Capitolo 33
Nei
giorni successivi, mi misi in pari con il resto del gruppo: chiamai
Rita e
andai a trovare Sofia e saltai letteralmente addosso a Lucien, quando
tornai in
quella che era diventata la mia seconda casa. Nonostante fosse con noi
da pochi
mesi, ormai lo consideravo parte integrante del gruppo e mi stupii
quando,
rivedendolo, realizzai quanto mi fosse mancato anche lui.
Io
e le distanze, proprio non andavamo d’accordo.
E
questa constatazione non fece che incupirmi.
I
giorni passarono in fretta e i GAUS terminarono tutte le pratiche per
il lancio
dell’album: Settembre era iniziato e il tour era ormai
prossimo.
Emile
era ogni giorno più entusiasta, più energico.
Vedevo il suo sguardo accendersi
di quella luce d’acciaio sempre più spesso ed ero
consapevole che in cuor suo,
non vedeva l’ora di partire per conquistare i palchi su cui
si sarebbe esibito.
Non
potevo essere infelice a causa di qualcosa che lo rendeva
così elettrizzato e
vivo, per cui iniziai paradossalmente, ad amare anch’io
l’idea che presto
sarebbe partito.
Volevo
quanto lui che la sua musica fosse conosciuta e apprezzata.
Avevo
la sua stessa volontà che riuscisse dove sua madre si era
arresa.
E
soprattutto, avevo giurato a me stessa, che sarei sempre stata un
appoggio per
lui.
Non
potevo permettermi di odiare qualcosa che rappresentava la sua
felicità,
soprattutto quando vedevo il suo sguardo finalmente acceso di vita.
Anche
se la sola idea di separarmi da lui, continuava a causarmi delle grosse
fitte
al centro del petto.
A
due settimane di distanza dalla partenza del gruppo per il tour, anche
la
grafica della copertina e dell’intero booklet
del CD erano stati completati e il prodotto finito era già
in mano della band.
Il
disegno di Alberto fu inserito come cover rispettando la
volontà del frontman e
sopra di esso, campeggiava il nome della band con il titolo del CD: Made of Steel .
All’interno,
una serie di foto della band (sia al completo che dei singoli
componenti),
accompagnava le lyrics di dieci dei dodici brani; essendone due,
puramente
strumentali.
Eravamo
nella sua tana nel sottoscala, quando Emile mi porse la prima copia del
CD tra
le mani. Appena giunta a casa sua, mi condusse direttamente
nell’ambiente
adiacente alla saletta e arrivando prima di me al tavolino, prese
quell’oggetto
prezioso dal ripiano, per poi porgermelo con un sorriso estatico.
Appena
mi resi conto di cosa si trattasse, tremai
per l’emozione: era tutto così
professionale, così simile ai
dischi che avevo lasciato in camera mia e consumato a iosa, quando
vivevo con i
miei genitori!
Realizzai
in quel preciso istante, che il mio Pel di Carota stava per diventare
un vero
professionista e che entro pochi mesi, la sua musica sarebbe stata
conosciuta
da milioni di persone.
«Streghetta,
cos’hai?»
Emile
mi guardava incuriosito, mantenendo una luce di pura soddisfazione
nello
sguardo e quella scintilla d’acciaio che gli avevo visto
sempre più spesso
negli ultimi tempi, quell’acciaio che dava il nome
all’album e che
rappresentava tutti i colpi di martello ricevuti dalla band, per poter
essere
forte e indistruttibile come quel metallo.
«Non
ho parole, Emile!»
«Tu,
sei senza parole? La fine del mondo è proprio vicina,
allora!» fece quella
battuta senza perdere minimamente l’entusiasmo e quella luce
vitale negli
occhi.
«Non
so davvero che dire, è… stupendo, meraviglioso,
è come una magia… Abbiamo
parlato così tanto di quest’album, ti è
costato così tanta fatica… ed ora
eccolo qui, così piccolo, eppure così
grande… così carico di lavoro, sacrificio
e speranza…»
«Wow,
menomale che non sapevi cosa dire!»
«Tu
non sei emozionato? Io sto tremando e non è nemmeno roba
mia!»
Emile
mi sorrise affettuoso: «Non sto più nella pelle,
ma prima di dare sfogo alla
mia soddisfazione, voglio testare l’impatto delle nostre
canzoni sul pubblico.
Solo allora potrò lasciarmi andare davvero
all’entusiasmo.»
«Pignolo
come sempre.»
«Realista
semmai: è inutile farsi prendere dalle illusioni, senza aver
prima avuto un
riscontro con la realtà.»
«Ha
ragione tuo padre, tra voi due il più vecchio sei
tu.»
«Questo
vecchietto però gode dei tuoi apprezzamenti, se non
erro.»
«Sì…
a volte.» tenni un’aria fintamente sostenuta,
preparandomi al contrattacco del
mio rossino, quando la mia attenzione si concentrò su
qualcos’altro: «E
queste?»
Sul
tavolino nella stanza adiacente alla saletta, c’era una serie
di fotografie di
Emile e di tutta la band.
«È
il resto del photoshoot che è servito per il booklet del CD.
Queste sono le
foto che non sono state più utilizzate, ce ne hanno dato una
copia.
Essendo
adattato al formato del CD, il booklet era di dimensioni ridotte e le
foto
della band al suo interno, non particolarmente dettagliate. Quelle sul
tavolo
invece, avevano delle dimensioni notevoli e potei ammirarne tutti i
dettagli.
Il
fotografo aveva usato un filtro grigio, che dava a tutto il servizio
una luce
metallica e cupa da cielo nuvoloso, ma nonostante quei toni scuri, i
capelli di
Emile restavano accesi come lingue di fuoco.
Tutti
i membri della band avevano un’aria grave e decisa e tutto il
photoshoot
ricordava l’acciaio del titolo dell’album. Ognuno
di loro aveva anche il suo
personale primo piano, in cui risaltava la luminosità degli
occhi e la fiera
volontà nello sguardo.
Persino
Claudio sembrava un soggetto interessante e carismatico: per un momento
dimenticai persino l’odio smisurato che mi travolgeva al solo
guardarlo e lo
percepii come se fosse un perfetto estraneo e vidi un volto
interessante, che
avrebbe sicuramente attratto le fans.
Ma
io lo conoscevo bene e quella sensazione durò solo per
qualche istante, dopo
tornò ad essere il solito arrogante, odioso, perfido e
maligno vigliacco, che
aveva gettato Emile nello sconforto più nero a causa del suo
stupido rancore.
Guardando quella foto di Claudio, gongolai pensando che
nell’album successivo,
quell’immagine sarebbe stata sostituita da quella di Luca. Mi
sarebbe piaciuto
vederlo protagonista di quel photoshoot che stringevo tra le mani: con
i suoi
piercing e i suoi tatuaggi, sarebbe stato perfetto, ritratto nella luce
metallica e fredda di quel servizio fotografico.
Feci
un silenzioso sospiro e mi diedi forza, pensando che tutti i passi
fatti fino a
quel momento, non facevano altro che ridurre il tempo di Claudio
insieme ai
GAUS. Ormai la sua
carriera con loro
stava percorrendo il tratto in discesa e avremmo dovuto solo stringere
i denti
per un po’, prima di liberarci definitivamente di lui.
Quasi
come se fosse un passaggio rituale, misi alle spalle quella foto
fastidiosa e
mi concentrai sulle altre. Oltre ad essere ritratti singolarmente, i
gemelli
erano i protagonisti una foto in cui erano insieme, dandosi le spalle
mentre la
luce cupa illuminava il volto di uno per lasciare in ombra
l’altro, come se
fossero il corrispettivo musicale dello Yin e dello Yang. Era una foto
di
grande effetto e mi dispiacque che non fosse stata inserita nel
booklet, sperai
che la casa discografica, decidesse in seguito, di sfruttarla per
qualche altro
tipo di promozione.
Andai
avanti e vidi anche la foto di Maurizio: era insieme alla sua chitarra
e
osservava avanti a sé, verso l’orizzonte. Aveva
un’aria distante e pensierosa,
molto simile a quella che aveva nella realtà.
Probabilmente
se, come pensavo, i gemelli avevano avuto qualche difficoltà
nel rimanere seri
davanti all’obiettivo, per Maurizio sarà stato
estremamente facile assumere
quell’aria cupa e concentrata.
Le
foto migliori le avevo conservate per ultime, per potermele godere in
pieno. Il
mio Emile era terribilmente fotogenico: qualsiasi fosse lo stile della
foto, la
sua risultava sempre una figura che comunicava con
l’osservatore.
Così
come osservava direttamente il pubblico quando cantava, allo stesso
modo aveva
uno sguardo diretto e penetrante verso l’obiettivo. Il grigio
dei suoi occhi
non faceva che richiamare il metallo dell’acciaio, come se
lui fosse l’esatta
incarnazione dello spirito che pervadeva quell’intero album.
E
quando il suo viso era distante, allora era la sua figura a raccontare
di sé e
sopra ogni cosa, lo erano quei riccioli ribelli che sfuggivano al
controllo e
che catturavano l’osservatore con le sue lingue di fuoco, in
mezzo a tutto quel
grigio metallico.
Mi
resi conto con un improvviso contrarsi del cuore, che Emile era nato
per stare
sul palco, era destinato a parlare alle folle, era scritto nel suo DNA
che
dovesse diventare un frontman. Volente o nolente, avrei dovuto
dividerlo con il
pubblico e uno stuolo scalmanato di fans… Perché
ovunque fosse stato, ne avrebbe
sicuramente avuti di fans, avrebbe sicuramente avuto un impatto sul
pubblico
tale, da restare per sempre impresso nelle loro menti.
Sì,
Emile era destinato al successo, ne ero certa.
