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Autore: Alchbel    28/10/2012    3 recensioni
Jeff sbuffò risentito all'ennesimo scoppio di risa che il suo ragazzo non riuscì a trattenere. Lo guardò con nervosismo – per quanto la cosa potesse riuscirgli con Nick – e si portò le braccia al petto, superandolo di mezzo passo.
«Oh, avanti Jeffie! Non puoi negare che sia stato esilarante!», si difese il bruno, ma l'espressione dell'altro non cambiò.
«Forse lo era la prima volta. Posso concederti anche la seconda, ma ora ho perso il conto delle volte in cui mi hai riso in faccia!», lamentò offeso.

Shot per il NiffMonth. Enjoy ♥
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval | Coppie: Nick/Jeff
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Let me be your hero

 

 

 

A Robs e Vals, che sono meravigliose e non vedo l’ora di rivedere

E ad Emilia. Questa dedica è improvvisata, sai che te ne devo almeno un’altra.

 

 

Jeff sbuffò risentito all'ennesimo scoppio di risa che il suo ragazzo non riuscì a trattenere. Lo guardò con nervosismo – per quanto la cosa potesse riuscirgli con Nick – e si portò le braccia al petto, superandolo di mezzo passo.

«Oh, avanti Jeffie! Non puoi negare che sia stato esilarante!», si difese il bruno, ma l'espressione dell'altro non cambiò.

«Forse lo era la prima volta. Posso concederti anche la seconda, ma ora ho perso il conto delle volte in cui mi hai riso in faccia!», lamentò offeso.

Nick lo guardò con occhi dolci.

«Credi davvero che potrei mai riderti in faccia?».

Il biondo lo guardò per qualche istante, cercando di tenere duro e non cedere a quegli occhioni profondi, ma fu praticamente inutile perché capitolò dopo pochi istanti.

«...Sai che i ragni mi spaventano», piagnucolò.

«Certo che lo so, ma il grido che hai lanciato ha raggiunto tonalità da fare quasi invidia a quelle di Kurt Hummel! E hai fatto prendere un colpo a Trent».

«Per non parlare di Thad che è corso in camera nostra con Sebastian alle spalle – non mi perdoneranno presto di averli interrotti così...».

Nick trattenne una nuova risata, ripensando alla faccia shoccata che Jeff aveva rivolto ai ragazzi, indicando tremante il ragnetto che lui si apprestava a cacciare. Thad lo aveva guardato con un sorrisetto divertito, ma Smythe aveva trafitto entrambi con una brutta occhiata prima di portarsi via il ragazzo. Quando il resto dei Warblers li aveva raggiunti, la minaccia era stata allontanata e Nick aveva minimizzato canzonandolo con un “tutti i supereroi hanno il loro punto debole”.

Questo non aveva evitato però, che almeno lui, scoppiasse a ridere ogni volta che gli tornava alla mente l'episodio di quella mattina.

«L'avranno dimenticato entro domattina, dai: non gli mancano di certo le occasioni per stare da soli. Cosa pensi che stiano facendo adesso?», lo consolò, ma al pensiero di Thad e Sebastian in atteggiamenti intimi, Jeff storse il naso.

«Il nostro bambino!», esclamò teatrale prima di cambiare argomento. «Si può sapere dove stiamo andando, comunque?».

«Devo passare velocemente in banca», spiegò Nick, indicandola qualche passo più avanti «Tra poco è il compleanno di Flint, e voglio prendergli qualcosa di sensazionale!».

«Ma se ci mancano ancora più di venti giorni!», si sorprese il biondo.

«Davvero? Oh beh... sai, le occasioni migliori si trovano sempre prima! Finisce che mi riduco all'ultimo e proprio quello che volevo prendere va fra la merce esaurita».

«E sarebbe?».

«Emh... ci verrà in mente qualcosa», lo coinvolse il bruno con un sorrisetto imbarazzato e fu il turno di Jeff, stavolta, di ridere.

