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Autore: Sheylen    28/10/2012    6 recensioni
(Fa parte della serie "Ties")
Due sorelle così diverse o forse così uguali.
Un incontro impossibile, di cui ho voluto raccontare.
In dimensioni lontane ma collegate, unite dallo stesso sangue.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Zoe Nightshade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ties'
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Dedicata a tutte le ammiratrici delle Cacciatrici.

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Zoe si cacciò la faretra in spalla.
Le frecce brillavano debolmente, ordinate e lucidate. Frecce che non avrebbero più potuto uccidere nessuno, frecce immateriali quanto il suo corpo.
Era strano essere morti. O almeno, essere morti nelle terre dei vivi.
Quell’idiota di Ermes le aveva detto che non poteva accompagnarla agli Inferi, perché la divina Artemide l’aveva fisicamente resa una costellazione. Per carità, grandissimo riconoscimento, inoltre qualsiasi cosa fatta dalla divina Artemide non poteva che essere meravigliosa, ma passare le giornate immobile tra le stelle era diventata una tortura per lei.
E ora che era riuscita a fare un salto sulla Terra, si era persa. Le toccava proprio ogni fortuna…
Le sue percezioni erano deboli, i suoi capelli non si muovevano al soffio del vento.
Zoe sentì con rabbia gli occhi che si riempivano di lacrime non reali, che mai sarebbero potute scivolare sulle sue guance.
Il suo udito finissimo. La sua vista acuta. Le narici in grado di riconoscere qualsiasi odore.
Tutto perduto, insieme alla sua vita.
Tutto sfumato in un lontano universo, irraggiungibile anche per lei.
…forse però era un bene essere solo un’anima. In vita, il suo orgoglio le avrebbe impedito di piangere.
Si guardò le punte degli stivali, accorgendosi solo allora che stava camminando sul pelo del mare.
Figo, un motivo in più a favore dell’essere solo un’anima.
Continuò a camminare sull’acqua, ringraziando Poseidone per non averla ancora scacciata. Insomma, anima o no, quello era il suo regno e il capo era lui.
Con curiosità si accorse che stava entrando in un muro di nebbiolina leggera.
Strano, per il posto in cui si trovava.
La Cacciatrice non vi prestò più di tanta attenzione, almeno non fino a quando non si ritrovò completamente circondata dalla nebbia.
“Ma che diamine…?”
Si guardò intorno, mettendo automaticamente mano alla faretra e sfilandosi l’arco di tracolla.
I suoi occhi si muovevano scattanti, percorrendo ogni centimetro quadrato del suo campo visivo.
“Informazioni, informazioni…” sembravano invocare, mentre analizzavano quella nebbia così muta per loro.
Quando incoccò istintivamente una freccia, una parte del suo cervello le rise dietro.
“Sei morta, di cosa hai paura?!”
Eppure si sentiva a disagio, non le sembrava di essere mai stata in un posto simile.
Raggiunto il culmine della tensione, udì una voce sottile, appena percepibile.
Note, strumento a corde pizzicate.
“Che situazione stupida” commentò nella sua testa, paragonando la scena alle centinaia di storie di film e libri.
Non abbassò l’arco, ma rilassò i muscoli delle gambe e sospirò.
Riuscì a riconoscere alcune parole del canto, anche se all’inizio non avevano senso.
Combattuta, mosse un passo verso la voce.
Le parole si sentivano più distintamente, la melodia iniziava a prendere forma.
La voce era indubbiamente femminile, dolce ma allo stesso tempo malinconica, pareva come invocare aiuto timidamente.
Le lettere diventarono parole, e le parole versi:
 

 
 
Punita per il mio sangue
rinchiusa tra mura invisibili,
solo a te posso raccontare
dei miei sogni impossibili
 


 
Luna d’argento,
ascolta questa tua figlia
che canta a te nel vento
la sua maledizione…

 
 
