FORGETTING
Non può essere vero.
Non
può essere accaduto
realmente, non è possibile.
Non
posso e non voglio
credere a tutto questo.
Probabilmente
è solo un
incubo, tra poco mi risveglierò e tutto sarà come
prima, come è sempre stato, e
come deve essere.
Tu ritornerai
quello di prima.
Era
tutto così normale, così
semplice, così ripetitivo. La solita segnalazione anonima,
il solito cadavere,
le solite indagini di procedura e tu, il solito consulente curioso che
non
vuole mai seguire i miei ordini.
Ti
avevo detto di non
allontanarti, ti avevo pregato di non addentrarti da solo in quella
palude
buia, ma tu non mi hai ascoltato.
Non
lo fai mai.
Ma
se per una volta avessi
messo da parte i tuoi giochetti da mentalista io ora non sarei qui, con
le
lacrime agli occhi, a cercare di dare una spiegazione a tutta questa
storia
senza senso.
Ad
un tratto mi sono voltata e tu non
c’eri più.
Ho
iniziato a cercarti, ho
urlato invano il tuo nome mentre mi lasciavo alle spalle la squadra per
trovarti,
ma non mi sarei mai immaginata di assistere ad un simile spettacolo.
Di
fronte a me uno stagno
acquitrinoso. La superficie è piena di rifiuti, legna,
giunchi e, più in là, un
corpo.
Il tuo corpo.
Mi
getto senza pensare in
quelle acque fangose, aggrappandomi con ferocia al tuo corpo ormai
quasi privo
di vita, nel tentativo di riuscire a riportarti a galla. E urlo, urlo
come non
penso di non avere mai fatto, chiamo aiuto con tutto il fiato che ho in
gola e
con le ultime forze che mi rimangono tento di toccare la riva.
Quello
che segue è solo un
groviglio confuso di immagini e suoni che si ripresentano alla mia
mente senza
un apparente ordine logico preciso.
La
prima cosa che ricordo
chiaramente sei ancora tu, questa volta sei steso su una barella, le
braccia
aperte e la camicia strappata. Intorno a noi ci sono molte persone che
attendono un tuo segno, un tuo gesto, per far capire che ci sei, che
stai
ancora lottando, come hai sempre fatto.
I
ragazzi, ancora sconvolti,
sono tutti qui, intorno a te. Grace piange, non riesce a trattenere le
lacrime
e Wayne la sorregge, anche lui è ancora sconvolto. Persino
Cho ha abbandonato
la sua usuale maschera di imperturbabilità ed ora
è preoccupato, come tutti del
resto.
Io
sono qui, accanto a te e
ti guardo mentre lentamente il tuo cuore riprende un ritmo normale, ma
non
riesco a vedere i tuoi occhi, i tuoi bellissimi ed oscuri occhi,
aprirsi e
rivolgersi ancora a me, con quello sguardo scrutatore che ti appartiene
e ti
caratterizza.
Nel
frattempo prego.
Prego
per me, ma soprattutto
per te.
Invoco
tutte le divinità
esistenti in questo mondo affinché tu rimanga qui, rimanga con me.
So
che tu non credi in niente
ed in nessuno, l’unica cosa su cui fai affidamento
è te stesso, ma ti prego, ti
scongiuro, lasciami almeno la mutua speranza di credere di poterti
essere in
qualche modo di aiuto attraverso i miei taciti voti in questa tua
personale
lotta.
Lascia
che ti aiuti, lascia che
mi prenda cura di te.
Ed
ora, non so come, sono
qui, in questa asettica sala d’attesa dell’ospedale
in cui ti hanno ricoverato
in terapia intensiva qualche ora fa.
È
tutto così spoglio,
innaturale, inumano.
Ora
capisco perché non ti
piacciono gli ospedali, neanche a me sono mai piaciuti. Arriva un
medico, alto,
brizzolato, con la carnagione abbronzata che contrasta con il bianco
ottico del
camice medico, spezzato solo dal pallido blu di un sottile stetoscopio
che gli
circonda il collo. Lo fermo e gli chiedo tue notizie. Mi dice che ora
stai
meglio, che la mancanza prolungata di ossigeno ti ha quasi ucciso, che
sei in
condizioni ancora non del tutto stabili ma che ci sono buone
possibilità che tu
ti possa svegliare presto. Saresti morto senza un soccorso
così tempestivo,
conclude.
