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Autore: lalla    22/06/2004    10 recensioni
Il divo, le mucche e quattro donne sull'orlo di una crisi di nervi.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA SCAMPAGNATA

 

Questa storia rappresenta un po’ una scommessa fatta con me stessa: le storie con attori il più delle volte non godono di grande considerazione e vengono liquidate come sfoghi di adolescenti in fase di tempesta ormonale. Ma se ci pensiamo bene, dalle tempeste ormonali di due derelitte che sognano un incontro ravvicinato con il loro divo preferito, Federico Fellini e Woody Allen hanno ricavato due capolavori della storia del cinema, “Lo Sceicco Bianco” e “La Rosa Purpurea del Cairo”…

Qui le derelitte sono quattro e il divo rompicuori il solito Russell Crowe, manco a dirlo. Un’ultima cosa: della scorbutica star tutti conoscono il bell’aspetto, il grande talento e l’infernale caratteraccio. Non tutti invece sanno che adora letteralmente qualsiasi bestiola e che è il felice proprietario di un centinaio di mucche di cui, quando può, si occupa personalmente e sono, stando a quel che dice, destinate a morire di morte naturale. Lo dico perché è un particolare importante nello sviluppo della storia. Buon divertimento.

 

 

 

LA SCAMPAGNATA

 

Quanto tempo era passato, dacché andare a mangiarsi il panino e l’uovo sodo sedute su un prato invece che a tavola, lontane dalla vigilanza occhiuta di babbo e mamma, qualche volta anche di nonni e zie, aveva avuto il sapore della trasgressione?

 

Adesso era diventato una noia, resa oltretutto inutile dal vivere nella stessa piccola città e dal non aver mai smesso di frequentarsi, ma il panino e l’uovo sodo mangiati sedute sul praticello  stento poco lontano dal paese, con mariti, fidanzati,  compagni ed eventuali figli fuori dai piedi erano come la Messa nelle feste comandate: un obbligo al quale non ci si poteva sottrarre se non a prezzo di un robusto raffreddore con contorno di febbrone, visto che nemmeno il mal di testa e i dolori mestruali costituivano giustificazioni accettabili. Ben lo sapevano Lidia, Graziella, Anna e Gabri che, come al solito, si erano date appuntamento al solito posto e secondo le solite direttive, io porto la macchina, tu pensi alle bibite, tu ai panini…La  grana della torta pasqualina toccava immancabilmente a Lidia, che vantava origini genovesi. Questo malgrado la poveretta  avesse dato ampia dimostrazione di essere una frana in cucina: ormai da anni, le torte pasqualine che sortivano dal suo forno erano alte mezzo centimetro e degne di nota solo per la sfoglia bruciacchiata e il ripieno crudo, ma si sa, certe tradizioni son  dure a morire.

 

“Venisse giù il  Diluvio Universale!” Gabri lo pensava sempre non appena, sollevata la cornetta del telefono, sentiva la voce di Anna  ingiungere perentoria “Ci vediamo domattina alle sette al distributore dell’Agip.” Accidenti! Nei giorni in cui si recava al lavoro, usciva da casa molto più tardi! Il lavoro, già. Docente di Matematica e Fisica presso l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “Louis Pasteur”, trascorreva le sue mattinate spezzando, dinanzi a una ventina di somari, il pane della scienza che i manigoldi provvedevano immediatamente a imbottire col salame dell’ignoranza e la fontina della maleducazione. Le vacanze erano una gran cosa. Perché sprecarle malamente consumando uno squallido pranzo al sacco che litri di minerale non erano mai sufficienti a mandar giù, scomodamente sedute su uno stento praticello  invaso da formiche d’ogni dimensione? Come avrebbe preferito trascorrere il fatale lunedì di Pasquetta stravaccata sulla sua poltrona prediletta a godersi per l’ennesima volta il DVD di “A Beautiful mind”... Se le piaceva, quel film! E non solo perché a interpretarlo era il suo attore preferito, ma anche perché raccontava la triste storia vera di un docente di matematica che impazzisce. Quanto avrebbe resistito, lei, senza dar fuori di testa? Si domandò aprendo e imbottendo di affettato l’ennesimo panino. Quelli toccavano a lei, immancabilmente. I panini veri, oltre al pane della scienza imbottito col salame della maleducazione e dell’ignoranza. Digrignò i denti, e si domandò se era stato solo per caso che la scuola dove insegnava fosse stata intitolata allo scopritore del vaccino contro la rabbia. Quella dei  cani, però, non dei professori. E perché accidenti, il giorno di  Pasquetta, non pioveva MAI?