Al
successo e alle fans invadenti.
Prima
me ne sarei fatta una ragione e meglio avrei accettato quella
realtà, quando si
fosse avverata.
«Streghetta…
ti sei incantata di nuovo?»
Mi
girai verso di lui, con ancora le foto in mano e
l’abbracciai: d’un tratto
sentii il bisogno urgente di stringerlo a me, per ricordare ad entrambi
che lui
era mio, che nessuno avrebbe mai dovuto osare mettere le sue mani su di
lui.
«Ehi!
Pasi, che c’è?»
«Niente…
voglio stare così per un po’, voglio stringerti a
me.» Con un movimento
leggero, Emile prese le foto dalle mie mani e le poggiò sul
tavolo, per poi
stringermi a sé a sua volta:
«Possiamo
restare così quanto vuoi.»
Serrai
la mia stretta sulla sua vita sottile, avrei voluto fondermi con lui in
quel
momento, per poter essere sempre insieme, ovunque fossimo andati.
«Emile…
io ti amo.»
Non
era la prima volta che glielo dicevo: da quella mia confessione un
po’
burrascosa, nella saletta dell’ospedale, avevo ripetuto
ciò che provavo per lui
tante volte, ma in quel momento sentii così forte dentro di
me la profondità
dei miei sentimenti, che mi sembrò di dirglielo per la prima
volta in assoluto.
Probabilmente quella era davvero la prima occasione in cui tutto il mio
essere,
tutta la mia anima, i miei muscoli e le mie ossa, dichiaravano
all’unisono il
mio amore ad Emile.
E
forse il mio Pel di Carota percepì quella differenza
sottile, perché a sua
volta strinse maggiormente il mio corpo al suo e poggiò il
viso sulla mia
testa, quasi come se volesse ripiegarsi intorno a me:
«Sei
la mia casa, Pasi.» prese una piccola pausa, mentre il mio
cuore subì un
arresto istantaneo «È da te che vorrò
sempre tornare, è da te che tornerò
sempre.»
Rimasi
in silenzio, commossa da quelle parole, tremante per la portata delle
emozioni
che stavo provando in quel momento: ero felice, ma ero anche spaventata
al
pensiero che tutto ciò potesse terminare, terrorizzata
all’idea che potessi
perdere per un motivo o un altro, quel pezzo di Paradiso che stavo
costruendo
insieme ad Emile.
«Quando
partirò, porterò con me la tua chiave, ne
farò un ciondolo che terrò sempre con
me e non toglierò mai. E quando tornerò, la prima
cosa che farò, sarà usarla
per venire da te. Mi mancherai tantissimo, mia piccola e adorabile
strega.»
Avevamo
affrontato quel discorso sempre dibattendo, ognuno fermo sulle proprie
prese di
posizione: quella era la prima volta che Emile sembrò
comprendere la mia
tristezza e la mia paura al pensiero del distacco da lui e quella frase
così
dolce e rassicurante fu una benedizione, un piccolo sigillo che
riuscì ad
arginare le mie
paure irrazionali.
A
quel punto la mia commozione prese il sopravvento e finii col piangere
lacrime
silenziose, abbracciata al mio Emile, che altrettanto in silenzio,
continuò a
tenermi stretta a sé, accarezzandomi la testa con una mano.
*****
Più
si avvicinava il momento della partenza di Emile, maggiormente
trascorrevo il
tempo libero a casa sua. Sapevamo entrambi che la mia presenza costante
poteva
rischiare di soffocarlo, ma era anche vero che in quella casa, mi
sentivo
talmente a mio agio, talmente bene, che non era necessario che
trascorressi
esattamente tutto il tempo in sua compagnia. Mi bastava sapere che
condividevamo le stesse mura, potevo anche trascorrere la maggior parte
della
giornata in compagnia di Lucien o di Alberto, ma sarei stata rilassata
sapendo
che in qualsiasi momento avessi voluto, mi sarebbe bastato fare un
passo per
vedere il mio Pel di Carota.
La
domenica ormai, era fissa la mia presenza a pranzo in casa Castoldi:
era
l’unico giorno in cui tutti gli abitanti di quella casa
fossero presenti e
quello del pasto era il momento più adatto per stare tutti
insieme e unire i
vari elementi della famiglia.
In
una di quelle occasioni, quando avevamo appena finito di prendere il
caffè,
d’un tratto Emile si rivolse a suo cugino:
«Lucien
vieni, ti faccio vedere ciò di cui ti parlavo.»
«Oui.»
«Ehi,
non crediate di scamparvela così! Ci sono i piatti da
lavare, scansafatiche!»
Alberto richiamò i due ragazzi ai loro doveri, ma stava
sorridendo soddisfatto
nel vederli allontanarsi insieme.
«Sai
cos’hanno da dirsi, quei due?» mi chiese, con un
sorriso estatico sul volto,
mentre iniziava a sparecchiare.
«Per
niente… forse Emile vuole fargli vedere il CD, non parla
d’altro ormai!» dissi
fintamente risentita, aiutando Alberto a ripulire.
In
quell’ultimo periodo, quel testone del mio ragazzo doveva
essere talmente
felice e soddisfatto, da sentirsi ben predisposto verso gli altri o
forse in
virtù del fatto che a breve sarebbe partito, aveva capito
che la famiglia è un
bene prezioso… Fatto stava, che Emile aveva ufficialmente
messo da parte i suoi
pregiudizi nei confronti di suo cugino.
Quando
Lucien era arrivato in quella casa, quei due avevano trascorso del
tempo
forzatamente insieme, quando
si erano
trovati alle prese con il pranzo da preparare o i lavori domestici da
dividersi
e pian piano, Emile aveva messo da parte quel suo atteggiamento
aggressivo e
pieno d’odio, che aveva mostrato quando il cugino era giunto
dalla Francia,
anche se aveva mantenuto una certa distanza tra loro, non permettendo al francese di
avvicinarlo. Ma da quando Lucien
era tornato dalle vacanze, il mio Pel di Carota aveva iniziato ad
abbattere
anche quell’ultimo muro, avvicinandosi al cugino attraverso
discorsi su libri e
musica, arrivando persino a trovarsi d’accordo con lui nei
riguardi di qualche
autore che amavano entrambi.
Era
una gioia per gli occhi vedere quei due seduti uno di fronte
all’altro che
conversavano e a volte li lasciavo soli volontariamente, per far
sì che
cementassero il loro legame.
«Sono
così felice che finalmente abbia accettato Lucien.»
«Anch’io
bambina mia, anch’io… Claudine sarebbe stata
felicissima di vedere suo figlio e
suo nipote che parlano come due fratelli. Sperava di riuscire a tornare
in
Francia e di farsi accettare da Odette attraverso i bambini. Diceva che
la
nuova generazione avrebbe potuto cancellare i dissidi tra le loro
madri. Lucien
aveva due anni quando ma chère rimase incinta e
all’epoca era figlio unico;
Claudine sperava di poter far giocare insieme i bambini e di farli
crescere
come due fratelli.» Alberto sorrise, ricordando i desideri di
sua moglie e non
potei che fare lo stesso, soprattutto tenendo presente che forse,
almeno quel
sogno di Claudine, poteva finalmente realizzarsi.
«Sono
sicura che sarà così e magari Emile
avrà voglia di conoscere anche il resto
della famiglia, in seguito!» dissi quella frase con impeto,
ma subito dopo
averla detta, mi resi conto che forse stavo diventando troppo
ottimista…
«Di
questo non ne sarei tanto sicuro, bambina, sappiamo benissimo quanto
sia
testardo quel ragazzo, vero? Ma mai dire mai, potrebbe
stupirci!» Alberto rise
ed io rimasi in silenzio, mentre gli davo una mano a lavare le
stoviglie,
crogiolandomi in quell’attimo di pura felicità.
Non
è necessario vivere avventure fuori dal comune o sentirsi
dire frasi plateali,
per scoprire la felicità. Quella vera, quella più
essenziale e pura, è nelle
piccole cose. È nel calore di un abbraccio, in un sorriso
scambiato con una
persona a cui vuoi bene, in una battuta di spirito compresa solo da te
e dal
tuo migliore amico, è nel vedere al tuo risveglio il volto
della persona che
ami o nell’aiutare colui che reputi al pari di un padre, a
risistemare la
cucina, condividendo la gioia di vedere due persone che amate, andare
finalmente d’accordo.
Ero
immersa in quelle riflessioni, con un sorriso sereno sul viso, quando
d’un
tratto, Alberto mi distolse dai miei pensieri: «Pasi,
seguimi.»
«Ora?
Ma… e i piatti?»
«Lasciali
lì, li faranno quei due scansafatiche!
C’è una cosa che devo darti.»
«A
me? Ma perché? È successo qualcosa?»
seguii Alberto nel salotto.
«Ricordi
quando ti ho sporcato il vestito con i colori? Ricordi cosa ti dissi?
Che ti
avrei ripagato per il danno.»
«Ma
no! Ancora stai pensando a quella faccenda? Il vestito è
recuperato, non è
rovinato definitivamente, perciò non stare più a
preoccuparti!»
«Non
esiste, ho sempre pagato i miei debiti e sempre lo farò e
comunque sia, è
troppo tardi ormai, il tuo risarcimento è pronto.»
Il padre di Emile, si
arrestò accanto alla credenza.
«Non
puoi portarlo indietro al negozio… qualunque cosa
sia?»
«È
letteralmente impossibile, a meno che tu non conosca qualche formula
chimica
per far tornare indietro nel tempo gli elementi…»
Quella
risposta mi lasciò alquanto perplessa.
«Che
vuoi dire? Mi ha preso un kit da “Piccolo
Chimico”?»
