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Autore: Ayumi Yoshida    25/10/2012    3 recensioni
Era il primo anno di guerra quando lei gli era apparsa diversa.
(Quinta classificata al contest "War tales - Racconti dal fronte" giudicato da My Pride con un voto di 9! *___*)
Gohan/Videl
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chichi, Gohan, Goku, Mr. Satan, Videl | Coppie: Gohan/Videl
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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It's the moment of truth and the moment to lie
The moment to live and the moment to die

 

Era il primo anno di guerra quando lei gli era apparsa diversa.

Dopo che avevano condiviso una vita giocando insieme e lei era stata sempre iperattiva, decisa e forte, si vergognava anche a pensarlo e non poteva dirlo, forse anche più di lui, vederla camminare in silenzio al fianco di suo padre quasi in un atteggiamento sottomesso lo aveva in qualche modo stupito. Gohan non era riuscito a distogliere lo sguardo da lei neppure per un attimo e l’aveva fissata in modo sbalordito e talmente manifesto che sua madre aveva dovuto dargli una gomitata per fargli abbassare lo sguardo. Non era cortese continuare a fissare i due ospiti con quell’espressione sul volto, specialmente perché erano in casa loro, e aveva dovuto obbedire. Anche Videl aveva tenuto sempre gli occhi bassi, in modo così dissimile dal solito, e non lo aveva guardato mai. I loro occhi si erano incontrati soltanto una volta, per pochi secondi, e lei gli era parsa come sofferente, arrabbiata, ma non aveva avuto tempo per pensarci, perché il signor Satan, il padre di Videl, l’aveva richiamato alla conversazione. Per un ragazzo della sua età che ormai si avviava alla vita adulta si confaceva partecipare alle conversazioni con gli ospiti per intrattenerli e lui, per somma gioia di sua madre, ci riusciva anche abbastanza bene. La conversazione, però, era virata quasi subito su un argomento che non ancora conosceva: era giunta notizia dalla città che l’esercito, dopo aver sconfitto in modo schiacciante la flotta americana, stesse continuando ad ottenere vittorie su vittorie e l’uomo lo raccontò con orgoglio. Gohan sentì lo stesso sentimento sorgere dentro di lui: presto il Giappone sarebbe stato alla stregua delle altre potenze mondiali, anzi, forse molto al di sopra di loro.

Alla scuola del tempio erano giunti due ufficiali dell’esercito che avevano tenuto un discorso sull’importanza della guerra per elevarsi su tutte le altre nazioni, sul supporto dovuto all’esercito, sulla sacralità di quella missione. Moltissimi ragazzi più grandi di lui si erano alzati in piedi e li avevano seguiti senza battere ciglio per poter mostrare agli infidi nemici d’oltremare il loro coraggio e il loro onore*. Gohan aveva solo quindici anni, ma li aveva ammirati con tutto se stesso mentre, con sguardo fermo e impassibili, avevano giurato davanti a tutti di servire l’esercito giapponese fino alla morte. In quel momento aveva subito pensato che quello doveva essere anche il suo futuro, combattere contro quei nemici che stavano cercando di ostacolare la loro nazione con mezzi indegni. Non appena fosse arrivato l’ultimo anno di scuola, gli avevano detto, anche lui avrebbe potuto dimostrare il suo coraggio giurando davanti a tutti e onorando il nome della sua famiglia.

 

Sono solo parole

 

The moment to fight, the moment to fight
To fight, to fight, to fight!

 

Tre anni erano trascorsi velocemente, mentre veniva bombardato di notizie buone e cattive e la sua vita lentamente cambiava. L’esercito aveva prima conquistato ogni territorio, poi l’aveva perso e continuava a soffrire l’ingente peso di quello americano. Qualcuno diceva che gli americani si stavano avvicinando e che presto li avrebbero visti scorazzare nei loro campi, ma Gohan credeva fermamente nella prodezza dei soldati giapponesi e desiderava con tutto il cuore essere al loro fianco. Tuttavia, era più solo che mai: Videl non gli si era più avvicinata o rivolto la parola. Ogniqualvolta lo vedeva da lontano gli lanciava uno sguardo infuocato e si ritirava in casa. Forse era arrabbiata con lui, ma Gohan non riusciva a capire perché, non ricordava di averle fatto alcun torto, ma forse era stato soltanto tutto il tempo che avevano trascorso lontani a farglielo dimenticare. Tutto ciò lo intristiva.

Era ormai primavera quando poté vedere di nuovo Videl da vicino, durante una delle solite visite con cui suo padre portava gli omaggi alla sua famiglia. Quando furono seduti ancora intorno al tavolino Gohan la guardò di sottecchi per non farsi notare: manifestarle apertamente attenzione avrebbe significato culminare in qualcosa di più grande che non si sentiva proprio in grado di poter sostenere. La ragazza si accorse del suo sguardo e lo ricambiò, come al solito aspramente. Poi chiese a Chichi con voce stranamente gentile: “Potrei utilizzare il vostro bagno?” e, ottenuto il permesso, sparì dietro ai pannelli che dividevano la stanza dal corridoio. Non poté dire come ci fosse arrivato, ma Gohan capì che quello era il momento giusto. Accampò una scusa poco plausibile cercando di essere convincente e seguì Videl: la trovò seduta sulla verandina posteriore della casa che dava sui campi già coltivati, le gambe penzoloni e l’espressione pensosa.