 

Graziella era quella che metteva le bibite. Forse perché suo marito era nel ramo: rappresentante della Coca Cola e affini. Un buon lavoro, ottimamente retribuito, ma che lo costringeva giorni e giorni lontano da casa. Del gruppo, era lei l’unica sposata, visto che Gabri vantava da cinque anni un ex coniuge mai rimpiazzato, Lidia aveva una relazione con un tizio che non si poteva definire compagno, siccome i due non convivevano, né tantomeno marito, dato che il loro legame non era stato sancito solennemente di fronte a un prete o a un assessore, ma neanche fidanzato, dal momento  che di far le cose sul serio, benché il tiremmolla andasse avanti da quasi vent’anni, il malnato non aveva intenzione alcuna e nemmeno amico, considerato che gli amici di solito non vanno a letto insieme; e in quanto ad Anna, beh…Anna, che malgrado i quaranta suonati continuava a conciarsi come una ragazzina, con chiome sciolte stile Maddalena pentita, minigonne inguinali e ombelico al vento alla faccia della pancetta e della cellulite, quando ne aveva voglia, andava in un pub o in una discoteca a cercarsi un ragazzotto di bocca buona e scarse finanze…Lei era l’unica sposata, eh già. L’unica dignitosamente sistemata con un individuo che,ad onta degli occhiali spessi così, della pelata e della sagoma degna del Gabibbo la riempiva di corna. E che se ne infischiava dell’educazione del loro unico virgulto, una  sedicenne svampita che a scuola non combinava niente e la cui esclusiva aspirazione  era quella di diventare una Velina di successo e accalappiare un fidanzato calciatore.

Quando non ne poteva più, la poveretta si incollava a Internet e andava a caccia di siti dedicati a Russell Crowe. Quello sì che era un uomo. Magari le sue donne le aveva riempite di corna lui pure, come testimoniavano i pettegolezzi di cui era fatto oggetto: ma vuoi mettere la classe?

 

Lidia estrasse dal forno l’ennesima pasqualina della serie: non era diversa dalle altre, vale a dire un obbrobrio bruciato fuori e crudo dentro, ma le amiche l’avrebbero stoicamente mandata giù intera con un sorso d’acqua come un Optalidon o masticata per ore come la Gomma del Ponte, sedute sul praticello infestato di formiche, perché quella era ormai la prassi, collaudata da anni.

La sua esistenza, scandita da un dignitoso impiego alle Poste e da una storia d’amore  che non andava da nessuna parte, pensò, non era molto diversa da quella miseranda pasqualina bitorzoluta come un rospo, inghiottita ogni anno alla scampagnata con litri di Ferrarelle perché andasse giù senza che si sentisse il sapore di uovo crudo e pasta bruciacchiata. Lei amava lui, lui amava lei…Ma non si decideva a fare il primo passo o a dirle vai al diavolo una volta per tutte.  Chissà, forse Gianfelice detto Gianfi non se la sentiva di lasciare mammà e il cane per trasferirsi a casa sua…Il cane, già. Lidia dei cani aveva un terrore sacrosanto, inculcatole con ogni probabilità da una madre ossessionata dai microbi e proditoriamente convinta che gli animali fossero i veicoli privilegiati  di terrificanti malattie. Da parte sua, aveva tentato di superare le sue paure, ma non c’era riuscita. E lui stravedeva per il suo pastore tedesco. Giustamente.