La nebbia iniziò a diradarsi, lasciando intravedere una spiaggia.
Zoe vi si diresse, intenzionata ad esplorare il territorio.
Man mano che si avvicinava, la voce aumentava di intensità. Salì sulla spiaggia, e osservò il territorio: al confine con la sabbia, vi erano dei macigni ricoperti di muschio, che davano poi su prati verdi. In lontananza si riconoscevano dei boschi e delle caverne rocciose.
Una figura seduta si delineò ai suoi occhi all’improvviso, e Zoe le puntò immediatamente l’arco contro. Non si preoccupò dell’inutilità della cosa, il fatto che le sue frecce fossero solo i “fantasmi” di quelle che aveva con sé alla morte non le era ancora entrato in testa.
La persona che aveva puntato sobbalzò, interrompendo il canto.
Era una adolescente vestita di una tunica bianca, in mano teneva una lira molto elegante, e sul prato intorno a lei erano sparsi dei pennelli e riposta una tavolozza.
-C-chi sei?- mormorò la fanciulla, la voce leggermente tremante.
-Era la stessa domanda che volevo farti io.- rispose Zoe, senza rilassare i muscoli e mantenendo la corda tesa.
-Mi chiamo Calipso… per piacere abbassa quell’arco, mi fai paura…-
Zoe sollevò un sopracciglio.
-…Calipso? Quella Calipso?-
La ragazza le rivolse uno sguardo interrogativo.
-Intendo la Calipso di Ulisse?-
-Si, quella Calipso.- rispose allora la giovane.
Zoe abbassò l’arco, riponendo la freccia nella faretra.
-… io sono Zoe Nightshade, ex Cacciatrice della dea Artemide.-
Calipso la guardò stupita, aggrottando poi la bella fronte.
-Perché ex?-
L’occhiata di Zoe fu tutto tranne comprensiva.
-Perché sono morta.-
Le scuse mormorate dalla fanciulla non la toccarono, e Zoe si limitò a voltarsi verso l’orizzonte.
-Così è questa Ogigia. L’isola del riposo degli eroi. Se Jackson non avesse pregato gli dei per te, non sarei mai potuta finire qui, giusto?-
-Beh si, a meno che tu non sia un eroe scelto dalle Parche…-
-Mi hanno già chiamato le Parche, e non per essere il tuo eroe.- rispose scocciata Zoe, domandandosi come facesse quella ragazzina a toccare ogni volta un tasto dolente.
“Chissà di quali cavolo di divinità è figl…”
Zoe spalancò gli occhi.
-Non può…!-
Calipso si portò le mani al petto, temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Zoe la squadrò da capo a piedi, analizzando ogni suo dettaglio.
-…Tu sei una figlia di Atlante?!-

