Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Deilantha    30/10/2012    4 recensioni
Pasi è una diciannovenne impulsiva e socievole, dal futuro incerto ma dal buon cuore, che vive una situazione di conflitto in famiglia, sentendosi sempre la pecora nera rispetto ad una sorella apparentemente perfetta. Provando un vuoto affettivo tra le mura domestiche, Pasi si circonda di amici, che reputa la sua vera unità familiare.
Emile è il suo esatto opposto: non è un tipo socievole e vive esclusivamente per la musica, sul cui argomento è terribilmente arrogante. Ma il suo modo di essere così rigido e poco aperto agli altri, nasconde un dolore che il ragazzo si porta dietro dall’infanzia, dovuto ad una madre caduta vittima della depressione quando lui era ancora in fasce.
Emile e Pasi si scontreranno la prima volta che si vedranno, ma le loro vite sono destinate ad incrociarsi e farli crescere nella reciproca conoscenza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Filrouge'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 33









Nei giorni successivi, mi misi in pari con il resto del gruppo: chiamai Rita e andai a trovare Sofia e saltai letteralmente addosso a Lucien, quando tornai in quella che era diventata la mia seconda casa. Nonostante fosse con noi da pochi mesi, ormai lo consideravo parte integrante del gruppo e mi stupii quando, rivedendolo, realizzai quanto mi fosse mancato anche lui.

Io e le distanze, proprio non andavamo d’accordo.

E questa constatazione non fece che incupirmi.

I giorni passarono in fretta e i GAUS terminarono tutte le pratiche per il lancio dell’album: Settembre era iniziato e il tour era ormai prossimo.

Emile era ogni giorno più entusiasta, più energico. Vedevo il suo sguardo accendersi di quella luce d’acciaio sempre più spesso ed ero consapevole che in cuor suo, non vedeva l’ora di partire per conquistare i palchi su cui si sarebbe esibito.

Non potevo essere infelice a causa di qualcosa che lo rendeva così elettrizzato e vivo, per cui iniziai paradossalmente, ad amare anch’io l’idea che presto sarebbe partito.

Volevo quanto lui che la sua musica fosse conosciuta e apprezzata.

Avevo la sua stessa volontà che riuscisse dove sua madre si era arresa.

E soprattutto, avevo giurato a me stessa, che sarei sempre stata un appoggio per lui.

Non potevo permettermi di odiare qualcosa che rappresentava la sua felicità, soprattutto quando vedevo il suo sguardo finalmente acceso di vita.

Anche se la sola idea di separarmi da lui, continuava a causarmi delle grosse fitte al centro del petto.

A due settimane di distanza dalla partenza del gruppo per il tour, anche la grafica della copertina e dell’intero booklet del CD erano stati completati e il prodotto finito era già in mano della band.

Il disegno di Alberto fu inserito come cover rispettando la volontà del frontman e sopra di esso, campeggiava il nome della band con il titolo del CD: Made of Steel .

All’interno, una serie di foto della band (sia al completo che dei singoli componenti), accompagnava le lyrics di dieci dei dodici brani; essendone due, puramente strumentali.

Eravamo nella sua tana nel sottoscala, quando Emile mi porse la prima copia del CD tra le mani. Appena giunta a casa sua, mi condusse direttamente nell’ambiente adiacente alla saletta e arrivando prima di me al tavolino, prese quell’oggetto prezioso dal ripiano, per poi porgermelo con un sorriso estatico.

Appena mi resi conto di cosa si trattasse, tremai per l’emozione: era tutto così professionale, così simile ai dischi che avevo lasciato in camera mia e consumato a iosa, quando vivevo con i miei genitori!

Realizzai in quel preciso istante, che il mio Pel di Carota stava per diventare un vero professionista e che entro pochi mesi, la sua musica sarebbe stata conosciuta da milioni di persone.

«Streghetta, cos’hai?»

Emile mi guardava incuriosito, mantenendo una luce di pura soddisfazione nello sguardo e quella scintilla d’acciaio che gli avevo visto sempre più spesso negli ultimi tempi, quell’acciaio che dava il nome all’album e che rappresentava tutti i colpi di martello ricevuti dalla band, per poter essere forte e indistruttibile come quel metallo.

«Non ho parole, Emile!»

«Tu, sei senza parole? La fine del mondo è proprio vicina, allora!» fece quella battuta senza perdere minimamente l’entusiasmo e quella luce vitale negli occhi.

«Non so davvero che dire, è… stupendo, meraviglioso, è come una magia… Abbiamo parlato così tanto di quest’album, ti è costato così tanta fatica… ed ora eccolo qui, così piccolo, eppure così grande… così carico di lavoro, sacrificio e speranza…»

«Wow, menomale che non sapevi cosa dire!»

«Tu non sei emozionato? Io sto tremando e non è nemmeno roba mia!»

Emile mi sorrise affettuoso: «Non sto più nella pelle, ma prima di dare sfogo alla mia soddisfazione, voglio testare l’impatto delle nostre canzoni sul pubblico. Solo allora potrò lasciarmi andare davvero all’entusiasmo.»

«Pignolo come sempre.»

«Realista semmai: è inutile farsi prendere dalle illusioni, senza aver prima avuto un riscontro con la realtà.»

«Ha ragione tuo padre, tra voi due il più vecchio sei tu.»

«Questo vecchietto però gode dei tuoi apprezzamenti, se non erro.»

«Sì… a volte.» tenni un’aria fintamente sostenuta, preparandomi al contrattacco del mio rossino, quando la mia attenzione si concentrò su qualcos’altro: «E queste?»

Sul tavolino nella stanza adiacente alla saletta, c’era una serie di fotografie di Emile e di tutta la band.

«È il resto del photoshoot che è servito per il booklet del CD. Queste sono le foto che non sono state più utilizzate, ce ne hanno dato una copia.

Essendo adattato al formato del CD, il booklet era di dimensioni ridotte e le foto della band al suo interno, non particolarmente dettagliate. Quelle sul tavolo invece, avevano delle dimensioni notevoli e potei ammirarne tutti i dettagli.

Il fotografo aveva usato un filtro grigio, che dava a tutto il servizio una luce metallica e cupa da cielo nuvoloso, ma nonostante quei toni scuri, i capelli di Emile restavano accesi come lingue di fuoco.

Tutti i membri della band avevano un’aria grave e decisa e tutto il photoshoot ricordava l’acciaio del titolo dell’album. Ognuno di loro aveva anche il suo personale primo piano, in cui risaltava la luminosità degli occhi e la fiera volontà nello sguardo.

Persino Claudio sembrava un soggetto interessante e carismatico: per un momento dimenticai persino l’odio smisurato che mi travolgeva al solo guardarlo e lo percepii come se fosse un perfetto estraneo e vidi un volto interessante, che avrebbe sicuramente attratto le fans.

Ma io lo conoscevo bene e quella sensazione durò solo per qualche istante, dopo tornò ad essere il solito arrogante, odioso, perfido e maligno vigliacco, che aveva gettato Emile nello sconforto più nero a causa del suo stupido rancore. Guardando quella foto di Claudio, gongolai pensando che nell’album successivo, quell’immagine sarebbe stata sostituita da quella di Luca. Mi sarebbe piaciuto vederlo protagonista di quel photoshoot che stringevo tra le mani: con i suoi piercing e i suoi tatuaggi, sarebbe stato perfetto, ritratto nella luce metallica e fredda di quel servizio fotografico.

Feci un silenzioso sospiro e mi diedi forza, pensando che tutti i passi fatti fino a quel momento, non facevano altro che ridurre il tempo di Claudio insieme ai GAUS. Ormai la sua carriera con loro stava percorrendo il tratto in discesa e avremmo dovuto solo stringere i denti per un po’, prima di liberarci definitivamente di lui.

Quasi come se fosse un passaggio rituale, misi alle spalle quella foto fastidiosa e mi concentrai sulle altre. Oltre ad essere ritratti singolarmente, i gemelli erano i protagonisti una foto in cui erano insieme, dandosi le spalle mentre la luce cupa illuminava il volto di uno per lasciare in ombra l’altro, come se fossero il corrispettivo musicale dello Yin e dello Yang. Era una foto di grande effetto e mi dispiacque che non fosse stata inserita nel booklet, sperai che la casa discografica, decidesse in seguito, di sfruttarla per qualche altro tipo di promozione.

Andai avanti e vidi anche la foto di Maurizio: era insieme alla sua chitarra e osservava avanti a sé, verso l’orizzonte. Aveva un’aria distante e pensierosa, molto simile a quella che aveva nella realtà.

Probabilmente se, come pensavo, i gemelli avevano avuto qualche difficoltà nel rimanere seri davanti all’obiettivo, per Maurizio sarà stato estremamente facile assumere quell’aria cupa e concentrata.

Le foto migliori le avevo conservate per ultime, per potermele godere in pieno. Il mio Emile era terribilmente fotogenico: qualsiasi fosse lo stile della foto, la sua risultava sempre una figura che comunicava con l’osservatore.

Così come osservava direttamente il pubblico quando cantava, allo stesso modo aveva uno sguardo diretto e penetrante verso l’obiettivo. Il grigio dei suoi occhi non faceva che richiamare il metallo dell’acciaio, come se lui fosse l’esatta incarnazione dello spirito che pervadeva quell’intero album.

E quando il suo viso era distante, allora era la sua figura a raccontare di sé e sopra ogni cosa, lo erano quei riccioli ribelli che sfuggivano al controllo e che catturavano l’osservatore con le sue lingue di fuoco, in mezzo a tutto quel grigio metallico.

