincere la guerra.
A brave new world
The war is won
The war is won
(This is
war – Thirty second to Mars)
Note:
**Geta
***Hachimaki
Note
dell’autrice
Allora, ho un sacco di cose da
dire, per cui mettetevi comodi! XD
E' la seconda fic di argomento
importante che scrivo e, come per la prima, è stata parecchio difficile
nella
stesura, forse anche più della prima, sia per via del fatto che è stata
la
primissima AU che io abbia mai scritto su Dragon Ball che per la
difficoltà di
reperire le informazioni che mi servivano dal punto di vista
giapponese. La
storia è ambientata nel 1941 per quanto riguarda la prima parte e nel
1944-45
per quella dopo il salto temporale dei tre anni, in ogni caso ti chiedo
scusa
se la vicenda presenta qualche particolare che non è esattamente reale,
ma mi
sono dovuta barcamenare tra le poche informazioni che ho trovato su
Internet (e
pensare che sul Giappone contemporaneo se ne buttano!) e quello che ho
imparato
sui giapponesi e sul Giappone in questi lunghi anni da otaku. Ho
cercato di
mettere in particolare evidenza la tendenza a mantenere l'immagine e
l'intimità
dei giapponesi che tuttora continua a sussistere, ma accentuandola in
qualche
modo perché la storia è comunque ambientata settanta anni fa e so che
anche in
Italia c'era lo stesso problema. Inoltre, il punto fondamentale della
storia è
lo spirito dell'uomo giapponese sempre pronto alla lotta per l'onore,
coraggioso, stoico, sempre rispettoso del codice di comportamento Bushido dei samurai che, all’epoca,
veniva puntualmente insegnato ai bambini e che ha spinto migliaia e
migliaia di
giovani a farsi esplodere pur di onorare la propria famiglia e la
propria
patria. Ho letto che i giovani si offrivano a migliaia per diventare tokkotai (il giapponese per la parola kamikaze)
e che non se ne pentivano mai,
neanche quando era giunto il momento di farsi saltare in aria.
Il
problema principale di questa
fic è lo scontro dei due punti di vista di Gohan e Videl: lei è sempre
energica
e combattiva, per cui è stato facile immaginarla scontrosa verso le
regole
sociali (che rispetta solo all’apparenza, dato che
si vede comunque e parla con Gohan) e
incapace di comprenderne, per questo, gli ideali più profondi, al
contrario di
Gohan, ligio al dovere e obbediente, che ha fatto del Bushido che gli
hanno
insegnato il suo codice di vita.
Ho
ambientato la storia in un
piccolo villaggio lontano dalla città, cosicché tutto fosse più
“arretrato”
rispetto a quello che potrebbe accadere in altri luoghi: Gohan
frequenta la
scuola del tempio, le donne non sono affatto emancipate e le regole
sociali
sono il contenuto di ogni rapporto, tendenza ancora oggi molto presente
nei
giapponesi.
In questa fic non si parla molto,
ma più che altro si agisce, prerogativa della gente giapponese che
davvero
apprezzo, ma che forse, a volte, è troppo esasperata e confonde
soltanto. In
questo caso, però, anche le parole non servono a nulla, sono vuote.
Come
potrebbe essere altrimenti se si parla di qualcosa di ineffabile come
la
guerra? Spero, nonostante questo, di
aver descritto per bene le ragioni di Gohan, perché il messaggio che
voglio
comunicare con questa fic è anche questo, che la guerra può significare
qualcosa di diverso per ognuno, può propugnare ideali e ricercare gli
scopi più
diversi, ma alla fine sempre di guerra si tratta, in ogni caso essa è
correlata
da morte e distruzione. Può sembrare retorico, ma è quello a cui
assistiamo
continuamente: chi ha il potere si sforza di ricercare mille motivi
diversi per
legittimare una guerra, ma ognuno, alla fine, perde di significato di
fronte a
quello che la guerra stessa causa.