Lo
vedo muovere la bocca
ancora e ancora, ma non presto la minima attenzione a quello che dice.
Che
importanza potrebbero
avere le sue parole infondo?
Morto. Saresti
potuto essere morto.
Non
poter più scorgere il
mare tempestoso dei tuoi occhi, l’oro ribelle dei tuoi
capelli; non poter più
osservare da spettatrice divertita e complice le tue stravaganti
imprese da
indovino da strapazzo. Non potermi più confrontare con la
profondità dei tuoi
pensieri, o non potermi più affacciare nel baratro di odio e
malinconia che
incombe su di te.
Non
riesco ad immaginare un
inferno peggiore di questo.
Ore,
minuti, secondi, ma
anche settimane, mesi, anni.
Lo
scorrere del tempo non è
nulla in confronto al rischio di perderti che ora più che
mai si materializza
dinnanzi a me.
Non
ho idea di quanto tempo
sia passato prima che qualcuno mi si avvicini e mi dica che sei
sveglio, che
stai bene, che sei vivo.
Mi
precipito nel corridoio
alla ricerca del numero della porta che mi separa da te e, quando
finalmente la
trovo, mi blocco. L’emozione che provo in questo istante
è talmente potente ed
impetuosa che non riesco nemmeno a definirla, ma mi faccio coraggio e
giro
quella piccola maniglia.
Ti
vedo, lì nel letto,
immobile come è inusuale vederti, che mi osservi con quei
tuoi occhi curiosi da
bambino che si lancia alla scoperta di un mondo nuovo e fantastico. Mi
avvicino
lentamente mentre continui a scrutarmi come fosse la prima volta che mi
vedi e
ti chiedo come stai. Mi rispondi che stai bene e pronunci altre parole
cui
significato non arriva alle mie orecchie così concentrate
nell’assaporare la
tua voce.
La
tua voce. Quanto mi è
mancata.
Ritorno
faticosamente alla
realtà appena in tempo per ascoltare delle parole che mi
sconvolgono.
Non
sai chi sono, non mi riconosci.
All’inizio
penso che tu stia
scherzando, che mi stia prendendo in giro come sei solito fare.
Ma
non è così, non lo è
affatto.
Esco
intimorita e confusa
dalla tua stanza.
Sto
scappando. Io sto scappando da te.
Ma
questa situazione non è
reale, non può esserlo, non deve.
Poco
dopo, la conferma dei
miei timori arriva: è amnesia, un’amnesia parziale
e passeggera la cui
guarigione non può essere prevista in quanto la prognosi
cambia da soggetto a
soggetto. Potrebbero volerci delle ore, come anche dei mesi o degli
anni.
Nessuno è in grado di darmi le risposte che cerco, nessuno
è in grado di aiutarmi.
Mi
consigliano di farti
tornare al lavoro, di riportarti in un ambiente familiare che potrebbe
rievocare in te delle sensazioni conosciute e così stimolare
la tua memoria.
Accetto. Farei qualsiasi cosa per mettere fine a questa agonia.
E
intanto tu sei così
diverso.
Nei
tuoi occhi, dove un tempo
riuscivo a scorgere la tua perenne malinconia, i sensi di colpa ed il
rancore,
ora non c’è nulla.
Sei
vuoto.
Sei
ritornato ad essere
quello che eri, un finto sensitivo truffatore che ci prova con tutte e
che non
conosce il dolore, il tormento che dilania la tua anima.
E
così, quella parte di te
che con tanta fatica sei riuscito a rinchiudere nella più
angusta e nascosta
stanza del tuo animo, alla fine ha preso il controllo, ti ha
soggiogato. Ancora
non riesco a pensare che lo scherzoso e irriverente individuo che ho
davanti
possa essere tu, davvero tu.
Eri
una persona così diversa,
così frivola prima di conoscere tua moglie. È
stata lei a renderti così come
sei? Se è così, sappi che hai ragione, era
davvero una donna meravigliosa.