«Sì, ci verrà in mente qualcosa», lo rassicurò passandogli un braccio intorno alle spalle ed entrando con lui nell'edificio.

Fortunatamente, la fila da attendere era poca quel pomeriggio e i due ragazzi vi si accodarono sollevati – la sola cosa che volevano evitare era passare delle ore lì dentro, quando avrebbero potuto usare quel pomeriggio libero per camminare tra i negozi e stare un po' insieme.

Mezz'ora dopo, però, furono certi di aver dato troppo presto per scontato che sarebbe stata una cosa veloce. Da quando erano entrati, infatti, la fila non aveva fatto passi avanti e ancora la stessa voce di uomo continuava a fare domande su domande ad un operatore evidentemente scocciato dalla situazione – dalla quale, comunque, non avrebbe potuto divincolarsi.

Jeff sbuffò, stanco e guardò Nick con occhi imploranti.

«Potremmo tornare domattina», cercò di convincerlo «Magari saremo più fortunati».

«E se domani fosse peggio?», pensò l'altro scuotendo la testa «No, ormai siamo qui: andiamo fino in fondo».

«Ma manca ancora così tanto a quel compleanno!», piagnucolò, insistente, il biondo.

«Te l'ho detto, non voglio arrivare agli ultimi giorni senza ancora aver preso nulla. Avanti, Jeffie, ti prometto che faremo presto».

Nick usò di nuovo quel suo sguardo da cucciolo dolce e Jeff si trovò a sbuffare sonoramente perché era davvero irresistibile quando quegli occhi scuri lo guardavano così.

«Non vale, lo sai».

«Ma ottengo sempre quello che voglio».

«Stronzo».

Il sorriso vittorioso di Nick mise fine alla questione proprio mentre  l'uomo che stava bloccando la fila finì di fare qualunque cosa stesse facendo e andò via, lasciandosi alle spalle un sospiro di sollievo generale. L'occhiata che il bruno lanciò al suo ragazzo fu così eloquente che Jeff non poté che riconoscerne la vittoria, ma ebbe giusto il tempo di concedergli un sorriso prima che le cose precipitassero.

«CHE NESSUNO SI MUOVA E MANI BENE IN VISTA!»

Il bruno si voltò, chiedendosi chi mai fosse stato tanto stupido da fare un simile scherzo, ma quando vide uno dei tre uomini che erano entrati puntare contro di loro una pistola, il sangue gli si gelò nelle vene. Jeff cercò immediatamente la sua mano e lui la strinse forte, come se fosse il solo sostegno che potesse tenerlo in piedi mentre le vertigini gli facevano girare la testa.

Non stava succedendo davvero. Non lì, non con loro. Quella doveva essere la fottuta scena di un film, qualcosa di immaginario – forse stavano solo sognando.

«Vi voglio tutti contro il muro! Muovetevi!», ordinò ancora lo stesso uomo, il cui passamontagna lasciava vedere solo gli occhi scuri.

Nick e Jeff si mossero con lentezza, seguendo le indicazioni come degli automi e mettendosi accanto agli altri. Non avevano lasciato che le loro mani si separassero: era il solo conforto, la sola sicurezza che avessero. Il biondo guardò il suo ragazzo con la paura negli occhi: gli mancava il fiato e non sapeva che cosa fare.

«Ho paura anch'io, ma dobbiamo cercare di stare calmi. Andrà tutto bene», cercò di rassicurarlo con voce tremante l’altro.

«Lo so, Nicky», sussurrò Jeff, stringendogli ancora di più la mano ed avvicinandosi fino a che le loro spalle non furono in contatto.

Nessuno nella stanza riusciva a staccare gli occhi dagli uomini che avevano preso il comando della situazione. Videro uno dei tre prendere malamente il direttore della banca e farsi condurre al caveau sul retro, mentre gli altri due ordinarono ai vari operatori di mettere i contanti che avevano nelle loro sacche. Di tanto in tanto si voltavano verso gli ostaggi, accertandosi che nessuno stesse facendo un qualche movimento brusco.