“Cosa vuoi?” proruppe lei non appena sentì i suoi passi, voltandosi. Un po’ incerto, Gohan disse soltanto: “Parlarti.” e le si sedette accanto. Con un certo sollievo vide che si era allontanata da lui: anche se fingeva di essere diversa, in realtà era sempre la solita ragazzina coraggiosa e un po’ prepotente con cui era cresciuto. Le rivolse finalmente la domanda che gli rimbombava in testa ormai da qualche anno.

“Perché mi eviti?”

La ragazza lo fissò, penetrante, poi scoppiò in una risata per niente allegra.

“Davvero non lo capisci? E’ per via di mio padre. Lui dice che ad una ragazza della mia età non si addicono più certi comportamenti!”

“Capisco.” assentì lui guardando intensamente davanti a sé. In un certo modo, allora, era anche colpa sua: moltissime volte sua madre lo aveva redarguito di fare attenzione con Videl, altrimenti avrebbe potuto cacciarsi in situazioni poco raccomandabili, ma non aveva avuto neppure il tempo di pensarci, perché era stata lei ad allontanarsi da lui. Restò in silenzio, dispiaciuto per quella situazione, pensando che, se fossero restati bambini, non sarebbe accaduto nulla tra di loro e niente sarebbe cambiato…

Videl, però, non smetteva di fissarlo, piena di voglia di parlargli.

“Allora, non dici più niente?” esclamò, incredula. “Volevi sapere solo questo?”

“Mi dispiace.” replicò lui senza sapere cosa dire. Una strana idea aveva cominciato a tornargli in testa e in quei giorni gli capitava parecchio spesso, ma era talmente particolare che non osava neppure pensarci. “Un modo per risolvere questa situazione… ci sarebbe.” balbettò senza avere il coraggio di guardarla. Sapeva che ormai era completamente rosso in viso. “Una propo… una proposta di matrimo-”

“Allora fammela.” lo interruppe lei con le guance rosse. Il suo tono di voce era alto come al solito, ma sembrava in qualche modo più debole, femminile.

“Non posso.” dissentì Gohan, impacciato, scuotendo la testa. “Non sono pronto.”

Videl inspirò con forza e lo guardò, arrabbiata: i suoi occhi scintillavano. Si sollevò dal tatami e corse dentro la casa. Pochi minuti dopo si sarebbero guardati di nuovo negli occhi per un attimo e Gohan si sarebbe sentito terribilmente in colpa per averla illusa, ma era meglio così, a breve sarebbe dovuto partire. Gli stessi ufficiali dell’esercito che avevano visitato la scuola del tempio tre anni prima, erano ritornati, più anziani e preoccupati, a raccontare le gesta dell’esercito. Avevano detto che era in difficoltà e che quello era il momento giusto per aiutarlo a servire la nazione e portare a termine la missione. Avevano creato una nuova unità di attacco speciale ed erano certi che i giovani avrebbero potuto onorarla. Finalmente anche Gohan aveva potuto alzarsi in piedi e prestare giuramento sotto gli occhi pieni di orgoglio dei suoi compagni. Non aveva ancora detto nulla alla sua famiglia, ma non vedeva l’ora che quel momento arrivasse: voleva vedere l’orgoglio anche negli occhi di suo padre.

“In città dicono che i nemici abbiano preso una delle nostre basi militari” disse il signor Satan con un po’ di timore nella voce “e pare che in questo modo possano tenerci tutti sotto tiro!”

“L’ho sentito anch’io.” replicò Goku con una strana serietà “Pare che abbiano conquistato anche le Filippine. Quei cani senza onore vogliono schiacciarci, ma non hanno capito che sarà impossibile, l’orgoglio del Giappone non  può affondare così!”

L’uomo lanciò uno sguardo duro al tavolino: avrebbe voluto essere sul campo di battaglia a combattere, ma non poteva. Aveva dovuto congedarsi a forza dall’esercito perché era rimasto gravemente ferito ad una gamba durante la campagna espansionistica del Giappone nel continente prima dello scoppio della guerra.  Gohan gli lanciò uno sguardo dispiaciuto e, finalmente, sentì che avrebbe potuto dirglielo. Inspirò tutta l’aria possibile e annunciò con aria formale: “Hai ragione, padre. L’orgoglio giapponese non cadrà per qualche misera sconfitta. Anch’io farò tutto il possibile per sconfiggere i nemici!”

Gli occhi di Goku si allargarono per la gioia mentre recepiva quella notizia e, pieni di orgoglio, non smisero più di guardarlo.