Mi resi conto con un improvviso contrarsi del cuore, che Emile era nato per stare sul palco, era destinato a parlare alle folle, era scritto nel suo DNA che dovesse diventare un frontman. Volente o nolente, avrei dovuto dividerlo con il pubblico e uno stuolo scalmanato di fans… Perché ovunque fosse stato, ne avrebbe sicuramente avuti di fans, avrebbe sicuramente avuto un impatto sul pubblico tale, da restare per sempre impresso nelle loro menti.

Sì, Emile era destinato al successo, ne ero certa.

Al successo e alle fans invadenti.

Prima me ne sarei fatta una ragione e meglio avrei accettato quella realtà, quando si fosse avverata.

«Streghetta… ti sei incantata di nuovo?»

Mi girai verso di lui, con ancora le foto in mano e l’abbracciai: d’un tratto sentii il bisogno urgente di stringerlo a me, per ricordare ad entrambi che lui era mio, che nessuno avrebbe mai dovuto osare mettere le sue mani su di lui.

«Ehi! Pasi, che c’è?»

«Niente… voglio stare così per un po’, voglio stringerti a me.» Con un movimento leggero, Emile prese le foto dalle mie mani e le poggiò sul tavolo, per poi stringermi a sé a sua volta:

«Possiamo restare così quanto vuoi.»

Serrai la mia stretta sulla sua vita sottile, avrei voluto fondermi con lui in quel momento, per poter essere sempre insieme, ovunque fossimo andati.

«Emile… io ti amo.»

Non era la prima volta che glielo dicevo: da quella mia confessione un po’ burrascosa, nella saletta dell’ospedale, avevo ripetuto ciò che provavo per lui tante volte, ma in quel momento sentii così forte dentro di me la profondità dei miei sentimenti, che mi sembrò di dirglielo per la prima volta in assoluto. Probabilmente quella era davvero la prima occasione in cui tutto il mio essere, tutta la mia anima, i miei muscoli e le mie ossa, dichiaravano all’unisono il mio amore ad Emile.

E forse il mio Pel di Carota percepì quella differenza sottile, perché a sua volta strinse maggiormente il mio corpo al suo e poggiò il viso sulla mia testa, quasi come se volesse ripiegarsi intorno a me:

«Sei la mia casa, Pasi.» prese una piccola pausa, mentre il mio cuore subì un arresto istantaneo «È da te che vorrò sempre tornare, è da te che tornerò sempre.»

Rimasi in silenzio, commossa da quelle parole, tremante per la portata delle emozioni che stavo provando in quel momento: ero felice, ma ero anche spaventata al pensiero che tutto ciò potesse terminare, terrorizzata all’idea che potessi perdere per un motivo o un altro, quel pezzo di Paradiso che stavo costruendo insieme ad Emile.

«Quando partirò, porterò con me la tua chiave, ne farò un ciondolo che terrò sempre con me e non toglierò mai. E quando tornerò, la prima cosa che farò, sarà usarla per venire da te. Mi mancherai tantissimo, mia piccola e adorabile strega.»

Avevamo affrontato quel discorso sempre dibattendo, ognuno fermo sulle proprie prese di posizione: quella era la prima volta che Emile sembrò comprendere la mia tristezza e la mia paura al pensiero del distacco da lui e quella frase così dolce e rassicurante fu una benedizione, un piccolo sigillo che riuscì ad arginare le mie paure irrazionali.

A quel punto la mia commozione prese il sopravvento e finii col piangere lacrime silenziose, abbracciata al mio Emile, che altrettanto in silenzio, continuò a tenermi stretta a sé, accarezzandomi la testa con una mano.



*****



Più si avvicinava il momento della partenza di Emile, maggiormente trascorrevo il tempo libero a casa sua. Sapevamo entrambi che la mia presenza costante poteva rischiare di soffocarlo, ma era anche vero che in quella casa, mi sentivo talmente a mio agio, talmente bene, che non era necessario che trascorressi esattamente tutto il tempo in sua compagnia. Mi bastava sapere che condividevamo le stesse mura, potevo anche trascorrere la maggior parte della giornata in compagnia di Lucien o di Alberto, ma sarei stata rilassata sapendo che in qualsiasi momento avessi voluto, mi sarebbe bastato fare un passo per vedere il mio Pel di Carota.

La domenica ormai, era fissa la mia presenza a pranzo in casa Castoldi: era l’unico giorno in cui tutti gli abitanti di quella casa fossero presenti e quello del pasto era il momento più adatto per stare tutti insieme e unire i vari elementi della famiglia.

In una di quelle occasioni, quando avevamo appena finito di prendere il caffè, d’un tratto Emile si rivolse a suo cugino:

«Lucien vieni, ti faccio vedere ciò di cui ti parlavo.»

«Oui.»

«Ehi, non crediate di scamparvela così! Ci sono i piatti da lavare, scansafatiche!» Alberto richiamò i due ragazzi ai loro doveri, ma stava sorridendo soddisfatto nel vederli allontanarsi insieme.

«Sai cos’hanno da dirsi, quei due?» mi chiese, con un sorriso estatico sul volto, mentre iniziava a sparecchiare.

«Per niente… forse Emile vuole fargli vedere il CD, non parla d’altro ormai!» dissi fintamente risentita, aiutando Alberto a ripulire.

In quell’ultimo periodo, quel testone del mio ragazzo doveva essere talmente felice e soddisfatto, da sentirsi ben predisposto verso gli altri o forse in virtù del fatto che a breve sarebbe partito, aveva capito che la famiglia è un bene prezioso… Fatto stava, che Emile aveva ufficialmente messo da parte i suoi pregiudizi nei confronti di suo cugino.

Quando Lucien era arrivato in quella casa, quei due avevano trascorso del tempo forzatamente insieme, quando si erano trovati alle prese con il pranzo da preparare o i lavori domestici da dividersi e pian piano, Emile aveva messo da parte quel suo atteggiamento aggressivo e pieno d’odio, che aveva mostrato quando il cugino era giunto dalla Francia, anche se aveva mantenuto una certa distanza tra loro, non permettendo al francese di avvicinarlo. Ma da quando Lucien era tornato dalle vacanze, il mio Pel di Carota aveva iniziato ad abbattere anche quell’ultimo muro, avvicinandosi al cugino attraverso discorsi su libri e musica, arrivando persino a trovarsi d’accordo con lui nei riguardi di qualche autore che amavano entrambi.

Era una gioia per gli occhi vedere quei due seduti uno di fronte all’altro che conversavano e a volte li lasciavo soli volontariamente, per far sì che cementassero il loro legame.

«Sono così felice che finalmente abbia accettato Lucien.»

«Anch’io bambina mia, anch’io… Claudine sarebbe stata felicissima di vedere suo figlio e suo nipote che parlano come due fratelli. Sperava di riuscire a tornare in Francia e di farsi accettare da Odette attraverso i bambini. Diceva che la nuova generazione avrebbe potuto cancellare i dissidi tra le loro madri. Lucien aveva due anni quando ma chère rimase incinta e all’epoca era figlio unico; Claudine sperava di poter far giocare insieme i bambini e di farli crescere come due fratelli.» Alberto sorrise, ricordando i desideri di sua moglie e non potei che fare lo stesso, soprattutto tenendo presente che forse, almeno quel sogno di Claudine, poteva finalmente realizzarsi.

«Sono sicura che sarà così e magari Emile avrà voglia di conoscere anche il resto della famiglia, in seguito!» dissi quella frase con impeto, ma subito dopo averla detta, mi resi conto che forse stavo diventando troppo ottimista…

«Di questo non ne sarei tanto sicuro, bambina, sappiamo benissimo quanto sia testardo quel ragazzo, vero? Ma mai dire mai, potrebbe stupirci!» Alberto rise ed io rimasi in silenzio, mentre gli davo una mano a lavare le stoviglie, crogiolandomi in quell’attimo di pura felicità.

Non è necessario vivere avventure fuori dal comune o sentirsi dire frasi plateali, per scoprire la felicità. Quella vera, quella più essenziale e pura, è nelle piccole cose. È nel calore di un abbraccio, in un sorriso scambiato con una persona a cui vuoi bene, in una battuta di spirito compresa solo da te e dal tuo migliore amico, è nel vedere al tuo risveglio il volto della persona che ami o nell’aiutare colui che reputi al pari di un padre, a risistemare la cucina, condividendo la gioia di vedere due persone che amate, andare finalmente d’accordo.

Ero immersa in quelle riflessioni, con un sorriso sereno sul viso, quando d’un tratto, Alberto mi distolse dai miei pensieri: «Pasi, seguimi.»

«Ora? Ma… e i piatti?»

«Lasciali lì, li faranno quei due scansafatiche! C’è una cosa che devo darti.»

«A me? Ma perché? È successo qualcosa?» seguii Alberto nel salotto.

«Ricordi quando ti ho sporcato il vestito con i colori? Ricordi cosa ti dissi? Che ti avrei ripagato per il danno.»

«Ma no! Ancora stai pensando a quella faccenda? Il vestito è recuperato, non è rovinato definitivamente, perciò non stare più a preoccuparti!»

«Non esiste, ho sempre pagato i miei debiti e sempre lo farò e comunque sia, è troppo tardi ormai, il tuo risarcimento è pronto.» Il padre di Emile, si arrestò accanto alla credenza.

«Non puoi portarlo indietro al negozio… qualunque cosa sia?»

«È letteralmente impossibile, a meno che tu non conosca qualche formula chimica per far tornare indietro nel tempo gli elementi…»

Quella risposta mi lasciò alquanto perplessa.

