Questa
storia rappresenta un po’ una scommessa fatta con me stessa: le storie con
attori il più delle volte non godono di grande considerazione e vengono
liquidate come sfoghi di adolescenti in fase di tempesta ormonale. Ma se ci
pensiamo bene, dalle tempeste ormonali di due derelitte che sognano un incontro
ravvicinato con il loro divo preferito, Federico Fellini e Woody Allen hanno
ricavato due capolavori della storia del cinema, “Lo Sceicco Bianco” e “La Rosa
Purpurea del Cairo”…
Qui le derelitte sono quattro
e il divo rompicuori il solito Russell Crowe, manco a dirlo. Un’ultima cosa:
della scorbutica star tutti conoscono il bell’aspetto, il grande talento e
l’infernale caratteraccio. Non tutti invece sanno che adora letteralmente
qualsiasi bestiola e che è il felice proprietario di un centinaio di mucche di
cui, quando può, si occupa personalmente e sono, stando a quel che dice,
destinate a morire di morte naturale. Lo dico perché è un particolare
importante nello sviluppo della storia. Buon divertimento.
LA SCAMPAGNATA
Quanto tempo era passato, dacché andare a mangiarsi il panino e l’uovo sodo sedute su un prato invece che a tavola, lontane dalla vigilanza occhiuta di babbo e mamma, qualche volta anche di nonni e zie, aveva avuto il sapore della trasgressione?
Adesso era diventato una noia, resa oltretutto
inutile dal vivere nella stessa piccola città e dal non aver mai smesso di
frequentarsi, ma il panino e l’uovo sodo mangiati sedute sul praticello stento poco lontano dal paese, con mariti,
fidanzati, compagni ed eventuali figli
fuori dai piedi erano come la Messa nelle feste comandate: un obbligo al quale
non ci si poteva sottrarre se non a prezzo di un robusto raffreddore con
contorno di febbrone, visto che nemmeno il mal di testa e i dolori mestruali
costituivano giustificazioni accettabili. Ben lo sapevano Lidia, Graziella,
Anna e Gabri che, come al solito, si erano date appuntamento al solito posto e
secondo le solite direttive, io porto la macchina, tu pensi alle bibite, tu ai
panini…La grana della torta pasqualina
toccava immancabilmente a Lidia, che vantava origini genovesi. Questo malgrado
la poveretta avesse dato ampia
dimostrazione di essere una frana in cucina: ormai da anni, le torte pasqualine
che sortivano dal suo forno erano alte mezzo centimetro e degne di nota solo
per la sfoglia bruciacchiata e il ripieno crudo, ma si sa, certe tradizioni
son dure a morire.
“Venisse giù il
Diluvio Universale!” Gabri lo pensava sempre non appena, sollevata la
cornetta del telefono, sentiva la voce di Anna
ingiungere perentoria “Ci vediamo domattina alle sette al distributore
dell’Agip.” Accidenti! Nei giorni in cui si recava al lavoro, usciva da casa
molto più tardi! Il lavoro, già. Docente di Matematica e Fisica presso
l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “Louis Pasteur”,
trascorreva le sue mattinate spezzando, dinanzi a una ventina di somari, il
pane della scienza che i manigoldi provvedevano immediatamente a imbottire col
salame dell’ignoranza e la fontina della maleducazione. Le vacanze erano una
gran cosa. Perché sprecarle malamente consumando uno squallido pranzo al sacco
che litri di minerale non erano mai sufficienti a mandar giù, scomodamente
sedute su uno stento praticello invaso
da formiche d’ogni dimensione? Come avrebbe preferito trascorrere il fatale
lunedì di Pasquetta stravaccata sulla sua poltrona prediletta a godersi per
l’ennesima volta il DVD di “A Beautiful mind”... Se le piaceva, quel film! E
non solo perché a interpretarlo era il suo attore preferito, ma anche perché
raccontava la triste storia vera di un docente di matematica che impazzisce.