Alberto
si sporse verso il retro del mobile e allungò un braccio a
prendere qualcosa,
che evidentemente era stato nascosto in quel punto… Nel
frattempo, si fece una
risata sentendo la mia domanda.
«Bambina
ma cosa vai a pensare? È qualcosa di molto più
semplice… tieni, aprilo.» mi
porse un pacco dalle dimensioni notevoli, ma dal volume molto
piatto… Era di
forma rettangolare e
aveva tutta l’aria
di essere…
«È
tuo, vero? È opera tua?» dissi emozionata, prima
ancora di aprire il pacco, al
solo pensiero che Alberto avesse dipinto un quadro esclusivamente per
me.
«Coraggio
aprilo, inizio ad avere l’ansia da prestazione!» Il
padre di Emile sorrise come
sempre, ma c’era una piccola nota di tensione nella sua voce:
era davvero in
ansia di sapere se mi sarebbe piaciuto il suo quadro! Come poteva
lontanamente
supporre il contrario? Dopo tutte le opere che avevo visto nel suo
laboratorio,
mi ero fatta un’idea ben precisa del suo stile e sapevo che
qualunque cosa
avesse dipinto, l’avrei letteralmente adorato per quel senso
di vitalità e di gioia
di vivere che sapeva infondere persino alle nature morte. E invece
quell’uomo
che amavo come un padre, era lì davanti a me, come un
inesperto ragazzino, in
preda all’ansia di sapere se la sua opera fosse stata gradita
o meno.
Iniziai
ad aprire il pacco, mentre gli risposi per tranquillizzarlo.
«So
già che l’amerò, non
c’è bisogno che ti agiti, comprerei tutti i tuoi
quadri ad
oc…»
Non
terminai la frase, perché d’improvviso la gola mi
si chiuse e la commozione mi
zittì del tutto: avevo aperto il pacco solo nella sua parte
superiore, ma le
teste che vidi spuntare da quel dipinto, mi toccarono il cuore come se
avessi
già visto l’opera completa.
I
membri della famiglia Castoldi, in quel quadro erano tutti vicini,
tutti adulti
e sorridevano felici uno accanto all’altro. E già
così, quel dipinto era un
cimelio, perché rappresentava il sogno utopistico di Emile e
di Alberto, di
avere Claudine serena e felice accanto a loro… un sogno che
non si sarebbe mai
avverato. Ma ciò che mi fece crollare del tutto, fu vedere
accanto a quelle
teste, anche una quarta, dai capelli neri e dal sorriso sbarazzino,
quel
sorriso che non mi abbandonava mai…
«Allora,
ti piace? Mentre dipingevo il ritratto di ma chère, mi sono
reso conto che
avrei potuto continuare a dipingere il suo volto in tutti i modi e con
tutte le
espressioni che preferivo. Così ho deciso di mettere
Claudine nel luogo che più
di tutti l’attendeva: accanto alla sua famiglia. E a quel
punto ho deciso che
avrei potuto fare anche di meglio, avrei potuto dipingere la famiglia
al
completo.»
La
mia reazione a quelle parole e al dipinto che si era svelato lentamente
ai miei
occhi, fu così improvvisa e forte, che sorprese anche me:
m’inginocchiai a
terra, scossa dalle lacrime che scorrevano violente e inarrestabili sul
mio
viso. Ero talmente felice di vedere il mio volto accanto ai loro, ero
così
immensamente felice di vedermi parte di una famiglia, che quando mi
resi conto
della violenza di quell’emozione, iniziai a singhiozzare
sonoramente.
«Ehi,
piccola mia, cos’hai?» Alberto si chinò
accanto a me preoccupato e mi abbracciò
mentre io, ancora scossa da quelle lacrime violente, riuscii solo a
ricambiare
quel gesto, senza proferire parola.
«Pasi,
c’è qualcosa che ti ha turbato in quel quadro? Se
è così non prenderlo, non ti
preoccupare, ne farò un altro per te.»
Feci
un cenno di diniego con la testa e provai ad abbozzare una risposta:
«È… è…
bellissimo… sono… felice…» e
continuai a singhiozzare…
«Oh
beh, allora credo che la tua felicità tra poco ci
farà chiamare un idraulico!»
risi a quella battuta e continuai a stringermi a lui.
«Coraggio
bambina, cos’è questa valle di lacrime? Non ti si
addice! Su, fammi un
sorriso.»
Alberto
alzò il mio viso verso il suo e fece una smorfia buffa con
il viso, che riuscì
a farmi ridere.
«Oh,
così ti voglio, vedo che la mia cura funziona…
sei fortunata, sennò sarei
dovuto passare alla terapia d’urto: il solletico.»
«No,
no, il solletico no!» Finalmente trovai il fiato per parlare
e riuscii a
riprendere il controllo di me, necessario a non avere più i
singhiozzi.
«Visto,
sei tornata a parlare: le minacce funzionano!» sorrisi ancora
lacrimante e mi
asciugai quelle ultime gocce traditrici.
«Io…
non so da dove iniziare a ringraziarti… Questo quadro
è bellissimo, perché ci
siete tutti voi e ci siamo tutti noi… Non mi sono mai
sentita parte di una
famiglia così come in questa casa e vorrei tanto che
Claudine fosse ancora qui
con noi…» a quel punto un sospetto tremito nella
voce, mi costrinse a prendere
una pausa per riprendere il controllo, mentre io e Alberto restavamo
inginocchiati accanto al dipinto «Non potrò mai
ringraziarti abbastanza, per
avermi donato una famiglia a cui appartenere.»
Alberto
mi guardò con tutto l’affetto di cui era capace e
mi strinse in un abbraccio:
«Continui a sottovalutarti, bambina mia. Quello che ho fatto
è niente rispetto
a ciò che hai fatto tu per tutti i componenti di questa
famiglia. Includerti
era il minimo che potessi fare.»
Mi
crogiolai nella stretta affettuosa di quell’uomo adorabile,
ma dopo poco fui
distratta dalla voce di Emile, che doveva essere tornato in cucina,
insieme a
Lucien:
«Gliel’ho
detto anch’io, ma non ha voluto asc… ma dove sono
andati? Ehi papà! Ci hai
lasciato tutto questo caos da rimettere a posto?!»
Alberto
sorrise soddisfatto, prima di rivolgersi a me, sottovoce:
«Che ne dici, andiamo
ad aiutarli?»
«Ma
dove diavolo si sono cacciati quei due, basta che giro lo sguardo per
un attimo
e spariscono!»
Sorrisi
sentendo la preoccupazione di Emile: aveva sempre scherzato sul legame
tra me e
suo padre, ma quell’ansia improvvisa iniziava a farmi pensare
che fosse davvero
geloso.
«Saranno
nel laboratorio, Oncle Albert non doveva darle il quadro?»
«È
vero… beh allora iniziamo a far qualcosa, altrimenti diranno
che siamo due
scansafatiche!»
A
quel punto, io e Alberto ci alzammo e andammo in cucina, ma il padre di
Emile
non aspettò di essere visto, per farsi sentire:
«Voi
due infatti, siete degli scansafatiche! Altrimenti non vi sareste
alzati così
in fretta, prima ancora che terminassimo di prendere il
caffè.»
Emile
trasalì per la sorpresa, non si aspettava di sentirci
arrivare dalla stanza
attigua: «Ma che dia… Si può sapere che
facevate lì? Giochiamo a nascondino,
ora?» il suo sguardo si posò su di me e dovette
vedere i miei occhi gonfi di
lacrime, perché la sua espressione si oscurò di
preoccupazione all’istante:
«Pasi, cos’hai? È successo
qualcosa?» venne immediatamente accanto a me,
accarezzandomi il viso.
«Credo
che il mio regalo le sia piaciuto anche troppo.» disse
Alberto, sorridendo ed
io feci un cenno affermativo con il viso:
«È
bellissimo… non avrei mai potuto chiedere di
meglio.»
«Posso
vederlo?» disse Lucien incuriosito, mentre Emile mi
abbracciò protettivo.
«Sì,
è di là in salotto.»
«Andiamo,
sono curioso di vederlo completato.» il mio Pel di Carota
sciolse l’abbraccio,
prendendomi per mano.
Tutti
e tre andammo in salotto e rimasi accanto al mio ragazzo, mentre in
silenzio
guardava se stesso accanto ai suoi genitori e a me.
Lucien
apprezzò subito: «C’est trés
beau. Sembra quasi una fotografia.»
«Già…
una foto da una vita parallela.» disse Emile, con un tono
malinconico… e prima
che l’atmosfera si potesse appesantire, feci una battuta:
«Ora
Alberto dovrà farne un altro con Lucien!»
Il
mio Pel di Carota sorrise e rispose alzando la voce, per farsi sentire
volutamente, da chi non era accanto a noi: «No, no, se mi
ritrae di nuovo con i
capelli verdi, è meglio se la smette ora di fare il pittore
da strapazzo!»
«Ancora
questa storia? Se sei daltonico non è colpa mia!»
Alberto rispose direttamente
dalla cucina, senza nemmeno avvicinarsi a noi. Ecco che ricominciavano
a
beccarsi!
«I
miei occhi ci vedono benissimo, sono quelli di qualcun altro che
risentono
dell’età!»
«Intanto
il vecchietto in questione è stato lasciato da solo a fare
la cucina… siete un
branco di lavativi!»
Ci
ritrovammo a ridere tutti e tre e con il sorriso sul viso, tornammo dal
“vecchietto”, che proprio come un anziano, stava
continuando a borbottare sulle
nuove generazioni che non sapevano cosa fosse il sacrificio e il duro
lavoro.
Quel
quadro l’avrei appeso con grande orgoglio accanto al mio
letto, mi avrebbe
salutato al risveglio ogni mattina, ricordandomi qual era la famiglia a
cui
appartenevo.