«Che vuoi dire? Mi ha preso un kit da “Piccolo Chimico”?»

Alberto si sporse verso il retro del mobile e allungò un braccio a prendere qualcosa, che evidentemente era stato nascosto in quel punto… Nel frattempo, si fece una risata sentendo la mia domanda.

«Bambina ma cosa vai a pensare? È qualcosa di molto più semplice… tieni, aprilo.» mi porse un pacco dalle dimensioni notevoli, ma dal volume molto piatto… Era di forma rettangolare e aveva tutta l’aria di essere…

«È tuo, vero? È opera tua?» dissi emozionata, prima ancora di aprire il pacco, al solo pensiero che Alberto avesse dipinto un quadro esclusivamente per me.

«Coraggio aprilo, inizio ad avere l’ansia da prestazione!» Il padre di Emile sorrise come sempre, ma c’era una piccola nota di tensione nella sua voce: era davvero in ansia di sapere se mi sarebbe piaciuto il suo quadro! Come poteva lontanamente supporre il contrario? Dopo tutte le opere che avevo visto nel suo laboratorio, mi ero fatta un’idea ben precisa del suo stile e sapevo che qualunque cosa avesse dipinto, l’avrei letteralmente adorato per quel senso di vitalità e di gioia di vivere che sapeva infondere persino alle nature morte. E invece quell’uomo che amavo come un padre, era lì davanti a me, come un inesperto ragazzino, in preda all’ansia di sapere se la sua opera fosse stata gradita o meno.

Iniziai ad aprire il pacco, mentre gli risposi per tranquillizzarlo.

«So già che l’amerò, non c’è bisogno che ti agiti, comprerei tutti i tuoi quadri ad oc…»

Non terminai la frase, perché d’improvviso la gola mi si chiuse e la commozione mi zittì del tutto: avevo aperto il pacco solo nella sua parte superiore, ma le teste che vidi spuntare da quel dipinto, mi toccarono il cuore come se avessi già visto l’opera completa.

I membri della famiglia Castoldi, in quel quadro erano tutti vicini, tutti adulti e sorridevano felici uno accanto all’altro. E già così, quel dipinto era un cimelio, perché rappresentava il sogno utopistico di Emile e di Alberto, di avere Claudine serena e felice accanto a loro… un sogno che non si sarebbe mai avverato. Ma ciò che mi fece crollare del tutto, fu vedere accanto a quelle teste, anche una quarta, dai capelli neri e dal sorriso sbarazzino, quel sorriso che non mi abbandonava mai…

«Allora, ti piace? Mentre dipingevo il ritratto di ma chère, mi sono reso conto che avrei potuto continuare a dipingere il suo volto in tutti i modi e con tutte le espressioni che preferivo. Così ho deciso di mettere Claudine nel luogo che più di tutti l’attendeva: accanto alla sua famiglia. E a quel punto ho deciso che avrei potuto fare anche di meglio, avrei potuto dipingere la famiglia al completo.»

La mia reazione a quelle parole e al dipinto che si era svelato lentamente ai miei occhi, fu così improvvisa e forte, che sorprese anche me: m’inginocchiai a terra, scossa dalle lacrime che scorrevano violente e inarrestabili sul mio viso. Ero talmente felice di vedere il mio volto accanto ai loro, ero così immensamente felice di vedermi parte di una famiglia, che quando mi resi conto della violenza di quell’emozione, iniziai a singhiozzare sonoramente.

«Ehi, piccola mia, cos’hai?» Alberto si chinò accanto a me preoccupato e mi abbracciò mentre io, ancora scossa da quelle lacrime violente, riuscii solo a ricambiare quel gesto, senza proferire parola.

«Pasi, c’è qualcosa che ti ha turbato in quel quadro? Se è così non prenderlo, non ti preoccupare, ne farò un altro per te.»

Feci un cenno di diniego con la testa e provai ad abbozzare una risposta: «È… è… bellissimo… sono… felice…» e continuai a singhiozzare…

«Oh beh, allora credo che la tua felicità tra poco ci farà chiamare un idraulico!» risi a quella battuta e continuai a stringermi a lui.

«Coraggio bambina, cos’è questa valle di lacrime? Non ti si addice! Su, fammi un sorriso.»

Alberto alzò il mio viso verso il suo e fece una smorfia buffa con il viso, che riuscì a farmi ridere.

«Oh, così ti voglio, vedo che la mia cura funziona… sei fortunata, sennò sarei dovuto passare alla terapia d’urto: il solletico.»

«No, no, il solletico no!» Finalmente trovai il fiato per parlare e riuscii a riprendere il controllo di me, necessario a non avere più i singhiozzi.

«Visto, sei tornata a parlare: le minacce funzionano!» sorrisi ancora lacrimante e mi asciugai quelle ultime gocce traditrici.

«Io… non so da dove iniziare a ringraziarti… Questo quadro è bellissimo, perché ci siete tutti voi e ci siamo tutti noi… Non mi sono mai sentita parte di una famiglia così come in questa casa e vorrei tanto che Claudine fosse ancora qui con noi…» a quel punto un sospetto tremito nella voce, mi costrinse a prendere una pausa per riprendere il controllo, mentre io e Alberto restavamo inginocchiati accanto al dipinto «Non potrò mai ringraziarti abbastanza, per avermi donato una famiglia a cui appartenere.»

Alberto mi guardò con tutto l’affetto di cui era capace e mi strinse in un abbraccio: «Continui a sottovalutarti, bambina mia. Quello che ho fatto è niente rispetto a ciò che hai fatto tu per tutti i componenti di questa famiglia. Includerti era il minimo che potessi fare.»

Mi crogiolai nella stretta affettuosa di quell’uomo adorabile, ma dopo poco fui distratta dalla voce di Emile, che doveva essere tornato in cucina, insieme a Lucien:

«Gliel’ho detto anch’io, ma non ha voluto asc… ma dove sono andati? Ehi papà! Ci hai lasciato tutto questo caos da rimettere a posto?!»

Alberto sorrise soddisfatto, prima di rivolgersi a me, sottovoce: «Che ne dici, andiamo ad aiutarli?»

«Ma dove diavolo si sono cacciati quei due, basta che giro lo sguardo per un attimo e spariscono!»

Sorrisi sentendo la preoccupazione di Emile: aveva sempre scherzato sul legame tra me e suo padre, ma quell’ansia improvvisa iniziava a farmi pensare che fosse davvero geloso.

«Saranno nel laboratorio, Oncle Albert non doveva darle il quadro?»

«È vero… beh allora iniziamo a far qualcosa, altrimenti diranno che siamo due scansafatiche!»

A quel punto, io e Alberto ci alzammo e andammo in cucina, ma il padre di Emile non aspettò di essere visto, per farsi sentire:

«Voi due infatti, siete degli scansafatiche! Altrimenti non vi sareste alzati così in fretta, prima ancora che terminassimo di prendere il caffè.»

Emile trasalì per la sorpresa, non si aspettava di sentirci arrivare dalla stanza attigua: «Ma che dia… Si può sapere che facevate lì? Giochiamo a nascondino, ora?» il suo sguardo si posò su di me e dovette vedere i miei occhi gonfi di lacrime, perché la sua espressione si oscurò di preoccupazione all’istante: «Pasi, cos’hai? È successo qualcosa?» venne immediatamente accanto a me, accarezzandomi il viso.

«Credo che il mio regalo le sia piaciuto anche troppo.» disse Alberto, sorridendo ed io feci un cenno affermativo con il viso:

«È bellissimo… non avrei mai potuto chiedere di meglio.»

«Posso vederlo?» disse Lucien incuriosito, mentre Emile mi abbracciò protettivo.

«Sì, è di là in salotto.»

«Andiamo, sono curioso di vederlo completato.» il mio Pel di Carota sciolse l’abbraccio, prendendomi per mano.

Tutti e tre andammo in salotto e rimasi accanto al mio ragazzo, mentre in silenzio guardava se stesso accanto ai suoi genitori e a me.

Lucien apprezzò subito: «C’est trés beau. Sembra quasi una fotografia.»

«Già… una foto da una vita parallela.» disse Emile, con un tono malinconico… e prima che l’atmosfera si potesse appesantire, feci una battuta:

«Ora Alberto dovrà farne un altro con Lucien!»

Il mio Pel di Carota sorrise e rispose alzando la voce, per farsi sentire volutamente, da chi non era accanto a noi: «No, no, se mi ritrae di nuovo con i capelli verdi, è meglio se la smette ora di fare il pittore da strapazzo!»

«Ancora questa storia? Se sei daltonico non è colpa mia!» Alberto rispose direttamente dalla cucina, senza nemmeno avvicinarsi a noi. Ecco che ricominciavano a beccarsi!

«I miei occhi ci vedono benissimo, sono quelli di qualcun altro che risentono dell’età!»

«Intanto il vecchietto in questione è stato lasciato da solo a fare la cucina… siete un branco di lavativi!»

Ci ritrovammo a ridere tutti e tre e con il sorriso sul viso, tornammo dal “vecchietto”, che proprio come un anziano, stava continuando a borbottare sulle nuove generazioni che non sapevano cosa fosse il sacrificio e il duro lavoro.

Quel quadro l’avrei appeso con grande orgoglio accanto al mio letto, mi avrebbe salutato al risveglio ogni mattina, ricordandomi qual era la famiglia a cui appartenevo.