Quanto avrebbe resistito, lei, senza dar fuori di testa? Si domandò aprendo e
imbottendo di affettato l’ennesimo panino. Quelli toccavano a lei,
immancabilmente. I panini veri, oltre al pane della scienza imbottito col
salame della maleducazione e dell’ignoranza. Digrignò i denti, e si domandò se
era stato solo per caso che la scuola dove insegnava fosse stata intitolata
allo scopritore del vaccino contro la rabbia. Quella dei cani, però, non dei professori. E perché
accidenti, il giorno di Pasquetta, non
pioveva MAI?
Graziella era quella che metteva le bibite. Forse
perché suo marito era nel ramo: rappresentante della Coca Cola e affini. Un
buon lavoro, ottimamente retribuito, ma che lo costringeva giorni e giorni
lontano da casa. Del gruppo, era lei l’unica sposata, visto che Gabri vantava
da cinque anni un ex coniuge mai rimpiazzato, Lidia aveva una relazione con un
tizio che non si poteva definire compagno, siccome i due non convivevano, né
tantomeno marito, dato che il loro legame non era stato sancito solennemente di
fronte a un prete o a un assessore, ma neanche fidanzato, dal momento che di far le cose sul serio, benché il
tiremmolla andasse avanti da quasi vent’anni, il malnato non aveva intenzione
alcuna e nemmeno amico, considerato che gli amici di solito non vanno a letto
insieme; e in quanto ad Anna, beh…Anna, che malgrado i quaranta suonati
continuava a conciarsi come una ragazzina, con chiome sciolte stile Maddalena
pentita, minigonne inguinali e ombelico al vento alla faccia della pancetta e
della cellulite, quando ne aveva voglia, andava in un pub o in una discoteca a
cercarsi un ragazzotto di bocca buona e scarse finanze…Lei era l’unica sposata,
eh già. L’unica dignitosamente sistemata con un individuo che,ad onta degli
occhiali spessi così, della pelata e della sagoma degna del Gabibbo la riempiva
di corna. E che se ne infischiava dell’educazione del loro unico virgulto, una sedicenne svampita che a scuola non
combinava niente e la cui esclusiva aspirazione era quella di diventare una Velina di successo e accalappiare un
fidanzato calciatore.
Quando non ne poteva più, la poveretta si incollava
a Internet e andava a caccia di siti dedicati a Russell Crowe. Quello sì che
era un uomo. Magari le sue donne le aveva riempite di corna lui pure, come
testimoniavano i pettegolezzi di cui era fatto oggetto: ma vuoi mettere la
classe?
Lidia estrasse dal forno l’ennesima pasqualina della
serie: non era diversa dalle altre, vale a dire un obbrobrio bruciato fuori e
crudo dentro, ma le amiche l’avrebbero stoicamente mandata giù intera con un
sorso d’acqua come un Optalidon o masticata per ore come la Gomma del Ponte,
sedute sul praticello infestato di formiche, perché quella era ormai la prassi,
collaudata da anni.
La sua esistenza, scandita da un dignitoso impiego
alle Poste e da una storia d’amore che
non andava da nessuna parte, pensò, non era molto diversa da quella miseranda
pasqualina bitorzoluta come un rospo, inghiottita ogni anno alla scampagnata
con litri di Ferrarelle perché andasse giù senza che si sentisse il sapore di
uovo crudo e pasta bruciacchiata. Lei amava lui, lui amava lei…Ma non si
decideva a fare il primo passo o a dirle vai al diavolo una volta per
tutte. Chissà, forse Gianfelice detto
Gianfi non se la sentiva di lasciare mammà e il cane per trasferirsi a casa
sua…Il cane, già. Lidia dei cani aveva un terrore sacrosanto, inculcatole con
ogni probabilità da una madre ossessionata dai microbi e proditoriamente
convinta che gli animali fossero i veicoli privilegiati di terrificanti malattie. Da parte sua,
aveva tentato di superare le sue paure, ma non c’era riuscita. E lui stravedeva
per il suo pastore tedesco. Giustamente.