*****
Alla
fine, arrivò il giorno ics, da me tanto temuto. Ma due
giorni prima che i GAUS
partissero per il tour, la band ci regalò un live nella
nuova formazione, così
potei finalmente sentire Luca alla batteria e riascoltare la voce di
Emile dal
vivo, direttamente su un palco. Il locale scelto per salutare il
pubblico che
da anni aveva seguito e sostenuto la band, fu il Dada
e mai scelta mi sembrò più adatta, dato
che personalmente, era
stato in quel locale che era nato il mio amore per Emile e per la sua
musica.
La
scelta non fu del tutto casuale nemmeno per la band: essendo il Dada tra tutti quella della zona, il
locale più frequentato, se non quello storico che aveva
visto esibirsi i GAUS
sin dai primi tempi della loro formazione, era il luogo più
adatto a
raccogliere tutti i fans e promuovere la vendita del CD, da una
settimana in commercio.
Sicuramente con quell’esibizione, si sarebbero assicurati una
buona fetta di
acquirenti per la loro prima fatica musicale.
Quando
rimisi piede in quel locale, venni travolta dall’emozione:
c’ero stata altre
volte da quella sera, ma quella era la seconda volta che ci andavo per
sentire
Emile e il paragone con la volta precedente, fu automatico. Allora ci
ero
andata per sfidarlo, per assicurarmi che quel gruppetto da quattro
soldi, non
fosse niente di eccezionale rispetto ai miei amati TresneT
e invece fui sconfitta su tutti i fronti, perché da quella
volta, Emile era entrato di prepotenza nel mio cuore per scombussolarmi
la vita
e quella sera, la prima sera in cui rimasi totalmente ammirata dal suo
modo di
cantare, non riuscii a dormire.
In
quella seconda occasione invece, conoscevo benissimo i brani, conoscevo
tutti i
componenti della band, e avevo imparato a conoscere la luce e
l’ombra che
caratterizzavano il frontman. Quell’esibizione la sentivo mia
in parte, perché
ero a conoscenza di tutti i retroscena, di tutti i passi condotti dai
GAUS, per
arrivare su quel palco, in quella sera.
Ero
ansiosa di assistere a quella performance e di vedere il pubblico in
estasi;
speravo con tutto il cuore che in quelle ore, tutti i presenti
sarebbero stati
fatti a fette dall’esibizione prepotente dei GAUS.
Insieme
a me come di consueto, venne Stè, proprio come quella
fatidica prima volta, con
l’aggiunta di Lucien, che aveva ritardato la sua partenza per
la Francia,
proprio per poter ascoltare suo cugino e che, alla luce del rapporto
che si era
creato fra loro, era emozionato quanto me, all’idea di
assistere a
quell’esibizione.
Il
resto del mio gruppo di amici non si unì a noi: Rita e Fede
avevano i
rispettivi impegni e avevo messo in conto sin dall’inizio che
non sarebbero
stati presenti, ma l’assenza di Sofi mi stupì. Ero
convinta che avrebbe
presenziato, non di certo per Emile, dato che non le era simpatico, ma
per
stare insieme a Lucien, considerato che negli ultimi tempi non avevano
avuto
modo di vedersi spesso. E invece, la mia riservata amica aveva
declinato
l’invito, dicendomi che doveva studiare in vista degli esami
che erano
ormai prossimi…
Chissà cosa le passava
per la mente!
Ma
a rendere quella serata ancora più speciale, fu la presenza
di Alberto.
Fino
ad allora, il padre di Emile non aveva mai potuto ascoltare suo figlio
sul
palco, perché era sempre stato impegnato ad accudire
Claudine. Quella era la
prima volta anche per lui, oltre che per suo nipote. Alberto però, non volle
venire con me e i miei amici,
mi disse che sarebbe apparso al momento opportuno e che non voleva
appesantire
noi ragazzi, con la presenza di un “vecchietto”.
Ribattei che lui era il
genitore più lontano dall’essere un vecchio che
avessi mai conosciuto, ma non
volle sentire ragioni: la testardaggine era una dote comune in quella
casa!
Nonostante
fossimo solo in tre, decidemmo di arrivare al locale relativamente
presto per
poterci accaparrare un tavolo in prima fila: non avevo alcuna
intenzione di
assistere al live dei GAUS con
le teste
degli altri astanti davanti al viso e non avrei mai permesso a me
stessa, di
non essere in linea diretta con gli occhi di Emile. Quel palco poteva
anche
dividerci nei nostri ruoli di cantante e pubblico, ma non avrebbe messo
ulteriore distanza tra me e il mio Pel di Carota!
Come
se stessimo ripetendo i passi di quella prima volta, arrivammo alle
ventuno e
trovammo il locale ancora sgombro dalla folla: nel momento in cui mi
diressi
trionfale verso un tavolo in prima fila, vidi che seduta ad uno di
essi, c’era
Iulia. Non avevo pensato minimamente a chiamarla, perché
davo per scontato che
fosse venuta con le sue amiche e vederla da sola a quel tavolo, mi fece
sentire
improvvisamente in colpa. Dal canto suo invece, Iulia mi venne incontro
sorridendo, com’era suo solito, senza darmi
l’impressione che fosse adirata con
me.
«Pasi!
Ma dove ti eri cacciata?»
La
guardai perplessa, di cosa stava parlando?
«Ciao
Iulia! Non mi aspettavo di trovarti già qui… per
cosa sono in ritardo?»
«Come
“per cosa”? Hai perso le prove!»
«Le
pro… Iulia, tu da quanto sei qui?» Non potevo
credere alle mie orecchie: quella
ragazza doveva essere nel locale da ore!
«Dalle
sei! Sono venuta con Franz, così avrei potuto assistere alle
prove… credevo che
ci fossi anche tu.»
«N-no…
non sapevo nemmeno che potessi venire a quell’ora!»
Iulia
mi guardò sconvolta: «Non ci posso credere! Ma
Emile quella bocca per che cosa
la usa?»
«…»
«Sì
vabbè, a parte le cose piacevoli, ovviamente!
Perché non te l’ha detto?»
sembrava davvero sorpresa che Emile non me ne avesse parlato…
«Non
lo so, forse non c’ha pensato.»
«Uhm…
in effetti non è abituato… non ha mai portato
qualche ragazza alle prove…»
Al
solo pensiero di Emile insieme a qualcun’altra, sentii il mio
stomaco
contrarsi: continuavo imperterrita ad essere gelosa del suo passato,
nonostante
sapessi che fosse un sentimento del tutto inutile.
«Però
a pensarci bene, nemmeno io li ho seguiti tanto spesso, anche se avrei
voluto… Immagino
che il Duce abbia fatto
sentire la sua volontà in molti casi.»
Già,
Emile non avrebbe tollerato la presenza di persone deconcentranti come
una
fidanzata. Quella che doveva essere l’unica volta in cui si
fosse concesso uno
strappo alla regola, era finita con un bel litigio corale tra lui e
Claudio e
tra lui e me… era ovvio che non mi avesse chiesto di essere
con loro al locale,
per assistere alle prove!
«Iulia!
Amoore come stai?»
Mi
voltai verso la voce che aveva interrotto i miei pensieri: due ragazze
erano
appena arrivate e si erano avvicinate a noi, con l’intento di
salutare la mia
compagna.
«Isa,
Deb! Da quanto tempo!»
Nonostante
le parole della mia interlocutrice fossero amichevoli, il tono usato
non lo
sembrava affatto: Iulia sembrava fingere una gentilezza che non
provava, il suo
tono di voce era alterato, sapeva di finto, come se stesse recitando
una
pantomima.
«E
la tua amica? Non l’ho mai vista prima.» disse una
delle due, una ragazza che
aveva un aspetto simile a quello di Iulia: il suo abbigliamento era
altrettanto
scuro, ma più barocco, corredato com’era di un
corpetto rosa cipria dai
merletti neri, che sovrastava una lunga gonna nera.
Un’acconciatura ricca di boccoli scuri e un
trucco altrettanto pesante completavano il quadro, dandole
l’aspetto di una
bambola inquietante.
«Oh
lei è Pasi, la ragazza di Emile.»
«QUELL’
Emile?» disse la seconda: una ragazza abbigliata di borchie,
con i capelli
biondo platino cortissimi e il trucco pesante: alla luce della
rivelazione di
Iulia, mi guardò con un nuovo interesse, scandagliando ogni
centimetro del mio
corpo ed io m’irrigidii in atteggiamento di sfida, aspettando
la sua prossima
esclamazione. «Piacere mio, mi chiamo Isa.» mi
allungò una mano poco convinta,
che strinsi con vigore.
«Il
piacere è tutto mio.»
Le
risposi con voce ferma e decisa: se pensava d’imbarazzarmi
col suo modo di
fare, aveva del tutto sbagliato soggetto e gliel’avrei fatto
capire subito!
«Ma
che piacere conoscere la nuova ragazza di Castoldi! Io sono
Deb.» Nonostante
l’aspetto non propriamente allegro, Deb mostrò un
atteggiamento molto più
socievole nei miei confronti, rispetto alla sua amica; mi
abbracciò
calorosamente e mi rivolse uno sguardo allegro, prima di aggiungere: «Benvenuta tra
noi.»
Nonostante
l’apparente cordialità, quella frase mi
lasciò scettica e balbettai un “Grazie”
poco convinto.
«Andiamo
Isa, lasciamo che Pasi si ambienti… ci vediamo dopo,
ragazze.»
Trascinandosi
l’amica, si allontanò da noi, lasciandomi
perplessa.
«Cosa
diavolo intendeva con “Benvenuta tra
noi”?» dissi a Iulia, senza nemmeno
attendere che quelle due fossero abbastanza distanti da non sentirci.
La mia
compagna fece una smorfia prima di rispondere:
«Stai
lontana il più possibile da quelle due, sono delle
iene.»