Calipso annuì timidamente, posando al suo fianco la lira.
-Lo sei anche tu?-
-Si… ero una delle Esperidi.-
Gli occhi di Calipso si illuminarono.
-Allora tu potevi stare con lui! Io… non lo vedo da secoli.-
-Non è mai stato vicino a nessuna. Cosa credi, che mi sia venuto anche solo una volta a fare gli auguri di compleanno? È condannato, e fino a quando Zeus sarà sul trono dell’Olimpo, mio… nostro padre dovrà sorreggere il Cielo.-
-Però… insomma, senza di lui io e te non saremmo… sorelle.- sussurrò Calipso, come avendo paura di farsi sentire. Eppure la luce che le brillava negli occhi era così pura, la scintilla di speranza dopo anni di solitudine.
Zoe si girò verso di lei, guardandola da sopra la spalla.
-…Noi non siamo sorelle.- esclamò, perentoria.
Il vento si alzò, scompigliando i ricci d’oro di Calipso. Uno dei suoi servi invisibili le pose sulle spalle un mantello di lana, per coprirla dal freddo. Come sembrava indifesa, così pallida e gracile. L’esatto contrario di lei.
Un coniglietto con il suo candido codino bianco e un lupo grigio dagli artigli d’argento. Ecco chi erano, altro che sorelle.
E che fosse stato lo stesso uomo a generarle, non faceva differenza.
Loro erano due mondi diversi, troppo lontani per potersi anche solo scontrare, e le riusciva difficile capire come Calipso non lo avesse ancora intuito.
Anche volendo, insieme potevano avere intorno ai cinquemila anni.
Non si erano mai considerate in tutta la loro vita, proprio ora dovevano diventare due allegre sorelline?
“Ma per piacere”
-Perché dici così?-
La domanda di Calipso quasi la spiazzò.
-Non basta essere figlie dello stesso padre per essere sorelle.-
La fanciulla annuì.
-Lo so... ma forse basta tenersi per mano nei bei momenti e in quelli tristi, regalarsi magari conchiglie per le collane, ricordarsi l'una dell'altra. Come sorelle.
-Dici così solo perchè senti un disperato bisogno di qualcuno, perchè sei sola.- la riprese Zoe.
Calipso esitò, respirando lentamente, come incassando il colpo.
Eppure la frase che disse colpì la Cacciatrice come una pugnalata: -Perchè, tu cosa sei?-
Silenzio.
Solo il suono delle onde, e le amare note della consapevolezza.
Cos'era lei, senza le Cacciatrici? Cos'era lei, senza la divina Artemide?
-Essere state lontane non vuol dire che dobbiamo esserlo ancora.-
Zoe scosse il capo. -Non posso restare su questa isola, appena tramonterà il sole dovrò tornare al mio posto.-
Calipso sorrise, alzandosi in piedi.
-Per essere vicine non è necessario esserlo fisicamente. I cuori possono arrivare ovunque.-
Strano.
Un simile discorso un tempo non l'avrebbe mai toccata. Invece ora la prospettiva di avere qualcuno che ti pensava e che ti voleva bene sembrava così dolce.
Due sorelle, lontane nello spazio ma vicino nella mente.
-... Ogni notte potrei cantarti la mia vita, raccontarti i miei sogni. Non sarei più sola con la Luna, così muta e distaccata, ma potrei sapere di stare parlando con mia sorella...- fantasticò Calipso, come per incoraggiarla.
Zoe restò in silenzio. Una sorella, qualcuno a cui pensare con affetto. Ogni giorno sarebbe potuta tornare su Ogigia, a raccontare a sua volta le sue avventure, la sua infanzia, i suoi rimpianti.
Improvvisamente si accorse di quanto era stata sola nella vita, di quanto in fondo avesse sempre sognato una figura come quella di una sorella. Anche se aveva sempre avuto lo spirito del leader, in fondo era stata anche lei una ragazza.
Zoe si avvicinò al mare, guardando il tramonto all’orizzonte con un groppo alla gola. Pure Calipso si alzò in piedi, raggiungendola sulla riva.
-…ed ecco che il Sole decide un’altra volta di annegare nell’Oceano…- sospirò Calipso, abbassando il capo.
-Non credere che sia tutto così romantico: è solo quell’egocentrico di Apollo che guida la sua Maserati…- rispose in tono di scherno la Cacciatrice, alzando le sopracciglia.
Calipso non replicò, limitandosi a sorridere.
La sorella si girò nella sua direzione, per studiarla.
Forse non erano così diverse… forse potevano davvero essere una famiglia.