La TV accesa trasmetteva un trailer del Gladiatore. La scena in cui il gran figaccione si rotolava nell’arena
del Colosseo abbrancicato a una tigre del Bengala. Tempo prima, aveva letto su
un rotocalco pettegolo scartabellato dal dentista che Russell Crowe adorava gli
animali, viveva in un ranch intasato di mucche ed era talmente affezionato ad
un suo grosso cagnaccio che aveva paura dei tuoni da permettergli, nelle notti
di temporale, di dormire nel suo letto. Sembrava addirittura che la bestiaccia
la fosse diretta responsabile della rottura tra lui e la zuccherosa Meg Ryan…
Ma probabilmente quelli erano solo pettegolezzi. Certo era che, con un uomo del
genere al suo fianco, la paura dei cani le sarebbe passata. D’incanto.
Anna era quella che metteva la macchina, visto che
l’antidiluviana Cinquecento di Lidia e la microscopica Smart di Gabri (
Graziella non aveva neppure la patente) erano meno adatte allo scopo della sua
Panda 4X4 di seconda mano. Il che la liberava dall’incombenza di dover
spignattare in cucina. Ergo, le lasciava il tempo di dedicarsi, anche la
sera di Pasqua, a quella che era
diventata la sua ossessione: calcolare al centesimo il costo delle operazioni
di chirurgia estetica di cui riteneva d’aver bisogno per togliersi di dosso
qualche cuscinetto, qualche rughetta e
qualche annetto di troppo. Quanti euro avrebbe dovuto mettere in conto per una
liposuzione che le riducesse cosce e culo e per un lifting che le cancellasse
le zampe di gallina? Parecchi, per il suo modesto stipendio di assistente
presso uno studio dentistico. Ma visto che aveva qualche risparmio messo da
parte e il terrore degli anni che incalzavano, la spesa si poteva anche
affrontare, con qualche sacrificio, magari accendendo un mutuo…A meno che
non avessero accettato la sua
proposta di farsi operare gratis in
diretta tv dal fidanzato di Nancy Brilli con commento dell’ex Presidente della
Camera e del più famoso travestito d’Italia, ma non è che ci sperasse poi
molto, non potendo contare su conoscenze influenti e raccomandazioni di vaglia.
L’occhio andò distratto al televisore acceso.
Un’emittente locale trasmetteva un vecchio film con Russell Crowe, risalente a
quando costui non era ancora il Gladiatore ma soltanto un delizioso ragazzone
un po’ tamarro dai grandi occhi angelici e dai bicipiti torniti. Erano secoli
che, nei suoi vagabondaggi per pub e discoteche, Anna andava alla caccia di un
esemplare umano che gli somigliasse. Mai capitato. Ma siccome, per la legge dei
grandi numeri, sapeva che l’incontro fatale prima o poi sarebbe avvenuto, temendo
che la preda potesse darsela a gambe di fronte a una patetica e vogliosa
carampana con il culo cascante, materassi di cellulite sulle cosce e valige
Samsonite sotto gli occhi, come sarebbe stato bello finire prima possibile
affettata a dovere dal magico bisturi del professor Roy de Vita!
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E’ tardi. Si disse Gabri spegnendo con qualche
rammarico il lettore DVD. Domani bisognerà alzarsi di buon’ora…Si lavò i denti,
fece un bel bagno ristoratore, indossò la giacca di seta del pigiama appartenuto
al suo mai rimpianto ex e s’infilò sotto le lenzuola. La lettura imposta dal
Preside dei nuovi programmi della Riforma Moratti la precipitò quasi subito nel
sonno. E sognò.