*****



Alla fine, arrivò il giorno ics, da me tanto temuto. Ma due giorni prima che i GAUS partissero per il tour, la band ci regalò un live nella nuova formazione, così potei finalmente sentire Luca alla batteria e riascoltare la voce di Emile dal vivo, direttamente su un palco. Il locale scelto per salutare il pubblico che da anni aveva seguito e sostenuto la band, fu il Dada e mai scelta mi sembrò più adatta, dato che personalmente, era stato in quel locale che era nato il mio amore per Emile e per la sua musica.

La scelta non fu del tutto casuale nemmeno per la band: essendo il Dada tra tutti quella della zona, il locale più frequentato, se non quello storico che aveva visto esibirsi i GAUS sin dai primi tempi della loro formazione, era il luogo più adatto a raccogliere tutti i fans e promuovere la vendita del CD, da una settimana in commercio. Sicuramente con quell’esibizione, si sarebbero assicurati una buona fetta di acquirenti per la loro prima fatica musicale.

Quando rimisi piede in quel locale, venni travolta dall’emozione: c’ero stata altre volte da quella sera, ma quella era la seconda volta che ci andavo per sentire Emile e il paragone con la volta precedente, fu automatico. Allora ci ero andata per sfidarlo, per assicurarmi che quel gruppetto da quattro soldi, non fosse niente di eccezionale rispetto ai miei amati TresneT e invece fui sconfitta su tutti i fronti, perché da quella volta, Emile era entrato di prepotenza nel mio cuore per scombussolarmi la vita e quella sera, la prima sera in cui rimasi totalmente ammirata dal suo modo di cantare, non riuscii a dormire.

In quella seconda occasione invece, conoscevo benissimo i brani, conoscevo tutti i componenti della band, e avevo imparato a conoscere la luce e l’ombra che caratterizzavano il frontman. Quell’esibizione la sentivo mia in parte, perché ero a conoscenza di tutti i retroscena, di tutti i passi condotti dai GAUS, per arrivare su quel palco, in quella sera.

Ero ansiosa di assistere a quella performance e di vedere il pubblico in estasi; speravo con tutto il cuore che in quelle ore, tutti i presenti sarebbero stati fatti a fette dall’esibizione prepotente dei GAUS.

Insieme a me come di consueto, venne Stè, proprio come quella fatidica prima volta, con l’aggiunta di Lucien, che aveva ritardato la sua partenza per la Francia, proprio per poter ascoltare suo cugino e che, alla luce del rapporto che si era creato fra loro, era emozionato quanto me, all’idea di assistere a quell’esibizione.

Il resto del mio gruppo di amici non si unì a noi: Rita e Fede avevano i rispettivi impegni e avevo messo in conto sin dall’inizio che non sarebbero stati presenti, ma l’assenza di Sofi mi stupì. Ero convinta che avrebbe presenziato, non di certo per Emile, dato che non le era simpatico, ma per stare insieme a Lucien, considerato che negli ultimi tempi non avevano avuto modo di vedersi spesso. E invece, la mia riservata amica aveva declinato l’invito, dicendomi che doveva studiare in vista degli esami che erano ormai prossimi… Chissà cosa le passava per la mente!

Ma a rendere quella serata ancora più speciale, fu la presenza di Alberto.

Fino ad allora, il padre di Emile non aveva mai potuto ascoltare suo figlio sul palco, perché era sempre stato impegnato ad accudire Claudine. Quella era la prima volta anche per lui, oltre che per suo nipote. Alberto però, non volle venire con me e i miei amici, mi disse che sarebbe apparso al momento opportuno e che non voleva appesantire noi ragazzi, con la presenza di un “vecchietto”. Ribattei che lui era il genitore più lontano dall’essere un vecchio che avessi mai conosciuto, ma non volle sentire ragioni: la testardaggine era una dote comune in quella casa!

Nonostante fossimo solo in tre, decidemmo di arrivare al locale relativamente presto per poterci accaparrare un tavolo in prima fila: non avevo alcuna intenzione di assistere al live dei GAUS con le teste degli altri astanti davanti al viso e non avrei mai permesso a me stessa, di non essere in linea diretta con gli occhi di Emile. Quel palco poteva anche dividerci nei nostri ruoli di cantante e pubblico, ma non avrebbe messo ulteriore distanza tra me e il mio Pel di Carota!

Come se stessimo ripetendo i passi di quella prima volta, arrivammo alle ventuno e trovammo il locale ancora sgombro dalla folla: nel momento in cui mi diressi trionfale verso un tavolo in prima fila, vidi che seduta ad uno di essi, c’era Iulia. Non avevo pensato minimamente a chiamarla, perché davo per scontato che fosse venuta con le sue amiche e vederla da sola a quel tavolo, mi fece sentire improvvisamente in colpa. Dal canto suo invece, Iulia mi venne incontro sorridendo, com’era suo solito, senza darmi l’impressione che fosse adirata con me.

«Pasi! Ma dove ti eri cacciata?»

La guardai perplessa, di cosa stava parlando?

«Ciao Iulia! Non mi aspettavo di trovarti già qui… per cosa sono in ritardo?»

«Come “per cosa”? Hai perso le prove!»

«Le pro… Iulia, tu da quanto sei qui?» Non potevo credere alle mie orecchie: quella ragazza doveva essere nel locale da ore!

«Dalle sei! Sono venuta con Franz, così avrei potuto assistere alle prove… credevo che ci fossi anche tu.»

«N-no… non sapevo nemmeno che potessi venire a quell’ora!»

Iulia mi guardò sconvolta: «Non ci posso credere! Ma Emile quella bocca per che cosa la usa?»

«…»

«Sì vabbè, a parte le cose piacevoli, ovviamente! Perché non te l’ha detto?» sembrava davvero sorpresa che Emile non me ne avesse parlato…

«Non lo so, forse non c’ha pensato.»

«Uhm… in effetti non è abituato… non ha mai portato qualche ragazza alle prove…»

Al solo pensiero di Emile insieme a qualcun’altra, sentii il mio stomaco contrarsi: continuavo imperterrita ad essere gelosa del suo passato, nonostante sapessi che fosse un sentimento del tutto inutile.

«Però a pensarci bene, nemmeno io li ho seguiti tanto spesso, anche se avrei voluto… Immagino che il Duce abbia fatto sentire la sua volontà in molti casi.»

Già, Emile non avrebbe tollerato la presenza di persone deconcentranti come una fidanzata. Quella che doveva essere l’unica volta in cui si fosse concesso uno strappo alla regola, era finita con un bel litigio corale tra lui e Claudio e tra lui e me… era ovvio che non mi avesse chiesto di essere con loro al locale, per assistere alle prove!

«Iulia! Amoore come stai?»

Mi voltai verso la voce che aveva interrotto i miei pensieri: due ragazze erano appena arrivate e si erano avvicinate a noi, con l’intento di salutare la mia compagna.

«Isa, Deb! Da quanto tempo!»

Nonostante le parole della mia interlocutrice fossero amichevoli, il tono usato non lo sembrava affatto: Iulia sembrava fingere una gentilezza che non provava, il suo tono di voce era alterato, sapeva di finto, come se stesse recitando una pantomima.

«E la tua amica? Non l’ho mai vista prima.» disse una delle due, una ragazza che aveva un aspetto simile a quello di Iulia: il suo abbigliamento era altrettanto scuro, ma più barocco, corredato com’era di un corpetto rosa cipria dai merletti neri, che sovrastava una lunga gonna nera. Un’acconciatura ricca di boccoli scuri e un trucco altrettanto pesante completavano il quadro, dandole l’aspetto di una bambola inquietante.

«Oh lei è Pasi, la ragazza di Emile.»

«QUELL’ Emile?» disse la seconda: una ragazza abbigliata di borchie, con i capelli biondo platino cortissimi e il trucco pesante: alla luce della rivelazione di Iulia, mi guardò con un nuovo interesse, scandagliando ogni centimetro del mio corpo ed io m’irrigidii in atteggiamento di sfida, aspettando la sua prossima esclamazione. «Piacere mio, mi chiamo Isa.» mi allungò una mano poco convinta, che strinsi con vigore.

«Il piacere è tutto mio.»

Le risposi con voce ferma e decisa: se pensava d’imbarazzarmi col suo modo di fare, aveva del tutto sbagliato soggetto e gliel’avrei fatto capire subito!

«Ma che piacere conoscere la nuova ragazza di Castoldi! Io sono Deb.» Nonostante l’aspetto non propriamente allegro, Deb mostrò un atteggiamento molto più socievole nei miei confronti, rispetto alla sua amica; mi abbracciò calorosamente e mi rivolse uno sguardo allegro, prima di aggiungere: «Benvenuta tra noi.»

Nonostante l’apparente cordialità, quella frase mi lasciò scettica e balbettai un “Grazie” poco convinto.

«Andiamo Isa, lasciamo che Pasi si ambienti… ci vediamo dopo, ragazze.»

Trascinandosi l’amica, si allontanò da noi, lasciandomi perplessa.

«Cosa diavolo intendeva con “Benvenuta tra noi”?» dissi a Iulia, senza nemmeno attendere che quelle due fossero abbastanza distanti da non sentirci. La mia compagna fece una smorfia prima di rispondere:

«Stai lontana il più possibile da quelle due, sono delle iene.»

«Eh?»

«Deb ha la capacità di mettere zizzania tra le persone più unite e Isa è il suo cagnolino fedele.»

«Eppure sembrava tanto cordiale.»

«Sì, è il sorriso di chi ti dichiara guerra.»

«Quindi mi è stata dichiarata guerra? E per quale motivo?»