Nick deglutì a fatica, la paura che martellava nelle orecchie al suono del battito del suo cuore. Doveva fare qualcosa, avvertire qualcuno. Doveva uscire da quella situazione, fare in modo che Jeff ne uscisse. Il panico si stava impadronendo di lui e la stretta alla mano del suo ragazzo era così forte ormai da fare male.

All'improvviso un'idea si fece strada nella sua testa. Se fosse stato cauto e avesse fatto lentamente, avrebbe anche potuto funzionare. Fece scivolare lentamente la mano libera nella tasca dei pantaloni, fino a che non sentì il cellulare tra le sue dita: sarebbe bastato riuscire a comporre il 911 e fare in modo che capissero la situazione e tutto sarebbe finito.

Esaminò col tatto il cellulare, mettendolo dritto e cercò di ricordare la combinazione di tocchi da seguire. Una volta sboccato, premette sul touch in basso a sinistra per far apparire la tastiera; poi provò a pensare a che altezza potessero essere i numeri e pregò di riuscire ad indovinare la combinazione giusta.

«Che diamine stai facendo tu?!».

Il sangue gli si gelò nelle vene mentre alzava lo sguardo e vedeva uno dei rapinatori muoversi verso di lui.

«Nulla. Non stava facendo nulla», gracchiò con preoccupazione Jeff, facendosi avanti, ma l'uomo lo allontanò in malo modo con uno spintone che fece lasciar loro le mani.

«Che hai in tasca?», gridò al bruno che scosse la testa in modo frenetico, la paura che lo stordiva come un anestetico, paralizzandolo.

Si rese conto a malapena della mano che cercava nella sua tasca e del grido di rabbia che il rapinatore lanciò, scagliando a terra il cellulare.

«Che cazzo volevi fare?!», lo strattonò, sbattendolo con forza contro il muro e puntandogli l'arma contro.

Jeff fremette. In un attimo vide il peggio e la paura si trasformò in disperazione. Non lui. Tutti, tutti ma non lui! Senza pensare ad altro si gettò in mezzo, bloccando la pistola dell'uomo e facendo in modo che cadessero entrambi. Nick osservò la scena senza sapere che cosa fare e con il fiato mozzato che gli impediva di gridare, fino a che il rumore di uno sparo non azzerò tutto il resto.

Uno sparo.

«JEFF!».

Il rapinatore si mosse, togliendosi di dosso il ragazzo e mettendosi in piedi con poca difficoltà. Gli occhi di Nick non poterono non notare la macchia rossa che sporcava la sua maglia e la mente non ci mise tanto a capire che non era sangue suo. Si era alzato senza dare segno di sofferenza.

Jeff. Era... era di Jeff.

Quel pensiero lo sovrastò come una condanna, azzerando il resto. Sarebbe potuto succedere di tutto, non l'avrebbe notato. C'era solo il suo ragazzo. Il suo ragazzo e il sangue.

Si gettò a terra, voltandolo lentamente e la prima cosa che vide fu la smorfia di dolore sul viso pallido, mentre il sangue macchiava la polo chiara che stava indossando.

«No. No, no, no, no. Tutti ma non lui, tutti ma non tu!», gridò senza sapere che cosa fare, le lacrime che avevano preso a scendere sul suo viso e il fiato che si spezzava nella gola senza permettergli di respirare.

Jeff aveva perso conoscenza. Se ne stava immobile. Sembrava morto. Nick gli sfiorò il viso che si stava imperlando di sudore.

«Non lasciarmi... non puoi, non è giusto...», pianse, premendo istintivamente sulla ferita.

Sembrava un orribile film, di quelli che a lui neanche piacevano e che vedeva solo per potersi accoccolare contro il petto del suo ragazzo; di quelli in cui la coppia protagonista ne passava di tutti i colori prima che la polizia si decidesse ad arrivare e farli uscire da ovunque fossero. Di quelli in cui ad un certo punto qualcuno faceva la mossa sbagliata, pagandone le conseguenze.