Nell’altra fic di cui ho parlato
all’inizio avevo descritto una guerra dal punto di vista di chi lotta,
questa
volta ho voluto dare la preminenza a chi, normale cittadino, un giorno
si
sveglia e viene a conoscenza che, lontano o vicino a lui si sta
combattendo. Ho
voluto analizzare come la guerra, da lontana e raccontata da altri, si
infiltra
piano nella vita di un uomo e di chi gli sta vicino, cambiandola. E’
una fic
ostica, lo so, ma spero davvero che tu possa apprezzarla almeno un po’,
perché
è un argomento che mi sta davvero a cuore.
Prima che lo dimentichi, il titolo
della fic è quello dell’omonima canzone di Noemi. :)
Ci tengo davvero molto a ricevere un giudizio su questa fic, dato quanto ho faticato per scriverla. E' arrivata al quinto posto per una differenza di punteggio dalla prima classificata di 0,15. Spero che possa piacere almeno un po’! ^///^
«SONO SOLO
PAROLE» DI AYUMI YOSHIDA
- Sviluppo della trama e trattazione del tema
Mi cogli su un terreno abbastanza fertile, su un fandom che mi ha
accompagnata praticamente sin dalla rpiam infanzia e con due personaggi
che, purtroppo, non sono mai riuscita a farmi piacere appieno. Premesso
questo, passiamo alla valutazione vera e propria
Hai trattato il tema principalmente dal punto di vista di due giovani,
in questo caso Gohan e Videl, e hai saputo destregiarti nel descrivere
l'ansia e la paura che attanagliava i loro cuori e quelli dei loro
familiari durante le notte insonni in cui le bombe venivano scanciate
dall'alto del cielo e ricadevano sulla terra, l'angoscia della
consapevolezza che prima o poi una di quelle bombe sarebbe potuta
cadere su di loro e disintegrare il loro mondo
Dapprima sei partita con una notizia esterna, una notizia che ha fatto
capire a Gohan quale sarebbe stata la strada da percorrere - il suo
unirsi all'esercito, scacciare gli americani e riprendersi le terre e
l'onore che spettavano al suo popolo - senza dimenticare Videl e la
lontananza momentanea da Gohan stesso, e poi ti sei pian piano
destreggiata sul punto di vista di quest'ultimo, ragazzo giapponese al
quale è sempre stato insegnato a tener alto l'onore della famiglia,
prerogativa che si evince in ogni suo comportamento
Hai trattato bene anche la discordanza tra i pensieri di Gohan e quelli
di Videl, facendo esaltare la figura di quest'ultima che, come ben si
sa, mette sempre in discussione ogni cosa e non è per niente d'accordo
su certe forme della struttura sociale, dunque è stata una cosa davvero
apprezzata. Hai inoltre descritto un modo di vedere la guerra che è
ovviamente diverso per tutti - c'è chi la vede come come una
dimostrazione di fede, chi come qualcosa per far sì di non infangare
l'onore della famiglia, chi come un qualcosa di distruttivo che spegne
migliaia di vite pur di salvarne altre -, ed è stato un gran punto a
favore della trama
- Sintassi, lessico&grammatica
Ci sono solo alcuni periodi che mi sono parsi un pochino troppo lunghi,
ma fai un buon uso delle virgole, della punteggiatura e della lingua
italiana, inoltre hai un buon lessico che si nota benissimo durante la
lettura
Ti appunto giusto qualche cosa sparsa, perché sono errori da nulla che
una rapida rilettura può tranquillamente sistemare:
* Dopo che avevano condiviso una vita giocando insieme e lei era
stata sempre iperattiva, decisa e forte, si vergognava anche a pensarlo
e non poteva dirlo, forse anche più di lui, vederla camminare in
silenzio al fianco di suo padre quasi in un atteggiamento sottomesso lo
aveva in qualche modo stupito. → Per rendere più leggibile il
periodo - è davvero troppo lungo, così -, ti consiglierei di cambiare
quella virgola dopo “lui” e cambiarla in un punto e virgola, così da
facilitare la lettura senza inserire troppe virgole;
* Per un ragazzo della sua età che ormai si avviava alla vita
adulta si confaceva partecipare alle conversazioni con gli ospiti per
intrattenerli e lui →Problema inverso alla frase che ti ho
appuntato di sopra. Non c'è nemmeno una virgola che può far tirare un
sospiro a chi legge; se provi a leggerla ad alta voce te ne renderai
conto anche tu, quindi la riscriverei così“ Per un ragazzo della
sua età che ormai si avviava alla vita adulta, si confaceva partecipare
alle conversazioni con gli ospiti per intrattenerli, e lui” o
inserendo comunque qualche stacco per non causare l'effetto apnea;
* Ogniqualvolta lo vedeva da lontano gli lanciava uno sguardo
infuocato e si ritirava in casa → Dopo “lontano” ci vuole la
virgola per lo stesso motivo di cui sopra;
* “Sono fiero di te.” disse l’uomo con forza e la conversazione
riprese con più vigore di prima. → Virgola dopo “forza”;
* “E’ colpa mia.” → La è va accentata e non apostrofata.