“Sono fiero di te.” disse l’uomo con forza  e la conversazione riprese con più vigore di prima.  Il signor Satan gli chiese in quale reparto volesse arruolarsi e Gohan gli parlò della nuova unità speciale appena formatasi nell’esercito: sembrava che si trattasse di un’unità di aria indispensabile per le battaglie future e lui aveva deciso di entrarne a far parte. Suo padre continuò a lodarlo e il ragazzo si esternò dalla conversazione, un po’ in imbarazzo per via della fierezza con cui continuava ad essere lodato: il suo sguardo cadde su Videl, che lo fissava piena di rabbia, una lacrima sottilissima, invisibile, a rigarle il viso, il tradimento negli occhi. Rattristato, scostò lo sguardo: doveva pensare prima alla nazione, poi  a sé. In quel momento il Giappone aveva bisogno di lui più di chiunque altro.

To the soldier, the civilian
The martyr, the victim
This is war

 

Ormai vivevano di bombardamenti: gli americani non si fermavano mai, neppure di notte. Ogniqualvolta si sentiva un boato e non erano tutti insieme, Chichi pregava di nascosto che la bomba fosse stata sganciata lontano dalle loro case e che i suoi cari fossero vivi. Non potevano nascondersi, Goku lo considerava codardia, avrebbero dovuto affrontare a testa alta i nemici, le bombe e la morte, se fosse sopraggiunta. L’eco della gloria e dell’onore della loro famiglia avrebbe dovuto sopravvivere anche dopo la loro vita. Gohan ormai non era quasi mai in casa: al tempio avevano cominciato ad insegnare i rudimenti del combattimento a tutti coloro che l’esercito aveva reclutato, in attesa della loro chiamata che sarebbe arrivata a breve, dato che la situazione era tragica. Dovunque c’erano carcasse di bombe, case crollate, buche immense e fumi irrespirabili; persino uscire di casa era rischioso. Chichi ormai non riceveva più visite, per il villaggio non si vedeva più nessuno. Soltanto Gohan camminava per strada come se non stesse accadendo nulla per andare al tempio. Videl  lo osservava ogni mattina dalla finestra di casa più vicina all’abitazione di Gohan pregando per la sua incolumità e soltanto quando lo vedeva rientrare sul calare del sole riusciva a pensare lucidamente. Poi calava la notte e ricominciava l’inferno, luci folgoranti, rumori assordanti, urla strozzate, mentre tutti attendevano eroicamente di poter vedere di nuovo il sole sorgere il giorno successivo.

 

A casa di Videl era giunto un uomo dalla città con notizie funeste per suo padre: gli americani avevano dato il via a bombardamenti su più larga scala, senza risparmiare nessun territorio. L’esercito stava continuando a combattere nel Pacifico, ma sulla terra non poteva fare molto, perciò aveva assegnato alla nuova unità speciale tokubetsu kogeki tai l’incarico di occuparsi della questione. Sembrava che ai tokkotai, gli aviatori che facevano parte del corpo speciale, spettasse il compito di abbattere gli aerei americani prima che sganciassero le bombe sulle loro teste. Era sicuramente un ruolo molto delicato: si diceva che parecchie centinaia di uomini fossero già morti in missione. Mentre la ragazza origliava quella conversazione nascosta dietro il pannello che divideva la stanza dal corridoio, il suo pensiero andò immediatamente a Gohan: lui aveva detto di volersi arruolare proprio nella nuova unità speciale. Sarebbe andato a morire con le sue stesse gambe. Terrorizzata, si allontanò nel corridoio cercando di non fare rumore e si fermò dove nessuno avrebbe potuto vederla, stringendosi forte le mani. Non poteva lasciare che lui partisse per andare a morire, erano ancora così giovani, anche se la guerra continuava a germogliare come una pianta malata intorno a loro… Loro erano il futuro, e se la guerra fosse continuata non ci sarebbe stato più futuro.

Sul calare del sole, approfittando del fatto che suo padre e il suo ospite continuavano a discutere troppo animatamente per pensare a lei, con il cuore in gola lasciò casa sua. Fece ben attenzione che nessuno la notasse mentre camminava verso il tempio; incontrò quasi subito Gohan, che stava rientrando con una strana espressione sul viso, e lo trascinò dietro ad un cespuglio tutto secco costringendolo ad inginocchiarsi. Lei fece lo stesso. Allarmata da una strana sensazione allo stomaco, esclamò: “Cosa è successo?”

Lui le sorrise con fierezza e replicò: “Domani parto. Mi hanno convocato.”, poi si stupì quando la vide sferrare un pugno alla terra invece di congratularsi con lui.

“Stanotte voglio incontrarti.” disse lei rialzando gli occhi e puntandoli sui suoi, battagliera “Aspettiamo che i nostri genitori si siano addormentati e vediamoci a quell’albero vicino a cui giocavamo sempre da piccoli. Ti ricordi?”

Gohan assentì: non avrebbe potuto dimenticare quel periodo, l’unico in cui erano potuti stare vicino senza preoccuparsi degli altri per nulla al mondo.

“Certo, ma qualche giorno fa lì vicino è scoppiata una bomba e se tuo padre-“

“Non mi interessa. Ti prego, dobbiamo incontrarci.” lo interruppe lei, le voce vibrante. I suoi occhi lo stavano pungendo con mille aghi. “Voglio parlarti.”