Già, una famiglia… per un momento immaginò suo padre che accompagnava lei e Calipso da piccole ai giardini, a giocare con la palla o con gli aquiloni. Tre persone sorridenti, tre persone che si volevano bene.
Senza farlo di proposito, il suo sguardo cadde sulla sabbia dietro di loro.
Un macigno sembrò colpirla al cuore ormai fermo.
Mentre dietro a Calipso si era disegnata la sua sagoma buia, nessuna ombra aveva preso le sembianze di lei e del suo arco.
La sua famiglia non era mai esistita, ora che l’aveva scoperta era ormai tardi.
-Non potremo mai essere sorelle… tu non potrai mai prendermi per mano.-
Calipso la guardò, i suoi bellissimi occhi inumiditi dalle lacrime, poi sorrise.
-Si invece…-
Si scostò il mantello dalle spalle, per poter avere le braccia libere, e mosse il braccio verso di lei.
Le loro dita prima si sfiorarono piano, poi si strinsero a vicenda.
Zoe guardò incredula la sorella, che allargò il suo sorriso.
-Sorellina, davvero anche tu non sai chi sono in realtà?-
La Cacciatrice in un primo momento la guardò senza capire, poi una luce di comprensione si accese nei suoi occhi.
-Allora…-
Calipso abbassò lo sguardo sulle loro mani unite.
-Si. Sono davvero una dea della morte. Dopotutto, come farei a salvare eroi che sono creduti morti…-
-Come Ulisse e Jackson-
Calipso annuì di nuovo.
-Si, proprio come loro. Li nascondo alle nebbie degli Inferi, lasciandoli riposare sulla mia isola perché possano tornare tra i vivi e compiere la loro missione.
-Per questo posso toccarti: vivo nella tua stessa dimensione, sono anche io a metà tra questo mondo e l’Ade.-
Zoe annuì, spostando lo sguardo sul cielo.
Sbuffi di nuvole rosate dondolavano intorno al disco rosso del sole, i trionfi di colori caldi andavano sfumandosi in tonalità sempre più chiare, che venivano poco a poco divorate dal blu della notte.
-Il mio tempo sta per scadere.- commentò la Cacciatrice, guardando la Stella del Vespro che si accendeva nella volta.
Calipso chinò il capo, stringendo la mano della sorella.
-Torna nel cielo di papà…- sorrise triste.
-Se lo vedrò lo saluterò da parte tua- la rassicurò Zoe, facendole l’occhiolino.
Le loro mani si separarono, mentre la Cacciatrice camminava sulla spiaggia.
-Sorella!-
Zoe si voltò un’ultima volta verso Calipso, che le lanciò una saccoccia.
La Cacciatrice la afferrò al volo e la aprì. Al suo interno v'erano dozzine di conchiglie, di tutte le forme e dimensioni, e dei colori più belli.
Le labbra le si incurvarono in un sorriso, mentre guardava la sorella.
-Le ho raccolte in questi tremila anni, non ne esistono di più belle...
-Ricordati di me, lassù.-
Zoe annuì, allacciandosi la scarsella alla cintura.
-Anche tu, su questa isola. Tornerò, è una promessa.-
Si sorrisero, salutandosi con gli occhi, poi Zoe iniziò a correre sul pelo dell’acqua.
Man mano che si allontanava sembrava salire una scala invisibile, che la portò fino al cielo, poi scomparve.
Calipso si sedette di nuovo sull’erba, in mano l’ultima conchiglia che aveva raccolto.
Raccolse un pennello ancora umido, lo passò sulla tavolozza e dipinse nella conchiglia una “Z”.
La dea alzò lo sguardo sul cielo ormai scuro.
I suoi occhi vagarono tra le stelle, fino a quando non riconobbero la figura di una ragazza che tendeva il suo arco. Forse fu solo una sua impressione, ma le parve di vedere una saccoccia disegnata alla sua cintura dalle stelle.
Calipso sorrise, serena.
“Ricordati di me lassù, sorella”

 
 
 
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Ciao a tutti :D
Che bello, questa storiella era da un po’ che la volevo scrivere, e fortunatamente ho trovato un po’ di tempo… all’inizio era stata pensata come un capitolo di “Genitori e figli”, ma mi sono accorta che prendeva in considerazione un altro legame u.u
Ah per informazione, i versi che canta Calipso fanno parte di una poesia che le ho dedicato, se vi interessa leggerla e/o commentarla, si intitola “La Dea della Morte” :)
Vi lascio in fretta questa volta, così spero che qualcuno sia più propenso a scrivere commentucci :3
Un bacione a tutti!!
  
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