La TV accesa trasmetteva un trailer del  Gladiatore. La scena in cui  il gran figaccione si rotolava nell’arena del Colosseo abbrancicato a una tigre del Bengala. Tempo prima, aveva letto su un rotocalco pettegolo scartabellato dal dentista che Russell Crowe adorava gli animali, viveva in un ranch intasato di mucche ed era talmente affezionato ad un suo grosso cagnaccio che aveva paura dei tuoni da permettergli, nelle notti di temporale, di dormire nel suo letto. Sembrava addirittura che la bestiaccia la fosse diretta responsabile della rottura tra lui e la zuccherosa Meg Ryan… Ma probabilmente quelli erano solo pettegolezzi. Certo era che, con un uomo del genere al suo fianco, la paura dei cani le sarebbe passata. D’incanto.

 

Anna era quella che metteva la macchina, visto che l’antidiluviana Cinquecento di Lidia e la microscopica Smart di Gabri ( Graziella non aveva neppure la patente) erano meno adatte allo scopo della sua Panda 4X4 di seconda mano. Il che la liberava dall’incombenza di dover spignattare in cucina. Ergo, le lasciava il tempo di dedicarsi, anche la sera  di Pasqua, a quella che era diventata la sua ossessione: calcolare al centesimo il costo delle operazioni di chirurgia estetica di cui riteneva d’aver bisogno per togliersi di dosso qualche  cuscinetto, qualche rughetta e qualche annetto di troppo. Quanti euro avrebbe dovuto mettere in conto per una liposuzione che le riducesse cosce e culo e per un lifting che le cancellasse le zampe di gallina? Parecchi, per il suo modesto stipendio di assistente presso uno studio dentistico. Ma visto che aveva qualche risparmio messo da parte e il terrore degli anni che incalzavano, la spesa si poteva anche affrontare, con qualche sacrificio, magari accendendo un mutuo…A meno che non  avessero accettato la sua proposta  di farsi operare gratis in diretta tv dal fidanzato di Nancy Brilli con commento dell’ex Presidente della Camera e del più famoso travestito d’Italia, ma non è che ci sperasse poi molto, non potendo contare su conoscenze influenti e raccomandazioni di vaglia.

L’occhio andò distratto al televisore acceso. Un’emittente locale trasmetteva un vecchio film con Russell Crowe, risalente a quando costui non era ancora il Gladiatore ma soltanto un delizioso ragazzone un po’ tamarro dai grandi occhi angelici e dai bicipiti torniti. Erano secoli che, nei suoi vagabondaggi per pub e discoteche, Anna andava alla caccia di un esemplare umano che gli somigliasse. Mai capitato. Ma siccome, per la legge dei grandi numeri, sapeva che l’incontro fatale prima o poi sarebbe avvenuto, temendo che la preda potesse darsela a gambe di fronte a una patetica e vogliosa carampana con il culo cascante, materassi di cellulite sulle cosce e valige Samsonite sotto gli occhi, come sarebbe stato bello finire prima possibile affettata a dovere dal magico bisturi del professor Roy de Vita!

 

°°°°°°°°°°°

 

E’ tardi. Si disse Gabri spegnendo con qualche rammarico il lettore DVD. Domani bisognerà alzarsi di buon’ora…Si lavò i denti, fece un bel bagno ristoratore, indossò la giacca di seta del pigiama appartenuto al suo mai rimpianto ex e s’infilò sotto le lenzuola. La lettura imposta dal Preside dei nuovi programmi della Riforma Moratti la precipitò quasi subito nel sonno. E sognò.