Io
però ancora non riesco,
non posso associare te a questa specie di mago che ipnotizza le persone
per
spillargli un po’ di soldi.
Non
siete la stessa persona, non potete esserlo.
Mi
manchi, lo sai? Non credo
di avertelo mai detto, eppure adesso è così.
Mi
manca la tua tristezza, il
tuo rancore e la tua ossessione per Red John. Mi manca tutto di te e
non posso
fare a meno di sentirmi una grande egoista.
Tu
adesso sei qui, sei vivo,
e sei felice.
Felice
come credo tu non sia
mai stato e libero finalmente da quel passato che ti imprigiona e che
ti
opprime. Dovrei essere contenta per te, eppure non riesco ad esserlo.
Dimmi
cosa devo fare, ti
prego.
Devo
ricordarti chi sei
oppure lasciare che tu sia felice e libero di ricostruirti una nuova
vita
lontano da lui e lontano da me? Lontano da tutto ciò che ti
lega al tuo passato
fatto di odio, vendetta e sofferenza? Ti prego, dammi un consiglio,
perché non
credo di riuscire a farcela da sola.
Dopo
ore, finalmente, credo
di aver deciso. Spero di aver fatto la scelta giusta, e che non mi
odierai a
vita per il gesto che sto per compiere. Comunque vada, voglio che tu
sappia che
l’ho fatto per te.
Ti
chiamo e ti do
appuntamento nel parcheggio, di fronte alla mia macchina. Ti vedo, stai
sorridendo,
mi godo il momento perché so che non rivedrò mai
più quel sorriso. Saliamo in
silenzio, non mi chiedi dove stiamo andando, stai zitto e basta, forse
dentro
di te sai già qual è la nostra meta. Dopo qualche
ora arriviamo di fronte ad
una casa immersa nel buio della notte e circondata da fitti arbusti
troppo
cresciuti che circondano il perimetro.
Entro
in silenzio.
Erano
otto anni che non
mettevo piede in quella magnifica villa, eppure è tutto come
lo ricordavo,
tranne che per l’assenza dei mobili e il fitto strato di
polvere che ricopre
ogni cosa.
Saliamo
le scale e mi dici
che la casa è molto bella, che ti piace.
È
tua, ti rispondo, ma non
sei molto convinto.
Arriviamo
sul secondo livello
e mi fermo a pochi metri dalla porta in fondo al corridoio.
Quella porta.
Sei
dietro di me, ma dopo
poco ti vedo avanzare nel buio fino a raggiungere la maniglia. La
sfiori e ti
giri lentamente verso di me, guardandomi negli occhi con i tuoi dove
non c’è
più alcuna traccia di allegria.
Forse
hai già capito, forse
lo sai già, ma mi rivolgi comunque una muta preghiera
affinché io ti fermi.
Ma
io non posso farlo, lo
sai.
Ti
volti ancora e giri piano
il pomello fino a socchiudere l’uscio. Dentro, la stanza
è avvolta
nell’oscurità. Fai un piccolo passo incerto, poi
un altro, ed un altro ancora.
L’unica cosa che riesco a sussurrare prima che tu sparisca ai
miei occhi
avvolto nell’oscurità è un timido:
-
Mi dispiace.
E,
ancora una volta, ti
chiedo di perdonarmi Patrick.
Perché non è vero, non lo è affatto.
Mio piccolo spazietto:
Devo dirvi la verità, questo episodio mi ha sempre fatto riflettere molto.
Ho sempre cercato di immaginare come si possa essere sentita Lisbon nello scoprire che del Patrick che conosceva, ormai, non era rimasto più niente mentre la sua vecchia personalità aveva preso il sopravvento.
E, soprattutto, cosa l'abbia davvero spinta a far ritornare Jane alla sua vecchia vita, fatta solo di vendetta e rancore, per evitare che potesse essere, per una volta, felice in un certo senso.
Spero solo di essemi avvicinata un pochino all'idea che tutti voi vi siete fatti.
Grazie mille in anticipo e un bacio,
Fairy_tale ;*