Imbarazzato da quella vicinanza che tra di loro era mancata così a lungo, Gohan annuì lentamente con la testa. Mentre lei si allontanava in silenzio sollevando il kimono con le punte delle dita per non lasciare tracce sul terreno, provò all’improvviso paura che una bomba potesse cadere dal nulla e ucciderla. Avrebbe voluto accompagnarla a casa per accertarsi che vi fosse giunta salva, ma in quel modo l’avrebbe legata a sé e lui non voleva farlo: il giorno successivo sarebbe partito per onorare la sua patria, non voleva renderla infelice.

Una pallida luna illuminava la strada mentre si recavano al luogo convenuto durante la notte. Quando Gohan vi giunse, notò che la ragazza era già lì, seduta con la schiena contro il tronco dell’albero. La imitò, sentendosi più vicino a lei che mai. La buca che aveva causato lo scoppio della bomba, qualche giorno prima, era invisibile nel buio della notte. Non erano coperti, soltanto un albero faceva da schermo alle loro schiene, ma era abbastanza per far sentire Videl al sicuro da ogni cosa. Guardò Gohan come non lo aveva mai guardato prima, e lui se ne accorse.

“Cosa… Cosa volevi dirmi?” le chiese sommessamente, cercando di mettere da parte l’impaccio: era passato parecchio tempo da quando erano stati così vicini, talmente tanto che i loro nasi si sarebbero potuti sfiorare, qualche lungo anno in cui aveva potuto vederla soltanto da lontano quando, insieme a suo padre, si fermava a salutare e porgere gli omaggi alla sua famiglia.

“Lo sai.” ribatté lei con urgenza. I suoi occhi continuavano a virare in tutte le direzioni, incapaci di fermarsi. “Sai cosa ho sentito dire da un ospite di mio padre? Che chi appartiene all’unità speciale non torna più indietro!”

“Cosa intendi dire?”

“Davvero non capisci?!” Videl lo guardò, infuocata, sporgendosi di scatto verso di lui facendo leva con le mani sulla terra “Andrai ad ammazzarti con le tue stesse mani!”

Gohan, immobile di fronte al suo viso, le rivolse uno sguardo serio.

“Non è importante.” La sua voce non mostrava un minimo segno di esitazione o di paura. “Devo farlo. Per la nostra nazione, per le nostre famiglie. Il nostro onore non può essere schiacciato dagli americani. Dobbiamo vincere questa guerra per dimostralo.”

“Per dimostrare cosa?” esclamò la ragazza, infuriata “Credi davvero che una guerra si possa dimostrare qualcosa? Non c’è onore o coraggio che tenga, la guerra distrugge ogni cosa! Hai sentito quanti soldati sono morti? E quanti civili? Se vai lì, morirai anche tu!”

Gohan la guardò, stupito: da tutto il tempo che la conosceva, non l’aveva mai vista parlare così a lungo. Ma era vano: lui aveva già deciso.

“Non è importante.” ripeté piano “La mia vita non conta.”

“Invece sì.” sibilò Videl tra le labbra. “Per me. Non voglio che tu muoia.”

Quelle parole tirate, dette controvoglia, gli spalancarono gli occhi e Gohan cercò il suo viso nella penombra.

“Videl, tu…?”

Era la sua dichiarazione. La ragazza assentì con la testa e, quando parlò di nuovo, la sua voce continuava a cambiare tono per l’imbarazzo: “Ho sperato con tutta me stessa che tu fossi serio su quella proposta che mi hai fatto a casa tua. Io… la desideravo davvero.”

Dimenticando ad un tratto il proposito di non renderla infelice, Gohan afferrò le sue mani, imbarazzato quanto lei, e inspirò senza fare rumore.

“Io ero serio. Ma non posso. Non ritornerò.”  mormorò cominciando a provare un poco di paura. Le mani di Videl si irrigidirono tra le sue.

“Cosa stai dicendo?”

“L’ospite di tuo padre aveva ragione. Chi fa parte dell’unità speciale non torna più indietro. Noi tokkotai abbiamo il compito di farci esplodere vicino agli aerei nemici per distruggerli.”

Videl gli lasciò bruscamente le sue mani, con rabbia, e lo fissò sconvolta.

Non sei costretto a farlo!” strillò, dimenticandosi tutto ad un tratto che era notte e che stavano condividendo quel momento di nascosto: ormai non riusciva a pensare più a niente. Vedere che Gohan era tranquillo e che aveva proferito quelle parole con certezza le faceva male terribilmente, come se avessero sganciato quelle bombe da cui lui voleva proteggerla proprio sopra di lei.

“Ti prego, non urlare!” la supplicò lui in un sussurro, prendendole di nuovo le mani e tirandola verso di sé. I loro visi erano di nuovo talmente vicini da potersi sfiorare quando lui prese a spiegarle: “Devo aiutare la mia patria, la nostra terra madre. E’ l’essere giapponese che mi obbliga, e io sono fiero di esserlo. Dobbiamo mostrare a chi ci attacca il nostro coraggio e il nostro onore, non dobbiamo soccombere. Fino alla fine.”