«Eh?»
«Deb
ha la capacità di mettere zizzania tra le persone
più unite e Isa è il suo
cagnolino fedele.»
«Eppure
sembrava tanto cordiale.»
«Sì,
è il sorriso di chi ti dichiara guerra.»
«Quindi
mi è stata dichiarata guerra? E per quale motivo?»
«Invidia.
Deb un paio di anni fa, era la vocalist di una gothic band che aveva
anche la
sua buona fetta di pubblico. Ma accadde qualcosa all’interno
del gruppo e i Bleedingthornes si
sciolsero e da
allora, Deb non fa altro che tentare di entrare nelle band
altrui… e nei letti
dei loro componenti!»
«Ah…»
«Un
anno e mezzo fa, durante un contest a cui parteciparono i GAUS mentre
lei era
la guest di una band, ci provò con Franz.»
«E
ovviamente lei sapeva benissimo che lui era il tuo
ragazzo…»
«Certamente:
ero con loro e sono stata tutto il tempo accanto a lui, tranne durante
l’esibizione e quando sono stati dietro le quinte.»
«Ho
capito… e quindi tu pensi che possa provarci anche con
Emile?»
Al
solo pensiero di quella tipa che provava ad allungare le sue mani
addosso al
mio ragazzo, mi sentii ribollire il sangue nelle vene: le avrei
staccato la
testa a morsi piuttosto che permetterle di avvicinarsi a lui!
«Ne
sono più che certa. Le piace provarci con quelli
già impegnati… gode quando
riesce a dividere una coppia, si sente potente. Con me e Franz non
c’è
riuscita, ma siamo stati quasi gli unici ad uscirne
indenni…»
Cercai
con lo sguardo quelle due nuove conoscenze e vidi che Deb in quel
preciso
istante, stava parlando con un ragazzo, dandosi arie da donna vissuta:
mi
fidavo di Emile, ma non avrei mai permesso che quella tipa si
avvicinasse a
lui!
«Isa
la segue sempre?»
«Sì,
è il suo cagnolino: fa tutto ciò che Deb le dice
di fare.»
«Come
Claudio e Maurizio?»
«Sì…
solo che questo caso è più complicato: Isa
è innamorata di Deb.»
«Ah.»
«Già…
e ovviamente lei lo sa, ma non fa assolutamente nulla per risparmiare
all’
“amica”, la visione di lei che ci prova con tutti.
Le piace l’idea di avere
potere su Isa.»
«Ma
sembra una telenovela!»
«In
effetti lo è. Nell’ambiente ci conosciamo tutti e
come spesso capita nei gruppi
sociali, vuoi per collaborazioni musicali, vuoi per puro
intrattenimento personale,
si stringono relazioni in continuazione all’interno di questa
comunità.»
«Un
modo gentile di dire che tutti si passano tutti, in pratica.»
«Sì,
detto in parole povere, questo è il succo del discorso.
Questo è un ambiente
ipocrita e difficile, Pasi, inoltre
anziché collaborare, i vari musicisti cercano di farsi le
scarpe l’un l’altro
per poter emergere… e
quando ci si
mettono in mezzo le case discografiche è anche
peggio!»
Guardai
sconcertata Iulia e una domanda fece capolino nella mia testa:
«A-anche le
altre… le ex di Emile erano
dell’ambiente?»
«Forse
ce n’è stata una… Sinceramente non
saprei risponderti con certezza, Emile non
ha mai fatto venire qualche ragazza ai live, probabilmente voleva
tenerle
lontane da quest’ambiente…»
«No,
probabilmente voleva tenerle lontane da lui.»
Come
aveva cercato di fare anche con me. Non voleva mischiare i suoi affari
personali con la musica.
Invece
io ero in quel locale, a dargli sostegno, a sentirlo suonare nuovamente
sul
palco dopo mesi…
«Ma
tu sei qui però e questo, è
importante.» disse Iulia, cercando di distogliermi
dai miei inutili attacchi di gelosia. Ma il suo tentativo fu superfluo,
perché
stavo già sorridendo, rincuorata al pensiero che quelle
fantomatiche ex che mi avevano
preceduto e di cui ero
patologicamente gelosa, non fossero mai state dov’ero io in
quel momento.
«Sì,
ci sono e ci sarò sempre!» dissi decisa, guardando
in direzione di Deb,
raccogliendo silenziosamente la sua sfida.
«Così
ti voglio vedere, Pasina! Dovremo essere forti, dovremo lottare per
difendere
ciò che è nostro e perché saremo noi
ad essere l’appoggio dei nostri ragazzi,
quando le cose diventeranno difficili.»
«Hai
ragione. Spero che ciò non accada mai, ma sono pronta a
tirare fuori gli
artigli, se dovesse essere necessario.» Iulia mi sorrise
soddisfatta e in quel
momento, Stè mi chiamò. Feci cenno al mio amico
che li avrei raggiunti al
tavolo e mi rivolsi alla mia compagna: «Se sei sola,
perché non vieni a sederti
al tavolo con noi?»
«Oh
no, stai tranquilla, tra poco arriveranno le mie amiche. Io sono
arrivata prima
per sentire le prove, ma le altre mi raggiungeranno presto.»
«Ah,
ok… ma se per qualsiasi caso volessi unirti a noi, un posto
per te al tavolo
c’è sempre.»
«Grazie
Pasina!» Iulia mi diede un bacio affettuoso sula guancia e si
accomiatò, mentre
io raggiunsi i miei amici.
Quando
mancava una ventina di minuti all’inizio
dell’esibizione, nel locale regnava il
caos: era impossibile riuscire a capire le parole del vicino senza
dover alzare
la voce e c’era anche il rischio che qualcuno si poggiasse
sullo schienale
della tua sedia e che finisse a darti una gomitata dietro la nuca!
Ero
seduta accanto a Stè che a sua volta aveva Lucien accanto,
perciò Testa di
Paglia sarebbe stato il mio interlocutore principale, anche se il caos
che si
era creato intorno a noi, non permetteva molto dialogo nemmeno col
proprio
vicino!
Tuttavia,
Stè decise di sfidare il caos infernale e iniziò
a parlarmi: sulle prime
faticai non poco per capire cosa diceva, ma quando captai alcune parole
e capii
qual era l’argomento del discorso, d’improvviso il
mio udito divenne perfetto.
«COOOOSA!?»
«È
così Testarossa, hai capito bene.» Stè
mi guardava con un’espressione
soddisfatta, per avermi sorpreso con quell’affermazione.
Non
riuscivo a credere a ciò che avevo sentito: Emile aveva
chiamato il mio amico
per parlargli! Al sentire quella notizia, un’ansia terribile
s’impadronì di me:
temevo di sapere cosa si fossero detti.
«Ehi,
stai bene? Sei impallidita
all’improvviso…»
Stè
sembrava parlare dell’argomento in tono tranquillo, non
sembrava risentito;
forse non c’era motivo di preoccuparmi…
«Ma...
p-perché? Per quale motivo? Cosa voleva da te?»
«Proprio
quello per cui stai facendo quella faccia preoccupata!»
Stè continuava a
sorridere e a prendermi in giro bonariamente, ma io non riuscivo a
rilassarmi
affatto!
«Oh
mio Dio! Stè io…»
«Sta’
tranquilla Pasi, non c’è stata alcuna discussione:
Emile è venuto per scusarsi
personalmente con me, per il suo modo di fare nei miei
confronti.»
Se
fossi stata la protagonista di un cartone animato, in quel momento
avrei dovuto
raccogliere i pezzi della mia mascella sparsi sul tavolo,
poiché quella fu la
sensazione che mi pervase: ero del tutto sbigottita! Emile mi chiedeva
scusa
facilmente quando capiva di sbagliare, ma conoscendo la sua chiusura
verso gli
altri e la gelosia che lo pervadeva se solo nominavo Stè,
sapere che fosse
andato di proposito da lui per scusarsi, mi lasciò senza
fiato! Dovevo avere
un’espressione alquanto idiota poiché il mio amico
si fece un’altra grande
risata a mie spese:
«Testarossa
dovresti vedere la tua faccia!»
«E
come vuoi che stia?! Sono del tutto senza parole!» riuscii a
riprendermi quel
tanto che bastava per ascoltare ciò che Testa di Paglia
aveva da dirmi.
«In
effetti ha lasciato sorpreso anche me. Ero consapevole che avesse
dell’astio
nei miei confronti, ma sai bene che non essendo la prima volta che
capita, non
ci ho dato troppo peso… Evidentemente lui si è
reso conto che ci soffrivi,
perché mi ha detto chiaramente che cercherà di
non comportarsi più in quel modo
astioso per il tuo bene, ma ha
aggiunto
anche, che per lui
sarò sempre una spina
nel fianco.»
Testa
di Paglia fece un’espressione perplessa e ironica: per
fortuna non l’aveva
presa male, nonostante Emile non fosse stato così remissivo
nel porgere le sue
scuse.
«Come
al solito gli manca l’umiltà… mi
dispiace che ti abbia detto una cosa del
genere!»
«Ma
no Pasi, non c’è nulla per cui offendersi: mi ha
parlato con calma, senza
alterarsi, mi ha detto semplicemente come stanno le cose, in modo che
io sappia
il motivo del suo comportamento una volta per tutte.»
«E
come stanno davvero le cose? Cosa ti ha detto di preciso?»
Non ero ancora
serena, il pensiero di Emile e Stè che si confrontavano, mi
creava ansia e un
senso di catastrofe imminente!
«Questo
resterà tra me e lui. Tu però rilassati, volevo
solo fartelo sapere per farti
sentire meglio.»
«E
come faccio a sentirmi meglio, Stè!?» La mia voce
iniziò a salire di tono… per
fortuna eravamo circondati dal caos e nessuno mi aveva sentito.