Ecco. Lui era quello della mossa sbagliata. Jeff quello che la stava pagando.

Il rumore concitato di passi lo raggiunse come lontano metri, così come il loro vociare confuso – che in realtà erano grida. C'era solo Jeff, solo quel maledetto sangue che non smetteva di uscire e i suoi occhi chiusi.

La paura che non potessero mai più aprirsi.

I tre rapinatori si guardarono tra loro, spaventati da quello che era successo: non sapevano che cosa fare e di certo la morte di un ragazzo non era stata messa in conto. Corsero via, dopo aver intimato loro, per un’ultima volta, di stare fermi, portando con sé alcune borse piene dei soldi che erano riusciti a prendere. Un uomo, uno degli ostaggi, si avvicinò ai due Warblers con cautela, asserendo di essere un medico, e scansò la mano di Nick per vedere quanto fosse grave la ferita. La pallottola aveva colpito il ragazzo al fianco, trapassandolo.

«Mi serve qualcosa per bloccare l'emorragia o questo ragazzo morirà!», gridò al resto delle persone che, ancora shoccate dall'accaduto, si guardavano intorno come automi.

Uno degli operatori ebbe la prontezza di seguire le direttive del dottore e scomparve nel retro, mentre una donna chiamò finalmente il 911, chiedendo soccorso.

«Ascoltami, ho bisogno del tuo aiuto», disse poi con calma l'uomo, rivolgendosi a Nick «Devi cercare di calmarti per quanto possibile e darmi una mano: dobbiamo fermare l'emorragia».

Il ragazzo quasi non diede segno di averlo sentito, gli occhi fissi su Jeff.

«É colpa mia», sussurrò come in trance «Se non avessi provato a chiamare qualcuno... se non mi fossi fatto scoprire... se non fossi venuto qui con lui....».

«No, no. Basta, fermati. Ascolta, non ha senso pensare a questo, ora. Devi essere lucido, almeno per lui, ed aiutarmi. Mi hai capito?».

Il dottore lo prese per le spalle, facendo in modo che lo guardasse. Nick si concentrò su quegli occhi così seri e ritrovò un briciolo di forza per fare quello che gli stava dicendo, per Jeff, per riparare al suo sbaglio. Quando fu portato loro il kit di pronto soccorso e del disinfettante, l'uomo cercò di pulire la ferita, prima di fasciarla quanto meglio potesse.

La pallottola doveva aver fatto danni a giudicare dal sangue che continuava ad uscire e dalla temperatura corporea che era salita.

«Jeffie... Jeffie, ti prego svegliati...», gli sussurrò Nick, tenendogli alzata la testa e sfiorandogli i capelli umidi «Non puoi farmi una cosa del genere, non te la perdonerei».

«È... colpa tua...».

Il sussurro mozzato del biondo lo fece fremere. Era sveglio! Era sveglio, gli aveva parlato. Gli aveva detto che era colpa sua...

«Lo so... lo so, Jeff. Io vorrei che ci fosse un modo per-».

«Non parlavo del cellulare, Nicky... Volevo mostrarti che... nonostante i miei “punti deboli”... quando c'è bisogno di me... sono un perfetto supereroe...», si sforzò di spiegare.

Il bruno scoppio definitivamente in lacrime, mentre il suo ragazzo perdeva di nuovo i sensi. Lo aveva fatto per questo? Per essere il suo eroe? Come se non lo fosse già, come se non fosse il suo unico eroe...

«Sei l'unico eroe da cui vorrei essere salvato», disse dolce, baciandolo leggero, senza sapere se fosse ancora in grado di sentire quel gesto, mentre la sirena dell'ambulanza cominciava ad avvicinarsi.

 

***

 

Jeff fu dimesso dall'ospedale solo cinque settimane dopo. Quando lo avevano ricoverato, le sue condizioni erano parse subito gravi: aveva perso molto sangue e il colpo aveva causato un'emorragia interna che avevano fermato solo dopo quattro interventi. Era rimasto in coma farmacologico per otto giorni e la riabilitazione era stata difficoltosa.