Quelle parole recitate con tanta convinzione parvero a Videl una litania ben congeniata dall’esercito per attrarre a sé più vittime possibili, con la speranza di trasformali in santi agli occhi dei giapponesi. Lei, però, ormai, riusciva a sentirsi soltanto un essere umano tutto ripiegato intorno a se stesso, incapace di pensare al bene superiore che l’esercito voleva portare con la guerra. Riusciva a scorgere davanti a sé solo Gohan ancora vivo, l’unica certezza prima della fine della notte. Lentamente, con la mano più ferma di quanto avesse potuto immaginare, lasciò quella di Gohan e, sotto il suo sguardo carico di attesa, sciolse le spille che le tenevano raccolti sulla testa i capelli, che le scivolarono sulla schiena, e allargò la stoffa del kimono che le fasciava petto. Il ragazzo inghiottì saliva senza osare dire nulla, quando vide quel minuscolo pezzo di pelle scoperta illuminata dalla luna.

“Ho sempre desiderato che questo momento arrivasse presto, ma mi sbagliavo.” disse lei, inespressiva, avvicinandosi ancora di più a lui. Girò il viso verso quello di Gohan, incredulo, e cercò le sue labbra. Si stava compromettendo, ma ormai non le importava più. Quella notte, a pochi metri da quella buca di bomba invisibile per il buio, ma sempre presente nelle loro teste, fecero l’amore senza averlo premeditato, scandendo in silenzio ogni minuto di quel tempo che restava da vivere.

“Non sei costretto a farlo.” fu l’unica cosa che Videl gli disse. Nessun’altra parola, nessun sentimento, soltanto il pensiero della guerra a unirli e a dividerli per l’ultima volta.

 

Distesa sul terreno umido di rugiada completamente nuda, Videl sentì che qualche lacrima stava cominciando a sfuggire al controllo della sua volontà. Gohan, a torso scoperto, disteso accanto a lei su un fianco, continuava ad accarezzarle i capelli come se potesse fare solo quello guardando lontano, e presto se ne sarebbe accorto. La ragazza si portò una mano al volto e lo strofinò con tutta la forza che aveva per cancellare ogni traccia. Il suo kimono giaceva da qualche parte, lontano: non aveva il coraggio di rivestirsi dopo che era stata completamente sua.  Continuavano a starsene in silenzio così come avevano fatto mentre facevano l’amore, perché nessuno dei due aveva saputo cosa dire. Forse quel momento era arrivato troppo presto e avevano rovinato tutto. Videl si sentiva tremendamente e triste. Forse era per quello che non ce la faceva più a trattenere le lacrime. Finalmente le lasciò scorrere, benedicendo il fatto che fossero poche, ma il ragazzo se ne accorse comunque e la fissò con pena.

“Mi dispiace.” sussurrò senza smettere di accarezzarle i capelli “Non volevo ferirti.”

Videl comprese subito che lui non intendeva soltanto fisicamente e replicò con un mormorio atono: “Non mi importa.”

“Non volevo disonorarti.”

“Non mi importa.”

È colpa mia.” ripeté Gohan lentamente, come se stesse prendendo coscienza soltanto in quel momento di quello che avevano fatto “ Cosa accadrà se qualcuno ne verrà a conoscenza? E se tu-“

Non mi importa.” lo interruppe Videl trovando finalmente il coraggio di sottrarsi al suo sguardo. Si sollevò bruscamente e recuperò il suo kimono coprendosi dal petto alle ginocchia. Cosa importava ormai pensare al futuro? Cosa importava se suo padre avesse scoperto più in là che aspettava un figlio da Gohan senza che, apparentemente, loro si fossero più parlati? Avrebbe trascorso le pene dell’inferno, ma lei soltanto, perché Gohan sarebbe rifulso di gloria per l’eternità. Non le importava, ogni cosa perdeva di significato di fronte a quello che sarebbe accaduto il giorno successivo.

Si sentiva una stupida nel pensare che gli si era offerta così facilmente, di sua spontanea volontà, dopo che lui l’aveva tradita in quel modo e non sapeva fare altro che scusarsi. Avrebbe voluto sentire un altro genere di parole da lui.

Anche io.” azzardò improvvisamente il ragazzo raccogliendo tutto il coraggio che gli restava per guardarla, lei, completamente in balia della notte, seminuda, con i capelli scarmigliati “Anch’io avrei voluto trascorrere tutte le notti con te in questo modo, poterti guardare senza la vergogna che provo adesso. Forse è destino che ciò non accada.”

La afferrò una mano impacciato, ma stringendola con tutto se stesso. Avrebbe voluto dirle mille altre cose, ma era certa che, alle orecchie di Videl, sarebbe sembrata l’apologia di quel tradimento che si stava consumando proprio davanti a lei, quindi si limitò a guardarla come non aveva mai fatto prima.

In quel momento che l’aveva conosciuta nella sua interezza, per la prima volta cominciava a pensare al futuro che non avrebbe mai visto, alla vita che avrebbero potuto vivere, alla casa e ai figli che avrebbero potuto avere, a chi avrebbero potuto somigliare. Quei pensieri riuscivano a farlo sorridere, nonostante tutto. Trascinò la ragazza verso di sé lentamente, stringendola soltanto per un attimo, cercando di infonderle tutti quei pensieri gradevoli, poi si allontanò con un sospiro vedendo che l’espressione dei suoi occhi non era affatto cambiata.