«Invidia. Deb un paio di anni fa, era la vocalist di una gothic band che aveva anche la sua buona fetta di pubblico. Ma accadde qualcosa all’interno del gruppo e i Bleedingthornes si sciolsero e da allora, Deb non fa altro che tentare di entrare nelle band altrui… e nei letti dei loro componenti!»

«Ah…»

«Un anno e mezzo fa, durante un contest a cui parteciparono i GAUS mentre lei era la guest di una band, ci provò con Franz.»

«E ovviamente lei sapeva benissimo che lui era il tuo ragazzo…»

«Certamente: ero con loro e sono stata tutto il tempo accanto a lui, tranne durante l’esibizione e quando sono stati dietro le quinte.»

«Ho capito… e quindi tu pensi che possa provarci anche con Emile?»

Al solo pensiero di quella tipa che provava ad allungare le sue mani addosso al mio ragazzo, mi sentii ribollire il sangue nelle vene: le avrei staccato la testa a morsi piuttosto che permetterle di avvicinarsi a lui!

«Ne sono più che certa. Le piace provarci con quelli già impegnati… gode quando riesce a dividere una coppia, si sente potente. Con me e Franz non c’è riuscita, ma siamo stati quasi gli unici ad uscirne indenni…»

Cercai con lo sguardo quelle due nuove conoscenze e vidi che Deb in quel preciso istante, stava parlando con un ragazzo, dandosi arie da donna vissuta: mi fidavo di Emile, ma non avrei mai permesso che quella tipa si avvicinasse a lui!

«Isa la segue sempre?»

«Sì, è il suo cagnolino: fa tutto ciò che Deb le dice di fare.»

«Come Claudio e Maurizio?»

«Sì… solo che questo caso è più complicato: Isa è innamorata di Deb.»

«Ah.»

«Già… e ovviamente lei lo sa, ma non fa assolutamente nulla per risparmiare all’ “amica”, la visione di lei che ci prova con tutti. Le piace l’idea di avere potere su Isa.»

«Ma sembra una telenovela!»

«In effetti lo è. Nell’ambiente ci conosciamo tutti e come spesso capita nei gruppi sociali, vuoi per collaborazioni musicali, vuoi per puro intrattenimento personale, si stringono relazioni in continuazione all’interno di questa comunità.»

«Un modo gentile di dire che tutti si passano tutti, in pratica.»

«Sì, detto in parole povere, questo è il succo del discorso. Questo è un ambiente ipocrita e difficile, Pasi, inoltre anziché collaborare, i vari musicisti cercano di farsi le scarpe l’un l’altro per poter emergere… e quando ci si mettono in mezzo le case discografiche è anche peggio!»

Guardai sconcertata Iulia e una domanda fece capolino nella mia testa: «A-anche le altre… le ex di Emile erano dell’ambiente?»

«Forse ce n’è stata una… Sinceramente non saprei risponderti con certezza, Emile non ha mai fatto venire qualche ragazza ai live, probabilmente voleva tenerle lontane da quest’ambiente…»

«No, probabilmente voleva tenerle lontane da lui.»

Come aveva cercato di fare anche con me. Non voleva mischiare i suoi affari personali con la musica.

Invece io ero in quel locale, a dargli sostegno, a sentirlo suonare nuovamente sul palco dopo mesi…

«Ma tu sei qui però e questo, è importante.» disse Iulia, cercando di distogliermi dai miei inutili attacchi di gelosia. Ma il suo tentativo fu superfluo, perché stavo già sorridendo, rincuorata al pensiero che quelle fantomatiche ex che mi avevano preceduto e di cui ero patologicamente gelosa, non fossero mai state dov’ero io in quel momento.

«Sì, ci sono e ci sarò sempre!» dissi decisa, guardando in direzione di Deb, raccogliendo silenziosamente la sua sfida.

«Così ti voglio vedere, Pasina! Dovremo essere forti, dovremo lottare per difendere ciò che è nostro e perché saremo noi ad essere l’appoggio dei nostri ragazzi, quando le cose diventeranno difficili.»

«Hai ragione. Spero che ciò non accada mai, ma sono pronta a tirare fuori gli artigli, se dovesse essere necessario.» Iulia mi sorrise soddisfatta e in quel momento, Stè mi chiamò. Feci cenno al mio amico che li avrei raggiunti al tavolo e mi rivolsi alla mia compagna: «Se sei sola, perché non vieni a sederti al tavolo con noi?»

«Oh no, stai tranquilla, tra poco arriveranno le mie amiche. Io sono arrivata prima per sentire le prove, ma le altre mi raggiungeranno presto.»

«Ah, ok… ma se per qualsiasi caso volessi unirti a noi, un posto per te al tavolo c’è sempre.»

«Grazie Pasina!» Iulia mi diede un bacio affettuoso sula guancia e si accomiatò, mentre io raggiunsi i miei amici.

Quando mancava una ventina di minuti all’inizio dell’esibizione, nel locale regnava il caos: era impossibile riuscire a capire le parole del vicino senza dover alzare la voce e c’era anche il rischio che qualcuno si poggiasse sullo schienale della tua sedia e che finisse a darti una gomitata dietro la nuca!

Ero seduta accanto a Stè che a sua volta aveva Lucien accanto, perciò Testa di Paglia sarebbe stato il mio interlocutore principale, anche se il caos che si era creato intorno a noi, non permetteva molto dialogo nemmeno col proprio vicino!

Tuttavia, Stè decise di sfidare il caos infernale e iniziò a parlarmi: sulle prime faticai non poco per capire cosa diceva, ma quando captai alcune parole e capii qual era l’argomento del discorso, d’improvviso il mio udito divenne perfetto.

«COOOOSA!?»

«È così Testarossa, hai capito bene.» Stè mi guardava con un’espressione soddisfatta, per avermi sorpreso con quell’affermazione.

Non riuscivo a credere a ciò che avevo sentito: Emile aveva chiamato il mio amico per parlargli! Al sentire quella notizia, un’ansia terribile s’impadronì di me: temevo di sapere cosa si fossero detti.

«Ehi, stai bene? Sei impallidita all’improvviso…»

Stè sembrava parlare dell’argomento in tono tranquillo, non sembrava risentito; forse non c’era motivo di preoccuparmi…

«Ma... p-perché? Per quale motivo? Cosa voleva da te?»

«Proprio quello per cui stai facendo quella faccia preoccupata!» Stè continuava a sorridere e a prendermi in giro bonariamente, ma io non riuscivo a rilassarmi affatto!

«Oh mio Dio! Stè io…»

«Sta’ tranquilla Pasi, non c’è stata alcuna discussione: Emile è venuto per scusarsi personalmente con me, per il suo modo di fare nei miei confronti.»

Se fossi stata la protagonista di un cartone animato, in quel momento avrei dovuto raccogliere i pezzi della mia mascella sparsi sul tavolo, poiché quella fu la sensazione che mi pervase: ero del tutto sbigottita! Emile mi chiedeva scusa facilmente quando capiva di sbagliare, ma conoscendo la sua chiusura verso gli altri e la gelosia che lo pervadeva se solo nominavo Stè, sapere che fosse andato di proposito da lui per scusarsi, mi lasciò senza fiato! Dovevo avere un’espressione alquanto idiota poiché il mio amico si fece un’altra grande risata a mie spese:

«Testarossa dovresti vedere la tua faccia!»

«E come vuoi che stia?! Sono del tutto senza parole!» riuscii a riprendermi quel tanto che bastava per ascoltare ciò che Testa di Paglia aveva da dirmi.

«In effetti ha lasciato sorpreso anche me. Ero consapevole che avesse dell’astio nei miei confronti, ma sai bene che non essendo la prima volta che capita, non ci ho dato troppo peso… Evidentemente lui si è reso conto che ci soffrivi, perché mi ha detto chiaramente che cercherà di non comportarsi più in quel modo astioso per il tuo bene, ma ha aggiunto anche, che per lui sarò sempre una spina nel fianco.»

Testa di Paglia fece un’espressione perplessa e ironica: per fortuna non l’aveva presa male, nonostante Emile non fosse stato così remissivo nel porgere le sue scuse.

«Come al solito gli manca l’umiltà… mi dispiace che ti abbia detto una cosa del genere!»

«Ma no Pasi, non c’è nulla per cui offendersi: mi ha parlato con calma, senza alterarsi, mi ha detto semplicemente come stanno le cose, in modo che io sappia il motivo del suo comportamento una volta per tutte.»

«E come stanno davvero le cose? Cosa ti ha detto di preciso?» Non ero ancora serena, il pensiero di Emile e Stè che si confrontavano, mi creava ansia e un senso di catastrofe imminente!

«Questo resterà tra me e lui. Tu però rilassati, volevo solo fartelo sapere per farti sentire meglio.»

«E come faccio a sentirmi meglio, Stè!?» La mia voce iniziò a salire di tono… per fortuna eravamo circondati dal caos e nessuno mi aveva sentito. «Prima mi dici che Emile ti chiama per parlare con te e poi non mi spieghi cosa ti ha detto e pensi che debba rilassarmi così!? Da quando, fai comunella con il mio ragazzo? Non eravamo amici io e te?!»

Il mio amico fece un enorme sorriso affettuoso e mi diede un buffetto sul viso:

«Noi saremo sempre amici Testarossa, ma ci sono cose che non posso dirti. È una cosa tra uomini. Prendila come l’inizio dell’amicizia tra me ed Emile.»