Nel laboratorio di analisi matematica della
prestigiosa Università di Princeton, lei era intenta a risolvere
complicatissimi calcoli, quando un bel giovanotto biondiccio, dal torace
possente e dai grandi occhi azzurri le si avvicinò. Era il famoso professor
John Forbes Nash e la degnava della sua attenzione! Per un po’, i due discussero
di equazioni, calcolo delle probabilità e algoritmi, parentesi tonde quadre e
graffe, radici cubiche e quadrate quindi lui le sussurrò nell’orecchio qualcosa
a proposito di sesso e scambio di fluidi corporei che la fece arrossire come un
pomodoro sammarzano andato a male. Ma invece di prenderlo a schiaffi come
succedeva nel film, decise che era giunto per entrambi il momento di smetterla
di dare i numeri e finì con lui a rotolarsi sul tappeto per poi terminare sotto
la scrivania. E per pensare, a faccenda conclusa, mentre si alzava e si
sistemava i vestiti, che per essere un eminente matematico e per giunta mezzo
squinternato, aveva più fantasia di un artista, il buon Nash!
E’ tardi, si disse Graziella staccandosi a
malincuore dal portatile. Domani bisognerà alzarsi di buon’ora…Si lavò i denti,
fece un bel bagno ristoratore, indossò la camicia da notte di cotonina e
s’infilò sotto le lenzuola, a fianco del simil-Gabibbo che russava come Koda
Fratello Orso, emettendo a intermittenza dal didietro puzze ora silenti ora
rumorose ma sempre degne di nota per l’odore pestilenziale. Pensò come fosse
possibile che esistessero al mondo altre donne, oltre a lei che aveva finito
col farci l’abitudine, disposte a sopportare una cosa simile. Eppure
esistevano, considerato il fatto che anche se lui non sapeva che lei sapeva,
aveva raccolto prove sufficienti da avere la certezza di essere cornuta. Ma era
rassegnata. E quella certezza le conciliò il sonno.
Sognò di rotolarsi sul letto abbracciata ad un
bell’uomo robusto e muscoloso, che aveva occhi azzurri, guance ruvide di barba
e lunghi riccioli chiari. E che riusciva a farla godere come una pazza,
malgrado lei si fosse sempre considerata frigida e altrettanto pensasse il suo
amatissimo consorte. Il ronzio discreto di una telecamera nascosta indicava che
la scena rovente veniva filmata con tanto di luci e sonoro. Ma solo lei sapeva
che, poi, la videocassetta sarebbe stata recapitata al simil-Gabibbo. Con tanti
auguri di buon divertimento.
E’ tardi, si disse Lidia asciugandosi col dorso
della mano una furtiva lacrima. Domani bisognerà alzarsi di buon’ora…Si lavò i
denti, fece un bel bagno ristoratore, indossò il suo vezzoso pigiamino di
jersey e s’infilò sotto le lenzuola. La
sua storia con Gianfi era giunta al capolinea, lui glielo aveva fatto sapere
poche ore prima in maniera piuttosto brutale, con una laconica telefonata. Tra
lei e il pastore tedesco, aveva scelto quest’ultimo. E questo la faceva sentire
sbagliata come una fetta di gorgonzola esposta nella vetrina di Cartier.
Maledicendo se stessa per non essere riuscita a vincere la paura che gli
animali le incutevano da sempre, e un po’ anche la buonanima di sua madre che
tali paure le aveva inculcato fin dalla più tenera età, buttò giù una compressa
di Xanax perché l’aiutasse a dormire. Si addormentò. E sognò.
Si trovava nel bel mezzo di un idilliaco prato
fiorito e tutt’intorno gli uccellini cinguettavano. Sonori latrati e uno
scalpiccio di zoccoli che sempre più si avvicinavano la misero sul chi vive.
Quando alzò gli occhi, vide incombere su di lei in sella a un cavallo bianco
uno splendido uomo dai riccioli corti e la barba curata che incorniciava un
viso abbronzato dai tratti regolari, su cui spiccavano due occhi azzurri come
il cielo e un sorriso da pubblicità del dentifricio. Indossava solo qualcosa di
simile a un paio di brache di foggia barbarica strette in vita da un cinturone
borchiato e, contemplando il suo scultoreo torace, Lidia dimenticò i cani,
ancor più grossi e inquietanti del lupone di Gianfi che trotterellavano a
fianco del cavallo con aria circospetta. Con un agile balzo, quel popò di
Principe Azzurro smontò di sella, le si avvicinò, la prese per mano e la invitò
ad accarezzare i cani, cosa che fece con assoluta naturalezza e tranquillità.