“Andiamo a casa.” disse a voce bassa, ma decisa e pazientemente attese che lei si rivestisse di tutto punto, che si riacconciasse i capelli, che indossasse i geta** di legno e la prese per mano, camminando al suo fianco, passo dopo passo, lentamente, per tutto il tragitto che, nella semioscurità che andava svanendo,  li riconduceva a casa. Non osò neppure sfiorarla per sbaglio, timoroso che qualcuno potesse vederli; fu lei ad aggrapparsi al suo braccio, mentre si trascinava sul terreno stranamente in silenzio. Parlare non era importante, era servito soltanto per trascorrere insieme l’ultima notte, perché avrebbe dovuto dirgli qualcosa?

Prima l’aveva visto ridere. Le sue erano soltanto parole. Lui non la amava.

 

La giornata, quella mattina, era cominciata prestissimo ed era già tutta in funzione di Gohan. Il signor Satan si era svegliato prima del solito e si era recato in camera di sua figlia per farla preparare in tempo per poter congedare Gohan insieme lui, ma lei non aveva voluto muoversi dicendogli che non si sentiva molto bene.

Qualche ora dopo, il signor Satan se ne stava immobile davanti all’ingresso della casa dei suoi vicini, scrutando Gohan con un timore riverenziale che gli strisciava nel petto: in quel momento, erto davanti a lui e pronto ad andare verso al morte, il ragazzo gli sembrava per la prima volta grande. Lui guardò più volte al suo fianco, dove c’era quel posto vuoto, ma non osò chiedergli dove fosse Videl.

Gohan la immaginò rannicchiata su se stessa, il kimono strisciante sul pavimento, arrabbiata. Non era andata neppure a salutarlo. Forse, però, era a causa sua: quella notte l’aveva sentita urlare ferita,  disonorata

Scacciò quel pensiero pungente di colpevolezza sollevando lo sguardo verso suo padre che si stava trascinando a fatica, la gamba rigida, lungo gli scalini al di fuori della casa: dopo la sua benedizione sarebbe potuto finalmente partire.

L’uomo disse poche parole fiere e dopo avergli stretto una mano, per la prima volta in tutta la sua vita, lo abbracciò. Gohan strinse tra le braccia sua madre in silenzio, soffermandosi soltanto per un attimo sul suo viso contrito, si piegò in un inchino per ringraziare il signor Satan, immaginò che Videl fosse come al solito al suo fianco, in silenzio, ma con gli occhi furenti e la baciò con la mente. Non era partito, ma già la sentiva terribilmente lontana: era come se, la sera prima, qualcosa tra loro due si fosse spezzato.

To the leader, the pariah, the victim, the messiah
This is war

 

“Sono trascorsi sette giorni da quando dividete la camerata, il cibo, gli addestramenti. Siete arrivati in questo luogo pieni di voglia di combattere per il vostro paese e finalmente potrete farlo: il vostro giorno è arrivato! Combattiamo per il Giappone, la nostra lucente patria! Indossiamo sulla fronte l’hachimaki***  con il simbolo della nostra nazione, afferriamo le bombe e voliamo nel cielo! Il nostro coraggio paralizzerà il nemico, la nostra azione li sconfiggerà, la nostra morte estenderà il nostro onore ai posteri. Non abbiamo paura di morire, perché è il Giappone che lo vuole! Non abbiate paura di morire, è il Giappone che lo vuole!

Un urlo collettivo riempì il cortile della base militare e tutti i soldati scattarono in piedi. Gohan sentì l’adrenalina e l’ansia cominciare a mescolarsi all’interno del suo corpo: non pensava affatto a cosa aveva lasciato, ma a cosa avrebbe trovato. Era arrivato il momento: un aeroplano pronto a condurlo alla morte lo attendeva, immenso, di fronte a lui, ma non provava paura. Un soldato coraggioso non doveva provarne, doveva solo lottare. Finalmente, il comandante diede il segno di salire sugli aeroplani.

Andava a vincere la guerra.

A brave new world
The war is won
The war is won

(This is war – Thirty second to Mars)

 

 

 

Note:

 

*Bushido

**Geta

***Hachimaki


Note dell’autrice

 

Allora, ho un sacco di cose da dire, per cui mettetevi comodi! XD

E' la seconda fic di argomento importante che scrivo e, come per la prima, è stata parecchio difficile nella stesura, forse anche più della prima, sia per via del fatto che è stata la primissima AU che io abbia mai scritto su Dragon Ball che per la difficoltà di reperire le informazioni che mi servivano dal punto di vista giapponese. La storia è ambientata nel 1941 per quanto riguarda la prima parte e nel 1944-45 per quella dopo il salto temporale dei tre anni, in ogni caso ti chiedo scusa se la vicenda presenta qualche particolare che non è esattamente reale, ma mi sono dovuta barcamenare tra le poche informazioni che ho trovato su Internet (e pensare che sul Giappone contemporaneo se ne buttano!) e quello che ho imparato sui giapponesi e sul Giappone in questi lunghi anni da otaku. Ho cercato di mettere in particolare evidenza la tendenza a mantenere l'immagine e l'intimità dei giapponesi che tuttora continua a sussistere, ma accentuandola in qualche modo perché la storia è comunque ambientata settanta anni fa e so che anche in Italia c'era lo stesso problema. Inoltre, il punto fondamentale della storia è lo spirito dell'uomo giapponese sempre pronto alla lotta per l'onore, coraggioso, stoico, sempre rispettoso del codice di comportamento Bushido dei samurai che, all’epoca, veniva puntualmente insegnato ai bambini e che ha spinto migliaia e migliaia di giovani a farsi esplodere pur di onorare la propria famiglia e la propria patria. Ho letto che i giovani si offrivano a migliaia per diventare tokkotai (il giapponese per la parola kamikaze) e che non se ne pentivano mai, neanche quando era giunto il momento di farsi saltare in aria.