Mi sorrise raggiante e mi lasciò di nuovo senza parole: Emile e Stè amici… cosa diavolo si erano detti? Possibile che un incontro tra loro, non fosse sfociato nel sangue? Ero davvero preda dell’ansia, con l’intento di riempire di domande il mio amico, finché non si fosse arreso e mi avesse detto tutto riguardo quella faccenda, ma la mia curiosità era destinata a non essere appagata, almeno non quella sera, perché d’improvviso si spensero le luci e si accesero quelle sul palco.

Emile era al centro, come sempre in prima linea, nuovamente abbigliato di nero, ma stavolta i pantaloni in pelle e la cintura borchiata, gli davano un look più aggressivo ed incisivo. Come al solito, quel total black, faceva risaltare per contrasto i suoi riccioli rossi, che sembravano catalizzare tutta la luce. Alla sua destra, a stento riuscii a vedere Maurizio, che sembrava volersi nascondere nelle zone scure del palco, mentre Luca direttamente dietro Emile, nonostante ricevesse la luce, restava nascosto in buona parte dalla sua batteria: “Lola”, nipote della vecchia Betsy, per anzianità di acquisto. Mi scappò un sorriso pensando a quella mania di dare i nomi ai propri strumenti musicali e osservai il resto del gruppo: Francesco era alla sinistra di Emile, molto più vicino a lui di quanto non lo fosse Maurizio, ma quella era una scelta che andava al di là dei rapporti tra loro; i due gemelli rischiavano di urtarsi con i propri strumenti se fossero stati troppo vicini e visto che il frontman non aveva strumenti con sé, avvicinarsi a lui era la scelta migliore. Filippo era posizionato più indietro rispetto a suo fratello a metà strada tra Francesco e Luca e quella sera, aveva lasciato i capelli sciolti, rendendo ancora più palese la somiglianza con il suo gemello. Tutti i componenti dei GAUS sembravano abbigliati di nero o al massimo blu, a parte Francesco che aveva scelto d’indossare un paio di jeans. Di Luca non avrei saputo dire molto, dato che vedevo a mala pena il suo viso, ma sembrava indossare un gilet direttamente sulla pelle, senza maglietta.

Quando iniziarono a sentirsi le prime note, dimenticai tutti questi dettagli sul look della band e iniziai ad immergermi nel mondo musicale di Emile e dei GAUS.

Nonostante li avessi sentiti svariate volte, quella sera dovevano essere carichi di entusiasmo all’idea della partenza, perché suonarono tutti con un’energia tale, da rendere il suono molto più forte e incisivo. La loro musica risuonava nel mio battito cardiaco, l’onda sonora degli amplificatori, sembrava far vibrare i tavoli e tutto ciò che v’era poggiato sopra. Gli assoli di Francesco mettevano i brividi e la batteria di Luca era potente: avevo sentito Claudio molto più spesso e sapevo di cosa era capace e Luca ne era davvero un degno sostituto, aggiungendo quel tocco personale un po’ più freddo e spigoloso, ma di grande effetto.

Il brano quasi omonimo al titolo dell’album, Steel, era energico e deciso, con profondi accordi di basso e forti impennate di chitarra:

I’m made of steel

My blood is strong

My flesh is unbreakable

Show me your strenght

I’ll beat you

Sono fatto d'acciaio

Il mio sangue è forte

La mia carne è indistruttibile

Mostrami la tua forza

Ti batterò

Ci ritrovammo tutti in piedi a battere le mani a tempo, qualcuno cercò persino di pogare, ma lo spazio libero tra il pubblico e il palco era talmente esiguo, che non era possibile spostarsi più in là di qualche centimetro.

Fu emozionante riascoltare Ghost as I am, la canzone dedicata al dolore di Claudine, quella che sentii al Sandbox e che mi commosse quando compresi di che parlasse…

I see your world

But do you see mine?

I’m a ghost now

Nobody can see my scars

Nobody can hear my scream

Io vedo il tuo mondo

Ma tu vedi il mio?

Sono un fantasma ora

Nessuno può vedere le mie ferite

Nessuno può sentire il mio urlo

A quel punto mi venne spontaneo guardarmi intorno, in cerca di Alberto, ma la folla era talmente tanta, che fu letteralmente impossibile vederlo senza dovermi alzare e girare lungo tutto il locale. Sperai che fosse riuscito ad entrare prima che si fossero spente le luci, perché suo figlio quella sera stava dando il meglio di sé.

La voce di Emile era calda, impetuosa, aggressiva: quel tono graffiante era così profondo e carico di emozioni diverse, che ogni canzone mi scuoteva l’anima, ogni brano riusciva a infondermi dei sentimenti diversi. Sentivo le sue corde vocali vibrarmi nel sangue, percepivo ogni piccola variazione di tonalità come se fossi stata sul palco accanto a lui e riuscivo ad emozionarmi, anche per un singolo acuto o un passaggio sussurrato. Quella sera, sentii il mio amore per lui scoppiarmi dentro, come se fosse stato troppo grande da trattenere nel mio corpo.

Ma non c’era solo quello.

Più l’ascoltavo, maggiormente sentivo aumentare il mio orgoglio per Emile: il pubblico l’ascoltava rapito, non si perdeva una sola nota e non si distraeva in chiacchere. Il locale era piccolo, ma c’era la stessa atmosfera da concerto che si trova negli stadi o nei grandi edifici appositi: sapevo che la maggior parte del pubblico era costituito da fans e da persone che conoscevano bene la band, ma vedere l’effetto che quella musica stava facendo su tutte quelle persone, non fece che rendermi felice all’idea che quella reazione, si sarebbe potuta moltiplicare con un pubblico molto più vasto, durante i prossimi mesi di tour. Ero davvero orgogliosa del mio Emile!

Cercai con lo sguardo Lucien, per sapere se condivideva la mia stessa emozione e lo trovai totalmente rapito: la sua espressione era concentrata, ma un lieve sorriso indicava che si stava godendo lo spettacolo. Non riuscii ad attendere la fine dell’esibizione per chiedergli un parere e allungandomi verso di lui, gli diedi un colpetto sulla schiena. Si voltò verso di me e gli feci un cenno per chiedergli cosa ne pensasse: in tutta risposta mi fece un grande sorriso, si allungò verso di me lungo la schiena di Stè e mi disse ciò che stava provando:

«È davvero bravo, sono sbalordito. Sono felice di essere riuscito ad ascoltarlo, ne valeva la pena.»

Il mio orgoglio crebbe sentendo quelle poche parole: sapevo che Lucien provava un sincero affetto nei confronti di suo cugino e vedere che a quel sentimento era stata aggiunta anche l’ammirazione, mi fece gongolare di soddisfazione. Di sicuro al suo ritorno in Francia, Lucien avrebbe parlato del talento di Emile e la fama della sua bravura sarebbe giunta alle orecchie di quella famiglia, che aveva sempre fatto finta di non conoscerlo, che aveva messo alla porta lui, suo padre e soprattutto sua madre. Emile sarebbe diventato famoso e avrebbe fatto vedere a tutti di che pasta era fatto!

Sorridendo in direzione di Lucien, tornai a concentrami sulle note che stavano vibrando in quel locale proprio nel momento in cui Luca diede dei colpi di batteria che mi fecero capire immediatamente di quale canzone si trattava: era l’intro di uno dei brani strumentali, Ocean, in cui Emile avrebbe suonato una parte col violino. Era un brano che avevo sentito poche volte, ma che era profondo e vario, nella sua parte ritmica importante, fino passare a quella più lirica in cui il violino sembrava quasi l’unico strumento in azione.

Durante l’esecuzione di quel brano, precisamente nella parte con la batteria, ricordai come se fosse un’improvvisa rivelazione, perché Luca mi fosse sembrato familiare: l’avevo già visto.

Proprio in quel locale, proprio quella sera in cui avevo sentito i GAUS per la prima volta. Era stato lui a darmi il flyer con le tappe delle esibizioni nei locali, era lui quel ragazzo che si era limitato a porgermi quel volantino, per poi sparire prima ancora che potessi finire di dirgli quanto mi erano piaciuti i suoi amici!

In quel momento mi parve ancora più chiaro che quella sera, si stesse chiudendo un cerchio, per dar vita ad un altro ciclo di eventi.

I ragazzi alternarono delle covers alle proprie canzoni, per poter dar modo al pubblico che non li conosceva, di apprezzare ugualmente la loro musica e verso la fine della serata, intonarono Highway to Hell, che scatenò il pubblico in un coro energico e compatto… E con mio estremo fastidio, vidi alcune ragazze avvicinarsi al palco, che non avevano remore ad agitarsi “seguendo la musica”, mettendo in mostra le proprie grazie sotto il naso di Emile. Fui invasa dalla gelosia come una furia ed ebbi persino il timore che tra quelle scellerate ci fosse Deb, in procinto di scagliare il suo primo attacco. Ma dopo un attimo in cui vidi rosso, mi tornarono alla mente le parole di Iulia:

“Dovremo essere forti, dovremo lottare per difendere ciò che è nostro e perché saremo noi ad essere l’appoggio dei nostri ragazzi, quando le cose diventeranno difficili.”

Sì, dovevo essere forte e sopportare l’esuberanza di certe ragazze, dovevo sostenere Emile e avere fiducia in lui.

Sarei stata davvero un misero sostegno per lui, se avessi creato scompiglio per quattro ochette starnazzanti durante la sua esibizione. Dovevo rendermi più forte e fiduciosa, se volevo essere un valido sostegno per lui, nei momenti critici.