Si chiamano Bellator e Puella. Le disse. E lei, rivangando le reminescenze del
latino studiato al liceo, ricordò che i due nomi significavano Guerriero e
Fanciulla. Non protestò quando i due simpatici bestioni si misero a slinguazzarle le mani e la
faccia né, men che meno, quando lui se la caricò in sella dirigendosi quindi
alla volta di un non lontano fienile. Perché era sicura che se la sarebbe
spassata: alla faccia di Gianfi.
E’ tardi, si disse Anna spegnendo il televisore. Su
Teleblù ,”Heaven’s burning”era appena terminato e l’ipotetico preventivo per
liposuzione e blefaroplastica a cui stava lavorando tutto il giorno le aveva
fatto venire mal di testa. Domani bisognerà alzarsi di buon’ora… Si lavò i
denti, fece un bel bagno ristoratore, indossò il suo babydoll trasparente
taglia 50 e s’infilò sotto le lenzuola. Si addormentò subito. E sognò.
Fasciata dalla vita in giù come la mummia di Tut-An
Khamon, giaceva stesa su un lettino in una stanza singola della lussuosa
clinica privata Villa Salus. Quattro giorni prima, era stata sottoposta
all’intervento di liposcultura e adesso attendeva l’ultima visita di controllo
prima di essere dimessa, completamente rifatta a nuovo.
Una sagoma indistinta comparve sulla porta, e Anna
immaginò più che notare i capelli arruffati, la barba incolta e lo sguardo
sornione del professor De Vita. Salvo rendersi conto che non si trattava del
luminare. Come va, le chiese con il suo vocione vellutato. E lei spalancò tanto
d’occhi sul viso d’angelo e il corpo da scaricatore di porto che ossessionava
da secoli i suoi sogni. Lui le tolse le bende, dopodiché…E, pur continuando a
dormire, Anna si augurò di cuore che quello fosse un sogno profetico.
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Stanotte ho fatto un sogno strano. Anch’io. Anch’io.
E io pure.Un sogno bello. Avevano detto tutte e quattro, tra un boccone di
pasqualina e un sorso di minerale. E
Lidia, a cui le tristi vicissitudini sentimentali non avevano spento l’ingenua
fiducia nel futuro, aveva sentenziato “Speriamo che si avveri”, mentre le altre
assentivano con la bocca piena e le formiche che gli passeggiavano sulle gambe.
La giornata era tiepida e bella. Gli uccellini
cantavano e, nel cielo, le rondini sfrecciavano come Tornado a caccia di moscerini. Tutto si sarebbe risolto
secondo il solito se da dietro la collinetta non fosse spuntata LEI. Incedendo
sulle zampe esili e ruminando, si andò a piazzare proprio davanti a loro.
Lidia, malgrado fosse sempre stata terrorizzata da ogni creatura che camminasse
su quattro zampe, cercò di attirare la sua attenzione con un psss psss come se
stesse chiamando un gatto. E Anna, che in circostanze normali non distingueva
un pastore tedesco da un bassotto e figurarsi se conosceva le razze bovine,
sentenziò che doveva sicuramente trattarsi di un’Angus. Le altre approvarono
con un solenne cenno del capo, mentre la placida creatura, sollevata la coda,
depositò proprio davanti a loro una fumante bovazza che denotava un’inquietante
rassomiglianza con la pasqualina appena trangugiata.
La mucca contemplava le quattro derelitte con occhi
bovini, il che era perfettamente comprensibile, considerata la categoria
zoologica di appartenenza. Quel che non trovava giustificazione alcuna era che
anche loro quattro contemplassero l’animale con occhi bovini. Anzi, visto che
prima o poi i sogni si avverano, era la collinetta che contemplavano. Erano
certe che, prima o poi, da lì dietro sarebbe spuntato il bovaro. QUEL BOVARO.
Lalla
25 marzo 2004