Il problema principale di questa fic è lo scontro dei due punti di vista di Gohan e Videl: lei è sempre energica e combattiva, per cui è stato facile immaginarla scontrosa verso le regole sociali (che rispetta solo all’apparenza, dato che  si vede comunque e parla con Gohan) e incapace di comprenderne, per questo, gli ideali più profondi, al contrario di Gohan, ligio al dovere e obbediente, che ha fatto del Bushido che gli hanno insegnato il suo codice di vita.

Ho ambientato la storia in un piccolo villaggio lontano dalla città, cosicché tutto fosse più “arretrato” rispetto a quello che potrebbe accadere in altri luoghi: Gohan frequenta la scuola del tempio, le donne non sono affatto emancipate e le regole sociali sono il contenuto di ogni rapporto, tendenza ancora oggi molto presente nei giapponesi.

In questa fic non si parla molto, ma più che altro si agisce, prerogativa della gente giapponese che davvero apprezzo, ma che forse, a volte, è troppo esasperata e confonde soltanto. In questo caso, però, anche le parole non servono a nulla, sono vuote. Come potrebbe essere altrimenti se si parla di qualcosa di ineffabile come la guerra? Spero, nonostante questo,  di aver descritto per bene le ragioni di Gohan, perché il messaggio che voglio comunicare con questa fic è anche questo, che la guerra può significare qualcosa di diverso per ognuno, può propugnare ideali e ricercare gli scopi più diversi, ma alla fine sempre di guerra si tratta, in ogni caso essa è correlata da morte e distruzione. Può sembrare retorico, ma è quello a cui assistiamo continuamente: chi ha il potere si sforza di ricercare mille motivi diversi per legittimare una guerra, ma ognuno, alla fine, perde di significato di fronte a quello che la guerra stessa causa.

Nell’altra fic di cui ho parlato all’inizio avevo descritto una guerra dal punto di vista di chi lotta, questa volta ho voluto dare la preminenza a chi, normale cittadino, un giorno si sveglia e viene a conoscenza che, lontano o vicino a lui si sta combattendo. Ho voluto analizzare come la guerra, da lontana e raccontata da altri, si infiltra piano nella vita di un uomo e di chi gli sta vicino, cambiandola. E’ una fic ostica, lo so, ma spero davvero che tu possa apprezzarla almeno un po’, perché è un argomento che mi sta davvero a cuore.

Prima che lo dimentichi, il titolo della fic è quello dell’omonima canzone di Noemi. :)

Ci tengo davvero molto a ricevere un giudizio su questa fic, dato quanto ho faticato per scriverla. E' arrivata al quinto posto per una differenza di punteggio dalla prima classificata di 0,15. Spero che possa piacere almeno un po’! ^///^

Ne approfitto per fare nuovamente le mie congratulazioni a tutte le partecipanti! *___*





«SONO SOLO PAROLE» DI AYUMI YOSHIDA

- Sviluppo della trama e trattazione del tema
Mi cogli su un terreno abbastanza fertile, su un fandom che mi ha accompagnata praticamente sin dalla rpiam infanzia e con due personaggi che, purtroppo, non sono mai riuscita a farmi piacere appieno. Premesso questo, passiamo alla valutazione vera e propria
Hai trattato il tema principalmente dal punto di vista di due giovani, in questo caso Gohan e Videl, e hai saputo destregiarti nel descrivere l'ansia e la paura che attanagliava i loro cuori e quelli dei loro familiari durante le notte insonni in cui le bombe venivano scanciate dall'alto del cielo e ricadevano sulla terra, l'angoscia della consapevolezza che prima o poi una di quelle bombe sarebbe potuta cadere su di loro e disintegrare il loro mondo
Dapprima sei partita con una notizia esterna, una notizia che ha fatto capire a Gohan quale sarebbe stata la strada da percorrere - il suo unirsi all'esercito, scacciare gli americani e riprendersi le terre e l'onore che spettavano al suo popolo - senza dimenticare Videl e la lontananza momentanea da Gohan stesso, e poi ti sei pian piano destreggiata sul punto di vista di quest'ultimo, ragazzo giapponese al quale è sempre stato insegnato a tener alto l'onore della famiglia, prerogativa che si evince in ogni suo comportamento
Hai trattato bene anche la discordanza tra i pensieri di Gohan e quelli di Videl, facendo esaltare la figura di quest'ultima che, come ben si sa, mette sempre in discussione ogni cosa e non è per niente d'accordo su certe forme della struttura sociale, dunque è stata una cosa davvero apprezzata. Hai inoltre descritto un modo di vedere la guerra che è ovviamente diverso per tutti - c'è chi la vede come come una dimostrazione di fede, chi come qualcosa per far sì di non infangare l'onore della famiglia, chi come un qualcosa di distruttivo che spegne migliaia di vite pur di salvarne altre -, ed è stato un gran punto a favore della trama