Avevo avuto già modo di assaporare un momento simile e sapevo benissimo quanto avesse rischiato di mandare in frantumi i progetti di Emile e della band intera. E sapevo altrettanto bene che, nonostante fossi stata la causa involontaria dei suoi guai, il mio appoggio nell’accettare le condizioni di Claudio, avevano aiutato Emile a superare quel momento buio della sua vita personale e professionale.

Mi ero sempre chiesta come le compagne dei musicisti più affermati, affrontassero la vita e riuscissero ad essere accanto ai loro uomini nei momenti di crisi professionale.

Sid e Nancy si erano distrutti reciprocamente, così come Jim e Pam, per non parlare di Courtney e Kurt*… però ci sono anche donne come Alison Stewart, che vivono accanto al loro uomo da più di trent’anni, che hanno osservato silenziosamente ogni piccolo passo fatto dall’assoluto anonimato, fino al successo mondiale, senza vacillare, senza mai lasciare il proprio ruolo di compagna, anche quando la fama del suo Paul, iniziava a creare dei gossip velenosi sulla loro vita privata, anche quando i singoli componenti degli U2 avevano attraversato momenti di crisi esistenziale tali, da mettere in discussione l’intero futuro della band.

Sarei stata in grado di essere una Alison anch’io? Avevo giurato a me stessa di non venir meno al mio ruolo di sostegno verso Emile e dovevo essere in grado di mantenere a tutti i costi quel solenne proposito.

Il mio Pel di Carota si stava per affacciare in un mondo vasto, crudele e spietato. Avrebbe potuto incontrare la fama più grande o l’ignominia più profonda per un semplice gioco della fortuna, oppure farsi strada nonostante tutto, solo grazie al suo talento, alla sua testardaggine e alla ferma volontà di andare avanti contro tutto e tutti.

E per farlo aveva bisogno anche del mio sostegno.

Non avrei mai dovuto vacillare.

Emile era mio, anche se dovevo sopportare la vista del pubblico femminile che lo guardava adorante, anche se dovevo dividerlo con la musica, anche se lei l’avrebbe portato via da me per un po’ di tempo e se gli avesse donato dei momenti di puro sconforto.

Lui era mio ed io ero il suo sostegno, nel presente, come lo sarei stata nel futuro.

Ero appena giunta a quella considerazione che m’infuse forza e coraggio, quando quella stessa forza, rischiò di annientarsi dietro un’emozione fortissima.

Il termine dell’esibizione era prossimo, il repertorio personale dei GAUS era terminato e al massimo rimanevano un paio di covers. Ma a quel punto, Emile prese il microfono per parlare:

«Siamo giunti alla fine di questa serata e vi ringrazio a nome di tutta la band, perché siete stati un pubblico magnifico. I brani che avete ascoltato potete trovarli nel nostro album…»

Forse avevo fatto male i conti ed era giunto direttamente il momento del commiato, con la presentazione dei membri della band.

«… tranne il prossimo.»

C’era ancora un brano? Allora avevo davvero sbagliato i conti.

«Il prossimo brano non è riuscito ad entrare nell’album perché si è completato in ritardo. Vogliamo farvelo ascoltare perché lo sentirete in futuro e perché dovevo dedicarlo alla persona che me l’ha ispirato, la persona che ha contribuito a far sì che fossi su questo palco stasera. »

Doveva essere una nuova canzone dedicata a Claudine… immaginai la commozione di Alberto e mi preparai ad ascoltarla, ma a sorpresa, Emile si girò in mia direzione:

«Questa canzone è per te, Pasi. Spero che possa farti capire quanto io ti ami.»

In quel preciso istante, il mio cuore si fermò: l’emozione che provai rendendomi conto che Emile aveva scritto una canzone pensando a me e il fatto che avesse detto davanti a tutti che mi amasse, mi fece tremare le gambe e solo il puntuale sostegno di Stè, fece sì che non cadessi a terra, nonostante fossi comodamente seduta.

E quando la musica iniziò, rimasi totalmente esterefatta, perché quel brano lo conoscevo!

Quella melodia era la stessa che stava componendo quel giorno sotto l’albero di magnolia, quella dolce melodia che aveva suonato con l’armonica, mentre ci godevamo quel pomeriggio di pace insieme!

I’m here in the shadows

And I think of you

Your smile is a ray of light

That shine on me

Sono qui tra le ombre

E penso a te

Il tuo sorriso è un raggio di luce

Che splende su di me

Quelle parole le ricordavo, perché quando le avevo lette su quel foglietto dimenticato a casa mia, le avevo amate all’istante… E quando giunse il ritornello, ritrovai le parole che Emile mi aveva detto solo due settimane prima:

You’re my home, baby

I will always go back to you

I will always be with you

You’re my safe place, baby

My soul dream of you

My heart belong to you

Tu sei la mia casa, baby

Tornerò sempre da te

Sarò sempre con te


Tu sei il mio luogo sicuro, baby

La mia anima sogna te

Il mio cuore appartiene a te

Quel brano parlava di noi, della nostra storia, del modo in cui entrambi eravamo entrati nel sangue dell’altro. Ma era anche una dolcissima dichiarazione d’amore, costruita nel tempo, attraverso momenti bui e difficili e attimi di pura perfezione.

Ripensai alle parole di Alberto sul dipingere la persona che amava:

“Dipingere la persona che ami è un’impresa difficile ma anche la più gratificante, è un omaggio a ciò che lei rappresenta per te, un omaggio a ciò che riesce a lasciarti dentro, al modo in cui la tua vita muta drasticamente per il solo fatto che lei è lì con te”

Lui aveva messo la sua arte a servizio del suo cuore e dei suoi sentimenti e suo figlio aveva fatto altrettanto con me: in quel momento mi stava dichiarando il suo amore attraverso la sua musica!

Non avrei potuto ricevere una dichiarazione d’amore più bella, profonda e vera né da lui, né da nessun altro.

Se la prima volta che mi aveva rivelato i suoi sentimenti, quelle parole erano state intrise di paura, quella canzone era invece piena di gioia e riusciva a trasmettermi ciò che Emile sentiva dentro di sé e che lui non era mai stato capace di descrivere, privo della musica.

Percepii in una parte della mia coscienza, il braccio di Stè che mi sosteneva ancora, ma tutta la mia attenzione si concentrò in quel brano e su tutto ciò che si portava dentro. A completamento di quel momento così emozionante, vidi risplendere al collo di Emile qualcosa sotto i riflettori: non potevo esserne certa, ma dato che non era sua abitudine portare ciondoli, supposi che dovesse essere la mia chiave, quella che gli avevo regalato per dargli la possibilità di entrare in casa mia ogni volta che avesse voluto, quella che, come mi aveva detto, avrebbe portato con sé durante il tour…

Si poteva morire di felicità? In quel momento pensai che fosse una realtà a me molto prossima, perché temetti che il cuore non avrebbe retto a tutta la gioia che mi scoppiò dentro.

Sentii le lacrime bagnarmi il viso mentre Emile cantava guardandomi negli occhi: tutto ciò che mi circondava sparì dalla mia visuale, non c’era più nessuno accanto a noi: dimenticai Sté, dimenticai Lucien e Alberto… Dimenticai le fans invadenti, Isa e Deb e tutto quel mondo difficile che quella sera ci attorniava… In quell’istante c’eravamo solo io ed Emile, la mia felicità e la musica che in quel momento ci stava unendo.

Emile mi amava, ne ero sempre stata certa, ma ricevere una canzone scritta da lui appositamente per me, fu la prova del nove, fu la certezza che il mio Pel di Carota, aveva trovato un modo per unire quelle parti di se stesso che l’avevano fatto tremare, davanti a ciò che provava per me. Grazie a quel brano, io e la sua musica eravamo diventate un tutt’uno, ci eravamo unite, sostenendoci a vicenda e dando modo al mio Emile, di esprimere in una sola volta tutti i suoi amori.

Non avrei potuto ricevere regalo più grande e le lacrime di felicità che scorrevano sul mio viso, risposero per me a quella meravigliosa dichiarazione d’amore, mentre Emile continuava a cantare osservandomi.

In quell’istante, con i suoi occhi fissi nei miei e il sorriso di pura felicità che ci stavamo scambiando, fui assolutamente certa, che io e il ragazzo che stava cantando su quel palco non ci saremmo mai separati.

Le parole di quella canzone divennero anche le mie: Emile era la mia casa, era da lui che avrei fatto sempre ritorno, era con lui che avrei voluto vivere tutti i giorni della mia vita. Ci sarebbero stati sicuramente altri momenti bui, avremmo litigato tante altre volte e altrettante volte avremmo chiarito, innumerevoli volte si sarebbe allontanato da me per seguire la sua musica ed io altrettante volte l’avrei seguito nel suo cuore, come lui sarebbe rimasto nel mio mentre l’attendevo e costruivo il mio futuro.

Qualsiasi ostacolo ci avrebbe presentato la vita, l’avremmo affrontato insieme, anche a suon di litigi e battibecchi com’era ormai nostra tradizione, ma niente ci avrebbe mai separato.

Non l’aveva fatto la gelosia per Stè e nemmeno la mia intromissione nella sua vita professionale e nemmeno le distanze più vaste ci sarebbero riuscite, nemmeno i dolori più grandi o le delusioni più cocenti, perché i nostri mignoli erano legati da un filo rosso che non si sarebbe mai spezzato, un filo rosso come il mio carattere da fiammifero, rosso come i ricci di Emile… Rosso perché era il Filo del Destino che lega due persone fatte per stare insieme.






