Nel laboratorio di analisi matematica della prestigiosa Università di Princeton, lei era intenta a risolvere complicatissimi calcoli, quando un bel giovanotto biondiccio, dal torace possente e dai grandi occhi azzurri le si avvicinò. Era il famoso professor John Forbes Nash e la degnava della sua attenzione! Per un po’, i due discussero di equazioni, calcolo delle probabilità e algoritmi, parentesi tonde quadre e graffe, radici cubiche e quadrate quindi lui le sussurrò nell’orecchio qualcosa a proposito di sesso e scambio di fluidi corporei che la fece arrossire come un pomodoro sammarzano andato a male. Ma invece di prenderlo a schiaffi come succedeva nel film, decise che era giunto per entrambi il momento di smetterla di dare i numeri e finì con lui a rotolarsi sul tappeto per poi terminare sotto la scrivania. E per pensare, a faccenda conclusa, mentre si alzava e si sistemava i vestiti, che per essere un eminente matematico e per giunta mezzo squinternato, aveva più fantasia di un artista, il buon Nash!

 

E’ tardi, si disse Graziella staccandosi a malincuore dal portatile. Domani bisognerà alzarsi di buon’ora…Si lavò i denti, fece un bel bagno ristoratore, indossò la camicia da notte di cotonina e s’infilò sotto le lenzuola, a fianco del simil-Gabibbo che russava come Koda Fratello Orso, emettendo a intermittenza dal didietro puzze ora silenti ora rumorose ma sempre degne di nota per l’odore pestilenziale. Pensò come fosse possibile che esistessero al mondo altre donne, oltre a lei che aveva finito col farci l’abitudine, disposte a sopportare una cosa simile. Eppure esistevano, considerato il fatto che anche se lui non sapeva che lei sapeva, aveva raccolto prove sufficienti da avere la certezza di essere cornuta. Ma era rassegnata. E quella certezza le conciliò il sonno.

Sognò di rotolarsi sul letto abbracciata ad un bell’uomo robusto e muscoloso, che aveva occhi azzurri, guance ruvide di barba e lunghi riccioli chiari. E che riusciva a farla godere come una pazza, malgrado lei si fosse sempre considerata frigida e altrettanto pensasse il suo amatissimo consorte. Il ronzio discreto di una telecamera nascosta indicava che la scena rovente veniva filmata con tanto di luci e sonoro. Ma solo lei sapeva che, poi, la videocassetta sarebbe stata recapitata al simil-Gabibbo. Con tanti auguri di buon divertimento.

 

E’ tardi, si disse Lidia asciugandosi col dorso della mano una furtiva lacrima. Domani bisognerà alzarsi di buon’ora…Si lavò i denti, fece un bel bagno ristoratore, indossò il suo vezzoso pigiamino di jersey e s’infilò sotto le lenzuola.  La sua storia con Gianfi era giunta al capolinea, lui glielo aveva fatto sapere poche ore prima in maniera piuttosto brutale, con una laconica telefonata. Tra lei e il pastore tedesco, aveva scelto quest’ultimo. E questo la faceva sentire sbagliata come una fetta di gorgonzola esposta nella vetrina di Cartier. Maledicendo se stessa per non essere riuscita a vincere la paura che gli animali le incutevano da sempre, e un po’ anche la buonanima di sua madre che tali paure le aveva inculcato fin dalla più tenera età, buttò giù una compressa di Xanax perché l’aiutasse a dormire. Si addormentò. E sognò.

Si trovava nel bel mezzo di un idilliaco prato fiorito e tutt’intorno gli uccellini cinguettavano. Sonori latrati e uno scalpiccio di zoccoli che sempre più si avvicinavano la misero sul chi vive. Quando alzò gli occhi, vide incombere su di lei in sella a un cavallo bianco uno splendido uomo dai riccioli corti e la barba curata che incorniciava un viso abbronzato dai tratti regolari, su cui spiccavano due occhi azzurri come il cielo e un sorriso da pubblicità del dentifricio. Indossava solo qualcosa di simile a un paio di brache di foggia barbarica strette in vita da un cinturone borchiato e, contemplando il suo scultoreo torace, Lidia dimenticò i cani, ancor più grossi e inquietanti del lupone di Gianfi che trotterellavano a fianco del cavallo con aria circospetta. Con un agile balzo, quel popò di Principe Azzurro smontò di sella, le si avvicinò, la prese per mano e la invitò ad accarezzare i cani, cosa che fece con assoluta naturalezza e tranquillità. Si chiamano Bellator e Puella. Le disse. E lei, rivangando le reminescenze del latino studiato al liceo, ricordò che i due nomi significavano Guerriero e Fanciulla. Non protestò quando i due simpatici bestioni  si misero a slinguazzarle le mani e la faccia né, men che meno, quando lui se la caricò in sella dirigendosi quindi alla volta di un non lontano fienile. Perché era sicura che se la sarebbe spassata: alla faccia di Gianfi.