«Prima mi dici
che Emile ti chiama per parlare con te e poi non mi spieghi cosa ti ha
detto e
pensi che debba rilassarmi così!? Da quando, fai comunella
con il mio ragazzo?
Non eravamo amici io e te?!»
Il
mio amico fece un enorme sorriso affettuoso e mi diede un buffetto sul
viso:
«Noi
saremo sempre amici Testarossa, ma ci sono cose che non posso dirti.
È una cosa
tra uomini. Prendila come l’inizio dell’amicizia
tra me ed Emile.»
Mi
sorrise raggiante e mi lasciò di nuovo senza parole: Emile e
Stè amici… cosa
diavolo si erano detti? Possibile che un incontro tra loro, non fosse
sfociato
nel sangue? Ero davvero preda dell’ansia, con
l’intento di riempire di domande
il mio amico, finché non si fosse arreso e mi avesse detto
tutto riguardo
quella faccenda, ma la mia curiosità era destinata a non
essere appagata,
almeno non quella sera, perché d’improvviso si
spensero le luci e si accesero
quelle sul palco.
Emile
era al centro, come sempre in prima linea, nuovamente abbigliato di
nero, ma
stavolta i pantaloni in pelle e la cintura borchiata, gli davano un
look più
aggressivo ed incisivo. Come al solito, quel total black, faceva
risaltare per
contrasto i suoi riccioli rossi, che sembravano catalizzare tutta la
luce. Alla
sua destra, a stento riuscii a vedere Maurizio, che sembrava volersi
nascondere
nelle zone scure del palco, mentre Luca direttamente dietro Emile,
nonostante
ricevesse la luce, restava nascosto in buona parte dalla sua batteria:
“Lola”,
nipote della vecchia Betsy, per anzianità di acquisto. Mi
scappò un sorriso
pensando a quella mania di dare i nomi ai propri strumenti musicali e
osservai
il resto del gruppo: Francesco era alla sinistra di Emile, molto
più vicino a
lui di quanto non lo fosse Maurizio, ma quella era una scelta che
andava al di
là dei rapporti tra loro; i due gemelli rischiavano di
urtarsi con i propri
strumenti se fossero stati troppo vicini e visto che il frontman non
aveva
strumenti con sé, avvicinarsi a lui era la scelta migliore.
Filippo era
posizionato più indietro rispetto a suo fratello a
metà strada tra Francesco e
Luca e quella sera, aveva lasciato i capelli sciolti, rendendo ancora
più
palese la somiglianza con il suo gemello. Tutti i componenti dei GAUS
sembravano abbigliati di nero o al massimo blu, a parte Francesco che
aveva
scelto d’indossare un paio di jeans. Di Luca non avrei saputo
dire molto, dato
che vedevo a mala pena il suo viso, ma sembrava indossare un gilet
direttamente
sulla pelle, senza maglietta.
Quando
iniziarono a sentirsi le prime note, dimenticai tutti questi dettagli
sul look
della band e iniziai ad immergermi nel mondo musicale di Emile e dei
GAUS.
Nonostante
li avessi sentiti svariate volte, quella sera dovevano essere carichi
di
entusiasmo all’idea della partenza, perché
suonarono tutti con un’energia tale,
da rendere il suono molto più forte e incisivo. La loro
musica risuonava nel
mio battito cardiaco, l’onda sonora degli amplificatori,
sembrava far vibrare i
tavoli e tutto ciò che v’era poggiato sopra. Gli
assoli di Francesco mettevano
i brividi e la batteria di Luca era potente: avevo sentito Claudio
molto più
spesso e sapevo di cosa era capace e Luca ne era davvero un degno
sostituto,
aggiungendo quel tocco personale un po’ più freddo
e spigoloso, ma di grande
effetto.
Il
brano quasi omonimo al titolo dell’album, Steel,
era energico e deciso, con profondi accordi di basso e forti impennate
di
chitarra:
I’m made of steel My
blood is strong My
flesh is unbreakable Show
me
your strenght I’ll beat you
|
Sono
fatto d'acciaio Il
mio sangue è forte La
mia carne è indistruttibile Mostrami la tua forza Ti batterò |
Ci
ritrovammo tutti in piedi a battere le mani a tempo, qualcuno
cercò persino di
pogare, ma lo spazio libero tra il pubblico e il palco era talmente
esiguo, che
non era possibile spostarsi più in là di qualche
centimetro.
Fu
emozionante riascoltare Ghost as I am,
la canzone dedicata al dolore di Claudine, quella che sentii al Sandbox
e che mi commosse quando
compresi di che parlasse…
I
see
your world But
do
you see mine? I’m
a
ghost now Nobody
can see my scars Nobody can hear my
scream |
Io
vedo il tuo mondo Ma
tu vedi il mio? Sono
un fantasma ora Nessuno
può vedere le mie ferite |
A
quel punto mi venne spontaneo guardarmi intorno, in cerca di Alberto,
ma la
folla era talmente tanta, che fu letteralmente impossibile vederlo
senza
dovermi alzare e girare lungo tutto il locale. Sperai che fosse
riuscito ad
entrare prima che si fossero spente le luci, perché suo
figlio quella sera
stava dando il meglio di sé.
La
voce di Emile era calda, impetuosa, aggressiva: quel tono graffiante
era così
profondo e carico di emozioni diverse, che ogni canzone mi scuoteva
l’anima,
ogni brano riusciva a infondermi dei sentimenti diversi. Sentivo le sue
corde
vocali vibrarmi nel sangue, percepivo ogni piccola variazione di
tonalità come
se fossi stata sul palco accanto a lui e riuscivo ad emozionarmi, anche
per un
singolo acuto o un passaggio sussurrato. Quella sera, sentii il mio
amore per
lui scoppiarmi dentro, come se fosse stato troppo grande da trattenere
nel mio
corpo.
Ma
non c’era solo quello.
Più
l’ascoltavo, maggiormente sentivo aumentare il mio orgoglio
per Emile: il
pubblico l’ascoltava rapito, non si perdeva una sola nota e
non si distraeva in
chiacchere. Il locale era piccolo, ma c’era la stessa
atmosfera da concerto che
si trova negli stadi o nei grandi edifici appositi: sapevo che la
maggior parte
del pubblico era costituito da fans e da persone che conoscevano bene
la band,
ma vedere l’effetto che quella musica stava facendo su tutte
quelle persone,
non fece che rendermi felice all’idea che quella reazione, si sarebbe potuta
moltiplicare con un
pubblico molto più vasto, durante i prossimi mesi di tour.
Ero davvero
orgogliosa del mio Emile!
Cercai
con lo sguardo Lucien, per sapere se condivideva la mia stessa emozione
e lo
trovai totalmente rapito: la sua espressione era concentrata, ma un
lieve
sorriso indicava che si stava godendo lo spettacolo. Non riuscii ad
attendere
la fine dell’esibizione per chiedergli un parere e
allungandomi verso di lui,
gli diedi un colpetto sulla schiena. Si voltò verso di me e
gli feci un cenno
per chiedergli cosa ne pensasse: in tutta risposta mi fece un grande
sorriso,
si allungò verso di me lungo la schiena di Stè e
mi disse ciò che stava
provando:
«È
davvero bravo, sono sbalordito. Sono felice di essere riuscito ad
ascoltarlo,
ne valeva la pena.»
Il
mio orgoglio crebbe sentendo quelle poche parole: sapevo che Lucien
provava un
sincero affetto nei confronti di suo cugino e vedere che a quel
sentimento era
stata aggiunta anche l’ammirazione,
mi
fece gongolare di soddisfazione. Di sicuro al suo ritorno in Francia,
Lucien
avrebbe parlato del talento di Emile e la fama della sua bravura
sarebbe giunta
alle orecchie di quella famiglia, che aveva sempre fatto finta di non
conoscerlo, che aveva messo alla porta lui, suo padre e soprattutto sua
madre.
Emile sarebbe diventato famoso e avrebbe fatto vedere a tutti di che
pasta era
fatto!
Sorridendo
in direzione di Lucien, tornai a concentrami sulle note che stavano
vibrando in
quel locale proprio nel momento in cui Luca
diede dei colpi di batteria che mi fecero capire
immediatamente di
quale canzone si trattava: era l’intro di uno dei brani
strumentali, Ocean, in cui Emile
avrebbe suonato una
parte col violino. Era un brano che avevo sentito poche volte, ma che
era
profondo e vario, nella sua parte ritmica importante, fino passare a quella
più lirica in cui il violino
sembrava quasi l’unico strumento in azione.
Durante
l’esecuzione di quel brano, precisamente nella parte con la
batteria, ricordai
come se fosse un’improvvisa rivelazione, perché
Luca mi fosse sembrato
familiare: l’avevo già visto.
Proprio
in quel locale, proprio quella sera in cui avevo sentito i GAUS per la
prima volta.
Era stato lui a darmi il flyer con le tappe delle esibizioni nei
locali, era
lui quel ragazzo che si era limitato a porgermi quel volantino, per poi
sparire
prima ancora che potessi finire di dirgli quanto mi erano piaciuti i
suoi
amici!
In
quel momento mi parve ancora più chiaro che quella sera, si
stesse chiudendo un
cerchio, per dar vita ad un altro ciclo di eventi.