------------------------------------------------

Highway To Hell = Canzone degli AC/DC



*Jim e Pam = Jim Morrison e Pamela Courson. Jim era stato il cantante del gruppo blues rock psichedelico The Doors. Pamela è stata la sua compagna storica. [Per info: Wikipedia]

Sid e Nancy = Sid Vicious e Nancy Spungen. Sid era il bassista del gruppo punk Sex Pistols e Nancy la sua compagna storica. [Per info: Wikipedia]

Courtney e Kurt =Courtney Love e Kurt Cobain. Kurt era il cantante del gruppo grunge Nirvana; Courtney, sua moglie fino al suicidio del cantante, canta nel gruppo The Hole. [Per info: Wikipedia]

In tutti e tre i casi, le coppie sono andate incontro alla propria autodistruzione, vittime di violenza, droghe e stati depressivi.

Alison e Paul = Alison Stewart e Paul Hewson. Paul, conosciuto meglio con il soprannome di Bonovox/Bono, è il cantante del gruppo rock U2. Alison è sua moglie e compagna da tutta la vita. [Per info: Wikipedia]










___________________________________

NDA
Ecco. Non so che dire. Ho annunciato la fine di questa storia così tante volte, che ora che è giunta davvero, non so nemmeno come affrontarla. Quando ho messo la parola fine a questo capitolo (dopo aver scritto metà di esso in una sola serata, presa da un'ispirazione folle che non mi era mai capitata prima), mi sono sentita davvero felice e appagata. E non solo perché finalmente sono riuscita a portare a termine qualcosa, ma anche perché ero ancora così piena della gioia di Pasi, che sentivo dentro di me la sua stessa felicità. Però, insieme a quest'appagamento, mi è venuta addosso anche una strana sensazione di vuoto, perché sapevo che non avrei più scritto sul suo conto, che non sarei stata più in compagnia di Testarossa e Pel di Carota e di tutta la combriccola.
Anche se a dir la verità, resta ancora dentro di me la volontà di scrivere un seguito a questa storia e dare voce anche all'amore di Alberto e Claudine con uno spin-off a loro dedicato. Entrambe le ipotetiche storie, hanno già un capitolo quasi terminato, ma da qui a dire che saranno terminate, ci vuole ancora tempo. Se mai riuscirò nell'intento di portare a termine questi due progetti, spero che siate felici all'idea di restare ancora un po' con i miei bambini ^ ^
A questo proposito, se ci fosse qualcuna di voi che volesse essere avvisata nel caso pubblicassi una delle due storie, potete farmelo sapere sia tramite recensione, che tramite messaggio privato, oppure potete contattarmi direttamente tramite il mio profilo facebook.
Spero con tutto il cuore che questo capitolo sia stato abbastanza appagante per tutte: immagino che ognuna di voi avesse in mente l'ultimo atto ideale e lungi da me avere la presunzione di soddisfare tutte le vostre aspettative, ma visto che questo era il finale che avevo sempre avuto in mente, sin da quando questa era una storia con appena diciannove capitoli, lunga meno di cento pagine (ed ora siamo a quota 302!), non avrei mai potuto concepire un modo diverso per chiuderla.
E a questo proposito, non so se avete notato, ma ufficialmente questa storia risulta ancora in corso. Questo non perché non sia finita o io sia preda dell'Alzheimer (oddio, forse un po' sì...), ma perché nonostante quello che avete letto sia a tutti gli effetti il capitolo finale, c'è ancora un piccolo extra in serbo per voi, che pubblicherò al più presto, per cui non togliete ancora Rosso come il Destino dalle storie seguite, perché c'è ancora una piccola cosa da leggere. ^ ^

E per concludere in bellezza, ho due piccole aggiunte grafiche da mostrarvi. La prima, non è altro che un disegnino di poco conto, che ritrae Emile e Pasi così come li ho immaginati e che putroppo la mia mano non ha reso al 100%, ma essendo il mio primo esperimento di colorazione digitale con ombreggiature sfumate, mi ha lasciato soddisfatta dal punto di vista coloristico. ^^
La seconda invece, è la copertina dell'album dei GAUS, con il disegno di Alberto. È in una versione semplificata rispetto a quanto avevo immaginato il disegno di Castoldi Sr. perché la mia apatia cronica non mi ha permesso di mettermi con pazienza a riprodurlo davvero, ma almeno potete farvi un'idea. xD


Emile e Pasi || Cover CD


Spero che vi piacciano. ^ ^



Angolo dei Rigraziamenti

Eccomi qui, ancora una volta a ringraziare tutte voi che mi avete seguito fino alla fine. Grazie tantissimo alla mia sorellina/beta Fiorella Runco, sarà sempre a lei che dovrò la nascita di questa storia, sarà sempre grazie a lei, se Emile e Pasi hanno avuto modo di essere conosciuti da più persone, senza restare imprigionati in un anonimo file di Word nel mio pc.
Grazie tesoro, grazie di tutto, grazie per gli incoraggiamenti che mi hai dato, per tutte le volte che mi hai tolto qualsiasi dubbio e per l'entusiasmo con cui hai sempre accolto la lettura di ogni capitolo. Grazie davvero tantissimo sorellina, sei un tesoro prezioso. <3
Grazie mille a tutte le mie sorelline che hanno letto e commentato questa storia sin dalla sua nascita, che sono state una presenza costante e un supporto immancabile: Vale, Niky, Concy, Cicci, Saretta (e a quest'ultima va un immenso e incomparabile grazie per avere ospitato la mia storia nel suo blog, pubblicizzandola persino su twitter: grazie all'infinito Mon Trèsor, non ho nemmeno parole adatte per dirti quanto mi ha commosso questa tua partecipazione. <3).
Grazie sorelle mie, siete state la mia luce nel buio. :*
Grazie tantissimo a KiraYashal, hitori_janai e Dreamer_on_earth, perché mi avete fatto sentire costantemente il vostro affetto e la vostra partecipazione a questa storia, perché le vostre considerazioni sono sempre state importanti per me e perché mi avete fatto sentire capace di trasmettere delle emozioni attraverso le parole. Grazie davvero tantissimo!
Grazie tantissimo a Sheylen, che in egual modo si è appassionata alla lettura e un grazie immenso ad Airis che non vedeva l'ora di avere questo capitolo sotto gli occhi per poter leggere il gran finale, dopo essersi immersa totalmente in questa storia. Grazie anche a Grace, per il suo interessamento e per le belle parole che mi ha detto dopo aver letto solo il primo capitolo. Mi fate sentire davvero soddisfatta, in un momento in cui la mia autostima sta toccando fondi oceanici.
Grazie anche ad Ana-chan ed Ely, per il loro sostegno silenzioso e implicito.
Grazie a sel4ever per la sua recensione al capitolo scorso, perché mi ha dato una profonda gioia leggere che questa storia le era mancata tantissimo. Grazie per il tuo affetto, grazie davvero!
Grazie mille a tutte voi, dal profondo del cuore!


Grazie tantissimo anche a voi tutte che avete messo questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:
demigirlfun, elspunk93, Heaven_Tonight, Jude92, lillay, Minelli, samyoliveri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, firstlost_nowfound, incubus life, JennyChibiChan, kikka_love94, princy_94, Ami_chan, Amy_, Camelia Jay, chicchetta, costanzamalatesta, cris325, Deademia, epril68, georgie71, gigif_95, IriSRock, Iulia_E_Rose, jejiia, KarlyCatt, kiki0882, LAURA VSR, Lilly Aylmer, matt1, myllyje, nicksmuffin, Origin753, petusina, Queensol, smile_D, Veronica91, you are special.


Mi farebbe piacere se lasciaste due righe a quest'ultimo capitolo, per farmi sapere cosa ne pensate di tutta la storia. ^ ^


Stavolta devo ringraziare anche chi sta all'apice di tutto, coloro grazie ai quali ho capito quanto sia bello leggere, coloro che mi hanno trasportato nei loro mondi dai quali non mi staccherò finché vivrò.
Grazie prima di tutto a Fuyumi Souryo, per le sue storie dolci, romantiche ma anche realiste, prive di fronzoli, crude e amare, per avermi dato più di un esempio su ciò che vorrei ci fosse in una storia d'amore. La ringrazio soprattutto per aver creato Rei e Kei, quest'ultimo soprattutto, perché Emile è nato prendendo una grande ispirazione da lui.
Essendo questa la prima storia che porto a termine, non posso che ringraziare i miei esempi viventi di ciò che debba essere uno scrittore: Margaret Weis & Tracy Hickman, una donna e un uomo che sono stati capaci di creare personaggi così veri, da farmeli entrare nel sangue.
A loro devo la nascita di almeno due dei miei personaggi, perché se non ci fosse stato Caramon, non sarebbero esistiti né Stefano, né Alberto.
(E se non ci fosse stato Raistlin, Emile e Sofia sarebbero stati decisamente più simpatici xD)
Se Weis&Hickman non avessero creato un gruppo di amici come protagonisti delle loro storie, il gruppo di Pasi forse non avrebbe avuto l'importanza che ha avuto.
Ringrazio a questo proposito anche Kazuya Minekura, perché se non ci fossero stati i suoi quattro scalmanati protagonisti, alcune dinamiche nei rapporti all'interno del gruppo di Pasi non avrebbero visto la luce.



Grazie a tutti voi, davvero. Sarà anche una semplice storiella pubblicata su un semplice sito di Fanfiction, ma per me conta davvero tantissimo averla scritta e averla portata a termine, ecco perché stavolta, non potevo evitare di scrivere un papiro di ringraziamenti. ^ ^



Arigatou Gozaimasu, Minna!


   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Deilantha