Capisco comunque che non è presente sulla tastiera e andarsela a
cercare ogni volta è noioso, dunque ti consiglio di fare così “. è”;
una volta fatto lo spazio la è diventerà maiuscola e ti basterà
cancellare il punto;
Vorrei inoltre dirti che spesso e volentieri, quando cambia il
soggetto, non vai a capo nel discorso diretto, e la cosa risulta un
pochino confusa, poiché non fa immediatamente capire al lettore chi sta
parlando e chi ha appena smesso di farlo
Non so se sia un errore di formattazione - ma non mi sembra -, però mi
è parso più che giusto annotarlo
- Parere personale
Devo ammettere di essere rimasta un tantino spiazzata dalla tua scelta
di scrivere una AU
Essendo il fandom di Dragon Ball praticamente legato alla guerra, anche
se non in senso stretto - in fin dei conti, che ci siano alieni, mostri
o cyborg, pur sempre di guerra per difendere il pianeta e la
popolazione terrestre si tratta -, mi ero quasi aspettata che tu dessi
per scontata una cosa del genere, concentrandoti magari su un
particolare momento in cui la terra è per l'appunto minacciata da
chissà quale nuovo temibile avversario. Persino durante il primo
incontro tra Gohan e Videl incombe in seguito la minaccia di Majin,
quindi sono rimasta un pochino perplessa dall'avvertimento
Ti informo anche, con assoluto candore, che le AU non mi piacciono
molto. Devono essere davvero innovative per colpirmi, e sinceramente
questa mi è parsa solo un pretesto per porre i personaggi di Dragon
Ball nel contesto giapponese. Tutto qui. Con questo non voglio sminuire
il tuo lavoro, indubbiamente ben fatto, però, come già detto, una AU
per questo fandom, con tutto il materiale che avevi a disposizione, mi
è parso un po' un azzardo
Non sono riuscita a farmela piacere appieno, come sarebbe sicuramente
stato se si fosse trattato di un'originale, poiché leggere i nomi dei
personaggi di Dragon Ball in un contesto simile è riuscito solo a farmi
aggrottare la fronte, probabilmente perché mi aspettavo sempre che Goku
uscisse allo scoperto e facesse saltare in aria i nemici con una
Kamehameha
Se da un lato la storia mi è piaciuta tantissimo per il suo background
- io adoro il Giappone e tutto ciò che ne concerne, ne conosco la
lingua e sono praticamente un'otaku di nascita, dunque sono stata ancor
più contenta di vedere che ti sei documentata e che sei andata a fondo
in cose che altri non avrebbero nemmeno tenuto in considerazione, tipo
il Bushido e il suo codice morale -, dall'altra ha perso molto proprio
per questa tua scelta di farla diventare una AU su Dragon Ball. Questo
è ovviamente solo un mio parere personale, poiché la storia merita
davvero