26/10/2012
2 recensioni
Angolo dell'autrice
Allora, piccola premessa: questa storia mi è balenata alla mente così, all'improvviso, senza volerlo, perciò so che sarà pessima (e mi scuso con lo stesso Leopardi, il quale ora si starà rivoltando come non mai nella tomba.) Però la mia impulsività ha avuto la meglio ed ora eccomi qui a pubblicare questa storia. Spero vi piaccia, almeno un pochino.
L'infinito.
"Sempre caro mi fu quest'ermo colle
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude."
Prussia ossevò la siepe alla sua destra, seduto in cima a una collina poco distante da casa sua. Ogni qualvolta ne aveva bisogno, sin da quando era piccolo, per poter pensare, per potersi sfogare senza farsi vedere da nessuno, correva lì, sulla vetta di quel colle e vi si appartava, solo lui con i suoi pensieri, nessun altro vi era ammesso.
"Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura."
E proprio qui egli, stando seduto a contemplare ciò che il panorama offriva da quell'altezza, nel silenzio e nella quiete in cui tutta la zona era immersa, dava spazio ai suoi pensieri, e lasciava vagare la fantasia, che poco mancava che il suo cuore non finisse per smarrirsi, spaventato, sgomento dal percepire l'infinità evocata dalla sua immaginazione, finalmente libera, dopo aver accumulato tanto, di lasciarsi andare.
"E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando:"
Quella sensazione di essere una briciola rispetto all'infinito di cui faceva parte suscitava in lui un paragone particolare: quello tra il silenzio quasi sovramuno che lo attorniava e il fruscio del vento tra le piante, cioè tra qualcosa di infinito ed eterno e qualcos'altro di completamente diverso, breve, effimero. Un po' come l'umanità e la storia del mondo messi a confronto: la nostra vita sarà sempre infinitamente breve, rispetto ai secoli che il nostro pianeta ha ancora da affrontare. Oppure...un po' come l'umanità e la sua storia: gli altri sarebbero nati, sarebbero cresciuti, avrebbero avuto una vita e poi se ne sarebbero andati, lasciando sulla Terra il loro ricordo. Lui, invece...non era morto, ma era come se lo fosse: nessuno si ricordava più di lui, come quando, man mano, si dimentica il dolore per la perdita di una persona cara. Però...era ancora lì.
"e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei."
E allora, ecco, che si chiedeva: perché? Perché era toccata proprio a lui ? Ma ecco che, riflettendoci, arrivava all'unica soluzione possibile: lui era una nazione, era costretto a vivere in eterno, nella buona o nella cattiva sorte e non poteva modificare questa sua situazione, sfortunatamente. E, partendo da questi pensieri, si ritrovava a pensare agli anni, volati in modo così fugace come granelli di sabbia scivolati via dalle sue dita e a riflettere sul presente, anch'esso in via di sparizione, fragile e fulmineo come il battito di una farfalla.
"Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare."
Però, sebbene avesse questa miriade di pensieri in testa e l'infinito che lo circondava sia dall'esterno, sia dall'interno della sua mente, dentro di sè sapeva di trovarsi a suo agio in quella marea di riflessioni: e, nonostante tutto, gli andava bene così.