 

E’ tardi, si disse Anna spegnendo il televisore. Su Teleblù ,”Heaven’s burning”era appena terminato e l’ipotetico preventivo per liposuzione e blefaroplastica a cui stava lavorando tutto il giorno le aveva fatto venire mal di testa. Domani bisognerà alzarsi di buon’ora… Si lavò i denti, fece un bel bagno ristoratore, indossò il suo babydoll trasparente taglia 50 e s’infilò sotto le lenzuola. Si addormentò subito. E sognò.

Fasciata dalla vita in giù come la mummia di Tut-An Khamon, giaceva stesa su un lettino in una stanza singola della lussuosa clinica privata Villa Salus. Quattro giorni prima, era stata sottoposta all’intervento di liposcultura e adesso attendeva l’ultima visita di controllo prima di essere dimessa, completamente rifatta a nuovo.

Una sagoma indistinta comparve sulla porta, e Anna immaginò più che notare i capelli arruffati, la barba incolta e lo sguardo sornione del professor De Vita. Salvo rendersi conto che non si trattava del luminare. Come va, le chiese con il suo vocione vellutato. E lei spalancò tanto d’occhi sul viso d’angelo e il corpo da scaricatore di porto che ossessionava da secoli i suoi sogni. Lui le tolse le bende, dopodiché…E, pur continuando a dormire, Anna si augurò di cuore che quello fosse un sogno profetico.

 

°°°°°°°°°°°°

Stanotte ho fatto un sogno strano. Anch’io. Anch’io. E io pure.Un sogno bello. Avevano detto tutte e quattro, tra un boccone di pasqualina e un sorso di  minerale. E Lidia, a cui le tristi vicissitudini sentimentali non avevano spento l’ingenua fiducia nel futuro, aveva sentenziato “Speriamo che si avveri”, mentre le altre assentivano con la bocca piena e le formiche che gli passeggiavano sulle gambe.

La giornata era tiepida e bella. Gli uccellini cantavano e, nel cielo, le rondini sfrecciavano  come Tornado a caccia di moscerini. Tutto si sarebbe risolto secondo il solito se da dietro la collinetta non fosse spuntata LEI. Incedendo sulle zampe esili e ruminando, si andò a piazzare proprio davanti a loro. Lidia, malgrado fosse sempre stata terrorizzata da ogni creatura che camminasse su quattro zampe, cercò di attirare la sua attenzione con un psss psss come se stesse chiamando un gatto. E Anna, che in circostanze normali non distingueva un pastore tedesco da un bassotto e figurarsi se conosceva le razze bovine, sentenziò che doveva sicuramente trattarsi di un’Angus. Le altre approvarono con un solenne cenno del capo, mentre la placida creatura, sollevata la coda, depositò proprio davanti a loro una fumante bovazza che denotava un’inquietante rassomiglianza con la pasqualina appena trangugiata.

La mucca contemplava le quattro derelitte con occhi bovini, il che era perfettamente comprensibile, considerata la categoria zoologica di appartenenza. Quel che non trovava giustificazione alcuna era che anche loro quattro contemplassero l’animale con occhi bovini. Anzi, visto che prima o poi i sogni si avverano, era la collinetta che contemplavano. Erano certe che, prima o poi, da lì dietro sarebbe spuntato il bovaro. QUEL BOVARO.

Lalla

25 marzo 2004

 

   
 
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