- Sintassi, lessico&grammatica
Ci sono solo alcuni periodi che mi sono parsi un pochino troppo lunghi, ma fai un buon uso delle virgole, della punteggiatura e della lingua italiana, inoltre hai un buon lessico che si nota benissimo durante la lettura
Ti appunto giusto qualche cosa sparsa, perché sono errori da nulla che una rapida rilettura può tranquillamente sistemare:

* Dopo che avevano condiviso una vita giocando insieme e lei era stata sempre iperattiva, decisa e forte, si vergognava anche a pensarlo e non poteva dirlo, forse anche più di lui, vederla camminare in silenzio al fianco di suo padre quasi in un atteggiamento sottomesso lo aveva in qualche modo stupito. → Per rendere più leggibile il periodo - è davvero troppo lungo, così -, ti consiglierei di cambiare quella virgola dopo “lui” e cambiarla in un punto e virgola, così da facilitare la lettura senza inserire troppe virgole;
* Per un ragazzo della sua età che ormai si avviava alla vita adulta si confaceva partecipare alle conversazioni con gli ospiti per intrattenerli e lui →Problema inverso alla frase che ti ho appuntato di sopra. Non c'è nemmeno una virgola che può far tirare un sospiro a chi legge; se provi a leggerla ad alta voce te ne renderai conto anche tu, quindi la riscriverei così“ Per un ragazzo della sua età che ormai si avviava alla vita adulta, si confaceva partecipare alle conversazioni con gli ospiti per intrattenerli, e lui” o inserendo comunque qualche stacco per non causare l'effetto apnea;
* Ogniqualvolta lo vedeva da lontano gli lanciava uno sguardo infuocato e si ritirava in casa → Dopo “lontano” ci vuole la virgola per lo stesso motivo di cui sopra;
* “Sono fiero di te.” disse l’uomo con forza e la conversazione riprese con più vigore di prima. → Virgola dopo “forza”;
* “E’ colpa mia.” → La è va accentata e non apostrofata. Capisco comunque che non è presente sulla tastiera e andarsela a cercare ogni volta è noioso, dunque ti consiglio di fare così “. è”; una volta fatto lo spazio la è diventerà maiuscola e ti basterà cancellare il punto;

Vorrei inoltre dirti che spesso e volentieri, quando cambia il soggetto, non vai a capo nel discorso diretto, e la cosa risulta un pochino confusa, poiché non fa immediatamente capire al lettore chi sta parlando e chi ha appena smesso di farlo
Non so se sia un errore di formattazione - ma non mi sembra -, però mi è parso più che giusto annotarlo

- Parere personale
Devo ammettere di essere rimasta un tantino spiazzata dalla tua scelta di scrivere una AU
Essendo il fandom di Dragon Ball praticamente legato alla guerra, anche se non in senso stretto - in fin dei conti, che ci siano alieni, mostri o cyborg, pur sempre di guerra per difendere il pianeta e la popolazione terrestre si tratta -, mi ero quasi aspettata che tu dessi per scontata una cosa del genere, concentrandoti magari su un particolare momento in cui la terra è per l'appunto minacciata da chissà quale nuovo temibile avversario. Persino durante il primo incontro tra Gohan e Videl incombe in seguito la minaccia di Majin, quindi sono rimasta un pochino perplessa dall'avvertimento
Ti informo anche, con assoluto candore, che le AU non mi piacciono molto. Devono essere davvero innovative per colpirmi, e sinceramente questa mi è parsa solo un pretesto per porre i personaggi di Dragon Ball nel contesto giapponese. Tutto qui. Con questo non voglio sminuire il tuo lavoro, indubbiamente ben fatto, però, come già detto, una AU per questo fandom, con tutto il materiale che avevi a disposizione, mi è parso un po' un azzardo
Non sono riuscita a farmela piacere appieno, come sarebbe sicuramente stato se si fosse trattato di un'originale, poiché leggere i nomi dei personaggi di Dragon Ball in un contesto simile è riuscito solo a farmi aggrottare la fronte, probabilmente perché mi aspettavo sempre che Goku uscisse allo scoperto e facesse saltare in aria i nemici con una Kamehameha
Se da un lato la storia mi è piaciuta tantissimo per il suo background - io adoro il Giappone e tutto ciò che ne concerne, ne conosco la lingua e sono praticamente un'otaku di nascita, dunque sono stata ancor più contenta di vedere che ti sei documentata e che sei andata a fondo in cose che altri non avrebbero nemmeno tenuto in considerazione, tipo il Bushido e il suo codice morale -, dall'altra ha perso molto proprio per questa tua scelta di farla diventare una AU su Dragon Ball. Questo è ovviamente solo un mio parere personale, poiché la storia merita davvero



   
 
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