I
ragazzi alternarono delle covers alle proprie canzoni, per poter dar
modo al
pubblico che non li conosceva, di apprezzare ugualmente la loro musica
e verso
la fine della serata, intonarono Highway
to Hell, che scatenò il pubblico in un coro
energico e compatto… E con mio
estremo fastidio, vidi alcune ragazze avvicinarsi al palco, che non
avevano
remore ad agitarsi “seguendo la musica”, mettendo
in mostra le proprie grazie
sotto il naso di Emile. Fui invasa dalla gelosia come una furia ed ebbi
persino
il timore che tra quelle scellerate ci fosse Deb, in procinto di
scagliare il
suo primo attacco. Ma dopo un attimo in cui vidi rosso, mi tornarono
alla mente
le parole di Iulia:
“Dovremo
essere forti, dovremo lottare per
difendere ciò che è nostro e perché
saremo noi ad essere l’appoggio dei nostri
ragazzi, quando le cose diventeranno difficili.”
Sì,
dovevo essere forte e sopportare l’esuberanza di certe
ragazze, dovevo
sostenere Emile e avere fiducia in lui.
Sarei
stata davvero un misero sostegno per lui, se avessi creato scompiglio
per
quattro ochette starnazzanti durante la sua esibizione. Dovevo rendermi
più
forte e fiduciosa, se volevo essere un valido sostegno per lui, nei
momenti
critici.
Avevo
avuto già modo di assaporare un momento simile e sapevo
benissimo quanto avesse
rischiato di mandare in frantumi i progetti di Emile e della band
intera. E
sapevo altrettanto bene che, nonostante fossi stata la causa
involontaria dei
suoi guai, il mio appoggio nell’accettare le condizioni di
Claudio, avevano
aiutato Emile a superare quel momento buio della sua vita personale e
professionale.
Mi
ero sempre chiesta come le compagne dei musicisti più
affermati, affrontassero
la vita e riuscissero ad essere accanto ai loro uomini nei momenti di
crisi
professionale.
Sid
e Nancy si erano distrutti reciprocamente, così come Jim e
Pam, per non parlare
di Courtney e Kurt*…
però
ci sono anche donne come
Alison Stewart, che vivono
accanto al loro uomo da più di trent’anni, che
hanno osservato silenziosamente
ogni piccolo passo fatto dall’assoluto anonimato, fino al
successo mondiale,
senza vacillare, senza mai lasciare il proprio ruolo di compagna, anche
quando
la fama del suo Paul, iniziava a creare dei gossip velenosi sulla loro
vita
privata, anche quando i singoli componenti degli U2 avevano
attraversato
momenti di crisi esistenziale tali, da mettere in discussione
l’intero futuro
della band.
Sarei
stata in grado di essere una Alison anch’io? Avevo giurato a
me stessa di non
venir meno al mio ruolo di sostegno verso Emile e dovevo essere in
grado di
mantenere a tutti i costi quel solenne proposito.
Il
mio Pel di Carota si stava per affacciare in un mondo vasto, crudele e
spietato. Avrebbe potuto incontrare la fama più grande o
l’ignominia più
profonda per un semplice gioco della fortuna, oppure farsi strada
nonostante
tutto, solo grazie al suo talento, alla sua testardaggine e alla ferma
volontà
di andare avanti contro tutto e tutti.
E
per farlo aveva bisogno anche del mio sostegno.
Non
avrei mai dovuto vacillare.
Emile
era mio, anche se dovevo sopportare la vista del pubblico femminile che
lo
guardava adorante, anche se dovevo dividerlo con la musica, anche se
lei
l’avrebbe portato via da me per un po’ di tempo e
se gli avesse donato dei
momenti di puro sconforto.
Lui
era mio ed io ero il suo sostegno, nel presente, come lo sarei stata
nel
futuro.
Ero
appena giunta a quella considerazione che m’infuse forza e
coraggio, quando
quella stessa forza, rischiò di annientarsi dietro
un’emozione fortissima.
Il
termine dell’esibizione era prossimo, il repertorio personale
dei GAUS era
terminato e al massimo rimanevano un paio di covers. Ma a quel punto,
Emile
prese il microfono per parlare:
«Siamo
giunti alla fine di questa serata e vi ringrazio a nome di tutta la
band,
perché siete stati un pubblico magnifico. I brani che avete
ascoltato potete
trovarli nel nostro album…»
Forse
avevo fatto male i conti ed era giunto direttamente il momento del
commiato,
con la presentazione dei membri della band.
«…
tranne il prossimo.»
C’era
ancora un brano? Allora avevo davvero sbagliato i conti.
«Il
prossimo brano non è riuscito ad entrare
nell’album perché si è completato in
ritardo. Vogliamo farvelo ascoltare perché lo sentirete in
futuro e perché
dovevo dedicarlo alla persona che me l’ha ispirato, la
persona che ha
contribuito a far sì che fossi su questo palco stasera.
»
Doveva
essere una nuova canzone dedicata a Claudine… immaginai la
commozione di
Alberto e mi preparai ad ascoltarla, ma a sorpresa, Emile si
girò in mia
direzione:
«Questa
canzone è per te, Pasi. Spero che possa farti capire quanto
io ti ami.»
In
quel preciso istante, il mio cuore si fermò:
l’emozione che provai rendendomi
conto che Emile aveva scritto una canzone pensando a me e il fatto che
avesse
detto davanti a tutti che mi amasse, mi fece tremare le gambe e solo il
puntuale sostegno di Stè, fece sì che non cadessi
a terra, nonostante fossi
comodamente seduta.
E
quando la musica iniziò, rimasi totalmente
esterefatta, perché quel brano
lo conoscevo!
Quella
melodia era la stessa che stava componendo quel giorno sotto
l’albero di
magnolia, quella dolce melodia che aveva suonato con
l’armonica, mentre ci
godevamo quel pomeriggio di pace insieme!
I’m
here in the shadows And
I
think of you Your
smile is a ray of light That
shine on me |
Sono
qui tra le ombre E
penso a te Il
tuo sorriso è un raggio di luce |
Quelle
parole le ricordavo, perché quando le avevo lette su quel
foglietto dimenticato
a casa mia, le avevo amate all’istante… E quando
giunse il ritornello, ritrovai
le parole che Emile mi aveva detto solo due settimane prima:
You’re
my home, baby I
will
always go back to you I
will
always be with you You’re
my safe place, baby My
soul
dream of you My heart belong to you |
Tu
sei la mia casa, baby Tornerò
sempre da te Sarò
sempre con te
Tu
sei il mio luogo sicuro, baby La
mia anima sogna te |
Quel
brano parlava di noi, della nostra storia, del modo in cui entrambi
eravamo
entrati nel sangue dell’altro. Ma era anche una dolcissima
dichiarazione
d’amore, costruita nel tempo, attraverso momenti bui e
difficili e attimi di
pura perfezione.
Ripensai
alle parole di Alberto sul dipingere la persona che amava:
“Dipingere la
persona che ami è un’impresa
difficile ma anche la più gratificante, è un
omaggio a ciò che lei rappresenta
per te, un omaggio a ciò che riesce a lasciarti dentro, al
modo in cui la tua
vita muta drasticamente per il solo fatto che lei è
lì con te”
Lui
aveva messo la sua arte a servizio del suo cuore e dei suoi sentimenti
e suo
figlio aveva fatto altrettanto con me: in quel momento mi stava
dichiarando il
suo amore attraverso la sua musica!
Non
avrei potuto ricevere una dichiarazione d’amore
più bella, profonda e vera né
da lui, né da nessun altro.
Se
la prima volta che mi aveva rivelato i suoi sentimenti, quelle parole
erano
state intrise di paura, quella canzone era invece piena di gioia e
riusciva a
trasmettermi ciò che Emile sentiva dentro di sé e
che lui non era mai stato
capace di descrivere, privo della musica.
Percepii
in una parte della mia coscienza, il braccio di Stè che mi
sosteneva ancora, ma
tutta la mia attenzione si concentrò in quel brano e su
tutto ciò che si
portava dentro. A completamento di quel momento così
emozionante, vidi
risplendere al collo di Emile qualcosa sotto i riflettori: non potevo
esserne
certa, ma dato che non era sua abitudine portare ciondoli, supposi che
dovesse
essere la mia chiave, quella che gli avevo regalato per dargli la
possibilità
di entrare in casa mia ogni volta che avesse voluto, quella che, come
mi aveva
detto, avrebbe portato con sé durante il tour…
Si
poteva morire di felicità? In quel momento pensai che fosse
una realtà a me
molto prossima, perché temetti che il cuore non avrebbe
retto a tutta la gioia
che mi scoppiò dentro.
Sentii
le lacrime bagnarmi il viso mentre Emile cantava guardandomi negli
occhi: tutto
ciò che mi circondava sparì dalla mia visuale,
non c’era più nessuno accanto a
noi: dimenticai Sté, dimenticai Lucien e Alberto…
Dimenticai le fans invadenti,
Isa e Deb e tutto quel mondo difficile che quella sera ci
attorniava… In
quell’istante c’eravamo solo io ed Emile, la
mia felicità e la musica che in quel momento ci stava
unendo.
Emile
mi amava, ne ero sempre stata certa, ma ricevere una canzone scritta da
lui
appositamente per me, fu la prova del nove, fu la certezza che il mio
Pel di
Carota, aveva trovato un modo per unire quelle parti di se stesso che
l’avevano
fatto tremare, davanti a ciò che provava per me. Grazie a
quel brano, io e la
sua musica eravamo diventate un tutt’uno, ci eravamo unite,
sostenendoci a
vicenda e dando modo al mio Emile, di esprimere in una sola volta tutti
i suoi
amori.
Non
avrei potuto ricevere regalo più grande e le lacrime di
felicità che scorrevano
sul mio viso, risposero per me a quella meravigliosa dichiarazione
d’amore,
mentre Emile continuava a cantare osservandomi.
In
quell’istante, con i suoi occhi fissi nei miei e il sorriso
di pura felicità
che ci stavamo scambiando, fui assolutamente certa, che io e il ragazzo
che
stava cantando su quel palco non ci saremmo mai separati.