Non c'era stato giorno in cui Nick non avesse avuto paura di perderlo e nonostante negli ultimi tempi lo stesso Jeff lo avesse rassicurato, non appena si voltava, i lineamenti del bruno abbandonavano il sorriso per mostrare tutto lo spavento ed il dolore per l'accaduto.

«Sono secoli che non vedo la Dalton», sussurrò quella mattina Jeff, appoggiato alla spalla del suo ragazzo, mentre guardavano fuori dalla finestra della stanza, aspettando che la macchina dei suoi genitori li venisse a prendere.

«Manchi a tutti!», esclamò Nick sorridendogli «Ma credo tu debba aspettare ancora un po' prima di tornare a pieno ritmo».

«Assolutamente no. Tra pochi minuti mi dimettono. Ho già perso troppo tempo: è ora di recuperare».

Il bruno avrebbe voluto dirgli che era eccessivo e che di tempo ne aveva quanto ne voleva, ma sarebbe risultato grottesco e stupido. Perché non avevano tempo. Improvvisamente, entrambi si erano accorti di quanto poco tempo avessero, di come ogni cosa potesse sfuggire loro dalle mani con una facilità che li terrorizzava.

Guardò il suo ragazzo negli occhi e tentò di sorridergli con quanta più calma possibile. A Jeff mancava il sorriso spensierato che, fino a prima di quel giorno, caratterizzava Nick, ma non gliel'avrebbe mai detto. Sapeva che cose come quella richiedevano tempo e che se anche le ferite fisiche si cicatrizzavano, i ricordi sarebbero rimasti per sempre.

Lo baciò, con lentezza, fissando nella mente quanto buono fosse il sapore delle labbra del suo Nick e poi lo abbracciò con quanta più forza possibile, ignorando il fastidio della ferita.

«Ho una cosa per te», gli annunciò con una strana euforia nella voce Nick, quando si furono separati.

Lui semplicemente inclinò la testa curioso, in attesa che l'altro si spiegasse, e lo vide avvicinarsi alla borsa che aveva portato con sé. Ne estrasse una scatola scura che gli porse, invitandolo con lo sguardo ad aprirla. Quando Jeff l'ebbe fatto, una targa luccicante comparve davanti ai suoi occhi sorpresi. Una targhetta aggraziata, che recitava “My boyfriend is my hero. He saved me. He save me everyday”.

Gli occhi gli si inumidirono appena comprese appieno il significato di quelle parole e alzando lo sguardo, scorse anche il volto di Nick bagnato dalle sue stesse lacrime.

Gli prese il volto tra le mani e lo baciò di nuovo.

In quel momento seppero entrambi che non importava ciò che sarebbe successo da quel giorno in avanti, quanto ancora quella cosa li avrebbe condizionati, se mai sarebbero riusciti ad entrare di nuovo in una banca o a passare per la strada in cui aveva sede quella della rapina.

Non volevano sapere quanto ancora avrebbero dovuto faticare per tornare quelli di un tempo, né se ci sarebbero mai riusciti completamente.

Quello che contava era che fossero lì, entrambi. Il resto lo avrebbero affrontato insieme, senza lasciare l'uno la mano dell'altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Mi rendo pienamente conto che dopo tutte le shot meravigliose dei NiffMonth che sono state pubblicate, questa è davvero pessima… ma sono la prima a sostenere di non essere all’altezza delle autrici Niffers.

Ad ogni modo… questa cosetta aveva come prompt ostaggi / “Tutti ma non lui” / paura e direi che me la sono cavata facilmente, nonostante tutti vogliate uccidermi per la quantità di angst che solo io sono in grado di inserire anche tra loro due – poveretti.

Ok, faccio una promessa solenne. La prossima Niff sarà fluff. Niente catastrofi, niente morti o feriti. Cercherò di essere quanto più buona possibile =)

Detto questo, mi eclisso. Alla prossima

 

 

Alch.

 

 

   
 
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