Le
parole di quella canzone divennero anche le mie: Emile era la mia casa,
era da
lui che avrei fatto sempre ritorno, era con lui che avrei voluto vivere
tutti i
giorni della mia vita. Ci sarebbero stati sicuramente altri momenti
bui,
avremmo litigato tante altre volte e altrettante volte avremmo
chiarito,
innumerevoli volte si sarebbe allontanato da me per seguire la sua
musica ed io
altrettante volte l’avrei seguito nel suo cuore, come lui
sarebbe rimasto nel
mio mentre l’attendevo e costruivo il mio futuro.
Qualsiasi
ostacolo ci avrebbe presentato la vita, l’avremmo affrontato
insieme, anche a
suon di litigi e battibecchi com’era ormai nostra tradizione,
ma niente ci
avrebbe mai separato.
Non
l’aveva fatto la gelosia per Stè e nemmeno la mia
intromissione nella sua vita
professionale e nemmeno le distanze più vaste ci sarebbero
riuscite, nemmeno i
dolori più grandi o le delusioni più cocenti,
perché i nostri mignoli erano
legati da un filo rosso che
non si
sarebbe mai spezzato, un
filo rosso
come il mio carattere da fiammifero, rosso come i ricci di
Emile… Rosso perché
era il Filo del Destino che lega due persone fatte per stare insieme.
Highway
To Hell
= Canzone degli AC/DC
Ecco. Non so che dire. Ho annunciato la fine di questa storia così tante volte, che ora che è giunta davvero, non so nemmeno come affrontarla. Quando ho messo la parola fine a questo capitolo (dopo aver scritto metà di esso in una sola serata, presa da un'ispirazione folle che non mi era mai capitata prima), mi sono sentita davvero felice e appagata. E non solo perché finalmente sono riuscita a portare a termine qualcosa, ma anche perché ero ancora così piena della gioia di Pasi, che sentivo dentro di me la sua stessa felicità. Però, insieme a quest'appagamento, mi è venuta addosso anche una strana sensazione di vuoto, perché sapevo che non avrei più scritto sul suo conto, che non sarei stata più in compagnia di Testarossa e Pel di Carota e di tutta la combriccola.
Anche se a dir la verità, resta ancora dentro di me la volontà di scrivere un seguito a questa storia e dare voce anche all'amore di Alberto e Claudine con uno spin-off a loro dedicato. Entrambe le ipotetiche storie, hanno già un capitolo quasi terminato, ma da qui a dire che saranno terminate, ci vuole ancora tempo. Se mai riuscirò nell'intento di portare a termine questi due progetti, spero che siate felici all'idea di restare ancora un po' con i miei bambini ^ ^
A questo proposito, se ci fosse qualcuna di voi che volesse essere avvisata nel caso pubblicassi una delle due storie, potete farmelo sapere sia tramite recensione, che tramite messaggio privato, oppure potete contattarmi direttamente tramite il mio profilo facebook.
Spero con tutto il cuore che questo capitolo sia stato abbastanza appagante per tutte: immagino che ognuna di voi avesse in mente l'ultimo atto ideale e lungi da me avere la presunzione di soddisfare tutte le vostre aspettative, ma visto che questo era il finale che avevo sempre avuto in mente, sin da quando questa era una storia con appena diciannove capitoli, lunga meno di cento pagine (ed ora siamo a quota 302!), non avrei mai potuto concepire un modo diverso per chiuderla.
E a questo proposito, non so se avete notato, ma ufficialmente questa storia risulta ancora in corso. Questo non perché non sia finita o io sia preda dell'Alzheimer (oddio, forse un po' sì...), ma perché nonostante quello che avete letto sia a tutti gli effetti il capitolo finale, c'è ancora un piccolo extra in serbo per voi, che pubblicherò al più presto, per cui non togliete ancora Rosso come il Destino dalle storie seguite, perché c'è ancora una piccola cosa da leggere. ^ ^
E per concludere in bellezza, ho due piccole aggiunte grafiche da mostrarvi. La prima, non è altro che un disegnino di poco conto, che ritrae Emile e Pasi così come li ho immaginati e che putroppo la mia mano non ha reso al 100%, ma essendo il mio primo esperimento di colorazione digitale con ombreggiature sfumate, mi ha lasciato soddisfatta dal punto di vista coloristico. ^^
La seconda invece, è la copertina dell'album dei GAUS, con il disegno di Alberto. È in una versione semplificata rispetto a quanto avevo immaginato il disegno di Castoldi Sr. perché la mia apatia cronica non mi ha permesso di mettermi con pazienza a riprodurlo davvero, ma almeno potete farvi un'idea. xD
Spero che vi piacciano. ^ ^
Angolo dei Rigraziamenti
Eccomi qui, ancora una volta a ringraziare tutte voi che mi avete seguito fino alla fine. Grazie tantissimo alla mia sorellina/beta Fiorella Runco, sarà sempre a lei che dovrò la nascita di questa storia, sarà sempre grazie a lei, se Emile e Pasi hanno avuto modo di essere conosciuti da più persone, senza restare imprigionati in un anonimo file di Word nel mio pc.
Grazie tesoro, grazie di tutto, grazie per gli incoraggiamenti che mi hai dato, per tutte le volte che mi hai tolto qualsiasi dubbio e per l'entusiasmo con cui hai sempre accolto la lettura di ogni capitolo. Grazie davvero tantissimo sorellina, sei un tesoro prezioso. <3
Grazie mille a tutte le mie sorelline che hanno letto e commentato questa storia sin dalla sua nascita, che sono state una presenza costante e un supporto immancabile: Vale, Niky, Concy, Cicci, Saretta (e a quest'ultima va un immenso e incomparabile grazie per avere ospitato la mia storia nel suo blog, pubblicizzandola persino su twitter: grazie all'infinito Mon Trèsor, non ho nemmeno parole adatte per dirti quanto mi ha commosso questa tua partecipazione. <3).
Grazie sorelle mie, siete state la mia luce nel buio. :*
Grazie tantissimo a KiraYashal, hitori_janai e Dreamer_on_earth, perché mi avete fatto sentire costantemente il vostro affetto e la vostra partecipazione a questa storia, perché le vostre considerazioni sono sempre state importanti per me e perché mi avete fatto sentire capace di trasmettere delle emozioni attraverso le parole. Grazie davvero tantissimo!
Grazie tantissimo a Sheylen, che in egual modo si è appassionata alla lettura e un grazie immenso ad Airis che non vedeva l'ora di avere questo capitolo sotto gli occhi per poter leggere il gran finale, dopo essersi immersa totalmente in questa storia. Grazie anche a Grace, per il suo interessamento e per le belle parole che mi ha detto dopo aver letto solo il primo capitolo. Mi fate sentire davvero soddisfatta, in un momento in cui la mia autostima sta toccando fondi oceanici.
Grazie anche ad Ana-chan ed Ely, per il loro sostegno silenzioso e implicito.
Grazie a sel4ever per la sua recensione al capitolo scorso, perché mi ha dato una profonda gioia leggere che questa storia le era mancata tantissimo. Grazie per il tuo affetto, grazie davvero!
Grazie mille a tutte voi, dal profondo del cuore!
Grazie tantissimo anche a voi tutte che avete messo questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:
demigirlfun, elspunk93, Heaven_Tonight, Jude92, lillay, Minelli, samyoliveri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, firstlost_nowfound, incubus life, JennyChibiChan, kikka_love94, princy_94, Ami_chan, Amy_, Camelia Jay, chicchetta, costanzamalatesta, cris325, Deademia, epril68, georgie71, gigif_95, IriSRock, Iulia_E_Rose, jejiia, KarlyCatt, kiki0882, LAURA VSR, Lilly Aylmer, matt1, myllyje, nicksmuffin, Origin753, petusina, Queensol, smile_D, Veronica91, you are special.
Mi farebbe piacere se lasciaste due righe a quest'ultimo capitolo, per farmi sapere cosa ne pensate di tutta la storia. ^ ^
Stavolta devo ringraziare anche chi sta all'apice di tutto, coloro grazie ai quali ho capito quanto sia bello leggere, coloro che mi hanno trasportato nei loro mondi dai quali non mi staccherò finché vivrò.
Grazie prima di tutto a Fuyumi Souryo, per le sue storie dolci, romantiche ma anche realiste, prive di fronzoli, crude e amare, per avermi dato più di un esempio su ciò che vorrei ci fosse in una storia d'amore. La ringrazio soprattutto per aver creato Rei e Kei, quest'ultimo soprattutto, perché Emile è nato prendendo una grande ispirazione da lui.
Essendo questa la prima storia che porto a termine, non posso che ringraziare i miei esempi viventi di ciò che debba essere uno scrittore: Margaret Weis & Tracy Hickman, una donna e un uomo che sono stati capaci di creare personaggi così veri, da farmeli entrare nel sangue.
A loro devo la nascita di almeno due dei miei personaggi, perché se non ci fosse stato Caramon, non sarebbero esistiti né Stefano, né Alberto.
(E se non ci fosse stato Raistlin, Emile e Sofia sarebbero stati decisamente più simpatici xD)
Se Weis&Hickman non avessero creato un gruppo di amici come protagonisti delle loro storie, il gruppo di Pasi forse non avrebbe avuto l'importanza che ha avuto.
Ringrazio a questo proposito anche Kazuya Minekura, perché se non ci fossero stati i suoi quattro scalmanati protagonisti, alcune dinamiche nei rapporti all'interno del gruppo di Pasi non avrebbero visto la luce.
Grazie a tutti voi, davvero. Sarà anche una semplice storiella pubblicata su un semplice sito di Fanfiction, ma per me conta davvero tantissimo averla scritta e averla portata a termine, ecco perché stavolta, non potevo evitare di scrivere un papiro di ringraziamenti. ^ ^